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sabato 17 novembre 2018

IL LIBERISMO E’ DI SINISTRA?

IL LIBERISMO E’ DI SINISTRA?

No. E’ di destra.

Il liberismo implica instabilità, “distruzione creatrice”, rischio.

Chi è più adatto ad accettare una condizione perennemente a rischio? Il “credente” e il “virile”, due personalità di destra.

E' il welfare state e chi lo pretende ad essere di sinistra.

Oggi il mix liberismo e welfare è la norma, il primo ingrediente è di destra, il secondo di sinistra.

lunedì 20 novembre 2017

3 La ricchezza rassicurante

La ricchezza rassicurante

Conoscevo un brillante imprenditore/innovatore che aveva trovato il modo di convertire il grano in automobili.
Sì, avete sentito bene: il grano in automobili.
Era un vero innovatore. Ma era anche un imprenditore in grado di valorizzare le sue scoperte.
A questo fine costruì la sua immensa azienda proprio sul mare mantenendo un grande riserbo circa i processi produttivi adottati, evidentemente temeva lo spionaggio industriale.
Per i consumatori fu una pacchia: le auto che uscivano da lì erano di qualità superiore ma soprattutto avevano prezzi stracciati rispetto a quelli di mercato.
Anche gli agricoltori esultavano: in passato, mai ordinativi di grano tanto massicci erano arrivati. Per loro fu un periodo di vacche grasse come mai prima.
Ad essere scontenti erano i costruttori che adottavano il metodo tradizionale: come competere contro un’innovazione tecnologica tanto spinta?
in generale, però, si era disposti a riconoscere il fatto che un progresso tecnologico del genere faceva bene alla società, la migliorava e non andava frenato. Se castighiamo chi ha una brillante idea che fine faremo?
Un giorno però le Iene riuscirono ad intervistare un operaio licenziato dalla famosa fabbrica il quale – forse perché in preda al risentimento – rivelò un segreto sconvolgente: la fabbrica era vuota. La fabbrica non era altro che un grande “buco” che dava su una banchina portuale costruita ad hoc dall’imprenditore.
L’uomo ribadì la sua versione alla Gabanelli.
Il grano entrava dai portoni della fabbrica e veniva imbarcato su navi che lo portavano a destinazione in paesi esteri che poi saldavano il loro debito con le famose automobili rivendute in patria a prezzi tanto convenienti.
Lo choc della rivelazione trasformò in breve tempo l’imprenditore da eroe civile a nemico pubblico numero uno.
***
L’apologo serve ad evidenziare come noi consideriamo l’innovazione superiore al commercio quando in realtà sono nella sostanza la stessa cosa.
Se un risultato viene ottenuto dalla ricerca applaudiamo, se lo stesso risultato viene ottenuto con il commercio storciamo il muso.
Al progresso conferiamo il Nobel, al liberismo solo colpe.
Eppure entrambi perseguono il medesimo obbiettivo: l’efficienza.
L’efficienza si puo’ raggiungere con un’idea o con uno scambio. Che differenza fa?
Quando si diventa più efficienti, gli inefficienti si lamentano, è ovvio. Meno ovvio è il fatto che noi diamo peso a queste contestazioni quando scaturiscono dallo scambio mentre non ne diamo molto quando scaturiscono dal progresso.
Vietare l’innovazione ci sembra assurdo mentre vietare l’importazione plausibile.
Forse quando la ricchezza implica diversità è sospetta, non ci va più bene. Mentre la ricchezza che viene da un’idea è più rassicurante: ci evita la convivenza con l’altro.
***
P.S. La parabola dell’imprenditore che trasformava l’acqua in vino… pardon: il grano in auto, è stata raccontata per la prima volta da James Ingram, professore presso la North Carolina University.
Risultati immagini per www.thisiscolossal.com grain

