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lunedì 28 novembre 2022

 Bigino di storia della Sinistra italiana post-bellica.


L'Italia ha avuto due sinistre: una sovietica (stalinista) e una cinese (maoista). La prima fu rappresentata dal PCI, la seconda dai sessantottini e da molta sinistra extraparlamentare. Francamente, non saprei dire perché i secondi si innamorarono della Cina, probabilmente solo per contrapporsi al PCI e scavalcarlo a sinistra.

La prima, previo consulto con Stalin, prese atto della mancanza di condizioni oggettive per una Rivoluzione italiana e collaborò alla Costituzione ponendosi l'obbiettivo di instaurare un regime socialista tramite una "democrazia progressiva". Per questo la nostra Costituzione, nelle mani di buoni legulei, è compatibile con un regime sovietico (e per convincere i pignoli basterebbero lievi revisioni). La seconda fu invece utopica e rivoluzionaria, propugnò dapprima l'illegalità diffusa (nelle università) e dopo il vero e proprio conflitto armato con e istituzioni. I terroristi parlavano della resistenza partigiana come di una "rivoluzione tradita", e nella loro testa il traditore era il PCI "staliniano".

La sconfitta del terrorismo mise fine alle utopie e il crollo del Muro mise definitivamente fine al progetto già "bollito" di democrazia. Da allora la Sinistra si è dovuta reinventare. Poiché la sconfitta intellettuale più cocente fu in ambito economico, ha cercato, almeno su questi temi, una silenziosa conversione mentre andava chiassosamente rimarcando la sua originalità in tema di "diritti". Nel solco dell'amato leader Berlinguer, ha puntato molto sulla "superiorità morale", che scalda i cuori dei militanti ma la rende inevitabilmente antipatica agli altri.

Oggi è stretta tra due fuochi, vine accusata al suo interno di "tradimento" sul versante delle politiche economiche e di "irrilevanza" su quello dei "diritti". Francamente, non saprei davvero quali siano le alternative: tornare ai vecchi paradigmi sarebbe fallimentare, a meno che ci si rassegni a una presenza folkloristica.

C'è poi una Sinistra liberale - anche di stampo cattolico - che qui trascuro perché mi sembra meno caratterizzata. Né carne né pesce. Ha fondamentalmente accettato il paradigma liberale cercando di innalzare il più possibile quella rete di protezione che, a un livello minimale, anche molti liberali classici concedevano. Il suo obbiettivo è stato quello di passare da una "rete per gli ultimi" a una "rete per i penultimi" e così via fino ad includere 3/4 della società. Ora punta ai 4/5. La moltiplicazione delle regole, la paralizzante pressione fiscale, l'inflazione in doppia cifra e il debito insostenibile sono gli effetti di questa mentalità diffusa. 

sabato 24 novembre 2018

I GUAI DELL’ITALIA (nel dopoguerra)

