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martedì 15 ottobre 2019

LA MALAPIANTA FASCISTA

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LA MALAPIANTA FASCISTA
Il libro indaga le origini dello stato nella società umana, siamo in Mesopotamia 6000 anni prima di Cristo (circa).
Lo stato nasce come “bandito stanziale”, un mix tra la banda schiavista e la cosca mafiosa.
Ma nell'epoca caotica del nomadismo era difficile procurarsi delle vittime su cui praticare l’estorsione, la facilità di evadere le imposte salvaguardava la libertà dei cacciatori/raccoglitori.
Lo stato ha bisogno di ordine, di trasparenza, di leggibilità, di razionalizzazione: il suo banditismo è di tipo cartesiano. Deve schedare, stimare, classificare, processare. Sarà l'avvento della coltivazione su larga scala del grano presso i Sumeri ad arginare il caos e garantire trasparenza. Con il grano l'evasione delle imposte divenne sempre più difficile.
Il grano è visibile. Cresce sopra la terra, non puoi occultarlo, non puoi negare o minimizzare suo possesso.
Il grano matura a scadenze fisse e note. Se l'esattore viene a visitarti ad una certa data lo troverà, non puoi farla franca mietendo prima, non sarebbe maturo e tu saresti la prima vittima del tuo atto sciagurato.
Il grano è valutabile. Conoscendo la qualità della tua terra e le tecniche di coltivazione so quanto grano puoi produrre. Potrei tassarti anche in anticipo sulla maturazione del prodotto finito.
Il grano è facilmente trasportabile. Posso portarmelo via quando voglio e come voglio.
Il grano si presta alla cultura intensiva. Puoi ammassare nelle pianure una quantità di servi e di schiavi e farla lavorare con un'alta produttività.
In breve tempo il grano e le pianure partorirono lo stato: sudditi servi che pagano le tasse in grano, esattori che riscuotono le tasse in grano, scribi che contabilizzano il grano, nobili che campano del grano altrui e sacerdoti che benedicono il grano.
Ma gli schiavi e i servi non bastavano mai, morivano come mosche, la loro dieta era squilibrata, il lavoro massacrante, i corpi malaticci. Per questo lo stato delle origini, oltre che mafioso e schiavista, fu anche guerrafondaio. La guerra serviva a procurarsi sempre nuovi schiavi, le conquiste territoriali erano secondarie.
Lo stato delle origini (sumeri, assiri, babilonesi, egizi...) non è stabile. Va e viene. Si forma e collassa per poi riformarsi ancora, ci si disperde su colline e paludi per poi concentrarsi di nuovo in pianura. Anche questa sua caratteristica è facile da intuire: la massa dei forzati appena può scappa dalle pianure per tornare alla vita imboscata e felice del nomadismo, una vita con diete più equilibrate, con tempo libero in abbondanza e corpi più temprati. Questo almeno finché un nuovo sovrano non ricomincia con le retate e le concentrazioni di lavoro forzato nei campi dell'odiata pianta fascista.

AMAZON.IT
Against the Grain: A Deep History of the Earliest States

lunedì 30 settembre 2019

L'ANARCHIA E' POSSIBILE OGGI?

L'ANARCHIA E' POSSIBILE OGGI?

TUTTI: no. Nella storia non esistono società di rilievo che l'abbiano adottata.

DAVID GRAEBER: sì. Il suo ragionamento: 1) Nella vulgata roussauviana i primitivi vivevano in bande poco numerose, senza governo e in condizioni di eguaglianza. 2) Ebbene, non è vero, la diseguaglianza c'era eccome: guarda solo alle sepolture di certi bimbi ricoperti di collane per un equivalente di 10.000 ore di lavoro/uomo e a certi rifugi "monumentali".
3) La diseguaglianza indica la presenza di vaste società, probabilmente stagionali (ci si riuniva in occasione della migrazione di alcune specie, un po' come fanno gli indiani).
4) Ergo: la preistoria ci indica che l'anarchia è compatibile con una società allargata come quella in cui viviamo da oltre 10.000 anni.

PETER TURCHIN: No. DG, al massimo, dimostra che il passaggio dal nomadismo (regno dell'anarchia e dell'uguaglianza) all'agricoltura (regno delle diseguaglianze e delle città) non è stato così repentino come alcuni pensano. Un periodo intermedio con insediamenti a carattere misto è plausibile. Nulla di più.

http://peterturchin.com/cliodynamica/an-anarchist-view-of-human-social-evolution/