sabato 6 agosto 2016

Liberali, liberal e neo-liberisti

Si tratta di tre correnti di pensiero della modernità spesso confuse tra loro, anche a causa della denominazione ambigua. Forse vale la pena chiarire adottando un punto di vista cronologico:
1) i liberali si collocano in principio rivendicando la libertà religiosa, ma poi anche quella di espressione e i diritti individuali in generale. Vedono con favore l’associazionismo e l’autogoverno, fosse anche solo per il loro portato educativo (in questo senso i Padri Fondatori americani ne sono l’epitome). Nascono per contestare i privilegi di talune classi (nobili, proprietari terrieri, clero). Credono nelle virtù dell’ordine spontaneo dal basso in opposizione al piano socialista, hanno un approccio empirico “trial and error” che contrasta con il razionalismo dall’alto dei lumi alla francese. Mantengono una distinzione capitale tra giusto/buono e ingiusto/cattivo: una disgrazia è malvagia ma non ingiusta poiché l’ingiustizia implica un colpevole da punire che nel caso della disgrazia non c’è; l’aiuto a chi sta peggio è dovuto ma costituisce un precetto morale che si esplica nella filantropia. La loro concezione di libertà è negativa: libertà come non-interferenza. Sono essenzialmente ossessionati dalle intromissioni dello stato e l’eguaglianza che predicano è meramente formale: pari diritti (creati uguali).
2) I liberal provengono storicamente dalle file dei liberali, ma cio’ che non sopportavano, più che i privilegi di alcune classi, erano le diseguaglianze che da essi derivavano. Una volta constatato che anche la società liberale produceva diseguaglianze sostanziali non molto dissimili, si sono prontamente smarcati cercando di introdurre una serie di correttivi sociali attraverso forme di interventismo (redistribuzione del reddito e regolamentazione) in grado di rimediare ai difetti della società liberale. Procedevano spesso pragmaticamente valutando caso per caso e ponendo qua e là pezze di circostanza. Lo stato per loro è lo strumento essenziale col quale realizzare il progetto egalitario (che chiamano di pari opportunità per distinguersi dai socialisti). La concezione della libertà che sostengono è eminentemente positiva: un uomo è libero quando puo’ fare certe cose, e lo stato ha lo scopo di spianargli la strada quando non ce la fa da solo (“rimuovere gli ostacoli” dice la nostra Costituzione): se si decide che libertà è poter mangiare lo stato deve garantire cibo a tutti, se si decide che libertà è poter volare lo stato deve fornire ali a tutti.
3) I neo-liberisti nascono allorché la società liberal palesa delle chiare inefficienze (alta spesa pubblica, alta tassazione, burocrazia invasiva). I neo-liberisti chiedono meno regole e meno tasse a chi investe (i ricchi) ma, diversamente dai liberali classici, accolgono il principio di una rete di sicurezza purché sia uguale per tutti (tipo reddito minimo di cittadinanza). A volte questa rete è molto elevata, il che implica un’alta tassazione. Tanto per capirsi, un paese neo-liberista potrebbe essere la Danimarca: poche regole, privatizzazione diffusa dei servizi, economia estremamente aperta ma una rete di garanzie elevate per chi cade, il che implica tasse elevate (anche se non penalizzanti per i ricchi o le imprese: la progressività è inferiore anche rispetto agli USA e il carico fiscale per le imprese è minimo). Il neo-liberista è un razionalista e vede lo stato come uno strumento per realizzare il piano di una società improntata al mercato (ovvero all’efficienza economica), anche per questo l’eccessivo frazionamento dell’autorità politica (federalismo, associazionismo e corpi sociali intermedi) non è incoraggiato, il che lo espone all’accusa di “atomismo”.
lib

