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giovedì 12 dicembre 2019

PERCHE' LA COSTITUZIONE NON LEGITTIMA NESSUNO.

PERCHE' LA COSTITUZIONE NON LEGITTIMA NESSUNO.
La Costituzione italiana è forse il "contratto" che tiene assieme gli italiani?
Contratto de che? Io non ho firmato nulla!
Fa niente, dicono con sussiego i teorici del contratto sociale, è il "contratto" che gli individui avrebbero firmato in certe condizioni ipotetiche. Per quello sono state usate le virgolette, cosa ti credevi? Solo così, infatti, possiamo immaginare una società giusta.
Bè, in questo caso le cose cambiano. Anche se una resta ferma: i "teorici del contratto sociale" sono dei gran paraculi: il loro approccio li esenta dalla ricerca di prove empiriche a sostegno. A loro basta e avanza essere persuasivi sostenendo che "le persone avrebbero accettato se...". E' facile prevedere che chi dissente da loro difficilmente "avrebbe accettato". Ma loro hanno la risposta pronta. Leggete e la scoprirete.
Tanto per cominciare osserverei che si tratta comunque di un approccio lontano dal senso comune: in genere sono le promesse che uno fa a vincolarlo, non quelle che "avrebbe fatto se...". La violenza è legittimata solo dai fatti, non dalle ipotesi.
Ma un contrattualista potrebbe invitarti a lasciar perdere le promesse e considerare piuttosto questa analogia: supponiamo che un paziente incosciente sia stato portato in ospedale bisognoso di un intervento chirurgico. In circostanze normali, i medici devono ottenere da lui il consenso informato. Ma nel nostro caso non puo' darlo. Che fare? E' giusto presumere che acconsentirebbe alla procedura di salvataggio se fosse in grado di farlo. E' il nostro caso! Dobbiamo immaginare "cosa avrebbe risposto se...".
Non proprio, l'analogia zoppica: I cittadini di un determinato paese non sono né tramortiti né mentalmente incompetenti. Nel caso trattato, invece, l'ottenimento del consenso era impossibile. Inoltre, anche ricorrendo al consenso ipotetico del malato, questo deve essere comunque informato ai valori e alle credenze filosofiche che la persona professava nella sua vita. Per esempio, il medico curante, a causa della sua familiarità con il paziente, potrebbe essere consapevole che il paziente ha forti obiezioni religiose a subire certi trattamenti.
A questo punto interverrebbe con foga Thomas Nagel: ma quando un sistema rigorosamente volontario è irrealizzabile, un'approssimazione diventa accettabile. Ad esempio, proseguirebbe Nagel, potremmo presumere che le parti dell'accordo ipotetico siano più informate, più eque e più razionali delle persone reali. Persone del genere troverebbero un accordo che noi possiamo inferire facendo appello appunto alla ragione, un po' come inferiamo le risposte che ci avrebbe dato il paziente in coma facendo appello alla sua vita vissuta.
Avete notato che le parti del contratto "nageliano" sembrano tutte fatte con lo stampino? Ma se perdiamo per strada le differenze perdiamo le persone stesse. Le persone ragionevoli possano avere persistenti differenze religiose/filosofiche. Perché no? Troppo facile pensare ad un accordo chiuso tra gemelli identici. Lo stampino di Nagel è qualcosa di più di un'approssimazione. L'identità abolisce la diversità. La ragione è sempre incarnata in una vita concreta.
Ma i contrattualisti sono degli inguaribili ottimisti: per loro, non solo l'accordo verrà chiuso, ma sarà anche di un certo tipo. Devo ammettere che anch'io mi mostrerei fiducioso quando sono esentato dal fornire ogni prova a riguardo. D'altronde, i contrattualisti non fanno alcun serio sforzo per dimostrare che i sistemi politici reali si avvicinano in qualche modo al loro modello. L'omissione si spiega con il fatto che, in realtà, nessun governo soddisfa le loro condizioni di legittimità. Oppure, guardando le cose in altro modo, tutti le soddisfano! Il che è ancora peggio come vedremo.
Quando, per esempio, Nagel si chiede come sarebbero ripartite le risorse in una società ideale fa i due casi estremi: egalitarismo completo e zero ridistribuzione. Il modello contrattualista, a quanto pare, ricadrebbe in questo ampissimo intervallo. Non ha null'altro da aggiungere. Grazie al cazzo. Il contrattualismo, in sintesi, "dimostra troppo", dimostra tutto! Tutto potrebbe essere coerente con il contrattualismo, anche la dittatura di Bokassa. D'altronde il contrattualismo nasce proprio per giustificare razionalmente la tirannia: senza il tiranno la nostra vita sarebbe breve e crudele. Ricordate?
John Rawls, di gran lunga il contrattualista più famoso del nostro tempo, è ancora più ottimista e vago del contrattualista medio. Descrive a lungo come anche persone con differenti concezioni religiose arriverebbero ad aderire al suo modello specifico (che vedremo dopo). Persino gli utilitaristi, secondo lui, dovrebbero unirsi entusiasti alla sua proposta. Purtroppo, non fornisce ragioni sul perché questo dovrebbe succedere. Spiega, spiega, spiega... e non argomenta mai.