martedì 5 marzo 2019

Niente schiavi, niente stato SAGGIO

Niente schiavi, niente stato

Alcuni appunti su cui meditare presi durante la lettura di James C. Scott (Population Control: Bondage and War).
Risultati immagini per basquiat king
  • Lo stato arcaico (Mesopotamia…) nasce come un campo di concentramento dedito al lavoro forzato.
  • Allo stato nascente serve la massa, non la sua volontà.
  • Acquisire uomini e controllarli, ecco la preoccupazione principaledello stato nascente.
  • Ora che le conoscenze agricole sono state acquisite, ora che una pianta coltivabile in modo estensivo è stata individuata nel grano, serve una moltitudine di “contadini”.
  • I primi stati sono “macchine” per il concentramento della popolazione dispersa (e in fuga) nei boschi.
  • La parola d’ordine è: addomesticare! Addomesticare uomo e animali.
  • L’obbiettivo: produrre un surplus sui propri bisogni (da destinare alle élites non produttive).
  • Ovunque arrivi la civiltà sempre il medesimo istinto: concentrare. La scoperta del Nuovo Mondo non fa che riprodurre questo istinto. L’esempio delle “redducciones” spagnole.
  • Le missioni cristiane mostrano altrettanto zelo nel raggruppare le popolazioni disperse nella foresta. E’ l’istinto della civiltà.
  • Prime dello stato. Marshall Sahlins rievoca il paleocomunismo dei primitivi: l’accesso alle risorse – terra, pascoli, cacciagione – era aperto a tutti i membri del gruppo. Assenza di ogni coercizione. Nessun incentivo a produrre oltre le proprie esigenze immediate.
  • A. V. Chayanov mostra come in una famiglia in cui aumentano le “braccia” disponibili il tempo dedicato al lavoro si riduca. Un fenomeno sconosciuto alla modernità.
  • Nessun surplus, nessuna élite.
  • Con lo stato nasce il lavoro forzato: corvée, tassazione a mezzadria, usura, servitù, schiavitù…
  • Lo sfruttatore deve fronteggiare il rischio di fuga, specie se il concentramento di persone non è uno spazio chiuso. Un alto livello di perdite è fisiologico, non si puo’ evitarlo, occorre compensarlo.
  • La funzione principale della guerra: rimpiazzare i forzati in fuga.
  • Lo stato composto da molte persone era sia una potenza militare che economica. Era la moltitudine a fare la differenza. Pensiamo agli stati più ricchi oggi: Svizzera, Singapore, Hong Kong, Lussemburgo…
  • Bottino di guerra: i prigionieri prima ancora che i territori. Le campagne militari in Mesopotamia ne sono un esempio.
  • La tipica guerra dell’epoca secondo Seth Richardson: pesce grande mangia pesce piccolo.
  • Guerra, guerra, guerra, nel costante tentativo di compensare fughe e mortalità dei sottomessi.
  • I vecchi codici babilonesi sembrano avere una sola preoccupazione: la fuga degli schiavi.
  • La schiavitù non è stata inventata dallo stato ma lo stato (la si riscontra un po’ ovunque, in america latina, presso i pellerossa, in medio oriente…) ma con lo stato il fenomeno esplode. Lo stato arcaico è in buona sostanza uno stato schiavista. La sua attività più comune: spedizioni a caccia di nuovi schiavi.
  • “No schiavi, no stato”
  • Moses Finley ha spiegato come la schiavitù fosse il perno dell’antica Grecia. Due terzi della popolazione ateniese era costituita da schiavi. L’istituzione era data per scontata da tutti, nessuno parlava di “abolizione”. Aristotele: alcuni individui non sono dotati dalla natura della ragione sufficiente per vivere da uomini liberi.
  • Con Sparta, peggio mi sento. La quota di schiavi sale. E se conti gli iloti (popolazioni conquistate e schiavizzate in situ)…
  • Roma trasformò il bacino del mediterraneo in un immenso emporio di schiavi. la campagna nelle Gallie fruttò un milione di nuovi schiavi, per questo venne considerata un grande successo. Gli schiavi a Roma oscillavano tra 1/3 e 1/4 della popolazione. Lo schiavo diventò un’ unità di misura.
  • Anche in Mesopotamia la presenza di schiavi è fuori discussione. per Finley nel mondo statuale pre-greco la presenza di uomini liberi era trascurabile.
  • Eppure c’è chi ha affermato che presso sumeri, babilonesi ed egizi la schiavitù costituiva una parte trascurabile dell’economia.
  • Una simile tesi merita di essere sfidata. Mancanza di evidenze non significa assenza. Le dimensioni ridotte di questi stati rendono oggettivamente più difficile reperire evidenze, la popolazione era scarsa. Anche la documentazione è scarsa.
  • Lo schiavo – che proveniva dalle periferie immediate – era molto simile allo schiavista, distinguere diventa più difficile. Molta schiavitù non era ufficiale, si trattava di deportati in zone che si intendeva popolare. Più di 200.000 babilonesi, per esempio, furono stanziati nei territori assiri, questa gente non era considerata ufficialmente come schiava.
  • Altro esempio: la pratica spartana della schiavizzazione sul posto della popolazioni sconfitte in guerra era pratica comune. In questi casi si parlava di conquista più che di schiavizzazione.
  • Esiste un’iconografia abbondante sugli schiavi, quasi sempre raffigurati in ceppi e soggiogati fisicamente. Queste condizioni estreme fanno inferire un’abbondanza di “materia prima”.
  • Sappiamo anche che una professione diffusa e onorata era quella del “cacciatore di schiavi” specializzati nel seguire le tracce dei fuggiaschi.
  • Nascondersi. Ecco la prima preoccupazione delle popolazioni nomadi tra il Tigri e l’Eufrate.
  • Dalle occasioni di sospensione della vita ordinaria (feste) riceviamo informazioni indirette sulla vita ordinaria. Le feste erano un momento di uguaglianza radicale, i testi poetici ci dicono cosa “non succedeva” durante le feste ed elencano pratiche orribili di soggiogamento, il che ci fa capire come fossero all’ordine del giorno nel periodo feriale.
  • La guerra fu all’origine di una grande scoperta seminale: anche l’uomo puo’ essere addomesticato.
  • La schiavitù conveniva: una persona cresciuta a spese di un’altra comunità  poteva essere prelevata con la forza all’apice della sua vigoria fisica ed essere sfruttata e poi buttata.
  • Lo schiavo si assimila: dopo alcune generazioni diventa indistinguibile e quindi anche più sfruttabile.
  • Un parallelo con le bestie nel controllo riproduttivo. Indizi: il maggior valore delle donne e degli “stalloni” sul mercato degli schiavi.
  • Lo stato arcaico è essenzialmente una banda organizzata per la rapina in grande stile. L’oggetto delle rapine erano il bestiame, i manufatti ma soprattutto gli  uomini da destinare ai lavori più degradanti e pericolosi.
  • Cave, miniere, galere, cantieri statali, disboscamento, scavo di canali… è qui che trovi gli schiavi. Pensa alla fatica che gli schiavi hanno risparmiato alla nascente civiltà umana!

venerdì 22 febbraio 2019

HL CHAPTER FIVE Population Control: Bondage and War

CHAPTER FIVE Population Control: Bondage and War
Note:5@@@@@@@@@ LO STATO COME CAMPO DI CONCENTRAMENTO E LAVORO FORZATO

Yellow highlight | Page: 150
In the multitude of people is the king’s honor, but in the want of people is the destruction of the prince.
Note:SERVE LA MASSA MA NON LA SUA VOLONTÀ

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concern over the acquisition and control of population was at the very center of early statecraft.
Note:CONTROLLO

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a population of cultivators
Note:QUEL CHE SERVE

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“population machines”
Note:I PRIMI STATI

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“domesticated” subjects
Note:L ADDOMESTICAMENTO

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flock
Note:MASSA MASSA

Yellow highlight | Page: 151
crops.
Note:MASSA MASSA

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produce a surplus in excess of their own needs
Note:OBBIETTIVO

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Spanish colonialism in the New World, the Philippines,
Note:LA CONCENTRAZIONE PRIMO OBBIETTIVO

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The reducciones or concentrated settlements
Note:REDUCC

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Christian mission stations—of whatever denomination—among dispersed populations begin in the same fashion,
Note:MISSIONI

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a surplus available to nonproducing elites. Such a surplus does not exist until the embryonic state creates it.
Note:NECESSITÀ DEL SURPLUS

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Marshall Sahlins
Note:PALEOCOMUNISMO

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Access to resources—land, pasture, hunting—was open to all by virtue of membership in a group,
Note:IL LAVORO PRIMA... COMUNISMO

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absence of either compulsion
Note:PRIMA

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no incentive to produce beyond the locally prevailing standards of subsistence and comfort.
Note:PRIMA NO SURPLUS

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A. V. Chayanov,
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when a family had more working members than nonworking dependents, it reduced its overall work effort once sufficiency was assured.
Note:EVIDENZE DI RIDUZIONE DEL LAVORO

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will not automatically produce a surplus that elites might appropriate,
Note:ELITE A MANI VUOTE

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corvée labor, forced delivery of grain or other products, debt bondage, serfdom, communal bondage and tribute, and various forms of slavery
Note:FORME DI LAVORO FORZATO

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risk of provoking the mass flight of subjects on the other, especially where there was an open frontier.
Note:IL RISCHIO DELLO SFRUTTATORE

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control of the means of production (land) alone suffice,
Note:SOLO DOPO LA PROP DELLA TERRA SOSTITUISCE LA SCHIAVITÙ

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So long as there are other subsistence options,
Note:L UNICA ALTERNATIVA ALLA SCHIAVITÙ

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Ester Boserup
Note:cccccc

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the archaic state lacked the means to prevent a certain degree of leakage
Note:TASSO NATURALE DI FUGA

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replace their losses by various means, including wars
Note:FUNZIONE DELLA GUERRA

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The state with the most people was generally richest and usually prevailed militarily
Note:POTENZA MILITARE ED ECONOMICA

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the prize of war was more often captives than territory,
Note:PRIGIONIERI

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Warfare in the Mesopotamian
Note:ASSEMBLING POPULATION

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Seth Richardson,
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conquer the smaller
Note:GUERRA TIPICA... PESCE GRANDE MANGIA PESCE PICCOLO

