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venerdì 4 dicembre 2009

Avventure controvoglia

Ho perso molto presto il gusto per i film d' avventura, ma solo da qualche decennio l' ho azzerato.

Non c' è niente da fare, seguendo le peripezie di Tizio e Caio il fiato non mi si mozza. Mi distraggo, chiedo l' ora, apro il frigo, dò fastidio e sporco in giro. Almeno finchè la palpebra non mi si abbassa sono un vero disastro, lo ammetto.

Se vengo poi a sapere che un film ha una trama raccontabile, cerco di evitarlo accampando scuse inverosimili.

Sarà per questo che sono un fan de "Il Grande Lebowski", un film d' avventura con tanto di trama?

D' avventura sì, ma è un' avventura controvoglia.

La trama del film è una strada dritta e ben tracciata, solo gli americani la sanno asfaltare in modo tanto levigato, e i Coen sono americani da cima a fondo. Ma è anche una strada orribilmente ostruita da personaggi logorroici che, affinchè muovano un passo in avanti, devi spintonarli con una maleducazione che solo i F.lli Coen possono permettersi. Come se non bastasse questi idioti che credono di saperla più lunga del regista, imboccano in continuazione delle scorciatoie. Ci vuole un attimo e te li ritrovi sull' ordito a fare i cretini.

Neanche Drugo, infatti, ama le trame. Qui, fortunatamente, è lui il protagonista. Di Indiana Jones neanche l' ombra.

Non so quali siano i film preferiti da Drugo, per certo so solo che non sopporterebbe mai una vita con la trama!

La concepisce piuttosto come un' infinita e informe seduta al bowling inframezzata da spinelli e bagni caldi da prendere con moooolta calma a lume di candela. Ogni tanto, ma con moooltissima calma, si molla la coca e il divanetto per alzarsi ed impugnare la boccia traforata. Poi la si scaglia e la si guarda che rotola, rotola, rotola. La si guarda con gli occhi che girano, girano, girano. La si guarda a lungo, mentre si sognano tanti strike. Lo strike non arriva ma si è contenti lo stesso per il solo fatto che la palla, finita così distante, non necessita di essere recuperata, un portentoso marchigegno lo farà per noi! Grande!

Attenzione, non dico che sia una vita priva di soprassalti, ogni tanto spuntano quesiti che diffondono una certa turbativa. Quando comincia il torneo?

E non crediate che sia un' esistenza priva di asprezze. Può fare capolino una dura monotonia... tutti quei cambi di scarpe per entrare in pista, solo per fare un esempio...

Come potete notare dall' asse del cesso alzata, Drugo è single.

Il suo motto potrebbe essere: "Perchè comprarsi una vestaglia quando c' è l' accappatoio?", oppure: "Perchè comprarsi qualsiasi vestito, quando c' è l' accappatoio?".

Non pensate nemmeno che Drugo sia un pazzo disadattato in cerca di sfide, si dà dei limiti; sì, è vero, in drogheria a prendersi una birra d' emergenza scende in accapatoio e ciabatte. Ma non va oltre, non arriva a fare cose che possano segnalare in modo troppo evidente la sua presenza creando allarmismo. Ha una reputazione da difendere, è pur sempre stato uno degli estensori della Dichiarazione di Port Huron ("La prima, non la seconda"). Eccheccazzo!

Mi viene da cadere in ginocchio quando vedo John Goodman in questo film.

Walter Dice esattamente tutto quello che deve dire chi non ha impegni da qui a dieci anni, chi probabilmente nella sua vita non avrà mai altri veri impegni che non siano il Torneo. E non pensate che le cose che ha da dire siano inezie! Anzi, essendo reduce del Vietnam in genere una parola su due che gli esce dalla bocca merita di essere scritta con la maiuscola (lui le scriverebbe tutte in maiuscolo).

Come un segugio sniffa l' aria a caccia di situazioni in cui possa sollevare questioni di principio da portare alle estreme conseguenze infervorandosi sul nulla.

Se ho avuto voglia di rivedere uno dei miei film preferiti, forse non doveva proprio essere tale. Non lo so, di solito evito di frequentare il posto delle fragole.

Quello che so è che regge ancora maledettamente bene questo film maledettamente seducente.