martedì 5 febbraio 2013

Il liberismo yankee come patrimonio dell’ umanità

[attenzione: post con link!]
Il cuore tenero dei “sinceri democratici” di tutto il mondo avanzato è in tumulto, una preoccupazione non da poco lo tormenta: l’ asperrima diseguaglianza sociale che regna nella superpotenza americana.
Il fenomeno diventa di giorno in giorno più sgradevole e la risonanza internazionale di un movimento come Occupy Wall Street sta lì a testimoniarlo.
LIBERISMO
Certo che a ben vedere si tratta di un allarmismo non sempre facile da spiegare: la povertà negli USA è meno diffusa e meno severa rispetto a quella che riscontriamo in molti altri paesi del mondo. Le diseguaglianze sono certamente elevate per un paese ricco ma non possono essere definite “estreme” se si prende a riferimento lo standard internazionale.
Sfortunatamente, le  preoccupazioni “progressiste” promuovono poi politiche che, pur volte in buona fede (?) a ridurre la povertà in USA, rischiano di aumentarla nel resto del mondo.
Il fenomeno per cui ridurre il numero dei poveri incrementerebbe la povertà globale getta il neofita nello sconcerto pur essendo noto da tempo agli studiosi. Vediamo allora meglio il meccanismo sottostante che favorisce un effetto tanto perverso.
Gli USA sono sempre stati uno dei paesi più innovativi del pianeta, da sempre esportano tecnologia ovunque. Cio’ è dovuto, almeno in parte, alla cultura della competizione sfrenata e al sistema economico liberista che regna laggiù. Il welfare striminzito consente una bassa tassazione e la bassa tassazione assicura che i benefici per chi lavoro sodo, prende rischi e intraprende, siano maggiori che altrove. La deregolamentazione dell’ economia, inoltre, garantisce l’ assenza di rendite di posizione per chi si afferma. Insomma, non è consentito riposarsi sugli allori; qualsiasi persona di talento puo’, se è in grado di farlo, partire con la sua impresa e ribaltare lo status quo.
Ora, non voglio dare giudizi su quale sia la politica migliore, ognuno faccia come crede, voglio solo formulare ipotesi che trovo sensate, per esempio questa: puo’ darsi che addolcire le spigolosità di una società competitiva migliori il benessere di un certo numero di americani ma rende senz’ altro più costoso sperimentare in vari campi vari: dalla scienza al business, dalle arti alla robotica…
La sperimentazione e le innovazioni che ne conseguono generano enormi e durature “esternalità positive” poiché possono poi essere copiate ovunque a basso costo e arricchire così la vita di molti uomini sparsi sull’ intero pianeta. Ci sono e ci saranno sempre tentativi di contenere l’ effetto positivo delle innovazioni in modo da compensare più adeguatamente l’ innovatore, ma si tratta di tentativi falliti e destinati perlopiù a fallire anche in futuro: non esiste un diritto o una tecnologia per trattenere e rivendere la gran parte della ricchezza e delle opportunità prodotte. Cio’ significa che da sempre l’ innovatore è anche benefattore netto per l’ umanità.
LIBERISS
Tanto per tenere alta l’ attenzione, veniamo alla cronaca spicciola. In questo periodo si parla molto di crescita e in Italia non manca mai chi nei dibattiti alla TV si riempie la bocca con espressioni del tipo “bisogna far ripartire i consumi”, oppure “ci vuole una politica industriale adeguata”. Ma lo vogliamo capire o no che la “crescita” dipende solo dal grado di innovazione? O, in alternativa, dall’ imitazione parassitaria dell’ innovazione altrui. Proprio Domenica lo spiegavano bene sul Corriere due economisti:
… nel dopoguerra la politica industriale governativa fu un elemento sostanziale della nostra rinascita economica, tanto è vero che l’ IRI fu presa ad esempio da altri paesi come il Giappone che creò il MITI (ministero del commercio e dell’ industria)… ma si trattava di tempi molto diversi. Italia e Giappone erano all’ inizio della loro esperienza industriale, non era necessario inventare cose nuove, bastava importare tecnologia dagli Stati Uniti e riprodurla, possibilmente facendo meglio di chi l’ aveva inventata. Fu così per l’ acciaio: l’ impianto siderurgico di Taranto fu copiato dalle acciaierie texane di Houston e suscitò l’ ammirazione degli americani stessi… oggi crescere per imitazione non è più possibile perché siamo troppo vicini alla “frontiera tecnologica”… oggi si cresce innovando e non imitando, in questo contesto la mitica “politica industriale” serve a poco… come puo’ un funzionario di stato capire quali settori avranno successo? Vi immaginate quattro alti papaveri dell’ IRI che in un garage s’ inventano Apple? O un azzimato impiegato del Ministero che chiede udienza al suo capo per illustrargli il “progetto facebook”?…
La competizione all’ ultimo sangue e il liberismo selvaggio danneggeranno giusto qualche americano (200.000? 300.000?) ma le ricadute positive beneficiano più o meno direttamente milioni di persone in tutto il mondo, anche perché i benefici di un’ innovazione non si esauriscono alla produzione ma si accumulano riversandosi generosamente sulle generazioni future.
Purtroppo, una sempre maggiore fetta della spesa governativa americana viene oggi destinata alla redistribuzione verso i bisognosi, alla sanità, alla protezione sociale, alle pensioni, eccetera. L’ ingrigito Obama è  la classica figura impiegatizia che incarna bene il crescente trend verso la spesa parassitaria. Questa spesa non investe sul futuro e non genera benefici a cui possa poi accedere il mondo intero. Si limita a premiare una ristretta cerchia di americani, e poiché si tratta di benefici che devono essere finanziati dalle tasse di altri americani, tutto cio’ si traduce in disincentivi al lavoro, all’ investimento e all’ innovazione.
E quando saremo tutti “parassiti” che succederà? A chi succhieremo il sangue? Da chi ci faremo “trainare”? La decrescita felice sarà a quel punto una necessità più che una scelta.
Morale, chiunque fosse interessato a combattere le diseguaglianze globali senza pensare che un manipolo di americani debba essere posto su un piano superiore rispetto a milioni di persone che hanno il solo torto di vivere fuori da quei confini, dovrebbe riflettere prima di augurarsi che gli USA s’ incamminino sul serio verso un modello di stampo europeo. Un’ economia di tipo “estrattivo” porterebbe con sé quella sclerotizzazione in cui il vecchio continente è incagliato da anni. Se cio’ accadesse, forse non sarebbe lecito parlare di “catastrofe americana” - su questo punto, sia chiaro, sospendo il giudizio - di sicuro sarebbe una catastrofe di portata globale.
Qualche anno fa si parlava di “locomotiva americana”, mi chiedo dove possa mai arrivare un treno (un mondo) fatto solo di vagoni. In questo senso gli “spietati conservatori” del Tea Party sono molto più compassionevoli degli illuminati progressisti di Occupy Wall Street. E sempre guardando le cose da quest’ ottica, spero che l’ UNESCO si decida quanto prima a dichiarare il laissez-faire-cut-throat a stelle e strisce Patrimonio dell’ Umanità intera.
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P.S. Una trattazione scientifica di questi temi si trova qui.