Ma faccio una concessione a Nagel e Rawls: si sono concentrati sui principi di giustizia distributiva, un'area, lo ammetto, altamente controversa. Forse avrebbero avuto più successo se si fossero limitati a confutare, che ne so, l'anarchismo. Tuttavia, è difficile che la legittimità di un governo prescinda dal contenuto delle sue politiche.
Analogia: immagina che un individuo desideri imbiancare la sua casa di bianco, ma l'imbianchino gliela dipinge di verde. Che senso ha affermare che l'imbianchino ha sbagliato colore - capita - ma era comunque legittimato nella sua opera? Nessuno. Sarebbe stato meglio che l'imbianchino non avesse mai messo mano ai pennelli.
Anche nella confutazione dell'anarchia il contrattualista porta un contributo trascurabile.
Ma il contrattualista è messo male anche rispetto al razionalista puro e semplice il quale, almeno, potrebbe dire che gli uomini in disaccordo con la sua società ideale si sbagliano. Sarebbe comunque un modo coerente di presentare la sua proposta. Il contrattualista no, non puo' nemmeno fare questo! Il suo modello, infatti, si fonda sul consenso generale, a prescindere dagli errori di valutazione dei singoli. Sono loro stessi ad aver stabilito come condizione di legittimità che tutte le persone ragionevoli concordino su un determinato contratto sociale.
Propongo adesso alcune analogie per pensare meglio l' idea di contratto ipotetico.
Analogia (1). Immagina che un datore di lavoro si avvicini a un potenziale dipendente con un'offerta di lavoro del tutto equa, ragionevole e attraente, magari anche generosa. Se il lavoratore fosse pienamente informato, razionale e ragionevole, accetterebbe l'offerta di lavoro. Tuttavia, il datore di lavoro non ha il diritto etico di costringere il potenziale dipendente ad accettare!
Altra analogia (2): non è consentito al medico di imporre con la violenza un certo trattamento, anche qualora sia irragionevole rifiutarlo.
Intuizioni contrastanti possono essere tratte da un' analogia (3) più problematica. Un naufragio ha bloccato un certo numero di persone su un'isola finora disabitata. L'isola ha una scorta limitata di selvaggina che deve essere preservata dall'estinzione. I naufraghi devono razionare attentamente il diritto alla caccia. Tuttavia, un passeggero rifiuta di accettare tale limite. Sembra plausibile che gli altri possano intervenire con la forza nei suoi confronti.
Differenze tra le varie analogie. Nel caso del contratto di lavoro assistiamo al sequestro di una risorsa vitale - il lavoro del dipendente assunto con la forza. Nel caso dell'isola, invece, sulla risorsa contesa è plausibile attribuire un diritto collettivo. Qual è l'analogia più pertinente? L'ipotetico contratto sociale è chiaramente più simile al caso del contratto di lavoro. Lo stato, infatti, rivendica per se una parte dei guadagni di tutte le persone, qualcosa che fino a tale rivendicazione è chiaramente di pertinenza dei singoli. Ciò che l'ipotetica teoria del contratto fornisce, quindi, è una morale doppia in cui il governo gode di privilegi da cui le persone sono escluse. Esattamente come nel caso fatto il datore di lavoro godrebbe di privilegi ingiustificati nei confronti del lavoratore.
Discuterò ora un contratto ben preciso, quello ideato da John Rawls. Lo studioso escogita uno scenario ipotetico, quello della "posizione originale", in cui gli individui chiudono un accordo sui principi di base per governare la loro società. Si presume che questi individui siano motivati ​​esclusivamente dall'interesse personale, ma siano anche "disincarnati", ovvero privi ​​di ogni conoscenza circa la loro condizione nel mondo reale. Questa situazione è nota come il "velo dell'ignoranza".
Secondo Rawls le persone in questa posizione originale selezionerebbero due principi da mettere alla base di ogni società: 1) massimizzazione della libertà individuale + 2) massimizzazione della condizione materiale di chi sta peggio.
Sempre secondo Rawls, l'accordo chiuso sarà equo perché, nella posizione originale, nessuno è in grado di tramare per favorire la sua condizione particolare. Ogni aspetto arbitrario verrà tralasciato per far emergere una specie di "ragione disincarnata". Sarà insomma un modo per "equalizzare" la fortuna e neutralizzare così la lotteria dei talenti.
Ma un simile accordo verrebbe davvero chiuso? Dubitare è lecito. Rawls presume che, una volta che tutte le inclinazioni particolari e tutte le caratteristiche individuali siano eliminate, le persone razionali si lasceranno convincere dagli stessi argomenti. Il disaccordo, per Rawls, è dovuto interamente a fattori come l'ignoranza, l'irrazionalità e i pregiudizi creati dalla propria condizione specifica.
Purtroppo, nella storia delle idee c'è una larga evidenza fattuale che contrasta con questo assunto. Anche al di fuori della filosofia politica, i filosofi svolgono dibattiti interminabili in epistemologia, etica e metafisica, alcuni dei quali sono millenari. Pensare ad un accordo finale sembra irrealistico. Una diagnosi più plausibile di disaccordi filosofici così diffusi e persistenti è che gli esseri umani sperimentino intuizioni soggettive differenti, e che sia inconcepibile una "ragione disincarnata". In ogni ragionamento i partecipanti hanno sempre un irriducibile "a priori" che riflette la loro vicenda personale.
