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sabato 10 maggio 2008

Quando la realtà se ne va per conto suo




Preso dentro nei gangli della letteratura ottocentesca italiana e oppresso dalla mole di tomi ulteriormente ispessiti dalla loro cronica mancanza di umorismo, ho cercato refrigerio all' umida ombra del capolavoro di Ippolito Nievo. Secondo alcuni consulenti ignari di essere stati consultati, almeno uno dei due inconvenienti poteva essere eluso, parlo dell' umorismo.

Devo dire che il Settecento fa circolare il suo fiato in quelle pagine. Basterebbe accennare a quella maledetta diligenza settecentesca di spennellare con perizia calligrafica fino a riprodurre in modo verosimigliante la geografia di un' intera costellazione!

E poi quella febbrile fregola moralistica di indagare, grazie all' alta scienza del secolo anteriore, il subisso delle anime altrui (spesso di gran lunga più estese di un semplice firmamento), per riproporlo isomorfo nero su bianco.

Con simili incontenibili manie nel cuore e nello stilo, come si puo' pretendere che non si doppino le mille pagiante? Il lettore timido resta così legato per mesi alla ruota di una simile macina autotorturandosi mentre sugli scaffali della libreria scorrono sotto il suo mesto sguardo i libri che non potrà accostare nel frattempo.

Tuttavia, imbroccate le pagine buone del Nievo, si ottiene pronta ricompensa.

E' proprio vero: il letame è il miglior scaffale su cui esporre i diamanti. L' opacità inerte del primo, esalta lo spiazzante balenio del secondo.

Sorbiamoci dunque la ricrazione letteraria di come nasce e cresce l' "ideale" tra lo stantio e il vago (patria, libertà...) che dovrebbe animare il protagonista. I toni sono spesso enfatici, slabbrati; idonei ad accumulare piombo nelle palpebre. Anche la prolungata descrizione della serenità pastorale che precede le agitate vicende romanzesche, fa l' effetto di uno strascico interminabile e pleonastico.

Unica nota di alleggerimento: la coralità di fondo che costringe il Nievo a rendere in bozzetto una miriade di vite e di caratteri.

Per esperienza ormai so che costringere un sagace osservatore a concentrare in mezza paginetta "una vita", dà sempre risultati di una brillantezza longeva che attraversa i secoli mantenedo una sua freschezza. La gestualità imperiosa di quei pochi tratti ci fa capire nonostante tutto la vasta intercapedine che distanzia l' arte letteraria dall' ultimo giallo che ci sembrava tanto "carino". E' giusto ripassare ogni tanto anche questa lezione.

Ma dopo i preparativi, per chi ha avuto la pazienza di reggerli, ecco il picco: all' eroe si offre l' occasione di battersi per il suo ridondante ideale. Il Nievo sarà magistrale interprete del grottesco incontro tra niveo, levigato sogno e brufolosa realtà.

Il sospirante Carlino giunge a Portogruaro e scopre che è in atto quella "Rivoluzione" al pensiero della quale aveva corogiolato la giovinezza da cui era appena uscito. Il popolino è in rivolta e sembra reclamare i suoi diritti. Carlino ha tutta l' intenzione di unirsi al coro apportando le sue competenze.

Ma ecco che prende corpo il miracolo letterario: Carlino scopre lentamente che il popolino assomiglia maledettamente ad un popolino. Fare la rivoluzione con questa gente non ispira l' immaginazione romantica del protagonista.

Scopre anche lo sconcertante ruolo del caso. E noi con lui: quando si urla cio' che per anni è stato trattenuto in gole disseccate, ne esce un rantolo disarticolato. Quanto è brutta e poco convincente quella "verità" che avevamo coccolato a lungo nel seno in vista di spiattellarla in faccia ai prepotenti al momento opportuno. La foga con cui correggiamo la prima rivendicazione, accentua la storpiatura. Dopodichè, lo stesso scatenamento che abbiamo liberato ci spossessa di ogni intenzione; la furia comica degli eventi ormai regge la regia del grand guignol. Dopo le prime enormità si vorrebbe tornare a casa per riposarsi, ci viene il dubbio che forse cio' che cercavamo era solo uno sfogo momentaneo, un po' di adrenalina da luna park. Ma ormai non si puo' più, si va avanti con la cattiveria gratuita degli irresoluti. Sentirsi tanto insicuri fa sì che, una volta scelto un bersaglio appena plausibile, ci si scateni contro di esso con un accanimento tale che con quelle furie si possa dileguare la terrificante perplessità sorta un attimo prima, nel disgustoso momento in cui, ormai compromessi, un bersaglio ulteriore non lo si riusciva a trovare.

Si dice che queste pagine siano ricalcate su quelle manzoniane. Ma Renzo è trascinato dagli eventi casuali essendo sin da subito coinvolto in modo casuale nel vortice. Carlino invece vi entra con passo solenne varcando un suo Rubicone. Questa ponderata consapevolezza è inoltre proprio l' oggetto del libro: delle pagine che precedono come di quelle che seguiranno. In questo secondo caso, quindi, la balia del protagonista è di una comicità spiazzante e rivela l' onestà di un autore che tanto aveva investito sulla consapevolezza; godiamoci lo spettacolo di chi vuole sacrificarsi ma non ci riesce sentendo lontani gli occhi dell' attenzione generale: Sentendo il raschio con cui l' asperità rugosa del mondo ci spaventa mandando all' aria i nostri piani. Riscladiamoci alla sfiammata di un destino cieco e senza gabbie che solletica e rigenera un lettore allevato per rinunciare ad ogni sorpresa. Facciamolo prima di essere nuovamente ripiombati nel soporifero idealismo volitivo e patriottardo la cui voce è sopportabile solo quando si fa stridula e in preda agli indomabili elementi che la ridicolizzano sconcertandola.