Visualizzazione post con etichetta francescanesimo monasteri capitalismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta francescanesimo monasteri capitalismo. Mostra tutti i post

giovedì 1 giugno 2017

Capitalismo francescano

Ricchezza francescana di Giacomo Todeschini
Tesi: la concezione della povertà obbliga i francescani ad un approfondimento che condurrà l’Ordine a molte sorprendenti scoperte nell’ambito dell’economia.
Cos’è la vera povertà?
Per rispondere a questa domanda i francescani giunsero per primi a mettere a fuoco le nozioni della moderna economia.
Esempio: la rinuncia.
Quanto ci costa una rinuncia?
Per rispondere a questa domanda i francescani giunsero per primi al concetto di “costo opportunità”, ovvero all’architrave della microeconomia moderna.
Se rinuncio a qualcosa che potrei avere solo rinunciando a beni dal valore simile, allora rinunciare costa poco.
Altra domanda gravida di conseguenze: come si può diventare poveri se poveri lo si è già?
Nel rispondere a questa domanda i francescani giunsero per primi ad una concezione radicalmente soggettivista dell’economia, una concezione tipica della modernità.
Povertà nei consumi, suprema virtù civica. Il concetto fu dei  francescani prima ancora che dei calvinisti, e prefigura una tassazione orientata sui consumi (flat tax).
Cristo: un povero creativo che moltiplicava i beni. La figura dell’imprenditore è sullo sfondo.
Il modello di povertà proposto dai francescani: la povertà volontaria.
Il modello di povertà proposto: il povero mobile, il povero migrante. Il povero come cercatore attivo e cosmopolita, il povero che cerca il contatto con il ricco.
La grande creazione (dal nulla) dei poveri volontari: il monastero. Il monastero è una vera e propria corporation autosufficiente dove la logica manageriale ha spesso il sopravvento.
Pietro di Blois incita al disprezzo dei “poveri passivi” (poveri non meritevoli).
Il povero meritevole: consuma poco e produce molto.
L’ accusa agli ebrei tesaurizzatori: investire e intraprendere… ecco la via.
Per Agostino il ricco che non si fida della sua ricchezza è povero. Ci si arricchisce solo percorrendo la giusta via. In queste considerazioni viene prefigurata una concezione procedurale della giustizia. Bisogna essere orgogliosi della propria ricchezza se viene intrapresa nel rispetto delle regole.
Bernardo (cistercensi) vs Cluny. La grande polemica su lusso e bellezza. Per Cluny il lusso moltiplica i fedeli.
Ma anche il contributo di Bernardo è importante. Il suo pauperismo valorizza in realtà un ideale ascetico e operoso: ha valore ciò che può produrre e generare ricchezza. La produzione prevale sullo stock.
Nel monastero si scopre che l’organizzazione puo’ generare ricchezza moltiplicando quella che viene dai singoli.
***
Chi fu Francesco prima della “conversione”? Un felice mercante e un prudente negoziatore.
La ricchezza va fatta funzionare. Ripudio della ricchezza immobilizzata. Questi concetti sono una costante nel pensiero francescano.
La povertà dei francescani è spesso una ricchezza investita.
Contro la proprietà non la proprietà comune ma… uso, affitto, locazione,  noleggi.
La proprietà non è osteggiata in sé ma in quanto immobilizza le ricchezze.
Il mondo della cultura alta s’ interessa a Francesco e al suo concetto di povertà. Per Francesco la povertà è un bene sociale che ha lo scopo di far circolare le ricchezze in modo da renderle più produttive. La povertà come motore economico: nasce un dibattito su come inquadrare questo concetto da un punto di vista teologico.
Paradosso francescano: è l’ interdizione a maneggiare denaro che spinge ad approfondire i meccanismi della finanza. in fondo anche noi oggi – in un mondo dove la finanza predomina – noi possiamo permetterci un contatto rarefatto con il contante.
La vita in assenza di proprietà spinge verso una “uberizzazione” dei servizi. Lo spreco è minimizzato.
Il lusso è sdoganato in quanto simbolo del potere e della sacralità di Cristo Re.
Il francescano Monaldo difendeva l’usura contro la condanna tomistica. Il prestito, infatti, è essenziale per chi non puo’ avere proprietà, ovvero i francescani.
Una figura simbolica del francescanesimo: Pietro di Giovanni Olivi: pauperista estremo ed economista moderno. Sue le migliori riflessioni sul prezzo di mercato come prezzo giusto.
In Olivi c’è già la confutazione di Marx: nel prezzo confluiscono desideri e disponibilità dei beni. Nella corretta formazione del prezzo hanno un ruolo sia la domanda che l’offerta.
Domande interessanti: che valore produce un mercante? e un Papa? Come si valutano le persone. Come si usa la reputazione e la stima sociale? Prefigurata la distinzione tra beni pubblici e privati.
Olivi sottolinea la soggettività dei valori economici. E’ la rinuncia ad un bene che libera un dolore soggettivo. Il dolore è soggettivo poiché ognuno di noi si trova in un diverso contesto che liberà differenti “costi opportunità” (vedi sopra). Anche per questo ogni povertà è relativa.
Olivi: scambio come lievito sociale. La Chiesa, per Olivi, è autorizzata a commerciare le sue ricchezze.
In Olivi la prima chiara perorazione del mercato: per Olivi in convento il valore della rinuncia è fissato dalla regola e dagli esperti, nel mondo laico è fissata dal mercato in quanto interazione ideale tra desideri (domanda) e le disponibilità (offerta).
Olivi, il primo a sbrogliare in modo brillante il paradosso dell’acqua e dei diamanti!
Il profitto mercantile per Olivi: giustificato dal ruolo sociale dei prezzi. I prezzi sono una bussola che ci orienta nella giungla dei valori, se il mercato non ci fosse varrebbe la pena di inventarlo anche solo per possedere questa bussola.
Per Olivi la povertà dei frati che si liberano di tutto ha un equivalente nei mercanti che vendono tutto e reinvestono altrove muovendo così le ricchezze in modo produttivo.
Una diatriba dell’epoca: proprietari terrieri contro mercanti, chi tassare di più? Per Olivi la dinamicità del denaro è vincente, il mercante va privilegiato.
Altro problema: il mercante prestava al governo che diventava così in qualche modo vulnerabile in quanto debitore. Questi prestiti erano da considerarsi leciti? La risposta affermativa sdoganò il debito pubblico.
La legittimità dell’ usura dipende per Olivi dai soggetti coinvolti: chi presta? Un mercante abituale con reputazione solida? Allora è legittimato a percepire degli interessi per il capitale che non investe altrove. Diverso è il caso dello speculatore che fa soldi con i soldi. Questa demarcazione però, come vedremo dopo, sarà foriera di gravi conseguenze.
Qual è lo scopo delle corporazioni e delle confraternite da un punto di vista economico? Quello di costruire la fiducia in assenza di un garante forte come lo stato.
La condanna degli ebrei e della loro finanza: usurai (nel senso di speculatori) e anche outsider (nel senso che non costruiscono la fiducia sociale necessaria al mercato).
La condanna della speculazione genera la condanna dell’ebreo.