Considera, per esempio, un disaccordo di particolare interesse, quello tra anarchici e sostenitori della legittimità di un governo. Non c'è motivo di pensare che questo disaccordo evapori una volta che i contendenti siano posti dietro il velo dell'ignoranza. Gli anarchici non sono in disaccordo con i non-anarchici per un qualche interesse particolare, non è che qualcuno stia manomettendo a proprio vantaggio i principi morali. Le due fazioni sono semplicemente separate da un'intuizione etica diversa.
Per validare il suo contratto ipotetico Rawls non fa altro che definirlo "equo". Ma perché un contratto equo dovrebbe essere valido?
Esempio: immagina che Susanna faccia un'offerta per comprare l'auto di Giovanni. Data la condizione dell'auto l'offerta è del tutto corretta. Tuttavia, Giovanni si rifiuta di vendere. Ha forse agito in modo immorale perché non ha chiuso un contratto equo? Non direi. Altro esempio: immagina che Giovanni vinca alla lotteria, sarebbe equo che dia anche a Susanna. Ma è moralmente obbligato a chiudere un simile accordo con lei? Non direi.
Come mostrano questi esempi, il fatto che un accordo ipotetico sia equo non crea un obbligo ad agire, né crea un diritto etico alla coercizione. Ma Rawls replica che i suoi principi di giustizia si applicano solo ai problemi di autorità politica. Una risposta assai debole. Le dimensioni dei soggetti non mutano la natura dell'accordo. Se il datore di lavoro è una SNC o una multinazionale non muta le conclusioni sopra raggiunte.
Siamo alle solite, Rawls non fa un passo fuori dalla gabbia dove si è infilato se non dice chiaramente che gli uomini con la pettorina "stato" posseggono uno status morale superiore. Cosa che, evidentemente, non potrà mai dire.
Torniamo all'assunto centrale di Rawls: i ragionamenti morali sono validi se non vengono influenzati dall'interesse personale e dalle inclinazioni particolari del soggetto. Ma se si tolgono interessi ed inclinazioni cosa resta? La ragion pura? Io non riesco a concepirla tutta sola in una dimensione platonica. Se a un masochista piace soffrire applicherà la sua ragione a questa sua preferenza. Nel ragionamento etico rientrano sempre delle informazioni almeno in parte soggettive. Ma Rawls ha fatto sparire il soggetto! La sua posizione originale incarna solo alcune condizioni necessarie per l'affidabilità del ragionamento normativo, non condizioni sufficienti poiché la ragione pura non è mai sufficiente nemmeno a muovere un dito.
Detto questo, occorre aggiungere che dalle premesse poste da Rawls non discendono necessariamente le sue conclusioni, ovvero il contratto che ho descritto sopra. La contro evidenza è corposa: ci sono una marea di filosofi che hanno raggiunto conclusioni alternative eliminando dal loro ragionamento passioni, inclinazioni e interessi. Questi filosofi abbracciano convinti utilitarismo, egalitarismo, libertarismo o anarchismo senza violare i vincoli tanto cari a Rawls.
Passo e chiudo.

giovedì 11 aprile 2019

Lo spiritello di Rawls SAGGIO sul contrattualismo



Lo spiritello di Rawls

La nostra intuizione morale è abbastanza chiara: se tu mi metti le mani in tasca sottraendomi il portafoglio sei un ladro. Tuttavia, c’è qualcuno che potrebbe invece parlare di “ridistribuzione delle risorse”. Ma come giustifica questa apparentemente bizzarra affermazione? Una teoria a cui spesso si ricorre è il contrattualismo: all’origine della nostra società ci sarebbe un contratto sociale che fissa delle regole di equa convivenza, tra queste potrebbero entrare anche degli obblighi legati alla redistribuzione delle risorse. Poiché di questo contratto non c’è traccia, occorre postularlo come ipotetico per poi portare argomenti a suo sostegno. Ora, se l’esistenza del contratto è per sua natura solo un’ipotesi, se una simile ipotesi ha conseguenze che confliggono in modo stridente con le nostre intuizioni etiche primarie, è chiaro che l’ipotesi di cui sopra deve essere avvalorata da argomenti molto forti per poter essere ritenuta credibile. Il contrattualista deve concludere che è inevitabile per gli uomini raggiungere un certo accordo di un certo tipo. Noi dobbiamo giudicare se ci è riuscito.
Attenzione a non confondere il contrattualismo con l’utilitarismo: quest’ultimo si limita a sostenere che certe procedure fanno prosperare la società e non che derivino da un accordo originario. Il contrattualista deve portare una montagna di prove a sostegno dell’ipotesi di un contratto iniziale a prescindere dalla sua utilità. Per lui l’equità deriva dall’esistenza di un accordo, non dal fatto che “funzioni bene”. 