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Polities aimed to assemble “unpacified,” “scattered” people
Note:RADUNARE UN GREGGE

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in a constant struggle to compensate for the losses from flight and mortality
Note:COMPENSARE COMPENSARE

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The Old Babylonian legal codes are preoccupied with escapees and runaways
Note:CODICI

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THE STATE AND SLAVERY
Note:ttttttttttt

Yellow highlight | Page: 155
Slavery was not invented by the state.
Note:AD ESSERE SINCERI

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Fernando Santos-Granaros
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many forms of communal servitude
Note:IN LATINO AMERICA

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tempered with assimilation and upward mobility,
Note:PRESSO I PELLEROSSA

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bondage was undoubtedly known in the ancient Middle East
Note:MEDIO ORIENTE

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Adam Hochschild
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as late as 1800 roughly three-quarters of the world’s population could be said to be living in bondage.
Note:MA CON LO STATO IL FENOMENO ESPLODE

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In Southeast Asia all early states were slave states and slaving states;
Note:ASIA

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slave raids.
Note:L ATTIVITÀ PIÙ COMUNE

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“No slavery, no state.”
Note:MOTTO

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Moses Finley
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“Was Greek Civilization based on Slave Labour?
Note:SÌ

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two-thirds—
Note:SCHIAVI AD ATENE

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issue of abolition never arose.
Note:SCONTATA

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some peoples, owing to a lack of rational faculties, are, by nature, slaves
Note:ARISTOTELE

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In Sparta, slaves represented an even larger portion of the population.
Note:SPARTA... PEGGIO MI SENTO

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“helots,” indigenous cultivators conquered
Note:SCHIAVI DEL COMUNISMO SPARTANO

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turned much of the Mediterranean basin into a massive slave emporium.
Note:L AZIONE DO ROMA... LA CITTÁ X ECCELLENZA

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Gallic Wars yielded nearly a million new slaves,
Note:EFFETTO DELLE GUERRE

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quarter to one-third of the population.
Note:SCHIAVI A ROMA

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slave became a unit of measurement:
Note:STANDARD

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SLAVERY AND BONDAGE IN MESOPOTAMIA
Note:tttttt

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existence of slavery and other forms of bondage is beyond question.
Note:ASSODATO...

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Finley
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a world without free men,
Note:IL MONDO PRE GRECO X FINLEY

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it was a relatively minor component of the overall economy.
Note:SUMERI BABILONESI EGIZI...

Yellow highlight | Page: 157
I would dispute this consensus.
Yellow highlight | Page: 157
Sorry, we’re unable to display this type of content.
Note:SFIDA

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they were not well treated. Many are shown in neck fetters or being physically subdued.
Note:CONDIZIONI ESTREME... X L ABBONDANZA DI SCGIAVI

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There are bounty hunters whose specialty it is to locate and return runaway slaves.
Note:CACCIATORI DI SCHIAVI

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absconding was a preoccupation of alluvium politics;
Note:IL NASCONDERSI DEI NOMADI

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A curious confirmation of the conditions of slave and enslaved debtors in Ur III comes from reading a utopian hymn “against the grain.”
Note:LA SOSPENSIONE DELLA VITA ORDINARIA CI RAFFIGURA LA VITA ORDINARIA

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a radical egalitarian moment.
Note:I MOMENTI DI SOSPENSIONE PRIMA DELLE FESTE

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poetic text describes what does not happen in this ritual of exception:
Note:FONTE

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EGYPT AND CHINA
Note:tttttt

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SLAVERY AS “HUMAN RESOURCES” STRATEGY
Note:tttttttt

Yellow highlight | Page: 166
war helped to a great discovery—that men as well as animals can be domesticated.
Note:SCOPERTA DELL ADDOMESTICAMENTO

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captives of working age, raised at the expense of another society, and get to exploit their most productive years.
Note:IL VANTAGGI EC DELLA SCHIAVITÚ... PRIMO

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socially demobilized or atomized and therefore easier to control
Note:SECONDO

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over several generations, earlier captives would have become nearly indistinguishable from their captors.
Note:ASSIMILAZIONE

Yellow highlight | Page: 169
The domesticated flock of sheep has many ewes and few rams,
Note:IL PARALLELO CON LE BESTIE NEL CONTROLLO DELLA RIPROD

Yellow highlight | Page: 169
women slaves of reproductive age were prized in large part as breeders
Note:Ccccccccccccccc

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Who built the Thebes of the seven Gates?
Note:BERTOLT....DOMANDA RETORICA CHE RINVIA ALLA SCHIAVITÙ

Yellow highlight | Page: 171
BOOTY CAPITALISM AND STATE BUILDING
Note:tttttttt

Yellow highlight | Page: 171
manpower obsession of the early states,
Note:OSSESSIONE

Yellow highlight | Page: 171
many horses, so many sheep, so many cattle, so many people.
Note:L UNITÀ X MISURARE IL SUCCESSO DI UNA BATTAGLIA.. BOTTINO

Yellow highlight | Page: 172
Max Weber’s concept of “booty capitalism” seems applicable to a great many such wars,
Note:RAPINA IN GRANDE STILE

Yellow highlight | Page: 172
Slaving wars
Note:UN CLASSICO

Yellow highlight | Page: 173
the slave sector erected over the grain module in the early states was, even if of modest size, an essential component in the creation of a powerful state.
Note:TESI

Yellow highlight | Page: 173
concentrated in the most degrading and dangerous labor,
Note:SCHIAVI

Yellow highlight | Page: 173
THE PARTICULARITY OF MESOPOTAMIAN SLAVERY AND BONDAGE
Note:tttttt

Yellow highlight | Page: 173
“the absence of evidence is not evidence of absence.
Note:IL PROBLEMA DELLA SCARSA EVIDENZA

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the reasons why slavery should seem less obtrusive and central in the Mesopotamian evidence than in Greece or Rome.
Note:COSA DOBBIAMO SCOVARE

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the modest size and geographical reach of the Mesopotamian polities,
Note:LA PRINCIPALE RAGIONE

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smaller populations
Note:DIMENSIONI

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scarce documentation
Note:ALTRA RAGIONE

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a significant portion of the captives came from intercity warfare
Note:LO SIAVO ERA DELLA STESSA CULTURA E SI ASSIMILAVA PRESTO

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captives would have become ordinary subjects
Note:QUASI INOSSERVATI

Yellow highlight | Page: 177
Mass deportation and forced settlement
Note:ALTRA RAGIONE... LA NN UFFICIALITÁ DI CERYA SCHIAVITÙ

Yellow highlight | Page: 177
More than 200,000 Babylonians, for example, were moved to the core of the neo-Assyrian Empire,
Note:ESEMPIO

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For our purpose, however, what is most important is that these resettled populations would not necessarily have appeared in the historical record as slaves at all.
Note:DEPORTATI...NON UFFICIALMENTE SCHIAVI

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the model of the Spartan helot.
Note:ALTRA FORMA DI SCH NN UFFICIALE

Yellow highlight | Page: 178
They remained in situ as whole communities,
Note:IN SITU

Yellow highlight | Page: 178
annually humiliated in Spartan rituals,
Note:SORTE GRAMA....DI FATTO SCHIAVI

Yellow highlight | Page: 178
deliver grain, oil, and wine to their masters.
Note:DOVERI

