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giovedì 7 agosto 2014

Il lettore nel nuovo millennio

Mi riallaccio a un commento molto pregnante postato da F. Pecoraro sulla discussione che è avvenuta sul tuo profilo FB. Anch’io - che comunque sono sempre stata lettrice forte di narrativa e saggistica, e quindi se ho capito bene non faccio testo - leggo forse anche più di prima, ma ho sempre il tablet accesso, sono sempre sui social, zompo dall’ebook alla rete con una velocità che fa impressione anche a me, ho almeno tre libri di carta iniziati e li leggo a spizzichi fra una chiaccherata su FB e tre post sui vari, moltissimi blog che seguo, un paio di condivisioni, un video su youtube. È un tipo di lettura diversa, e non me la sento di affermare che sia meno concentrata o di valore inferiore rispetto a quella “novecentesca” a cui mi dedicavo fino a dieci anni fa. I tomi di sette, ottocento pagine non riesco più a leggerli, non importa quanto li trovi interessanti, intriganti, importanti, addirittura imprescindibili. Quelli che non ho letto nell’era precedente a questa so che ormai non li leggeró più - a meno che non mi servano per lavoro - e mi sono già messa il cuore in pace. Quello che mi stupisce è che ci siano ancora scrittori che ne partoriscono di volumi così e in tutta franchezza temo che siano delle ciofeche oppure dei cliff hanger, libri strutturati apposta per tenerti col fiato sospeso e farti arrivare alla fine. Ecco, di libri così non ho mai sentito il bisogno: ho letto con molta soddisfazione Finnegan’s Wake ormai due decenni orsono, che è tutt’altro che un cliff hanger - si vede che all’epoca ce la facevo. Ora mi sarebbe impossibile, e non perché sono invecchiata o cecata io, ma perché questa nuova pratica di lettura, interconnessa, frammentaria, transmediale, personalmente mi piace, mi diverte, mi soddisfa molto di più.


Mi ritrovo nel post di claudia (22.7 10.36). Il mio percorso di lettore è ben descritto nel suo resoconto, del quale sottoscrivo ogni parola. Con un’ aggiunta, ovvero un mutamento nelle preferenze personali. Noto infatti una decisa transizione dalla letteratura alla saggistica. Chissà che anche questa variante non sia imputabile a quella strumentazione tecnologica che tanto ha contribuito a frammentare la lettura. In fondo è la stessa strumentazione che agevola il contatto e la discussione con terzi, magari terzi sconosciuti: ed è molto più facile dilungarsi a discutere la tesi contenuta in un saggio che non l’ evocazione esalata da un verso.

Speriamo solo che questo mutamento nella mia “domanda” di lettore non sia condiviso dalla maggioranza, così da riorientare l’ offerta. Non sia mai. Molti scrittori, già oggi, non vedono l’ ora di riconvertirsi degradando le loro qualità per farsi “decifratori del reale”. Scrivono romanzi sognando di scrivere saggi. Li vedo ansiosi di rimpiazzare le affidabili quanto noiose metodologie quantitative con qualcosa che sia alla loro portata, qualcosa di “romanzesco”. Magari qualche bolsa allegoria con cui appesantire i loro testi. Temo il rischio si affievolisca quell’ intimità di relazione con le cose descritte che, se da un lato rappresenta un’ epistemologia decisamente scadente, dall’ altro è essenziale per avere un prodotto artistico. Già oggi, troppo spesso, l’ artista intervistato intona il suo “resistere, resistere, resistere!” fuori luogo. Questo uomo di mondo, una volta sul proscenio, resiste a tutto, anche a parlare del suo libro. A tutto, tranne che ad esecrare un qualche disegno di legge in itinere.

Amazon vs Hachette

Certo che se Amazon fa propaganda la fa bene, l’ altro giorno ho comprato un e-book del 1998 a 15 euro e ancora fremo di rabbia, guardacaso proprio per i motivi elencati nel link! Ecco, uno è già un po’ incazzato per certi prezzi, e poi si sente anche dire che a pretenderli così alti sono gli editori, i quali attaccano Amazon perché non vorrebbe mai superare una certa soglia…. beh, come minimo non sono nelle condizioni psicologiche adatte per “lottare contro il monopolio”, ho piuttosto la netta sensazione che un salsicciotto caldo (non vagamente promesso ma già servito in tavola) mi sia stato sfilato dal piatto.
“Ma se poi il libro l’ hai comprato allora gli editori in fondo avevano ragione…”. Nel mio caso sì ma in generale sembrerebbe di no. Questa ricerca ( http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=450220) per esempio conclude che “… a 1 percent drop in price — a mere 25 cents on a $25 book — increased the number of units sold by 7 percent to 10 percent…”.
Che poi Amazon - con self-publishing, bundling e quant’ altro si inventerà - faccia bene anche agli autori non è affatto certo: la torta sarà più grande ma non è detta che lo sia anche la loro fetta. L’ importante è che faccia bene al consumatore, di cui il lavoratore (creativo e non creativo) è al servizio. Ma forse questa è ideologia.
Certo che capisco gli editori, si preoccupano per la distribuzione al dettaglio che si assottiglia e ora devono anche preoccuparsi della fuga degli autori. E nemmeno la “fuga” di argomenti che possano far presa su persone neutrali non gioca certo a loro favore.
Gridano: “monopolio”. Ma il concetto di “monopolio” produttivo è piuttosto vago se preso in sé, non sappiamo bene nemmeno quali prodotti siano in concorrenza tra loro: ieri sono andato al negozietto per comprare il Corriere ma poi ho visto la Nutella in occasione e ho investito tutto nel barattolone famiglia. Non mi sarei mai aspettato che Corriere della Sera e Nutella fossero in concorrenza ma ieri ne ho avuto la riprova. E allora non basta lanciare allarmi su concetti vaghi (monopolio, bibliodiversità…), per smuovere l’ antitrust bisogna indicare i danni reali ricevuti dal consumatore.