Ma partiamo dall’inizio. I teorici del contratto sociale danno credito all’affermazione secondo cui gli individui acconsentirebbero ad avere uno stato – e magari di un certo tipo – in determinate condizioni.
Il contratto sociale è solo ipotetico: è bello (e comodo) sentirsi sollevati dalla necessità di dover provare qualcosa sulla base dei fatti. La semplice ipotesi che avremmo accettato un determinato accordo sociale in un particolare scenario legittimerebbe tale accordo e gli obblighi che da esso derivano. Questo approccio ha il vantaggio dialettico di non dipendere dai fatti empirici del mondo reale.
Ma qual è il dovere del buon contrattualista? In primo luogo deve mostrare in modo convincente che le persone accetterebbero il contratto sociale che lui ha pensato a tavolino; secondo, deve dimostrare che questo ipotetico consenso è moralmente vincolante.
Ecco un’analogia illuminante. Supponiamo che un paziente privo di sensi sia stato portato in un ospedale, si riscontra la necessità di un rischioso intervento chirurgico per salvargli la vita. In circostanze normali, i medici dovrebbero ottenere il consenso informato del paziente. Qualcuno potrebbe fare appello alla ragionevole convinzione che il paziente acconsentirebbe alla procedura di salvataggio se solo fosse in grado di farlo. Tuttavia, quando facciamo appello al consenso ipotetico, ci riferiamo a qualcosa che deve essere coerente con i valori effettivi e le credenze filosofiche espresse in vita dall’interessato. Esempio, in qualche caso il medico curante, a causa della sua familiarità con un certo paziente, è consapevole che il paziente ha forti obiezioni religiose alla pratica della chirurgia, anche quando è questione di vita o di morte.
L’analogia ha comunque dei limiti: i cittadini non sono né inconsci, né inconsapevoli.
Una strada alternativa al “consenso ipotetico”, almeno secondo il filosofo Nagel, è quella che punta sulla “ragionevolezza”: quando un sistema strettamente volontario è irrealizzabile, un’approssimazione accettabile può essere un accordo sul quale nessuna persona ragionevole avrebbe da ridire.
L’ assunzione della “ragionevolezza” non è da poco poiché le persone reali non sembrano molto ragionevoli. Ad esempio, dobbiamo assumere che le parti ideali dell’accordo siano meglio informate e più razionali della maggior parte delle persone reali. Dietro questo assunto spesso sta quello più imbarazzante per cui è l’autore della teoria a proporsi come più razionale e informato.
In generale, sarebbe meglio non immaginare che le parti dell’ipotetico accordo siano troppo diverse dall’essere umano medio reale, per timore che l’accordo ipotetico perda la sua forza giustificativa. Ad esempio, non dovremmo interessarci a un accordo ipotetico che potrebbe essere raggiunto tra persone che professano una religione particolare.
Purtroppo, i contrattualisti non hanno offerto prove concrete o ragionamenti per dimostrare che un particolare sistema politico sarebbe stato concordato da tutte le persone ragionevoli. Esiste l’ipotesi ma nessuno sforzo di verifica Il loro, in molti casi, è un mero formalismo per esprimere delle intuizioni etiche. Più che pensare a un contratto ipotetico, dovremmo vederlo come una metafora di equità.
Uno come Nagel, o anche come Rawls, non fa alcun serio sforzo per dimostrare che un sistema politico reale possa soddisfare le condizioni da loro poste. Una possibile spiegazione di questa omissione è che, in effetti, nessun governo soddisfa le condizioni di legittimità. La realtà è molto distante dall’ipotesi fatta, che quindi non puo’ dirisi nemmeno “ipotesi”.
C’è poi la questione della vaghezza. Nagel, per esempio, si pone un solo problema: quanto i ricchi debbano dare ai poveri. Poco o tanto? Tutto o niente? Non si sa bene come collocarsi lungo questo spettro vastissimo. Le sue conclusioni sono vaghissime. Talmente vaghe da far sembrare il contrattualismo un approccio inservibile.
D’altronde, il contrattualismo è il paradigma prescelto sia da un propugnatore della tirannide come Hobbes, che dal libertario come James Buchanan. Dentro ci sta tutto.
Rawls è però ottimista. Tuttavia, l’ottimismo di Rawls, sembra poco giustificato. Sembra davvero impossibile che la sua teoria della giustizia possa essere al centro di un consenso tra individui con differenti opinioni religiose, morali e filosofiche.
A Rawls serve un argomento per poter dimostrare che tutte le persone ragionevoli sarebbero d’accordo sui principi da lui individuati a prescindere dalle loro credenze religiose, morali e filosofiche. Un accordo, quindi, indipendente dai contenuti delle credenze. Un mero formalismo che colleghi il contrattualismo all’utilitarismo.
Nagel e Rawls si sono entrambi concentrati sui principi della giustizia distributiva, un settore molto controverso. Il loro fallimento non sorprende considerato il territorio insidioso in cui si sono inoltrati. Forse avrebbero avuto più successo nel difendere un consenso ipotetico sul fatto di avere un governo piuttosto che nessun governo.