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“Even the massive settlement of the Mesopotamian plain of the middle of the fourth millennium may have been part of this process.”
Note:ILOTI IN MESOPOT... SCHIAVTÙ NN CONTEGGIATA

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A SPECULATIVE NOTE ON DOMESTICATION, DRUDGERY, AND SLAVERY
Note:Ttttttttttttttt

Yellow highlight | Page: 180
What states surely did invent, however, are large-scale societies based systematically on coerced, captive human labor.
Note:LO STATO NN INVENTA LA SCHIAVITÙ

Yellow highlight | Page: 180
slave is a tool for work and, as such, to be considered as a domestic animal as an ox
Note:L IDEA DI ARISTOTELE

Yellow highlight | Page: 180
captives, individually and collectively, became an integral part of the state’s means of production
Note:SISTEMA DI PRODUZIONE

Yellow highlight | Page: 181
At the very center of domestication is the assertion of human control over the plant’s or animal’s reproduction,
Note:BREEDING

Yellow highlight | Page: 181
the strong preference for women
Note:INDIZIO

Yellow highlight | Page: 181
the demographic stability and growth of the state.
Note:IL CUSCINEYTO DEGLI SCHIAVI SU CERTE VARIABILI

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the state’s overriding interest in maximizing its population
Note:MAX P

Yellow highlight | Page: 181
Quarrying, mining, galley oaring, road building, logging, canal digging,
TUTA FATICA RISPARMIATA GRAZIE AGLI SCH