I GUAI DELL’ITALIA (nel dopoguerra)
Gli economisti hanno un numeretto per capire subito lo stato di salute di un paese, è uno strumento essenziale, equivale al termometro per i medici. Si chiama “indice di produttività”. Per chi ha fretta nell'esprimere giudizi non serve altro Per chi ha fretta nell'esprimere giudizi non serve altro che un'occhiata a quel numeretto.Guardandolo è chiaro quando sono iniziati i nostri guai: dalla metà degli anni settanta. Da allora quel numeretto si è tristemente appiattito cessando di elevarsi.
Ma cosa è successo in quel periodo? Essenzialmente due cose: schock petrolifero e rivendicazioni salariali. Non ci si puo’ lamentare di eventi del genere, sono cose che succedono, forse, nel caso delle rivendicazioni, è persino giusto che succedano.
Solo una precisazione per evitare equivoci. Quando si parla di petrolio non si parla di quisquilie: il petrolio è in tutte le materie prime e in tutte le lavorazioni, fosse anche sotto forma di energia. Quando invece accenno alle rivendicazioni salariali non mi riferisco a uno che chiede l'aumento ma a veri blocchi della produzione, a un fenomeno esteso e a tratti contiguo persino al terrorismo.
Roba seria, quindi.
Come si reagisce in questi casi?: si cambia. O meglio, si innova. Questo dicono i manuali.
Come si è reagito invece?: svalutando la moneta e sussidiando in questo modo le imprese che continuavano così a fare quel che facevano prima. In più, per non avere guai con il sindacato, si è esternalizzato verso microimprese non sempre modello di efficienza.
Si tratta di soluzioni a breve respiro, e quando è subentrato il fiato corto si è ripiegato sul debito (gli anni ottanta del CAF).
Ma perché non si è seguita la via maestra? Perché la via maestra è dura: innovare significa distruggere gran parte di cio’ che esiste e intorno a cui abbiamo costruito la nostra vita.
Le ferite del cambiamento le conosciamo bene perché in passato abbiamo innovato pure noi. Nei decenni del boom (l’indice di produttività cresceva) abbiamo cambiato passando dai campi alla catena di montaggio, ma questo ha significato migrazione di massa dal Mezzogiorno, per esempio. Vi sembra un gioco da ragazzi migrare? Nemmeno “accogliere” lo è, figuratevi migrare. Il trauma è stato tale che ci si è costruita sopra buona parte della letteratura italiana dell'epoca, quasi a dire “mai più”. Le stesse parole usate per Auschwitz. Letteratura significa cultura, una cultura in buona parte anti-modernista. E’ chiaro allora perché un paese più ricco (e più bamboccione di prima) recalcitra di fronte ai nuovi cambiamenti? Uno si chiede: perché devo trasferirmi? perché devo riciclarmi? perché devo traslocare? perché devo reinventarmi? perché-perché-perché… Non si puo’ farne a meno? Non si puo’ rinviare? Vale per tutti questa perplessità, anche se per gli italiani un po’ di più.
Ma la consapevolezza di aver imboccato in precedenza delle scorciatoie c’era, tanto è vero che negli anni 90, complice una grave crisi che ha inaugurato il decennio, siamo “entrati in Europa”. Di fatto questa mossa esprimeva l’impegno, preso innanzitutto con noi stessi, a non “barare” più: basta con i mezzucci, basta con la svalutazione, basta con le baby pensioni, basta con la spesa pubblica per tamponare il malcontento, basta con il debito facile.
Non si puo’ dire che l’impegno sia stato mantenuto come era lecito attendersi, abbiamo sempre viaggiato sul filo del rasoio, e in più qualche errore per eccesso di rigorismo monetario – parere mio – è venuto anche dall’Europa.
Il governo attuale, devo ammetterlo, non mi piace molto, ma non perché sia al momento responsabile di qualcosa o abbia combinato chissà quali guai, non perché di fatto abbia cambiato radicalmente rotta rispetto al passato. Solo perché quando sogna nuove svalutazioni e nuovi debiti, quando agisce spronato dalla retorica “sovranista” non sembra ben consapevole della nostra storia passata e dell'origine dei nostri guai. In passato si faceva e non si diceva. Ora si fa e si dice! Ebbene, senza la dovuta consapevolezza, almeno quella!, i guai potrebbero aggravarsi.
In questi casi benedetta sia l’azione degli speculatori e la loro capacità di dare la sveglia anche agli smemorati, anche alle “belle addormentate” o “finte tonte” che siano.

lunedì 19 luglio 2010

Storia d' Italia

Limitiamoci alla storia finanziaria.

Limitiamoci alla storia dagli anni sessanta.

Limitiamoci ad una storia con un solo "cattivone" (il centro-sinistra).

Limitiamoci alla storia che più riesco a condividere.

Ecco, con tutti questi limiti, la migliore che riesco ad immaginare è all' incirca così.

mercoledì 22 aprile 2009

Il 25 aprile come festa pagana

Torna il 25 aprile con il suo strascico di discussioni che molti giudicheranno noiose. Io però le trovo stimolanti.



LARUSSA 1: con i partigiani commemoriamo anche quei repubblichini che in buona fede credettero di servire la Patria.



E no, caro Larussa... c' era una "parte sbagliata" ed una "parte giusta". Per chi ritiene che una normale intelligenza fosse in grado di operare la distinzione, la "buona fede" conta poco.



LARUSSA 2: evitiamo di commemorare quei partigiani socialisti che combatterono per instaurare un altro regime [... praticamente la stragrande maggioranza...].



Adesso ci siamo! Teoricamente questa è la via giusta, per quanto impraticabile.



Ieri a Ballarò se n' è discusso.