Tuttavia, in questo caso, è probabile che la legittimità non prescinda dal contenuto. Se un individuo accetta che ci dovrebbe essere un governo ma crede che dovrebbe essere di un tipo fondamentalmente diverso dal governo che si ritrova di fatto, è dubbio che riesca a giustificarlo adeguatamente. Un caso analogo è quello in cui un individuo desidera che la sua casa sia dipinta di bianco, e l’imbianchino, senza il suo consenso, gliela dipinge di verde. E’ difficile pensare che la volontà di dipingere la casa possa giustificare anche solo parzialmente l’azione dell’imbianchino.
L’accordo sul governo dipende sempre dal contenuto, non puo’ essere un mero formalismo. Non c’è ragione di pensare che le persone ragionevoli raggiungano un accordo sui principi di base del governo senza avere nessun accordo su quale governo o sulla teoria morale di base da adottare. Non esistono principi disincarnati, ovvero una Ragione disincarnata e puramente astratta.
Si potrebbe pensare che io stia imponendo standard eccessivamente rigidi per giustificare l’assetto sociale. Sicuramente il semplice fatto che qualcuno, anche una persona ragionevole, non sia d’accordo con una particolare pratica o un’ istituzione, non è sufficiente a dimostrare che la pratica o l’istituzione non sia giustificata. Il dissidente può semplicemente sbagliarsi (o essere un pazzo che ha senso escludere).
L’obiezione è sensata ma non puo’ porla il contrattualista. Ciò a cui ricorro è un vincolo, non sulla giustificazione delle teorie sociali in generale, ma sulla giustificazione delle teorie sociali attraverso un appello al consenso ipotetico, e questo vincolo non deriva dalle mie opinioni filosofiche ma da quelle dei contrattualisti. Sono questi teorici (Rawls, Nagel, Scanlon…) che hanno stabilito come condizione di legittimità che tutte le persone ragionevoli concordino su un determinato assetto sociale.
Entro più nel merito valutando quando un accordo ipotetico risulta credibile.
Cominciamo con un’analogia. Immagina che un datore di lavoro contatti un potenziale dipendente con un’offerta di lavoro del tutto onesta, ragionevole e attraente, tra cui retribuzione generosa, orari ragionevoli, condizioni di lavoro piacevoli e così via. Se il lavoratore fosse pienamente informato, razionale e ragionevole, accetterebbe l’offerta di lavoro. Tuttavia, tutti noi siamo d’accordo che il datore di lavoro non abbia alcun diritto a costringere il dipendente ad accettare.
Altro caso: non è permesso a un medico imporre coercitivamente una procedura medica a un paziente.
Altra analogia (più problematica): un naufragio ha costretto un certo numero di persone su un‘isola disabitata. L’isola ha una riserva limitata di selvaggina, che può essere cacciata per il cibo ma deve essere conservata per evitare l’estinzione. Supponiamo che l’unico piano ragionevole sia che i naufraghi limitino con attenzione il numero di animali uccisi ogni settimana. Nonostante questo, un passeggero si rifiuta di accettare tale limite. Sembra plausibile ritenere che gli altri passeggeri possano agire contro di lui con la forza.
Le analogie proposte non sono tutte uguali. La differenza più importante è che nel caso del contratto di lavoro c’è  il sequestro di una risorsa, il lavoro del dipendente, su cui  la vittima di coercizione vanta un chiaro diritto; mentre nel caso dell’isola c’è la protezione di una risorsa, la selvaggina, sulla quale è plausibile attribuire un diritto collettivo.
Il nostro caso sembrerebbe più affine a quello del lavoro poiché siamo di fronte ad un sequestro di risorse: lo stato rivendica una parte dei guadagni di tutte le persone, qualunque sia la fonte.
Il contrattualismo implica quindi un doppio standard, ovvero un atteggiamento morale lassista applicato al governo a fronte di atteggiamenti duri per qualsiasi altro soggetto.
Entriamo ora nel merito di un caso concreto. Rawls escogita uno scenario ipotetico, la “posizione originaria“, in cui gli individui raggiungono un accordo sui principi di base per governare la loro società. Questi individui sono ritenuti motivati ​​unicamente dall’interesse personale, ma sono stati temporaneamente privati ​​di ogni conoscenza circa le loro caratteristiche reali. Sono, diciamo così, disincarnati. Sono avvolti, questa è l’espressione scelta, da un “velo d’ignoranza”. Rawls prosegue sostenendo che le persone in questa posizione originaria avrebbero scelto due particolari principi di giustizia per governare la loro società: 1) MINMAX (la società migliore è quella in cui chi sta peggio sta meglio) 2) MAXLIB(la società migliore è quella che massimizza la libertà dei suoi componenti).
Ma come può l’ipotetico contratto  giustificare i principi di giustizia? Rawls offre la seguente osservazione: dal momento che tutti sono collocati in modo simile [nella posizione originale] e nessuno è in grado di progettare azioni per favorire la sua particolare condizione, i principi di giustizia sono il risultato di un accordo equo. I principi di giustizia dovrebbero trattare tutti i membri da pari e dovrebbero neutralizzare e compensare la fortuna.
Ma perché mai un simile accordo dovrebbe chiudersi? Perché Rawls crede che le parti nella posizione originaria potrebbero raggiungere un accordo piuttosto che continuare a dissentire, come fanno le persone nel mondo reale?