venerdì 20 ottobre 2017

Contro la civiltà


Contro la civiltà


Il conservatore non ama la politica.
Fa politica solo per ostacolare chi crede nella politica, ovvero il progressista.
È il progressista a credere nella politica, è lui acredere che il progresso venga da lì.
Anzi, il concetto stesso di progresso rinvia ad unmiglioramento ottenuto grazie alla politica.
Il conservatore, non credendo nella politica, dubita anche del progresso.
Per lui il progresso è un mito. Anche quello delle idee.
Questa mancata fede nel progresso in politica lo penalizza. A dir la verità  lo pone proprio fuori dai giochi.
L’idea di progresso è talmente scontata che chi la nega non comunica più col prossimo.
***
Ogni civiltà tende a considerarsi la migliore, tranne noi che siamo umili.
Umilissimi.
Tuttavia, anche noi adottiamo dei trucchetti per riferirci indirettamente alla nostra superiorità, penso appunto al concetto che abbiamo elaborato di “progresso”.
Diciamo che noi non siamo “i migliori” ma poi agiamo come se volessimo uniformare gli altri a noi dando per scontato che la nostra condizione è la più avanzata.
Il mito del progresso è il nostro modo per affermare la superiorità del nostro mondo su quello altrui.
C’è qualcosa che ci fa sentire “superiori”. Cosa? Essenzialmente il fatto che non torneremo mai indietro.
Ma questo non significa di per sé che è stato un bene “andare avanti”. Se la cosa sfugge conferiamo un vantaggio non da poco al pensiero progressista.
Il progressista ti dice: “vedi come oggi stiamo meglio?, vedi come sono migliorate le cose?, lo tocchi con mano anche tu considerando il fatto che non torneresti mai e poi mai indietro!”
Il reazionario casca subito nella trappola negando l’evidenza. Rivendicando un ritorno al passato si disconnette in modo palese dalla realtà, perde il contatto con i suoi simili, non riesce ad accettare una realtà chiara a tutti, ovvero che noi non torneremo mai e poi mai indietro!
Il buon conservatore invece sa che il rifiuto di tornare indietro è comunque compatibile con il fatto che sia stato un male “andare avanti”, e su questa compatibilità fonda la sua speculazione.
È un po’ come se ci avessero rapito e portati su una barca in mezzo al mare. Dopodiché il rapitore ci pone una domanda capziosa: “ti piace di più stare qui o tornare a casa tua? Se ti piace di più tornare sei libero di tornarci!”. Ovviamente 1) noi torneremmo volentieri a casa ma 2) sarebbe assurdo farlo visto che annegheremo nell’oceano.
Ma c’è di più. Concentriamoci su coloro che sono rimasti “indietro”. Perché gli zingari, per esempio, sono così restii ad integrarsi?
Ma non vedono come la nostra civiltà sia superiore e garantisca sia una maggiore prosperità che una maggiore libertà?
No, non lo vedono. Sono proprio pazzi.
La loro cecità ci inquieta.
Significa forse che la nostra civiltà non è così superiore come crediamo? Certo che un minimo di dubbio ce l’ho insinuano.
Chissà che la civiltà non sia un regresso rispettoalla barbarie, e questo nonostante sia fuori discussione un nostro ritorno al passato.
Altro esempio: i nativi americani sono stati per molto tempo a stretto contatto con una delle civiltà più prospere ed avanzate del pianeta, ovvero quella americana. Possibile che non si siano convertiti al progresso?
Possibile che non abbiano colto la superiorità del modus vivendi statunitense? Possibile che non abbiano bisogni che la modernità non sia in grado di soddisfare all’istante? Sono forse solo degliorgogliosi testardi che fanno finta di nulla o nel loro rifiuto c’è di più?
È decisamente sconcertante che preferiscano vivere in ghetti ripugnanti come le riserve piuttosto che accomodarsi in città avveniristiche.
E vabbè, peggio per loro. Non sono loro che mi interessano, siamo noi. Il fatto che questi selvaggi preferiscano arrangiarsi altrimenti forse significa che per loro  è meglio così, che sono più felici così.
Forse significa che il loro modo di vivere è migliore del nostro, Il che è decisamente inquietante.
Nel giudizio sul presente il fatto che “noi” non torneremmo mai indietro non può pesare di più rispetto al fatto che “loro” non vogliono “andare avanti”.
Sì noti poi che le cose non vanno sempre in questo modo. I cittadini dell’Unione Sovieticaconoscevano da lontano lo stile di vita occidentale e questa conoscenza ha contribuito in modo decisivo a far crollare un impero. In quel caso, evidentemente, quegli uomini, diversamente dagli zingari e dai nativi americani, volevano eccome “andare avanti”. Noi non vorremmo mai trovarci nelle loro condizioni e loro preferiscono cambiare e vivere secondo il nostro stile di vita. In questo caso sì che c’è concordanza, e quindi la superiorità del nostro stile di vita può essere affermata con maggiore sicurezza.
Potrei aggiungere il caso storico della “rivoluzione industriale“: dalle campagne di Londra i contadini affluirono spontaneamente a frotte in città per ingrossare la manodopera. Evidentemente, miglioravano la loro condizione.
Un altro caso è quello dell’immigrazione: l’immigrato parte spontaneamente!
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Amish, zingari, pellerossa… ma non stiamo parlando di casi marginali? Di situazione scelte ad hoc per giungere alla conclusione desiderata?
Si potrebbe aggiungere benzina sul fuoco affermando che un secolo fa le donne   erano probabilmente più felici e più libere di oggi. Poiché quando parliamo di donne parliamo della metà della popolazione, la cosa comincia ad essere rilevante.
Ma forse ancora non basta, cerchiamo allora di concentrarci sul caso più generale concepibile da uno storico.
Nella storia dell’uomo cosa possiamo contrassegnare come  “progresso” per antonomasia? Quando possiamo dire che è cominciato? E, una volta individuata questa soglia, c’è stata resistenza ad oltrepassarla o tutti sono corsi oltre invidiando chi l’ha fatto per primo?
Certo, che se trovassimo una soglia che tutti ambissero a oltrepassare a che, una volta oltrepassata, non fomentasse nostalgie, l’esistenza del Progresso sarebbe  dimostrata una volta per tutte.
Cerchiamo di fare delle ipotesi.
Progresso fa rima con civiltà, che fa rima con città. La città: un insieme concentrato e ordinato di uomini, cose, animali e piante che convive in modo sedentario e pacifico.
Cosa c’è di più potente sul nostro pianeta che una città umana?
La città umana puo’ avere un solo nemico: un’altra città umana.
Il passaggio dell’uomo dai boschi – dove viveva in bande disperse – alla città puo’ ben definirsi il Progresso con la P maiuscola.
La città umana è qualcosa di relativamente recente, ha circa 6000 anni.
Ma forse anziché di città dovremmo generalizzare parlando di Stato, ovvero quell’istituzione che concentra, scheda e ordina la convivenza umana. Lo stato è il trionfo della ragione. E’ la ragione applicata alle relazioni umane.
La città degli uomini nasce essenzialmente inMesopotamia, quindi in tempi recentissimi, parliamo dell’ultimo 5% della nostra storia.
Se invece avessimo in mente la città moderna,quella fatta funzionare dell’energia fossile, allora dobbiamo datare il suo inizio a fine Ottocento, ovvero nell’ultimo 0,25% della nostra storia.
Sia come sia lo Stato si è rivelata un’istituzione talmente potente da consentire all’uomo dicambiare l’aspetto dell’ambiente che lo ospita. Un vero e proprio balzo per le sorti dell’umanità.
Lo scienziato del clima Paul Crutzen ha parlato di “Antropocene” per definire l’epoca storica in cui l’uomo diventa decisivo nel modellare l’ecosistema  in cui è immerso.
Ma quando inizia l’ Antropocene? Siamo sicuri che inizia con lo stato? Alcuni propongono come punto di inizio il primo test nucleare.
Altri pensano alla rivoluzione industriale e all’uso massiccio dell’energia fossile.
Altri ancora si rifanno alla disponibilità di alcuni mezzi come per esempio la dinamite o il bulldozer, che hanno facilitato l’opera trasformatrice dell’uomo.
In questi casi l’ Antropocene inizierebbe giusto qualche “minuto” fa.
Alcuni propongono allora di retrodatarlo alla scoperta del fuoco, il primo vero grande “attrezzo” dell’uomo.
In questo caso però torneremmo indietro di 400000 anni, in un periodo ben precedente la comparsa dello stesso homo sapiens. Un po’ troppo.
Dopo il fuoco fu l’agricoltura, apparsa circa 12000 anni fa, a segnare un punto di svolta importantissimo.
Ecco, ci siamo, con l’agricoltura comparve anche la città, o meglio, lo stato.