Ho evitato di ascoltare i politici: avendo il dovere di perseguire la "pacificazione" sono continuamente alle prese con "nobili bugie". Ma quando la palla è passata a Paolo Mieli, storico oltrechè giornalista, ho sturato le orecchie.



Mieli nega il suo beneplacido anche a L2. Molti di quei partigiani, osserva, erano in "buona fede" e credevano di battersi per un nobile ideale: il sol dell' avvenire.



Ma la "buona fede" non l' abbiamo messa da parte censurando L1? Non devo neanche ricordare che il Fascismo al suo nascere seduceva molti proprio per il nobile ideale che incarnava. Questo vale per tutte le ideologie che flirtano con il romanticismo e la rivoluzione.



Vabbè, insiste Mieli, lasciamo pure perdere la "buona fede" e l' idealismo, diciamo allora che quei Partigiani erano dei giovanotti (20-23 anni) privi di una vera "intenzione", agivano governati dall' istinto.



Noto solo che festeggiare l' azione di uomini privi d' intenzione è un po' come festeggiare un evento atmosferico: piove! facciamo festa. Il 25 aprile si ridurrebbe ad una festa pagana.

venerdì 17 aprile 2009

La comoda categoria del "ritardo"

Della Loggia stronca Schiavone.



L' ex comunista ha tentato di dare un quadro politico dell' Italia tra Prima e Seconda Repubblica cadendo nel solito vizietto: assolvere i suoi amori giovanili. Proprio quegli amori che ancora oggi lo condannano ad un' "appartenenza" difficile da scrollare di dosso e causa di un resoconto tanto miope.



I TRAVISAMENTO



"... Schiavone non vede, a mio giudizio, fino a che punto il «congelamento politico» del Paese dal ' 48 in poi, la sua «sovranità limitata», la mancanza di alternanza, la memoria antifascista come unica matrice possibile dell' identità democratica, fino a che punto ognuno di questi caratteri negativi, che egli per primo richiama con forza, sia da ricondurre direttamente e per intero a null' altro che alla presenza nel sistema politico italiano del Partito comunista..."



In altri termini: il PCI non era semplicemente "in ritardo" sui tempi ma un ostacolo formidabile ed inamovibile per la vita democratica di un paese moderno. La sua presenza ci ha condannato agli ultimi posti tra le democrazie occidentali in compagnia solo dei paesi che si sono liberati del fascismo negli anni settanta.



II TRAVISAMENTO



"... L' altro punto di disaccordo riguarda l' Italia post-Mani pulite, che Schiavone considera conquistata all' egemonia populista di Berlusconi. La realtà è che in queste pagine il berlusconismo appare molto spesso un alibi per non vedere che cosa è oggi (ma non da oggi) la società italiana. La quale, forse, più che farsi «berlusconizzare» dalle magiche arti del premier, è stata lei, io credo, a scegliere Berlusconi per essere ciò che voleva essere. Ciò che voleva continuare ad essere dopo la grande trasformazione antropologico-culturale degli anni Settanta e Ottanta..."



III TRAVISAMENTO



"... per evitare che la sinistra possa incorrere in una ulteriore, sgradevole, chiamata in correità e perdere così anche la sua presunta natura alternativa alla destra, Schiavone non vuol vederele politiche di conquista del consenso sia a livello locale che nazionale, la sindacalizzazione dell' impiego pubblico, la degenerazione della giustizia, il permissivismo scolastico, l' evasione fiscale assolutamente generalizzata, la lottizzazione e l' antimeritocrazia dappertutto, il moralismo dipietrista, la divulgazione di tutte le più idiote mitologie modernistico-massmediatiche, le «notti bianche», i premi Grinzane-Cavour, i «vaffa day» e così via..."



Con queste premesse mi sembra non resti che attendere il consueto e trionfale passaggio senza contraddittorio di Schiavone sui tappeti rossi di Fahrenheit e di Augias, tanto per citare due covi dove da anni fa come se fosse a casa sua...

giovedì 8 maggio 2008

Mitologie veltroniane

Anch' io voglio contribuire con un microscopico "mito" recentemente rivitalizzato da Walter Veltroni. Il neo trombato (che ho votato, ma solo alla Camera) gonfiava il petto proferendo con solennità: il miracolo economico italiano è da attribuire in larga parte al centro-sinistra.

