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domenica 27 maggio 2018

DROP OUT

DROP OUT
All’università gli obiettivi di Ralph rimasero piuttosto vaghi. Pensava di voler diventare medico oppure avvocato, cosí si iscrisse a corsi di preparazione alla facoltà di Medicina e contemporaneamente a corsi di storia del diritto e di diritto commerciale prima di decidere che non aveva né il distacco emotivo necessario per esercitare la medicina, né la capacità di concentrarsi su lunghe letture richiesta dalla giurisprudenza, specie quando queste letture riguardavano questioni di proprietà o di eredità.
Con l'uscita nel 1976 di Vuoi star zitta, per favore?, la prima raccolta di Carver, s'imprimeva una svolta irreversibile nell'idea di short story e nell'intero panorama letterario americano. Una raccolta di storie indimenticabili, di uomini e donne…
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sabato 21 giugno 2008

Il ronzio di Carver

Raymond Carver: Cattedrale



Fa piacere sapere che se subisci un torto puoi sempre correre a casa e confortarti con un racconto di Carver.

Funziona anche se il torto lo infliggi.

Funziona ogni volta che resti senza parole.

Ray fa bisbigliare i tuoi silenzi attoniti, sottrae dramma e tensione alla sconfitta esistenziale senza occultarla sotto patine plastificate. Lei resta sempre lì a due passi da te, quando sarai pronto potrai darle un' occhiata.

Non c' è fretta, nel frattempo possiamo farci un goccetto.

Ray ti fa parlare e ti parla. Parla a tutti i cuori che hanno bisogno di rallentare il loro battito.

La sua compagnia è gradevole, non ti chiama continuamente a "fare il punto della situazione". Non si sognerebbe mai di chiederti un "chiarimento" su cose dette o fatte. Men che meno si interessa ai tuoi "progetti". Con lui le impellenze vanno a farsi benedire.

Quando un estraneo entra in casa tua e si guarda in giro, hai sempre l' impressione che non gli piaccia cio' che vede. Ecco, con Ray apprensioni del genere ti vengono risparmiate.

In realtà nemmeno apre bocca finchè nella stanza non aumentano certe misteriose pressioni e lui, messo alle strette, si sente in dovere di farlo.

Si chiacchera un po' del più e del meno, quando le batterie della discussione si esauriscono (quasi subito), propone di accendere la TV. Da qualche parte c' è sempre un telegiornale o un documentario.

Capita spesso che sia sul punto di dire qualcosa, ma poi non dice niente.

Tanta discrezione a volte crea delle stasi, non lo nego. In questi casi si resta lì come fulminati, con i nostri faccioni imperlati di sudore. Le copertine di Gabriella Giandelli illustrano bene il modo in cui i televisori dilatano l' iride, appesantiscono la palpebra, gonfiano la borsa oculare. Sono piccole deformazioni facciali che i personaggi di ray presentano invariabilmente.

Le parole di Ray non sono granchè, ma perlomeno le puoi toccare. Le puoi tenere in mano come fossero suppellettili. In mano ci stanno in modo stabile, la cosa è rassicurante per tipi come noi che hanno le mani grosse e callose. In testa è diverso, lì le parole si muovono in continuazione, scivolano via che è un piacere. Quando le cerchi non ci sono mai.

Ray non sopporta troppa "realtà" tutta in una volta.

Ricordo quando dovette incontrare e ospitare nei suoi racconi un cieco, era tutto eccitato e apprensivo. Non finiva più di riempire i vuoti di quel racconto con la parola "cieco". E il cieco di qua... e il cieco di là...

Un cieco nei suoi racconti, un cieco in casa sua. Che stranezza! Era già al limite e, come se non bastasse, quando il cieco aprì la porta ed entrò nel racconto, si scoprì che aveva la barba, un gran barbone. Pure la barba, un cieco con la barba, decisamente eccessivo per Ray.

Un' altra volta Ray in un suo racconto c' ha messo dentro un pavone (forse ha fatto anche la ruota ma sul punto il testo è ambiguo).

Ma che ci fa un pavone dentro racconti dove cercheremmo invano anche il nome del protagonista?

Per compensare questa esagerazione incongrua ha dato fondo a tutto il suo virtuosismo.

Noi lettori abituali l' abbiamo notato subito il pavone e ci siamo guardati con fare interrogativo. Anche perchè i pavoni sono esseri agitati, non stanno comodi nei racconti di Ray, non sono quelle le gabbie adatte a loro. Nell' altra raccolta una presenza del genere sarebbe stata impensabile impensabile.

Noi lettori abituali guardavamo questo strano pavone e nutrivamo un certo imbarazzato; in quel racconto ci siamo sentiti come ospiti in visita pieni di cautele. Abbiamo bussato in equilibrio sulle uova, cercando di darci un tono leggermente migliore del nostro solito, dare una buona impressione era importante. D' altronde eravamo in un racconto con tanto di pavoni e ci sembrava naturale mostrare una certa confidenza con un simile uccello.