Un attimo dopo (circa seimila anni dopo) la comparsa dell’agricoltura entra in scena nella Mesopotamia meridionale il primo embrione di stato.
È questa la soglia cruciale! È qui che l’idea di progresso si concretizza nel modo più chiaro. E’ qui che entrano in scena tutti quei cambiamenti ai quali ci riferiamo con i concetti di “civiltà” e “progresso”. È qui che dobbiamo vedere a fondo come sono andate le cose per capire se il progresso dell’uomo è qualcosa di reale.
Come è stato possibile trasformare un cacciatore vagabondo in un cittadino con tutte le proprietà accatastate nei pubblici registri?
Possiamo veramente dire che questo passaggio sia stato un progresso? Che la domanda per un suo compimento esisteva ed era robusta?
Qui il lavoro degli storici è decisamente sviante, vediamo perché.
Da un punto di vista temporale, come dicevamo, la presenza dello stato nella storia umana è anomala: l’ homo sapiens apparve 200000 anni fa, 60000 anni fa usciva dall’Africa, 12000 anni fondava le prime comunità sedentarie e finalmente 6000 anni fa il primo Stato. Lo stato è estraneo al 95% della nostra storia. Un’ organizzazione umana fondata sulla raccolta delle tasse e sull’ innalzamento di mura comparve tra il Tigri e l’Eufrate all’incirca nel 3100 avanti Cristo. Ben quattro millenni dopo i primi segnali di agricoltura e vita sedentaria.
Questa origine recente è un problema per chi considera lo Stato come un’istituzione “naturale”,qualcosa a cui la marcia del progresso ci conduce inevitabilmente. Come mai la marcia del progresso, se è così naturale, ha ritardato tanto?
Nella narrativa degli storici l’agricoltura ha rimpiazzato un mondo selvaggio, primitivo, senza legge e violento, realizzando così il grande balzo dalla barbarie alla civiltà, dalla arretratezza al progresso. E’ da quel momento che inizia anche la Storia dell’uomo, o almeno la parte degna di essere raccontata nel dettaglio.
La superiorità del mondo formatosi “dopo il grande balzo” è sottointesa da un’elaborata mitologiamessa in piedi dagli storici.
Per molti è la vita sedentaria stessa ad essere superiore rispetto a quella nomade. Questo è scontato, non se ne parla neanche! I pesci non parlano dell’acqua in cui sono immersi.
Ma c’è qualcosa che turba l’armonia degli storici: non trovano quel che cercano, non trovano gente desiderosa di compiere “il grande balzo”, il desiderio del mondo “arretrato” di progredire.
Quel che trovano è solo un’inesplicabile e pervicace resistenza delle popolazioni primitive a civilizzarsi. Imbarazzante da sorvolare.
La vita sedentaria è sempre stata associata aschiavitù e malattia. E con una montagna di ragioni! Nessuno vuole ammalarsi, nessuno vuole schiavizzarsi.
Ma il mito del progresso è sbocciato nonostante tutto. Ha potuto contare su figure di spicco comeThomas Hobbes, John Locke, Giambattista Vico, Lewis Henry Morgan, Friedrich Engels, Herbert Spencer, Oswald Spengler e altri.
Roma era il bene, l’apice. I Celti e la Germania il regno delle tenebre, l’orrore da cui scappare.
Ma è innanzitutto l’archeologia a mettere in imbarazzo la narrativa degli storici. I popoli “selvatici” non erano certamente gente affamata che arrancava in condizioni disperate come sottointende certo folklore.
Possiamo ben dire che i cacciatori stessero benone in termini di dieta, di salute e di di tempo libero. Un benessere generalizzato.
Passare dai boschi alla città non era consigliabile in termini di analisi costi/benefici. A quanto pare i selvaggi facevano bene i loro conti.
Il mito dell’ Eden avrà un suo perché? Come mai viene collocato “prima”?
Senza contare quel che molti dimenticano, ovvero che parecchie forme di vita “sedentaria” erano già adottate in tempi precedenti all’agricoltura.
L’agricoltura stessa si associava spesso alla mobilità, una mobilità che si arrestava giusto il tempo di un raccolto.
Ancora oggi esistono molte varietà di frumento  selvatico, per esempio in Anatolia. E non dobbiamo stupirci se molti attrezzi agricoli precedono di parecchio l’agricoltura stabilizzatasi nei pressi delle città.
Anche l’addomesticamento delle bestie è rimesso in questione. A quanto pare risale ad epoche parecchio precedenti i primi insediamenti stabili dell’uomo. Si trattava di forme ibride di addomesticamento,  si trattava di animali né interamente selvatici, né interamente addomesticati.
Qualcuno potrebbe vedere queste forme di agricoltura e di allevamento come proto-agricoltura e proto-allevamento, cio’ non toglie che gli uomini le preferivano rigettando l’alternativa della città?
Come riferisce Guillermo Algarve: “l’uomo addomesticò piante e animali, ma le istituzioni che si diede per farlo al meglio addomesticavano l’uomo stesso… e poiché non tutti lo accettavano si dovette ricorrere ad una coercizione di massa”.
Ricordate il lavoro certosino di Robert Fogel?: nel XIX secolo la qualità della vita di un operaio bianco di Detroit era inferiore rispetto a  quella di un nero schiavo in Alabama. Attenzione quindi a non abusare dell’analisi utilitaristica trascurando la volontà reale dei protagonisti.
A noi la presenza di uno stato amministrato appare come una costante ineludibile. A questa illusionecontribuisce l’archeologia presa in considerazione dagli storici.
Forse a questo punto è bene soffermarsi un attimo sulla cosiddetta “illusione degli storici”.
Se costruisci i tuoi edifici con il sasso, l’archeologo avrà qualcosa da studiare e lo storico qualcosa di cui scrivere.
Se invece li costruisci con il legno ed il bambù, l’archeologo resterà a mani vuote e lo storico lascerà bianca la pagina che ti spetta.
Ma chi era interessato a costruire mastodontici e duraturi monumenti? Chi se non uno Stato intento a celebrare se stesso?
Ecco di cosa parliamo quando parliamo di bias  degli storici.
Se poi pensiamo alla scrittura il bias diventa ancora più aberrante.
Lo Stato ha bisogno di burocrazia e la burocrazia ha bisogno di infiniti registri. Deve tenere il conto dei suoi schiavi. Ma anche i cittadini comuni sono oggetti da schedare e contabilizzare in modo ordinato. Tributi, catasto, liste genealogiche, tutto deve restare, tutto deve fissarsi in uno scritto, tutto deve essere archiviato! Una coercizione programmata sarebbe impossibile senza un archivio permanente, lo sa bene anche il contribuente italiano del terzo millennio.
Dopodiché, per lo storico concentrato unicamente sui documenti scritti non resterà che una sola realtà da testimoniare, quella dello Stato! L’unica creatura umana degna di nota!
Per lo storico la nostra storia è fatta di stati. Per lo storico il nostro passato è lo stato, e tuttavia i primi stati apparsi nel sud della Mesopotamia, oppure in Egitto o lungo il Fiume Giallo erano affariniminuscoli sia dal punto di vista demografico che da quello geografico.
Delle cagatine, uno sputo sulla carta geografica, piccoli nodi di potere circondati da un vasto territorio abitato dai barbari che rappresentavano il 95% dell’umanità. Un 95% espulso dalla storia studiata alle elementari… ma anche all’università!
E anche se ci limitiamo agli ultimi 400 anni, almeno un terzo della popolazione non ha mai vissuto all’interno di uno Stato.
La stragrande maggioranza dell’umanità non ha mai pagato una tassa, e non sembra affatto leggendo il sussidiario.
Rischiamo tutti i giorni di sorvolare sul fatto decisivo che nella maggior parte del mondo non è mai esistito uno stato, fino a poco tempo fa.
Non solo, i primi stati solo raramente e per tempi brevi erano quei formidabili Leviatani che risultano da alcune esaltate descrizioni.
Disintegrazione, frammentazione, periodi oscuri erano la regola anche laddove sorgeva formalmente uno stato.
Incantati dai documenti che magnificano le dinastie noi pensiamo agli Stati come a blocchi monolitici in grado di controllare il territorio. Altro mito!
I quattro secoli di “periodo oscuro” della Grecia, quando i documenti scritti spariscono, sono praticamente una pagina bianca nei libri di storia, che invece dedicano capitoli interi all’ “era classica”. Già solo il fatto di poterne parlare la promuove automaticamente in “periodo di splendore”.
Per migliaia di anni dopo la sua creazione lo Stato non è mai stato una costante della nostra storia quanto piuttosto una variabile effimera. La storia dell’uomo è essenzialmente la storia di un essere che ha vissuto al di fuori dello Stato.
Niente di più comune, poi, che la “fuga” dallo Stato. Questo è imbarazzante per chi presenta lo Stato come un benefattore che elargisce la luce e la cività ad un’umanità ottenebrata.