Ma la Sara lo rifiuta, è un po' in soggezione quando deve calarsi in atmosfere mai definite. Piene di personaggi pronti a sabotare qualsiasi atmosfera.

L' indolenza, la vera protagonista del film, e i metodi per conviverci, sono a lei estranei.

Mi sente ridere dall' altra parte del divano e non capisce mai bene perchè. Tutto cio' la disturba, è normale. Bisogna pur masticare un po' di napoletano per vedere ricomincio da tre.

Non è certo un film per coppiette, semmai il perfetto contrario. E' naturale, l' apoteosi dell' accidia non puo' che essere l' apoteosi della solitudine.

Forse per questo ho terminato in perfetta solitudine la visione di un film quasi perfetto.

I Guano-Padano, con le loro musiche in cerca di un film, evocano al meglio le pimpanti avventure che sembrano accanirsi su persone come Drugo, persone in cerca solo di rilassatezze paludose in cui millantare qualcosa prima di perdersi. [al fischio il maestro Alessandro Alessandroni in persona].



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sabato 26 luglio 2008

Beati i rincoglioniti

Caro Marineo, il tuo libro è talmente esaustivo da ridurmi al silenzio, una condizione per me scomoda ma anche un omaggio dovuto.

Ti ringrazio quindi quando, inquadrando la Marge di Fargo, sei riuscito a ridonarmi la parola.

Come potevo tacere? Con Fargo ti chiedo la perfezione, è forse il miglior film che abbia visto nell' ultimo quarto di secolo. Mi sarei inquietato senza nulla su cui dissentire.

... e quindi per te Marge, caro Marineo, la goffa e gravida detective che risolve il caso, è un personaggio lacunoso che sbroglia la matassa senza coglierne il senso? Un animo irrigidito in una freddezza innata incapace di recare qualsiasi affetto? Il malaugurato strumento con cui tutto puo' essere ricondotto a quello che poi è il bersagio mirato da tutti: la sedativa "everyday-life" del Minnesota? Secondo te è solo questo?



Secondo me è qualcosa di più: è uno scacco dichiarato allo... Allo spettatore onnisciente e al suo portavoce. A noi, caro Franco Marineo. A quello strano tipo che spazientisce gli addetti del multisala perchè, ancora dopo la fine dei chilometrici titoli di coda, non sgombera e staziona tra cartacce e residui di pop corn smangiucchiato alla ricerca di un bandolo da dare alla matassa, forse crede di trovarlo scoprendo i nomi degli "addetti ai cavi".

Ed ora, alcune note di colore.
***
In attesa di Godot, Vladimiro ed Estragone straparlano.

Noi, in platea, soppesiamo le ripercussioni esistenziali di quell' inane vaniloquio. Noi -"spettatori onnoscienti"- valutiamo le mille sfaccettatura con cui Beckett ha cesellato il suo mondo intorpidito e le sue agonie disertate ormai anche dai dolori.

Persino lo strazio se n' è andato altrove, dove ancora si puo' piangere; oppure si è trasfigurato rendendosi irriconoscibile, e ora si muove in incognito da qualche parte sulla scena...

Poi, all' improvviso, ecco che si presenta in scena Godot, rassicura i suoi compagni con baci e abbracci cordiali profondendosi in scuse per il ritardo; dopo qualche parola di circostanza, tutti se ne dipartono fiduciosi per realizzare con lui i progetti in cantiere che, formulati un attimo prima, avevano liberato il nostro sentimento patetico.

Rimaniamo noi, ragionevoli analisti da platea. Scopriamo con lentezza che ad essere inane era la nostra speculazione sul "negativo" beckettiano.


Il destino è pieno di "onde anomale". Bess è un adorabile suonata, basterebbero due scene per capirlo.

Il suo esperto fidanzato addirittura si diverte preoccupato, è sorpreso nel vedere con quanto minaccioso zelo venga amato.

Lei si dibatte tra i suoi due amori e quando non è al servizio incondizionato del fidanzato, si reca dall' altro, in Chiesa. Lì discute e litiga con quel Dio barbuto e bellissimo: a lui chiede prove più dure, invasa da serotonina e altri ormoni esplosivi, sente che in campo amoroso puo' donare con ben maggiore generosità.