La cosa non è poi così secondaria visto che, appassito il boom, tutto la restante storia dell' economia post bellica italiana puo' essere archiviata nel file "declino".

Ma la realtà sembra parlare altrimenti: il miracolo durò fino ai primi sessanta proseguendo poco oltre per inerzia, e le date sembrano confermare questa antitesi.

La lira vinse l' oscar della migliore valuta nel 1960. La produttività ebbe il suo balzo tra il 58 e il 61. L' export, dal 53 al 57, schizzava di un 15% annuo; e la produzione industriale quasi di un 6% (peccato che la Germania ci freghi, altrimenti eravamo i migliori d' Europa). Inflazione? Tra il 51 e il 61 il tasso medio fu del 2.8%. Più che accettabile. Nel 1963 disoccupazione ai minimi rispetto ai precedenti 50 anni (2.5% di media). Nel 57 aderiamo al MEC, ottima scelta.

Non parliamo dei simboli: 500, 600, grattacielo Pirelli, metropolitane, autostrada del sole... Tutta roba passata quando il centro sinistra emise il primo vagito.

Con il centro sinistra arrivò invece la crisi, pudicamente battezzata "congiuntura". E con quella il monopolio dell' energia elettrica stabilmente arpionato nelle grinfie statali che ancora adesso stentiamo a disincastrarlo da lì.. E l' esempio riscosse entusiasmo visto che da allora l' economia cominciò a nazionalizzarsi ad una velocità pari solo alla sua corruzione, così come cominciò la fuga dei capitali e l' impennata di spesa pubblica. Altro semino importante fu amorevolmente piantato dai proto-veltroniani: un bellissimo sistema previdenziale a ripartizione. E' così che il nostro welfare cominciò a contorcersi dovendosi realizzare a suon di baby pensioni e pensioni d' invalidità. Era l' unico canale.

Un capitalismo del genere sta in piedi finchè c' è da "copiare", quando c' è da "innovare" perde colpi. E infatti nei settanta e ottanta resse solo grazie alle supposte svalutative, inflattive e debitorie.

A sinistra i liberali erano circa 5. Ernesto Rossi + i 4 gatti del Mondo. Non influirono molto circondati dalla massa per la quale il Capitalismo è molto meglio disintegrarlo che cambiarlo.

A Veltroni lascio i miti del centro sinistra fanfaniano. Io preferisco puntare su un' altra squadra, mi sbilancio con una formazione di calcetto: De Gasperi, Einaudi, Menichella, Merzagora, Pella, Vanoni, La Malfa... e anche un certo Marshall all' ala.

Bottom: in un recente articolo sul Sole di cui conservo un ritaglio, Carrubba riesponeva questa storiella in modo molto più professionale, ho pensato bene di fregargli un po' di numeri.

P.S. mi fanno notare che archiviare tutto il resto come "declino" è esagerato. Vero, il Veneto usciva dalla guerra nelle condizioni della Campania. Oggi è la regione più ricca del Paese, o quasi. Durante il boom ancora esportava emigrati. E allora quando ha costruito la sua ricchezza? Direi a cavallo tra la fine dei settanta e gli ottanta. L' ha fatto però grazie alla flessibilità della micro-piccola-media impresa e "contro" la politica. Il Veneto è solo un paradigma dell sviluppo nordestino. Parallelamente va citata anche il brillante caso dell' Emilia Romagna, che non è poi così differente.

mercoledì 2 aprile 2008

Problemi con il dibattito elettorale? Una ricettina storico-economica per cavarsi d' impaccio

Sole 2.4.2008. Alesina compendia in quattro righe la storia economica dell' italia post-bellica. Ah, come mi quadra. Ottima micro lettura per chi continua a parlare di "declino".

"...l' italiano si era abituato al boom degli anni 50 e 60, un boom prolungato artificiosamente dall' indebitamento e dall' inflazione degli anni 70, 80 e parte dei 90; sciagurate politiche pensionistiche e assistenzialismo al Sud, nonchè politiche distorsive sul mercato del lavoro hanno contribuito a creare un senso di eccessiva sicurezza basato su castelli fiscali di carta. Da qualche anno [grazie ai vincoli monetari e fiscali assunti in sede europea] i nodi sono venuti al pettine. Ed ecco il declino economico [che da sempre cova ma solo oggi è visibile]..."