Malattie, schiavitù e pulizia etnica erano una deprimente costante della presenza statale.
“Pulizia, pulizia”… lo Stato per nascere deve fare piazza pulita di ciò che lo precede, nel vero senso della parola. Senza ordine i registri non riescono a fotografare fedelmente la situazione e senza registri il burocrate e paralizzato.
Meglio adeguare i registri alle esigenze dell’uomo o l’umo alle esigenze dei registri? Ma ovviamente la seconda che hai detto!
La cultura delle piante e l’allevamento di animali hanno bisogno di spazi vasti e controllabili. Tutto deve essere riunito, concentrato, schedato.
Il fuoco, con il suo potere distruttivo, aiuta nel fare tabula rasa del paesaggio, aiuta nell’addomesticamento, nella registrazione e nella schedatura, nella contabilizzazione.
Il fuoco consente di cucinare i cibi di rendere digeribili piante prima indigeste, consente di rendere nutrienti alimenti prima non commestibili. Il fuoco, con la sua capacità di eclissare le presenze scomode, è un grande alleato delle mega-amministrazioni.
La vita nello Stato è molto più dura rispetto a quella fuori ma soprattutto è meno salubre. Nessuno, se non spinto dalla fame più nera o dalla coercizione, si sognerebbe mai di abbandonare i boschi, la caccia, la raccolta dei frutti o la pastorizia itinerante per dedicarsi al duro e insalubre lavoro dell’agricoltura. “La tèra l’è bassa!” dice un proverbio dei Celti contemporanei.
Lo Stato è luogo di “addomesticamento” e  di artificio.
Tra gli antropologi si dice: ” non conosciamo in che misura noi abbiamo addomesticato il cane o il cane ha addomesticato noi”. Il senso è chiaro: in un posto dove quasi tutti sono servi non si capisce mai bene chi è il servo di chi.
All’interno dello stato la parola d’ordine è “addomesticare”. Addomesticare la pianta, addomesticare l’animale, addomesticare l’uomo, addomesticare il territorio. Tutto deve essere domato. Uno sforzo che nella sua essenza consiste nel ridurre la varietà all’uniformità affinché si possa contabilizzare, tassare, amministrare, incasellare. Insomma, dominare.
Il nuovo assemblaggio di piante, animali e uomini crea un ambiente artificiale. È naturale pensare alla vita dell’agricoltore come ad una vita angusta dal punto di vista delle esperienze, dal punto di vista culturale e dal punto di vista rituale. Una vita nel complesso più povera rispetto a quella del suo predecessore.
La vita nello Stato è molto dura per chi non fa parte delle élite. Molto più dura di quella condotta fuori dalle sue mura. Coltivare il suolo è più oneroso che cacciare o raccogliere frutti. Non c’è ragione per cui un raccoglitore, se non forzato, debba spontaneamente optare per l’ingresso in quelle mura che sono di fatto le mura di un carcere.
Entrare nello Stato comporta un altro sacrificio, quello di rendersi più esposti alle malattie.Influenza, orecchioni, difteria e altre infezioniben note a tutti noi. Ma non al cacciatore!
Oggi la medicina ha fatto miracoli. Oggi non esistono più le epidemie di peste che annientavano metà della popolazione! Ma ricordiamoci sempre che questi miracoli sono stati compiuti contro nemici che prima non avevamo.
La peste “inventata” dallo Stato non è solo quella infettiva, è anche quella delle tasse. Una miriade di tributi che assume varie forme: la forma del grano, la forma del lavoro forzato e quella della coscrizione.
I primi stati si sono formati solo in ambienti dove la popolazione poteva essere rinchiusa da un deserto, da montagna o comunque da una periferia ostile. Oggi è rinchiusa dagli altri stati. Sul punto è illuminante il lavoro di Carneiro: “A theory of the origin of the state”.
Ma è l’agricoltura e la coltivazione del frumento il marchio di fabbrica dello Stato. La coltivazione di questa pianta può essere concentrata, è misurabile e quindi tassabile, richiede poi un cospicuo sforzo umano valorizzando così la schiavitù. Concentrazione, misurabilità, tassazione, schiavitù… non c’è stato senza frumento. Sarà un caso?
Tutti gli Stati classici si fondano sul grano. Non  c’è uno stato della manioca, del sego, della palma, della pianta del pane, della patata dolce, o della banana. Tutti gli stati sono stati del grano.
Il grano favorisce la produzione concentrata, favorisce la tassazione pro quota, l’appropriazione proporzionale, l’  immagazzinaggio, il razionamento e la catastizzazione dei territori.
Lo Stato si forma solo laddove mancano  diete alternative a quella basata sul frumento.
L’agricoltura stanziale non inventa né l’irrigazione, né l’addomesticamento delle mandrie, queste sono conquiste che spettano alle popolazioni pre-statuali. Ma l’agricoltura stanziale le perfeziona, le amplifica, le espande, le razionalizza.
I primi stati si sforzano di creare un paesaggio facilmente “leggibile”, misurabile è per lo più uniforme. Questo facilita la tassazione dei raccolti e il controllo di una popolazione che lavora a corvé.
Ma cos’è uno Stato in fondo? Guardiamo alla Mesopotamia: è un continuum istituzionale con uno staff amministrativo specializzato, con un centro monumentale, con delle mura, con un re e con un sistema di raccolta delle tasse. Nasce negli ultimi secoli del IV millennio prima di Cristo nelle valli alluvionali della Mesopotamia meridionale.
Nasce quindi successivamente rispetto alle prime coltivazioni del grano e ai primi allevamenti.
Dopo, lo stato si fa vivo in Egitto, nella Mesopotamia settentrionale e in molte valli indiane. Ma prolifica anche in Cina, a Creta, in Grecia, a Roma e nel nuovo mondo con i Maya.
Cosa serve allo stato per nascere?
Innanzitutto un tipo di ricchezza appropriabile emisurabile: la “rapina” parziale e in misura fissa fatta a tutti è più tollerata dallo schiavo. In questo senso il raccolto di grano è l’ideale. Poi serve una massa di persone (popolo) che lo coltivi su vasta scala. Una popolazione docile, che sopporti la schiavitù o comunque forme severe di servitù, che possa essere facilmente amministrata e spostata laddove ce n’è bisogno. Una popolazione uniforme, che si lasci registrare e schedare.
Varietà e diversità sono nemiche giurate dello Stato. Anche per questo le paludi rappresentano per lo stato un territorio ostile, il rifugio ideale dei transfughi.
E qui veniamo alla questione centrale, il ruolo della coercizione nello stabilire e mantenere gli antichi stati.
Se dimostriamo che la formazione dei primi stati è avvenuta con un largo uso della violenza possiamo confutare  teorici del “contratto” come Hobbes e Locke: per loro la vita fuori dello stato è “breve, violenta e crudele”. In queste condizioni è logico si scenda a patti: sicurezza contro libertà.
Ma nella storia di patti del genere, anche impliciti, non se ne vedono.
Si vedono solo rifiuti e resistenze. Ma soprattutto molte molte fughe.
I primi stati hanno spesso fallito nel tentativo di trattenere la loro popolazione presentandosi come estremamente fragili e soggetti a collasso da frammentazione.
L’istinto alla fuga è invece facilmente spiegato da chi non vede nello stato un progresso ma il regno del lavoro forzato.
La schiavitù era essenziale soprattutto per quel che riguarda i lavori pubblici, la costruzione degli edifici comunali, delle mura e delle strade.
La Grecia classica costituisce sia l’apoteosi della civiltà occidentale che l’apoteosi della schiavitù. La stessa cosa si può dire per Roma.
Che un’ampia fetta della popolazione greca e romana fosse detenuta contro la propria volontà è testimoniato dalle frequenti ribellioni degli schiavi.
Ma non si tratta solo di poche schiavi riottosi, intere popolazioni tentavano la fuga o quantomeno cercavano di nascondersi. Evidentemente la “civiltà” non allettava granché.
Owen Lattimore parlò delle mura cinesi come di un manufatto dalla doppia funzione: “ quella principale… rinchiudere i tartassati… e quella secondaria, scoraggiare gli assalti dei barbari…”.
A proposito di barbari, esistono anche loro. Sono i 4/5 dell’umanità. Per gli storici esistono solo quando attaccano la città.
È molto probabile che nell’epoca in cui lo Stato sorgeva era molto meglio essere barbari. Da barbari si viveva meglio, per questo i barbari non erano affatto allettati dal progresso.
Il territorio dei barbari è molto vario e disordinato, è una zona di caccia, di coltivazione improvvisata, di pesca provvisoria, di raccolta fugace e di pastorizia. Radici, tuberi e ben pochi campi fissi. E’ una zona di mobilità, in poche parole una zona impossibile da trattare amministrativamente, l’incubo di ogni burocrate esattore.