mercoledì 16 maggio 2012

Se ce l’ abbiamo nel melone

Getto la spugna, lo faccio da inguaribile ottimista, rinuncio a ogni apologia liberista e mi ritiro alla chetichella: è tempo perso.
Cosa occorre in fondo per essere impermeabili al vangelo “mercatista”?
Molto poco: basta essere spontanei, sensibili ed empatici verso il prossimo.
In altri termini, basta essere “uomini” fatti e finiti, e della pasta migliore, stando al comune buon senso.
Il nostro cervello ci rende antiliberisti, siamo costruiti per scendere in piazza, “occupare wall street” e combattere l’ anarchia del “mercato selvaggio”; questo ci dice chi studia i nessi tra psicologia e ideologia: siamo degli “statalisti naturali”, non si scampa, ce l’ abbiamo nel melone.
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Qualsiasi brufolosa manifestazione studentesca offre uno spettacolo ripugnante, almeno ai miei occhi, ma come non riconoscerne una certa spontraneità? Il liberismo appare sempre più come un’ ideologia “vietata ai minori”. E’ impensabile sotto una certa età, è inconcepibile da tenere menti al riparo da ogni artificiosa sofisticazione
Io stesso, che mi ritengo un “militante” pro-market, faccio fatica a riconvertirmi ogni giorno: messo di fronte alla prima pagina di un giornale il primo istinto mi fa sbandare verso ricette antiliberali. Per tornare sulla strada maestra ho bisogno di concentrazione, di fare mente locale e ricalibrare il pensiero… una faticaccia.
In genere per tutti noi il “bene” non puo’ essere casuale, riteniamo scandaloso che possa emergere senza “intenzioni” specifiche, non riusciamo proprio a pensarlo come tale: se un bene si realizza, da qualche parte un Uomo della Provvidenza è in azione; così come se un Male ci affligge, dietro le quinte sta operando un Cattivone, e se proprio non è immediatamente visibile ripieghiamo volentieri sulle sempre disponibili tesi complottiste.
Da un lato converrebbe rimeditare una versione aggiornata di un concetto profondo come quello di “Abbandono alla Provvidenza”, dall’ altro i meccanismi cognitivi che ci spingono nelle braccia di Dio sono in fondo gli stessi che sviluppano la fiducia nel Big Government, da qui i nostri guai.
Spremendoci, possiamo al limite immaginare le strade che portano all’ inferno come lastricate da cattive intenzioni, ma difficilmente siamo in grado di immaginare le strade che portano al paradiso come non lastricate da alcuna intenzione.
Siamo fatti così: dopo aver pensato al Grande Problema cerchiamo la Grande Soluzione, e, una volta escogitata, sentiamo di poterci concedere un giusto riposo, il nostro lavoro intellettuale è felicemente concluso: le istruzioni ci sono, basterà demandare la loro esecuzione a un soggetto sufficientemente potente, meglio se Onnipotente. Un Governo purchessia fa proprio il caso nostro.
Rubano? Mettiamoli in galera. Ingrassano? Mettiamoli a dieta. Speculano? Regoliamoli. Evadono? Sanzioniamoli. Si arricchiscono? Tassiamoli. Scandalizzano? Censuriamoli.
Semplice no? Scendiamo dunque in piazza per urlare le nostre Soluzioni a cui solo il Maligno puo’ opporsi.
Trincerati nel baretto sforniamo Soluzioni a raffica tutto il santo giorno, basta dare per scontata la presenza di un Governo a cui passare i nostri suggerimenti, ci penserà lui. E se il governo reale tentenna, basterà potenziarlo affinché non accampi più scuse.
L’ ideologia antimarket è coriacea, non sembra nemmeno sensibile agli interessi materiali: se vinciamo alla lotteria il nostro voto politico non cambia!
Siamo dunque di fronte a una preferenza pura che dipende per lo più dal carattere: sulle modalità di questa dipendenza, poi, possiamo sbizzarrirci; esempio:
… critics of the free market are more neurotic… than proponents…
People high in Stability realize that, objectively speaking, life in First World countries is good and getting better all the time.
As long as government leaves well enough alone, our problems will take care of themselves…
People low in Stability, on the other hand, habitually blow minor problems out of proportion.
Even when they live in First World countries, they manage to convince themselves that the sky is falling.
Their typically neurotic response… is to beg for Big Brother to save them from their largely imaginary problems.
When government solutions don't work out, they misinterpret it as further proof that life is hopeless - not that their "solutions" were ill-conceived.
I liberali affannosamente hanno messo a punto una miriade di teorie per spiegare la crescente invadenza dello Stato nel corso del secolo passato: dalla diffusione di ideologie socialisteggianti, alle dinamiche parassitarie della burocrazia, si è tirato in ballo di tutto, ma poiché nessuna regge è tempo allora di accettare la spiacevole e cruda verità: se lo Stato cresce è perché lo vogliamo noi, il nostro cervello, la nostra psicologia, ne ha bisogno per pensare con meno sforzo.
… Democratic government cannot grow large, and stay large, against the express wishes of a substantial majority of the population…
Poi ci sono gli “ottimisti”, che, numeri alla mano, cercano di consolarsi: “ dopo tutto i pro-market sono tipi più intelligenti e istruiti, il futuro è loro”.
Macché: sebbene sia vero che istruzione e quoziente intellettivo tendano a crescere nella popolazione portandola su medie oggi riservate all’ élite liberista, è anche vero che lo sviluppo tecnologico avanza di pari passo.
Ma che c’ entra lo sviluppo tecnologico adesso?
C’ entra eccome! Lo sviluppo tecnologico è decisivo: solo la mancanza di mezzi in grado di conferire potenza allo Stato ci fa dubitare per un attimo del suo ruolo salvifico:
… perform a very simple thought experiment… Assume that we had no cars, no trucks, no planes, no telephones, no TV or radio, and no rail network.
Of course we would al be much poorer. But how large could government be? Government might take on more characteristics of a petty tyrant, but we would not expect to find the modern administrative state, commanding forty to fifty percent of gross domestic product in the developed nations, and reaching into the lives of every individual daily.
Think also about the timing of these innovations. The lag between technology and governmental growth is not a very long one…
Avere robuste cinghie per legare il paziente al tavolaccio è la premessa per operarlo. Avere un ferreo controllo sulla società è decisivo per “pianificarla” secondo le teorie elaborate al bar o nei centri studi: noi abbiamo continuamente delle idee e vogliamo “più Stato” affinché esista una Potenza che le realizzi; non appena i mezzi lo consentono, ce lo prendiamo.
Lo sviluppo tecnologico foraggia la tentazione "centralista" imponendo così una melanconica conclusione: il mercato genera innovazione e l’ innovazione genera statalismo. Non vedo vie d’ uscita: getto la spugna e mi defilo alla chetichella.
Alan Gerber et al: Personality Traits and the Dimensions of Political Ideology
Tyler Cowen: Does Technology Drive the Growth of Government?