Il mondo di Rawls non è quello reale, lo abbiamo capito. Rawls presume che, una volta eliminate tutte le inclinazioni particolari e tutte le caratteristiche individuali (o la loro conoscenza), le persone ragionevoli e razionali saranno convinte dagli stessi argomenti. Nel mondo di Rawls, in fondo, siamo tutti uguali. il disaccordo, per lui, è dovuto interamente a fattori quali l’ignoranza, l’irrazionalità e i pregiudizi creati dalla conoscenza delle proprie caratteristiche individuali.
Ma quanto è plausibile la diagnosi del disaccordo operata da Rawls? Al di fuori della filosofia politica, i filosofi portano avanti dibattiti senza fine in epistemologia, etica e metafisica, alcuni dei quali hanno millenni.
Una diagnosi più plausibile di disaccordi filosofici diffusi e persistenti è che gli esseri umani sperimentino differenti intuizioni morali. Non quindi la condizione personale ma l’intuizione sottostante. Individui con differenti intuizioni filosofiche e giudizi di plausibilità raggiungeranno, comprensibilmente e razionalmente, posizioni filosofiche differenti. C’è da chiedersi se un’intuizione possa essere smaterializzata.
Consideriamo un caso concreto: il disaccordo tra anarchici e statalisti. Non c’è motivo di pensare che questo disaccordo svanirebbe dietro il velo dell’ignoranza. Non si tratta di neutralizzare dei fantomatici interessi personali. Gli anarchici non sono in disaccordo con gli statalisti hanno una peculiare posizione sociale. Qualunque cosa spieghi questo particolare disaccordo, non c’è nessuno che personalizzi i propri principi morali in base agli interessi. Qui l’ideologia è tutto.
Passiamo ora a trattare l’argomento dell’equità – un argomento spesso avanzato dai contrattualisti come Rawls – introducendolo con un’analogia: immagina che Susanna faccia un’offerta per comprare l’auto di Giovanni. Date le condizione dell’auto, le rispettive posizioni di Susanna e Giovanni, e così via, l’offerta di Susanna appare assolutamente equa. Nonostante questo Giovanni la declina. E’ possibile che Giovanni stia commettendo un torto etico?
Altra analogia: immagina che per puro caso  Giovanni scopra un diamante nel suo cortile che gli conferisce un vantaggio materiale rispetto a Susanna. Senza nessuna sua colpa, Susanna si ritrova relativamente più povera di Giovanni. Domanda: Giovanni ha l’obbligo morale di consegnare metà del suo diamante a Susanna?
Come mostrano questi esempi, il fatto che possano esistere accordi ipotetici equi, non crea in generale un obbligo di agire secondo l’accordo ipotetico.
Perché mai dunque dovremmo accettare che in certi casi si applica l’accordo ipotetico?  Rawls risponderebbe osservando che i suoi principi di giustizia erano intesi ad applicarsi SOLOalla struttura di base della società. Strana eccezione. Si tratta di una difesa molto debole. Il numero dei contraenti non puo’ mutare i principi etici di base: quel che vale per due, vale anche per tre.
Un’altra distinzione che qualcuno introduce è di natura politica: i miei esempi riguardano attori privati, mentre i principi di Rawls prescrivono l’azione dello stato. Ma in questo modo si ammette che lo status morale di alcuni soggetti è superiore a quello di altri (doppio standard).
Torniamo ora all’assunto cardine di Rawls: la difesa della sua teoria fa appello ai limiti del ragionamento sui principi morali: nel ragionamento morale, bisogna evitare di essere influenzati dall’interesse personale, dalle inclinazioni particolari o da qualsiasi altra caratteristica individuale eticamente irrilevante. Ma le conclusioni di Rawls sono immuni dal vizietto che vorrebbe aggirare? Chi ce lo garantisce? Sembrerebbe che qualsiasi teoria possa soddisfare i requisiti indicati da Rawls, e che quindi una simile teoria non aggiunga nulla alle intuizioni etiche di ciascuno di noi.
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mercoledì 15 novembre 2017

Riflessioni sui privilegi del “maschio”

Riflessioni sui privilegi del “maschio”

Trovo abbastanza contraddittorio argomentare contro le “diseguaglianze economiche” e, allo stesso tempo, sostenere che nella nostra società esiste un “privilegio maschile”.
La cosa passerebbe inosservata se molti militanti non fossero contemporaneamente schierati su entrambi i fronti. La maggior parte delle femministe che sostengono il “privilegio maschile” sono sempre state “rosse” dentro e, oggi che non si puo’ più esserlo, restano “rosa” come minimo.
Parlando di argomenti contro le diseguaglianze non mi riferisco alle ormai screditate teorie marxiste (“rosse”) bensì a quelle più vive che mai del rispettatissimo professor John Rawls (“rosa”). Con il suo leggendario tomo “Una teoria della giustizia”, il professore, ha fissato in modo rigoroso la moderata visione per una sinistra moderna e liberal.
A questo punto entriamo nel merito. Secondo il professore la società ideale è quella per cui opteremo di comune accordo se chiamati a sceglierla dietro “un velo di ignoranza”.