Direi che manca solo una mazzatina al centro-sinistra degli anni 60, ovvero a quella forza politica che semino' leggi (pensioni, lavoro...) che più tardi contribuirono al dissesto.

Tutto bello e fila bene. ma forse facciamo i conti senza l' oste: avevamo in casa il Partito Comunista più forte d' Europa, e per le strade il terrorismo rosso aleggiava quando non imperversava.

Con un bubbone del genere Andreotti ha gioco facile nel dirci: voi, con tutta la vostra spocchia, non avreste potuto far di meglio.

Ma veniamo alle ricette. Per alzare i redditi il Prof. illumina alcune vie e io ci aggiungo del mio.
  1. Alzare la produttività: lavoriamo troppo poco e troppo in pochi, aliquote differenziate per le donne (ndr molto meglio differenziare i contributi, vedi punto sotto), altri incentivi ad entrare nel mondo del lavoro.
  2. Abbassare le tasse: finanziare la misura alzando l' età pensionabile e agendo sul pubblico impiego (pre pensionamenti, mobilità...).
  3. Alzare i salari puntando sull' innovazione incentivata dalla concorrenza.
  4. Alzare i salari contenendo l' inflazione mediante deregolamentazioni (es. grande distribuzione).
  5. Alzare i salari colpendo la classe dei privilegiati mediante abolizione della contrattazione collettiva e introduzione di un contratto unico.
  6. Add1: vendere i gioielli di famiglia e fare cassa con quelli.
  7. Abbassare gli oneri contributivi e dirottare la differenza su altri pilastri previdenziali.
  8. Add3. Le solite riforme, scuola, giustizia...
  9. Liberalizzazione delle utilities.

lunedì 10 marzo 2008

Ricchi per sempre?

L' ultimo libro di Pierluigi Ciocca ha il merito di darci le proprorzioni della recente crisi di produttività che attanaglia l' Italia (nel 2000 la produttività congiunta dei fattori è diminuita). Le si possono sentire anche qui al minuto 17.15. Cio' è meritorio e ci sottrae dalle urla catastrofiste del politico di turno.

Inoltre, la meticolosa analisi della storia economica italiana dal 1796 ad oggi, mette in luce i 4 fattori che sono centrali per lo sviluppo economico del nostro paese (vedi link di cui sopra al minuto 18.45):

  • infrastrutture materiali;


  • infrastrutture giuridiche;


  • concorrenza e dinamismo d' impresa;


  • finanza pubblica in ordine.


Volgendosi alla parte più prettamente storica, si nota come lo sviluppo italiano è sempre stato determinato da grandi emergenze. Sembrerebbe quindi che da noi le strategie "starve the beast" siano destinate a funzionare. Si analizzano alcune fasi ben precise.

  • Il decennio post-unitario e la politica della Destra Storica.


  • Il decennio giolittiano.


  • La politica economica della Ricostruzione (Einaudi-De Gasperi).


  • Il superamento della crisi mirtifera del 1992 (Ciampi).


Salvo poi scoprire che, eccezion fatta per il periodo della Ricostruzione, non si puo' dire che gli altri periodi siano caratterizzati da virtuose politiche di sviluppo, semmai da un risanamento dei bilanci nazionali, quasi sempre orientato sul fronte delle entrate. Le grandi spinte allo sviluppo arrivarono acchiappando al volo occasioni che spesso provenivano da fuori. Due esempi: rivoluzioni tecnologiche nel campo dello sfruttamento energetico, Piano Marshall e inserimento nel circuito delle economie capitaliste.



Scarso da noi il contributo del capitalismo privato.

sabato 8 marzo 2008

Centro-sinistra e miracolo economico

L' associazione recentemente proposta da Veltroni è fuorviante e consente a Salvatore Carrubba una messa a punto sul Sole del 7.3.2008 p. 12.

Il boom fu generato da governi centristi, le date non lasciano scampo. Carrubba considera produttività, stabilità monetaria, export, produzione, supermercati, auto.

Gli illustri da riverire sono, secondo lui: Marshall, De Gasperi, Einaudi, Menichella, Merzagora, Pella, Vanoni e il primo La Malfa.