venerdì 23 dicembre 2011

Il ritorno della vongola

Benedetto Croce Luigi Einaudi: Liberalismo e liberismo
Di cosa parliamo quando parliamo di liberismo?
PREMESSA: cominciamo subito col dire che la parola è intraducibile, non esiste nemmeno in altre lingue, è una nostra prerogativa e risale alla diatriba documentata in questo libro.
Ma non utilizzerei nemmeno il termine di diatriba visto l’ atteggiamento deferente di Einaudi, sempre chino nell’ atto di baciar l’ anello a don Benedetto. Il quale gli porge incurante la mano protendendo il mignolo dall’ unghia lunghissima e senza mai interrompere il dotto excursus storico che lo rapisce.
CROCE: il concetto di libertà appartiene alla sfera morale dell’ essere, qualcosa che non tollera la contaminazione con le specificazioni (liberiste). La libertà è in fondo un’ inclinazione dello Spirito (una Religione) che si attua nella storia in una sequela di forme sempre cangianti, è da frigidi fermarla in una definizione.
Detto questo il filosofo tornò più volte scocciato sull’ argomento al fine, disse, di ripulire dal gergo filosofico e ribadire le argomentazioni per renderle accessibili a chiunque. Un simile rovello fa sospettare che il Maestro intuisse da solo la presenza di sabbia negli ingranaggi della macchina che andava costruendo.
EINAUDI: come puo’ esistere la libertà senza il liberismo? Come puo’ esistere la libertà d’ espressione se mi è impedito possedere un locale nel quale invitare un pubblico a cui rivolgermi? La libertà senza liberismo è una libertà senza volto.
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Il concetto di Einaudi è una variazione sullo spartito di Hayek: chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini, se i miei fini sono stabiliti da altri (Stato) posso davvero dirmi libero?
Responsabilità e Merito, poi, sono i fili che allacciano Utile (liberismo) e Morale (libertà).
Croce, per contro, si appella alla coscienza morale: mi pongo ogni giorno davanti alla realtà (sociale) e sgombro da pregiudizi giudico se è confacente all’ uomo libero. Tutto lo Spirito dell’ umanità si raduna in me giudice, e il verdetto ha qualcosa di unanime, di indipendente dalla mia persona.
Un criterio sublime, ma poco pratico. Soprattutto poco disposto a tener conto di sensibilità diverse che lo farebbero saltare in aria.
Oggi la via più modesta intrapresa dall’ economista piemontese è accettata dalla generalità degli studiosi, la Storia ha favorito l’ intelligibilità rispetto alle vette della coscienza tanto care allo Storico dell’ Europa.
Ricordo che da Croce venne anche la famosa sentenza per cui “la scienza non pensa”, essa ci elargisce solo pseudo-concetti, cosicché molti fanno risalire la scarsa cultura scientifica degli italiani all’ influenza nefasta quanto ipertrofica che ebbe l’ idealismo del filosofo napoletano.
Se ricordo che i migliori scienziati italiani sono usciti dalla scuola gentilian-crociana, mi viene da pensare che i nemici della scienza siano ben altri.
Meno azzardato far risalire a lui la genealogia del “liberale alle vongole” a cui pensava Longanesi, ovvero il “liberale” che ha talmente in disprezzo la pratica da opporsi di fatto a tutte le politiche liberali.