Il barbaro non è una categoria culturale ma una  categoria politica. Barbaro è colui che vive fuori dallo Stato, colui che non ha carta d’identità, che non è schedato, che non è amministrato, che non è accatastato, che “non risulta”. E così come non risulta al burocrate, non risulta nemmeno allo storico burocratizzato.
Il barbaro vive nel mondo del “nero”, del sommerso, non è registrato e non è proporzionato secondo alcuna misura. Nel suo  disordine il povero burocrate non trova punti di riferimento per poterlo incasellare. Il barbaro vive fuori da ogni mappa. Hic sunt leones.
Tra barbari e civilizzati è esistita per molto tempo una relazione tipica: la rapina.
Perché mai un barbaro dovrebbe coltivare un raccolto quando può semplicemente andare a prendersi i frutti coltivati in schiavitù dall’uomo sedentario?
In un certo senso è colpa dei civilizzati se i barbari godono di cattiva fama!
I raid nei confronti dello Stato erano la norma.
I pellerossa si accorsero ben presto che le vacche dei bianchi erano l’animale in assoluto più facile da cacciare!
Intanto, lo Stato che investe in sicurezza aumenta le tasse e abbisogna di più schiavi.
Ma i barbari non rapinavano e basta,commerciavano anche molto con lo stato, erano loro a fornire molti beni necessari come per esempio metalli, legna, minerali, pelli, medicinali, miele, sostanze aromatiche e altro ancora.
L’esito di questi commerci fu una civiltà ibridamolto diversa dalla dicotomia spesso rappresentata nella forma  civiltà/barbarie.
Thomas Barfield ha sostenuto che per ogni civiltà esiste una specie di “gemello barbaro”. L’esempio tipico è offerto dall’ oppida dei celti, una presenza costante alla periferia dell’impero romano.
Possiamo ben dire che l’era dei primi stati fu anche l’epoca d’oro dei barbari.
Ma la merce principale che si scambiavano barbari e civilizzati erano gli schiavi. Lo Stato ne era un insaziabile consumatore!
Seconda merce per importanza: il mercenario. Lo stato era uno stato guerriero e aveva bisogno già allora di quella che poi venne denominata “carne da cannone”. I cittadini erano ancora pochi e non soddisfacevano le esigenze del levitano, cosicché a fornire la “carne da cannone” erano spesso i barbari stessi che vendevano così i loro prigionieri di guerra.
***
Allo stato, per esistere, serve una massa di persone ma non serve la volontà della massa.
Acquisire e controllare una massa di persone è l’ossessione dei primi stati.
Una popolazione estesa di coltivatori seriali, ecco quello di cui abbisogna.
Lo stato è essenzialmente una macchina produttiva fatta di carne umana: più ce n’è meglio è.
Una massa di uomini addomesticati, un gregge, uno stormo. Questa è l’immagine più fedele dei primi stati.
Un gregge in grado di produrre un surplus a disposizione dell’ élite.
Che la “concentrazione” di carne umana sia il primo obbiettivo lo si vede ovunque. Prendi gli spagnoli nelle Filippine. Cosa sono le “reducciones” se non dei campi di concentramento adibiti a produzione?
Le stesse Missioni cristiane, come prima mossa all’atto dell’insediamento tendono a concentrare la popolazione dispersa.
Il concetto di surplus non è mai esistito fino all’invenzione recente dello stato.
Marshall Sahlins spiega che prima dello stato l’accesso alle risorse era libero per qualsiasi appartenente al gruppo. Ogni forma di coercizione assente. Nessun incentivo a “produrre” oltre al necessario per sopravvivere o per il proprio confort personale. Nulla era “conservabile“, prima.
A. V. Chayanov mostra che quando in un gruppo di cacciatori il rapporto lavoratori/non lavoratori si alza, il lavoro diminuisce.
Per ottenere il surplus che cercano, le élite  puntano sull’agricoltura e inventano lo stato, e con esso una serie infinita di forme del lavoro coercitivo: corvé, consegna forzata, schiavitù, debito vincolato, servitù, eccetera.
Ma c’è il rischio che la gente scappi o si nasconda, specie se i confini non sono ben presidiati. Che fare?
Mura e pene severe. Solo la proprietà della terra riuscirà a sostituire la schiavitù.
Ester Boserup è un autore di riferimento per testimoniare il doppio nesso tra stato e schiavitù.
Ma ogni stato antico aveva un “tasso naturale di fuga”. Veniva tollerato ben sapendo che la guerraera comunque uno strumento fenomenale per ripristinare il livello quantitativo degli schiavi.
Lo stato più potente, anche dal punto di vista militare, era lo stato con più popolazione asservita.
Il vero bottino di guerra erano gli uomini più che iterritori.
In linea con quanto detto le guerre senza sosta  in Mesopotamia aveva lo scopo essenziale di assemblare forza lavoro.
La guerra tipica secondo Seth Richardson era quella in cui “pesce grande mangia pesce piccolo“. L’obbiettivo era quello di radunare un gregge, di addomesticare i selvaggi dispersi sul territorio in una continua lotta per compensare gli schiavi fuggiti.
codici scritti ritrovati e custoditi nei musei iracheni hanno una sola preoccupazione: stabilire pene iperboliche per i fuggitivi e chi li aiutava.
La schiavitù non è stata inventata dagli stati ma, secondo Fernando Santos-Granaros, lo stato ne ha fatto la quintessenza del suo esistere.
Anche presso i pellerossa, per esempio, esisteva una schiavitù dei prigionieri, spesso temperata da una graduale assimilazione dello schiavo.
Il medio oriente ha conosciuto la sua schiavitù pre-statuale documentata da Adam Hochschild. Ma anche lì è con lo stato che esplode il fenomeno.
Ancora alle soglie del XIX secolo 3/4 della popolazione mondiale è schiava.
Nel sud est asiatico l’attività economica più redditizia era quella di mercante di schiavi.
Niente stato senza schiavi. Niente Grecia senza schiavi, a sostenerlo è stato Moses Finley.
Ad Atene 2/3 della popolazione era schiava.
La schiavitù era scontata mai nessuno tra quei saggi sollevò mai la questione della popolazione schiava.
Per Aristotele, una quota della popolazione, quasi tutta, mancando delle necessarie facoltà razionali, era   “naturalmente schiava”.
Sparta? Peggio mi sento… la quota di popolazione schiava qui cresce.
Sparta schiavizzava sul posto mantenendo gli schiavi “in situ”, venivano chiamati iloti.
Roma trasformò il mediterraneo in un emporio per gli schiavi.
Le guerre in Gallia procurarono un milione di schiavi. Soprattutto a questo Giulio Cesare dovette il suo trionfo.
Gli schiavi a Roma erano 1/3 della popolazione.
La schiavitù era talmente comune che gli schiavi costituivano un’unità di conto.
Gli schiavi erano trattati malissimo, molti sono raffigurati in ceppi e sottomessi fisicamente. Ma perché trattare così male una risorsa così preziosa? Perché era anche una risorsa abbondante.
Il rincorrersi tra popolazioni nomadi e cacciatori di schiavi era un po’ il classico guardia e ladridell’antichità.
Lo stato schiavista cresce a spese delle società non schiaviste. Lascia che queste ultime si occupino del futuro schiavo finché non è produttivo, poi lo prelevano e lo sfruttano nei suoi anni “migliori”.
Lo schiavo viene “sradicato” e isolato, in questo  modo è più controllabile.
Lo schiavo è una bestia e la sua riproduzioneassomiglia a quella delle bestie addomesticate. Ogni gregge ha pochi arieti e molti agnelli. Lo stesso si riscontra nella comunità degli schiavi. Sul mercato le femmine in età riproduttiva sono i pezzi più pregiati.
L’impiego prevalente degli schiavi è nei lavori pubblici. Bertold Brecht si chiedeva retoricamente: “chi costruì  la Tebe dalle sette porte?”. Ora sappiamo la risposta.
CONCLUSIONE
Bene, dopo amish, zingari, pellerossa e donne abbiamo fatto il “caso generale”, abbiamo individuato il “progresso umano per eccellenza”, ovvero il passaggio dalla vita “breve, violenta e brutale” alla vita “sicura” all’interno delle mura statali. Il passaggio dalla barbarie alla civiltà. Ma l’esito non sembra cambiare: nessun “barbaro” ha inteso o intende di fatto “progredire“, non solo, le sue ragioni per resistere sono più che solide e ben comprensibili anche a noi, lo abbiamo appena toccato con mano!
Conclusione: dopo questa passeggiata nella storia i dubbi che il Progresso sia un mito permangono e si rafforzano. Forse siamo stati davvero rapiti e confinati su una barca nell’ oceano, e ci permettiamo di dubitare se qualcuno ci fa notare che l’evento costituisce un progresso per il semplice fatto che non scendiamo da quella barca per tornare a casa di corsa.
civiltà