Al contrario, fu il centro-sinistra, a creare le condizioni di quella crisi che pudicamente andò sotto il nome di "congiuntura".

Non solo, molte leggi di spesa che oggi non sappiamo più come arginare (es. pensioni a ripartizione), furono forgiate nella loro impostazione di fondo da quei governi. Che lo Statuto dei lavoratori, poi, non sia questa gran conquista, oggi è molto più evidente. L' energia elettrica divenne un ferreo monopolio da cui non ci si liberò più, l' interventismo e la spesa crebbero.

Ciononostante il centro-sinistra mise nel piatto intelligenze liberali di primordine: Mondo e Rossi in primo luogo. Ma furono poco influenti visto che subirono l' emarginazione da chi il capitalismo non lo voleva riformare ma rovesciare.

cartellina blu

mercoledì 5 marzo 2008

Le grandi conquiste sociali

I difensori del '68 non fanno che rinfacciare a destra e a manca i preziosissimi parti di quella stagione. Il più mirabile sembrerebbe essere lo statuto dei lavoratori. In realtà non passa giorno che qualche autorevole voce (anche e soprattutto da sinistra) non si levi per chiedere che certi ingombri controproducenti siano spazzati via.

"...sui problemi del lavoro Walter Veltroni ha perso una grande occasione: proporre di abolire lo Statuto dei lavoratori (del 1970), tutto, non solo l' articolo 18, e sostituirlo con regole moderne..."

martedì 8 gennaio 2008

La superaciòn e l' infelicità italica



Alte tasse, bassa crescita e qualche notizia frustrante. Ecco il cocktail con cui l' italiano alimenta la sua infelicità.

mercoledì 19 dicembre 2007

Anatomia ottimista del male italico

Il male non esiste allo stato puro nella storia.

Ci tocca lo sforzo di discernere.

Per chi oggi non volesse imbrattarsi con le polveri del ventesimo secolo osservato di sguincio nella sua prima metà, restano pur sempre a disposizione gli anni settanta, il punto più basso della parabola italiana. Il momento in cui la nostra povera socità ha ricevuto in dono una tenacissima imbragatura che la atrofizza ancora oggi.

In una serie di trasmissioni li rievoca l' angosciato e scrupoloso Maurizio Zampa. Ogni puntata è dedicata ad un ospite.

Proviamo ad accompagnare questo sforzo radiofonico cercando di isolare nelle parole che ascoltiamo il sintomo in grado di segnalarci come il virus malefico di quella annata sia stato inoculato nella società.
















  1. 26/11 Marco Baliani,attore. Poichè nel corso delle lunghissime okkupazioni universitarie non si sa che fare e l' Assemblea è un luogo noioso dove si reitera continuamente uno sciatto ascetismo, nasce l' esigenza della creatività. Ma da una madre con un simile patrimonio genetico quali saranno le virtù dei figli?











  2. 27/11 Cristina Comencini, scrittrice Regista. I settanta come dio comanda: politica, politica...e politica. Senza capirci niente. Chi la sparava più grossa era "più avanti". Dell' amore si parlava di nascosto. Non stava bene. Al limite nei gruppi di autocoscienza femminile, dietro la cortina del separatismo corazzato richiesto dal rituale, qualche parola poteva sfuggire. Ma quanto opprimeva ed isolava la sicurezza offerta dalle famiglie borghesi. Per fortuna che durante l' occupazione delle case ci si imbatteva in qualche proletario in grado di slargare l' orizzonte rattrappito di noi figli di papa'.










  3. 28/11 Marco Belpoliti, saggista docente universitario. Esaltazione del dissenso e della sovversione continua. Ma il dissenso a tutti i costi porta dritti dritti alle castrazioni intellettuali tipiche del pensiero utopico. Naturalmente Pasolini come padre di tutti i dilettantismi ispirati. "Collettivo" era la parola d' ordine che configurava ogni azione e calcificava nei discorsi il "noi" come unico pronome ammesso.