Il film di Von Triers è già a 3/4 del suo svolgimento. Noi - spettatori onniscienti - abbiamo già afferrato l' andazzo. Nel "dibattito a seguire" si distuterà con fervore del potere alienante delle religioni, di come il pregiudizio e il dogma possano minare dall' interno il reticolo delle società ordinate. Di come possano corrodere un cervello indifeso e dallo sviluppo bloccato. Non c' è neanche bisogno di prepararsi, la frase giusta verrà fuori spontaneamente al momento giusto.

Ora il film raggiunge il culmine della denuncia: Bessie è pronta per il suo sacrificio più grande: il fidanzato, vittima di un incidente, è in coma e lei, per "salvarlo", si imolerà prostituendosi ripetutamente fino a farsi violentare e morire. I nessi occulti agli onniscienti della platea sembrani invece lampanti all' innamorata di tutto.

Bessie si concede agli stupratori che ne fanno scempio, entra in un gioioso coma... e, proprio in quell' istante, ne esce il fidanzato... in poche ore è già in piedi e sta benone. Il sangue di Bessie, attraverso vie arcane, l' ha salvato, dal cielo parte uno scampanio miracoloso emesso da campane altrettanto misteriose la cui presenza era stata profetizzata dalla martire.

In sala c' è delusione, i cervelli "corrosi" e "bloccati" erano quelli di noi analisti tutti presi a condannare senza appello il "dogma" e il "pregiudizio", ma nessuno vuole ammetterlo. Eppure i "fatti", i "fatti artistici" hanno dato ragione a quell' Idiota di Bessie.


Johannes è lo scemo di famiglia. Lo è diventato poco a poco, prima non era così. Un tempo studiava teologia e prometteva, ma poi sono cominciate le fissazioni e le turbe mistiche, naturalmente si crede il Messia. Vaga per i campi ma anzichè zappare recita la Bibbia con occhio vitreo. Noi, dalla poltroncina, lo seguiamo godendoci le carrellate e il gioco del vento sul grano danese.

Ormai non è più buono a nulla, puo' tenere giusto compagnia ai nipotini perchè li diverte con le sue storie sconclusionate e reca qualche ora di sollievo alla cognata Ingrid, angelo del focolare, che invece li accudisce tutto il giorno e interviene quando subentrano i problemi sono seri, i problemi per cui Johannes ha perso ogni idoneità.

Noi "spettatori onniscienti" siamo deliziati dal quadretto con cui Dreyer tratteggia la vita di queste famiglie allargate. Tensioni, liti, riappacificazioni, scontri di personalità, la crisi religiosa del pastore Mort, il patriarca e, sempre sullo sfondo, il chiasso ottuso dei bimbi. Ci diffondiamo mentalmente sull' ambiguo ruolo sociale delle religioni, sulla forza che occorre per coltivare ancora oggi una religiosità all' apparenza continuamente smentita dalle vicenda mondana.

Ogni famiglia ha un suo epicentro. In qusto caso il coagulo è la premurosa serenità di Ingrid, moglie del freatello di Johannes: ha una parola per tutti, un gesto efficace e carezzevole per tutti e, cavoli, quanto produce: prole, mestieri, opere, affetto...

Le tensioni tra i famigliari si scatenano proprio mentre Ingrid partorisce un bambino morto appena prima che anche lei spiri.

La tragedia e il silenzio piombano su quel focolare. Le ombre espressioniste di Dreyer rendono palpabile quel sentirsi "alla fine della candela".

Poi accade che alla veglia funebre i bimbi conducono nella stanza Johannes invitandolo a rispettare le deliranti promesse che, mentre noi eravamo impegnati a seguire le trame degli adulti, lui, evidentemente, condannato alla scarsa attenzione dovuta ai piccoli, aveva fatto loro.

E allora, il corvino Johannes prende per mano i biondissimi bambini e, prima di essere scacciato, avanza verso il talamo e pronuncia una parola (ordet): Ingrid riapre gli occhi mentre il film li chiude facendo prevalere definitivamente quello splendido nero che per tutto il tempo aveva lottato con uno splendido bianco.

Noi spettatori siamo un po' delusi e scandalizzati per questa vittoria della "religiosità demente", che ci piomba tra capo e collo proprio in un film che ovunque porta i segni della riflessione martoriata e matura.
***
Ecco, caro Marineo, chi sono i fratellini e le sorelline di Marge.