martedì 20 settembre 2011

Il liberismo promuove il benessere della donna?

Mi sa proprio di sì 

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Bè, però… guarda che correlazione non è causazione… guarda che senza democrazia… guarda che mischi le cose…

A sì?

This empirical analysis seeks to determine which institutional arrangement, capitalism or democracy, tends to be more effective at improving women's well-being and promoting gender equality in society. Country-specific indexes measuring the degree of economic freedoms that exist within the market and the degree of political rights that exist within a democracy are used in a panel data analysis to explain the observed levels of various quality of life measures reflecting issues that are relevant to women. These empirical results indicate that capitalism often has a stronger beneficial impact on many aspects of women's well-being and gender equality in society

sabato 26 febbraio 2011

Un liberista con le ali

1. Cosa significa se un piccolo Paese fa man bassa di medaglie d' oro alle Olimpiadi?

2. Siamo sicuri di voler vedere sgominate le principali malattie che affliggono il pianeta?

Rispondere a queste due domande è un buon inizio per capire come ci collochiamo nelle questioni legate al "commercio internazionale".

La mentalità protezionista, infatti, risponderà così:

1P: Significa che gli abitanti di quel paese sono particolarmente dotati dal punto di vista atletico.

2P: No, sarebbe un dramma per i medici!

Il liberista, per contro, si orienterà così:

1L: Significa che quel paese non offre grandi opportunità ai suoi cittadini: Germania est e Cuba mietevano successi sproporzionati anche perchè nelle strade di quei paesi la gente moriva di fame. Gli USA, se solo volessero, vincerebbero tutte le medaglie olimpiche senza grande sforzo.

2L: Sì, i medici cambieranno lavoro.

Il ragionamento che sta dietro alle risposte serve ad illuminare il concetto di "vantaggio comparato". Quel concetto per cui molte donne che rendono sul lavoro molto più dei loro mariti, in virtù di una scelta perfettamente razionale, preferiscono stare a casa e mandare al lavoro il consorte.

Non è un concetto semplice ma è essenziale per comprendere cosa sia il "liberismo".

Già, visto che Davide mi accusava in continuazione (e secondo me fuori luogo) di essere "liberista", mi sono deciso a leggere una favola "liberista": "The Choice" di Russel Roberts. E' da lì che traggo le due domande di partenza.

Conoscete il film di frank Capra: "Il mondo è una cosa meravigliosa"? Ebbene, il canovaccio è il medesimo.

Ed Johnson fabbrica televisori con il sudore della fronte grazie alla sua azienda fiorente, ce ne son voluti di sacrifici ma ora le cose sembrano procedere per il meglio; quando ecco che arrivano i giapponesi (siamo negli anni 80) che invadono il mercato americano con la loro merce più o meno scadente. Ed non sa a che santo votarsi e chiede l' aiuto al suo amico politico per una leggina che freni l' intraprendenza dei musi gialli.

Senonchè, lassù in Paradiso c' è un candidato angelo che deve guadagnasi le ali.

Nome: David Ricardo; missione: convincere Ed che sta sbagliando.

Tra amori, litigi, drammi famigliari e quant' altro, il buon "Dave" riuscirà nell' impresa.

Lui avrà le sue ali e noi tutti, Ed compreso, saremo dei convinti liberisti.

mercoledì 1 settembre 2010