Mi spiego meglio, in che mondo vorreste vivere se al momento della vostra scelta non conoscete nulla della vostra identità futura?
Ebbene, immaginare un accordo tra persone che trattano in queste condizioni ci consentirebbe di immaginare la società giusta.
Ma John Rawls non si limita a dettare le condizioni per immaginare la società giusta, ha anche la presunzione di sapere quali saranno le nostre scelte concrete una volta messi in quelle condizioni. Secondo lui, noi alla fine opteremo per quella società in cui i più sfortunati vengono trattati meglio.
Sì noti che la formula di John Rawls non è ingenua come quella dei marxisti. Il fatto di concentrarsi solo sugli ultimipermette alla società di non perdere troppo in efficienza. Una società del genere è compatibile con un’economia di mercato.
Il suo argomento “neo-contrattualista” è da decenni considerato il più solido e autorevole per opporsi alle diseguaglianze sociali nel rispetto della democrazia.
Ma c’è un altro modo “vero per definizione” di individuare la società ideale, basta pensare ai privilegiati della società reale e poi immaginare una società composta esclusivamente da loro. Una società dove tutti sono “privilegiati” è una società che rasenta la perfezione.
Poiché i teorici del privilegio maschile considerano i maschi come i soggetti privilegiati della nostra società, una società composta esclusivamente da loro come sarebbe?
Ebbene, dobbiamo capire cosa caratterizza il “maschio” per giungere ad una configurazione attendibile. Ebbene, una delle differenze tra i sessi più acclarate e con le maggiori ripercussioni nel vivere sociale è quella che riguarda la varianza nelle performance: in molti casi gli uomini primeggiano ma sono anche più presenti tra coloro che occupano l’ultimo rango.
Un mondo immaginario abitato solo da maschi ( ovvero da individui “privilegiati”) sarebbe probabilmente più ricco ma anche con più diseguaglianze, con più criminali, con più suicidi, con più barboni, eccetera.
Al contrario, il mondo abitato solo da donne ( ovvero da individui “penalizzati”) avrebbe probabilmente redditi pro-capite meno elevati ma anche livelli di povertà più contenuti.
Diciamo – tanto per rappresentarci meglio la situazione – che il mondo privilegiato dei maschi assomiglierebbe agli Stati Uniti mentre quello penalizzato delle femmine alla Svezia.Gli Stati Uniti sono più ricchi della Svezia ma anche più diseguali e caotici.
Chiunque vorrebbe nascere in un mondo di privilegiati piuttosto che in un mondo di penalizzati, è ovvio. Affermare che gli uomini hanno un privilegio significa sostanzialmente affermare che gli Stati Uniti sono meglio della Svezia.
Questa  affermazione confligge in modo patente con le conclusioni del modello di John Rawls.
Infatti, è essenzialmente contraddittorio invidiare la condizione maschile, essenzialmente più soggetta ai rischi, e poi, dietro un velo d’ignoranza, optare per un mondo meno rischioso.
Personalmente, darei ancora una chance a John Rawls, per quanto questo autore non mi abbia mai convinto fino in fondo, e getterei dalla torre il concetto di “privilegio maschile”, che mi convince ancora meno.
Anche perché non faccio fatica a comprendere la genesi “perversa” di un concetto tanto problematico.
Chi frequenta il mondo delle élite tocca con mano ogni giorno quanto la presenza maschile sia sovrabbondante,ancora oggi dopo decenni di battaglie femministe. La semplice constatazione di questo fatto avulso da tutto il resto ci porta a concludere che il maschio sia un privilegiato.
Se a concepire una teoria del privilegio fosse stato invece un appartenente alle classi subalterne, una volta constatata l’assenza di donne in quei gironi infernali avrebbe probabilmente parlato di “privilegio femminile”.
Naturalmente, il mestiere di “concepire teorie” tocca agli accademici: la loro notoria frequentazione delle élite e l’altrettanto noto distacco dal mondo degli ultimi li spinge inevitabilmente a parlare solo ed esclusivamente di “privilegio maschile”.
privilegi del maschio

mercoledì 23 agosto 2017

Mai fidarsi dell’ analisi costi benefici


TELLING RIGHT FROM WRONG The Pitfalls of Democracy – The Armchair Economist (revised and updated May 2012): Economics & Everyday Life – Steven E. Landsburg
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Punti chiave: Chi giudica fa filosofia – Il democraticismo come filosofia morale e la sua impossibilità – Criteri minimali: Pareto e simmetria – Il velo d’ignoranza e i suoi problemi – La morale degli economisti: l’efficienza, ovvero fare un passo indietro –
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My dinner companion was passionate in her conviction that the rich pay less than their fair share of taxes. I didn’t understand what she meant by “fair,”
Note:IL SIGNIFICATO DI GIUSTO
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What she lacked was a moral philosophy.
Note:FILOSOFIA MORALE
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Which is better: A world where everyone earns $40,000 a year, or a world where three-fourths of the population earns $100,000 a year while the rest earn $25,000?