  4. 29/11 Roberto Romei, avvocato e docente universitario di diritto del lavoro- Si parte subito sparati con la teoria dei Bisogni e la conseguente pratica dell' esproprio proletario rivendicato come momento creativo. Poi ci sono le solite femministe, che non dovevi sbagliare parola e stare in loro compagnia era come camminare sulle uova. Ma questo è folklore, presto Romeo trova la sua via e passa al sodo: illuminato da Rodotà e Giugni vede chairo cosa sia il diritto, non semplice riferimento per dispensare la giustizia, ma strumento per servire - pardon - per tutelare "interessi ben precisi". La politica - quindi la forza - al centro di tutto sempre. La macchina migliore per risolvere i problemi. Anzi, l' unica. La chiusa è sempre la stessa: tanti errori ma anche tanti sogni, tutti con un solo oggetto: la realizzazione in terra del socialismo. Ma non è più romantico un bel sogno pornografico? Per fortuna che la capacità di indignarsi contraddistingue ancora oggi l' appartenente al Movimento. Una capacità che però all' improvviso soffoca nei cavilli non appena deve giudicare il funesto retaggio da cui è nata.










  5. 30/11 Paola Mastrocola, scrittrice- Non le piace il "collettivo", predilige il "piccolo", il "limitato". Forse è già proiettata sul "gretto individualismo degli anni 80". Sogna con la poesia più visionaria e quindi difficilmente finisce nel crogiolarsi con l' ideale etico-estetico della società socialista. La politica le giunge origliando qualche TG dalla TV rimasta accesa, per il resto nemmeno si accorge di vivere negli anni 70. Se non fosse per l' incontro altamente istruttivo con l' atmosfera tra il burocratica e l' agghiacciante di un' Assemblea universitaria. Inoltre, non ne parliamo neanche, vuole scrivere e farsi capire. E' un imperdonabile istinto "produttivo" su cui i suoi colleghi artisti - impegnati a ciclostilare versi incomprensibili, quindi "contro" - non possono sorvolare.










  6. 3/12 Riccardo Iacona, giornalista- Dams, ovvio. Chi oggi ci parla dal microfono della TV di tutti, a 14 anni già faceva vita di sezione. In quel PCI dove la qualità contava, mica come quelli di oggi che lui ha smascherato in "Pane & Politica". Il meglio della vita intellettuale orbitava intorno a quel sole. E se il 77 lascia strascichi di incertezze è proprio perchè occasionalmente è arrivato a profanare quell' altare di Partito dove Iacona aveva assiduamente pregato ginocchioni. Poi l' incontro con la TV di tutti (Rai 3) e con i maestri di tutti: Barbato e Augias. Poi su, su, su. Fino a toccare quel bene comune di Santoro.






  7. 4/12 Ignazio Marino senatore, medico chirurgo- In pratica segue passivo il binario unico che lo assimila ai precedenti. Ha però la virtù diplomatica di ripetere gli slogan con contrazioni facciali che lo rendono sofferente impetrando il perdono. Quindi, l' aborto come conquista di civiltà ovviamente. Segue puntuale lacrimuccia di pragmatica tanto per dare il contentino. Le parole d' ordine sono rigorosamente vuote: "equità", "...chi ha ricevuto meno...". In effetti, avendo riconosciuto la pasta d' uomo, riempirle sarebbe superfluo. Gran finale per chi facesse il sordo e non l' avesse ancora capito: lui non è come tutti gli altri. Lui non fa un mestiere come tutti gli altri. Lui è un missionario e la sua è una missione. Forse la sanità italiana, così come la scuola, è troppo intasata dai missionari per funzionare a dovere.










  8. 5/12 Francesca Corrao, docente Lingua e letteratura araba Univ. Orientale di Napoli-










  9. 6/12 Marco Lodoli, scrittore-










  10. 7/12 Guido Dotti, Monaco Monastero di Bose-










  11. 10/12 Felice Casson, magistrato-










  12. 11/12 Gianni Dessì, artista-










  13. 12/12 Marzia Barbera, docente Universitaria-










  14. 13/12 Marco Tarchi, docente Universitario-










  15. 14/12 Marco Paolini, attore-










  16. 17/12/ Eraldo Affinati , scrittore -










  17. 18/12 Milena Gabanelli , giornalista - Laureata al DAMS, buono a sapersi. Abbiamo formalmente la conferma che non sa di cosa parla nelle sue pompate inchieste. Quelle che il più delle volte si concludono con un, "e allora?"










  18. 19/12 Stenio Solinas , giornalista -










  19. 20/12 Tonino Acclavio , operaio-










  20. 21/12 Tano D'Amico , fotografo