Sono d' accordo con te, il Mondo dei Coen, Fargo, è cattivo e sterile: il suo orizzonte è claustrofobico, tutto, a cominciare dai sentimenti, appare bloccato nel ghiaccio, ogni pensiero è di circostanza: slitta sulla superficie e se ne va senza produrre senso; le parole sono scatole vuote, il virus della convenzione è allo stato di pandemia, anche i cattivi sono stupidi e instabili come in nessun altro film, tutto è colto nella distillata imperfezione di un gesto sempre orfano della riflessione.

Un Paese simile, Fargo, è un paese improduttivo: eppure ha prodotto Marge, il demiurgo, colei che risolve.

Ma Marge non è un miracolo in sè perchè porta tutte le stimmate del suo Paese, basta una scena per capire che viene da lì. E' miracoloso cio' che fa, è miracoloso che un mondo del genere, condanato senza appello dallo spettatore onnisciente all' apocalisse, si salvi con le sue forze, con la forza della sua irritante banalità.

Un tempo il pericolo che ci minacciava era la povertà. Il Salvatore è venuto a dirci "beati i poveri". Oggi, nell' era della ricchezza e del consumismo, siamo insidiati dalla banalità. E' come se un nuovo sconcertante Salvatore venisse a dirci, spiazzando i cogitabondi, "beati i rincoglioniti".

Intando Marge decifra, decifra e, al momento opportuno, spara.

Spara con la perizia del poliziotto che va riluttante al poligono una volta ogni due anni. E se riesce ad ottenere le firme senza andarci, tanto meglio.

Spara colpendo il suo bersaglio: l' ottuso e devastante killer. Quello che aveva fatto fuori l' ostaggio perchè uggiolava imbavagliato proprio mentre la protagonista della sua telenovela preferita stava rivelando di essere incinta ad un fidanzato mascelluto che trasecolava.

Marge lo colpisce quando ormai gli manca da triturare nella macinatrice del legno solo una gamba (con scarpa da tennis). Ma non è la gamba dell' ostaggio, sciocchini. Parlo della gamba del suo complice chiacchierone che aveva esagerato nel rimproverargli certe leggerezze.

Al loffio botto della minuscola pistola di Marge, parte un minuscolo proiettile dalla traettoria molto arcuata che produce una minuscola ferita da cui fuoriesce una minuscola goccia di sangue. Quella goccia cade e si perde su una neve che la macinatrice aveva già arrossato per cento metri con gli schizzi splatter della sua orribile macellazione.

Ma è una micro ferita che, non si sa come, mette fuori combattimente il corpulento demente che adesso piange come il bambino quando si sbuccia il ginocchio. La minuscola (anche da incinta) Marge, non si sa come, lo carica di peso nel posto dei cani sulla sua quattro per quattro e si avvia, nel bianco, alla centrale.

Lui, una vita passata a violentare perchè... perchè non sa fare altro, guarda fisso il vuoto con le palpebre disegnate da Piero della Francesca, guarda esattamente come guarda le telenovela. Probabilmente non ascolta, anche perchè Marge, venendo da Fargo, dirà parole che non chiedono di essere ascoltate.

Partono. Marge scuote la testa, sospira "... peccato, così un bel ragazzo... e così giovane poi...". Ma lo sappiamo, Marge viene da Fargo, e per casi come questi ha a disposizione solo la retorica della ramanzina inferta al ragazzo che ruba una fetta della Apple Pie.

In quel bianco sterminato solo la chitarra slide della colonna sonora, un po' rycooderiana, mostra quella coscienza olistica per cui Marineo prova tanta nostalgia. Ma Marineo, e con lui tutti gli spettatori onniscienti, si deve rassegnare, a far quadrare i conti e a garantire l' evoluzione della specie non è stata la chitarra ma una "fargiana" doc come Marge. Una "fargiana" doc che si dispiace perchè "un ragazzo così giovane..." ha fatto quello che ha fatto, ma in fondo già pregusta la festa del boscaiolo che si terrà nel fine settimana, quella dove anche suo marito esporrà i suoi quadri per la pesca di beneficienza.

PS. ho scritto questo post anche perchè dopo ferragosto, finalmente, uscirà il DVD di Fargo. L' attesa decennale meritava un piccolo brindisi parolaio.