Note:LA DOMANDA DA FARE AI POLITICI
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One of the first rules of policy analysis is that you can never prove that a policy is desirable by listing its benefits…And if you are going to argue that a program does more good than harm, you must at least implicitly take a stand on a fundamental philosophical issue…
Note:GIUDICARE È FILOSOFEGGIARE
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any meaningful policy proposal must entail a huge number of trade-offs
Note:DILEMMI OVUNQUE
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It is easy to get carried away making long lists of pros and cons, all the while forgetting that sooner or later we must decide how many cons it takes to outweigh a particular pro.
Note:IL LATO OSCURO DELL’ANALISI COSTI BENEFICI
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During his presidency, George Bush was particularly fond of saying that it would be good to lower interest rates..Everybody also knows that lower interest rates can devastate people who are saving for their retirement….
Note:ESEMPIO: INTERESSI
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I do not yet know what justice is. But I do believe that economics illuminates the possibilities.
Note:L’ECONOMIA COME PREMESSA
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One approach to justice is the extreme democratic view that the majority should always rule.
Note:DEMOCRATICISMO
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I do not know anyone, or expect to know anyone, or want to know anyone, who believes that the majority should prevail when 51% of the populace vote
Note:ASSURDO
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A problem with majority rule is that it provides no guidance on what to do about multiple options, none of which garners a majority…Any voting procedure must include rules for what to do when there are many options….To choose randomly among these alternatives would be at best unsatisfying….
Note:PROBLEMA DELLE OPZIONI MULTIPLE
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it seems uncontroversial to require that if everybody unanimously prefers Tinker to Chance, then Chance should not be able to win
Note:PRIMO REQUISITO X DEFINIRE LA DEMOCRAZIA
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Second, the outcome of a vote ought not depend on arbitrary choices about the order in which things are carried out.
Note:SECONDO REQUISITO: NEUTRALIZZARE LA FORTUNA
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Third, a third-party candidate with no chance of winning should not be able to affect the outcome of a two-way race.
Note:TERZO REQUISITO IRRILEVANZA DEL TERZO CANDIDATO
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In the early 1950s, the economist Kenneth Arrow (subsequently a Nobel prize winner) wrote down a list of reasonable requirements for a democratic voting procedure…Arrow was able to prove—with the inexorable force of pure mathematics—that the only way to satisfy all of the requirements is to select one voter and give him all the votes….
Note:ARROW E L’IMPOSSIBILITÀ DEMOCRATICA
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a moment of pause to anybody who imagines it is possible to conduct an ideal democratic voting system.
Note:IL SISTEMA IDEALE DI VOTO
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we have absolutely no justification for the expectation that democracy leads to good outcomes.
Note:UNA RAGIONE PIÙ FONDAMENTALE PER RESPINGERE IL DEMOCRATICISMO
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It is often asserted that our system of republican government works well in this regard, because the passionate minority can organize
Note:ANTIDOTO
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Any assertion of “rights” appeals to our preferences for specific rules as opposed to the consequences of those rules.
Note:DIRITTI
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Economics offers no objection to a philosophy of rights. But consequences matter also
Note:CONSEGUENZE
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If happiness is measurable, then it is easy to list a menu of consequentialist moral philosophies
Note:FELICIOMETRO
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Pursue the greatest good for the unhappiest person.
Note:ESEMPIO DI CRITERIO NORMATIVO
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happiness can be equated with income
Note:ASSUNTO
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Maximize the sum of human happiness.
Note:ALTRO CRITERIO
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“seek the greatest good for the greatest number.”
Note:UN CRITERIO AMBIGUO DA SCARTARE
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The problem with all these criteria is that the choice among them seems entirely arbitrary.
Note:IL PROBLEMA
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we might require that whenever there is an opportunity to make everybody better off, our normative criterion ought to approve it…
Note:REQUISITO DI PARETO PER IL CRITERIO DI EQUITÀ
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our normative criterion treat everyone symmetrically
Note:REQUISITO DELLA SIMMETRIA
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Which of your reasonable requirements are you most willing to abandon?
Note:PASSO SUCCESSIVO
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we seem to have deep visceral preferences for requirements like symmetry.
Note:VISCERALITÀ
Second approach to the problem
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we must imagine ourselves behind a veil of ignorance…According to Rawls, the just society is the one we would choose to be born into if forced to choose from behind the veil….
Note:VELO D’IGNORANZA
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We know that when people can insure at fair odds against catastrophic diseases, they typically do so. It is reasonable to infer that if we could insure against being born untalented or handicapped or otherwise unlucky, we would do that as well.
Note:CATASTROFI
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Harsanyi gave an argument—just slightly too technical for reproduction here—demonstrating that under certain reasonable conditions we would be forced to agree on a sum-of-happiness formula.
Note:HARSANYI
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Should abortion be legal? My answer behind the veil might well depend on whether “aborted fetus” was one of the identities I thought I might be assigned.
Note:MA CHI STA DIETRO AL VELO?
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I suspect though that the choice of a normative criterion is ultimately a matter of taste.
Note:GUSTO
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If you took a poll of economists, you would probably find a clear preference for a normative criterion that I have not yet mentioned. The criterion goes by the deceptively calloussounding name of economic efficiency
LA MORALE DEGLI ECONOMISTI: L’EFFICIENZA