Quando l' anfitrione - ovvero Ray - ci ha aperto la porta per farci entrare anche il pavone - che fino a quel momento razzolava convulsamente in giardino - ha voluto accedere. Ray lo scacciava trattandolo anche malino, devo dire. In quel traffico abbiamo toccato timorosi la bestia con lo stinco e abbiamo detto "Oh".

Nel suo racconto Ray ha dato grande evidenza a questo "Oh". Non se l' è lasciato sfuggire. In questo senso Ray è una sicurezza, non delude mai.

Sono contento perchè il nostro "Oh" compensa di gran lunga la bizzarra presenza di un pavone tra le righe di Ray. Non solo la compensa, la giustifica e la valorizza. Ora sono contento che Ray abbia scritto un racconto con un pavone, lo sono perchè in quel racconto c' è anche quell' "Oh".

A distanza di due giorni, memore di quel passaggio letterario, sono tornato sulla pagina a rileggere l' "Oh". Non mi capita spesso di recuperare alcune righe, di solito quello che è "letto" è "letto", avanti il prossimo.





Le parole di Ray ronzano.

Ray si è dimenticato le sue opinioni, forse una volta ne possedeva ma ora non ha più giudizi praticamente su niente e non se ne cruccia, tanto a colmare le lacune ci pensa il ronzio che emette in continuazione.

Se Il tran tran avesse un suo spartito, allora potrei dire che Ray ha sia lo strumento che il talento idoneo per eseguirlo al meglio.

Ci sono dei conti da fare, delle somme da tirare, delle conseguenze da fronteggiare, lo sai anche tu. Ma quel ronzio è una sirena, ti invita a dilazionare le noie, ad isolarti dalle pressioni della donna istigatrice; ti approva quando ti fermi un attimo a farti un goccetto. Ti seduce infine conducendoti nel lazzaretto dei procastinatori: un minuscolo inferno ammobiliato con tanto di tinello. E con un bel televisore a cui dare un' occhiata quando sei alle strette.

venerdì 18 aprile 2008

Acque senza pesci




Me ne sto lì, appostato con il mio lapis tra le dita in paziente attesa di parole illuminanti intorno alle quali tracciare il mio circoletto.

Me ne sto aquattato con l' occhio vigile sulle righe che scorrono in attesa che abbocchi un simbolo, un' epifania, un alef. Ma non abbocca nulla. Quest' acqua non è abitata da pesci, ho temperato invano la mia matitina, oggi non arpionerò alcunchè.

Scorrono quindi intonsi i racconti di Raymond Carver.

Omaggiano molta letteratura americana facendoci capire che non ci si cura troppo di noi, che non si farà "accadere" nulla per noi, a nostro uso e consumo.

Ci accorgiamo subito che siamo in ritardo o in anticipo sugli eventi: tutto è già successo, tutto deve ancora accadere. E a chi ha mancato l' appuntamento tocca essere ricevuto da Mr. Carver.

Anche gli strumenti dell' archeologo possono essere deposti, non c' è un' assenza da ricostruire, da riempire con ipotesi e congetture. Dobbiamo solo sentire l' eco di cio' che abbiamo mancato, l' evento vibra ancora tra le minutaglie insignificanti che sporcano i silenzi.

Stiamo sempre nella testa del protagonista solo per scoprire che anche lì, nel suo luogo più intimo, lui è reticente, lui è in difesa, lui non osa e non sbroglierà mai la matassa, non getterà luce.

Intanto, alimentato da questa impotenza, l' eco disarticolato del "fatto grave" che l' ha messo ko si fa assordante.

Per fortuna che ogni tanto, un isolato "evento nuovo", fresco, naturale, completamente indifferente ai drammi umani, si presenta e "accade" ripulendo molta sporcizia accumulata.

E' la scossa di terremoto di America oggi, è il colibrì che appare dietro il vetro, è la marmitta che casca e viene trascinata dall' auto fra le scintille, è il generatore che smette di funzionare dopo mesi, sono i cavalli in fuga che appaiono nella nebbia mentre pascolano nel giardino della coppia che si sta lasciando (ehi cara, vieni a vedere...).

Questo evento "accade" disancorato e privo di nessi. E' un colpo di silenzio che depura e risveglia. Al suo apparire tutte le eco esistenziali cessano di marcire, le paludi si prosciugano, le tensioni si allentano.

Ci viene voglia di ricominciare ad amare, ad abbracciare... forse siamo inciampati in un po' di speranza. Ma non caveremo mai una parola in merito da quei personaggi. Il loro mutismo carico di brusii è impaurito da tutto, è destinato ad affrontare tutto diagonalmente. Siamo lieti per loro se possono rifugiarsi e rigenerarsi in un lavoro lungo, duro e monotono come lo spaccar legna per l' inverno.

Ci voleva un mezzo cow-boy semi alcolizzato per spiegarci senza parole la bellezza di "ricominciare".

Quella prosa, spogliata dal lavorio a cui è stata sottoposta, suona come una musica da camera per piccolo organico, una musica con un tema che non si chiuderebbe mai. I finali non sono funzionali al contenuto bensì al modus operandi: quando ci si sorprende a cancellare cio' che si è appana aggiunto, allora è bene mettere il punto.