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martedì 9 novembre 2010

Lo scricchiolio

Non ci sono più i narratori dell' Ottocento, abbiamo perduto per sempre quella verbosa genia.

Nessuno sa più proprzionare con tanta dovizia la "lentezza" del reale, per farlo occorre troppa dedizione al mondo vero, una risorsa irreperibile per chi è assalito dalla distrazione continua procurata da mille mondi virtuali che ci seducono. Non esiste pazienza che una simile mole di tentazioni non sappia annientare.

Ho chiuso da pochi giorni un libro eccellente: "L' Assemoire", capolavoro di Emile Zola.

Dopo due pagine già capisci dove andrà a parare la trecentesima pagina, eppure la prevedibilità non nuoce affatto alla narrazione.

Nel romanzo si racconta la "caduta" di una donna, Gervasia. Povera Gervasia, per un attimo aveva sperato di farcela, poi l' abbiamo vista smarrita, poi l' abbiamo vista barcollare fino allo schianto finale.

Avete presente cosa significa tracciare una parabola prevedibile per trecento pagine senza cali di tensione, portandosi dietro una nutrita schiera di lettori vogliosi d' emozioni reperiti un po' ovunque in secoli differenti?

I tracolli si somigliano tutti, ma l' arte di registrare sapientemente ogni scricchiolio, l' arte di illustrare quei piccoli moti dell' animo che crediamo innocui e che invece occultano crepe strutturali, sono doti che pochi possiedono.

Un solo giorno puo' annoverarne centinaia di questi minuscoli eventi, vera passione del lettore pettegolo che dal suo angolo riparato pregusta la disfatta.

Per isolarli e farli assaporare con arte, bisogna procedere a rilento scarnificando il reale con pazienza infinita: questo sì, questo no. Bisogna distribuire armoniosamente gli eventi in modo da palleggiare l' attenzione del lettore senza mai farle toccare terra.

Ma il tutto va fatto mantendo una sicronia con il reale: la lentezza di cui parlo non ha nulla a che fare con il fermo immagine dei cartoni giapponesi, e neanche con il gesto infinito degli eroi epici di Omero. Nella grande narrazione ottocentesca il mondo procede, non si arresta mai, non ha intercapedini in cui è lecito inserire riflessioni anonime e perle di saggezza. La giostra gira con la circospezione regolare di un pianeta immenso. Solo un narratore puro puo' essere addetto all' ingranaggio.

L' arte del narrare è l' arte di attraversare il reale governando la velocità di crociera. Ha poco a che fare con la comprensione del reale medesimo. Se non pensassi in questi termini forse avrei evitato di accostarmi a Zola, quale autore se non lui guarda al mondo con occhi tanto diversi dai miei? E' un naturalista: per lui Gervasia è un essere "programmato" dal suo ambiente, la sua "caduta" un evento ineludibile.

Ci si sforza affinchè non ci sia dramma in queste vicende, bensì pura cronaca esemplare. Assurdo, quel che Zola chiama "pura coronaca" suona in realtà come un pudore verso le sorti disgraziate, qualcosa che finisce per amplificare i drammi che incontra anzichè prosciugarli riducendoli a resoconto.

Un romanzo talmente "vero" che ha superato brillantemente il "giggle test" piacendo ad un lettore animalesco come mia mamma. Un romanzo talmente toccante che Sara, dopo le prime pagine, lo ha abbandonato: troppo forte per tenerla al riparo da turbamenti molesti.