sabato 31 maggio 2008

Che questo mondo rimanga: lo visiteremo insieme alle api

Yves Bonnefoy: le assi curve


Il Poeta sputa sulla terra di Cerere e spalma quel fango sulla tua palpebra basculante. Puoi di nuovo dischiuderla e scorgere cose rinnovate in quella campagna francese dove sei invitato a guardare e a bagnarti nella pioggia.

Passa un bimbo e ridiamo

"...ci piaceva il suo modo d' essere in ritardo
ma come è permesso
quando il tempo cessa..."

Lo pediniamo stregati

"... andava dove non è più nulla che si sappia...
accompagnato da un' ape..."

Sprofondati nella verzura ci aggrappiamo al filamento magnetico di certe prossimità

"...così vicino era quel seno al bisogno delle labbra..."

le preziose sorprese non lasciano vuoti, deambuliamo ubriachi col cuore stracolmo

"...ramo scostato per l' oro del fico maturo..."

la scelta dell' arredamento, uno scoglio dove si sono infrante inaffondabili transatlantici, inossidabili coppie: doppiato

"...i nostri mobili erano semplici come pietre... ci piaceva la crepa nel muro... una spiga da cui sciamavano mondi..."

Un silenzio tutto speciale in quella campagna d' oltralpe da cui emergono voci mai parlate

"... sentivamo la voce che vuole che si ami... come la sentono i delfini giocando nella loro acqua senza riva..."

Se il riposo è costruito con quelle assenze, non c' è fatica che osi ancora esistere

"... dormivamo non sapendoci... e come cercava il sogno nei nostri sonni!..."

Finalmente una bocca che parla, un orecchio che ascolta...

"... le nostre fronti si chinavano una verso l' altra avide di parole che volevamo dirci..."

Il Consiglio dei poeti si scioglie, ha deliberato, la seduta è tolta...

"... o terra,
segno disarmonico, sentieri sparsi...
...che questo mondo rimanga,
malgrado la morte,
stretta contro un ramo ascoltava imperturbabile l' oliva grigia...
la foglia perfetta orlava l' imminenza del frutto...
e tutto restò immobile ancora per un' ora...
l' assenza e la parola restarono unite per sempre nella cosa semplice..."

Fu una notte in cui si moriva con diletto...

"...dileguarsi... come lucentezza e acqua lasciano la mano su cui fonde la neve..."

Timorosi di aver troppo osato recitiamo una filastrocca apotropaica...

"... che le parole non siano
un giorno questi ossami
grigi, che avranno beccato,
gridando, litigando,
disperandosi,
gli uccelli, nostra notte nella luce..."


Poi un urlo che arresta la gravitazione dei pianeti...

"... come cessa il tempo quando si lava la piaga al bimbo che piange..."

Professiamo ancora l' ardente follia della fiducia...

"... con le nostre voci che s' impigliano nel nulla a chiamare un bambino che dovrà venire dal nulla... che attraverserà il fiume del nulla passando di barca in barca... ignario delle rive... annodando lo ieri, nostra illusione, al domani, nostra ombra..."

Istruiti a dovere godremo della bella perdita...

"...tutto cio' che fu così nostro... ma non è che questo cavo delle mani, dove acqua non resta... e possa essere il cielo il nostro modo d' essere... con ombra e colori che si lacerano... con nubi frettolose che hanno viso di bimbo appena nato... lineamenti distesi... prima di subire l' aggressione del linguaggio..."

Dalla penombra a misura d' uomo della campagna, scorgiamo meglio la sorte degli degli spacciati...

"... sposto con il piede, tra altre pietre, quella larga...
che copre Vite, forse... Ed è vero: numerose ne brulicano qui...
che corrono da ogni parte,
cieche per improvvisa troppa luce..."

Passeggiamo senza fretta "... al ritmo lento con cui la pioggia evapora dall' erba..."

si è fatto tardi, è tempo di pregare...

"Alba! Accettaci una volta ancora..."

Piove sulla nostra indifferenza concentrata ad analizzare la ricchezza della folgore che si diffonde nel primo mattino.

Dal fiume quancuno ci osserva ad occhi chiusi...

"... pietre... a cui la corrente ha chiuso gli occhi nella stratta della sabbia..."

Noi retori, arrivati a questo punto della notte...

"... seguiamo la nuda parola con il disarmo e la fiducia dell' agnello a cui si reciderà l' arteria..."

Fermi a decifrare il messaggio dell' uggiosa pioggierella gelata dell' alba...

"... sillaba breve, sillaba lunga, esitazione del giambo...
mentre si prepara il respiro che vorrebbe accedere a cio' che significa..."

Tacere riposati nelle parole di una volta, quelle parlate assolvendo ad un dovere che oggi ci appare improbo... parole...

"... meravigliose e sorprendenti come la neve, quella che cade leggera e non dura..."

Ecco il mattino, alziamo grati gli occhi con un sincronismo senza premeditazione: "lancia il suo brillio finale una stella senza significati da porgerci".

Montiamo la guardia decisi a

"...non abbandonare le parole a chi cancella..."

a bruciarci le labbra non resta che quella parola... e pensare che...

"... avevamo creduto conducesse lontano il sentiero che invece si perde nelle evidenze..."

Poi Yves Bonnefoy mi guarda e con calma espressiva mi espone la sua teologia; si parla di un Dio che passa il suo tempo a stupirsi dell' uomo, a pregarlo in silenzio, a scrutarlo di soppiatto, ad invidiarlo...

"... lì dove il seno si gonfia nel marmo
si meravigliò dello scultore...

... guardando un artigiano accanirsi su un pezzo di legno per scavarne l' immagine del suo dio, dalla quale si attendeva che prosciugasse l' angoscia d' essere...
provò per questa goffaggine un sentimento nuovo... ebbe desiderio di andare presso di lui... nella materia in cui vacilla la speranza... e si appesantì in quel legno abbandonandosi in balia al sogno dell' artista maldestro... da quella nuova immagine attende la sua liberazione... greve è su di lui l' umile pensiero dell' uomo e greve è su di lui lo sguardo appassionato della sua creatura..."


Resi ipersensibili ai significati non osiamo tentare un congedo parlato...

"... ormai è come se le parole fossero un lebbroso...
di cui sentiamo da lontano tintinnare la campanella..."

venerdì 30 maggio 2008

Il bello e il brutto del pensarci su

Non pensare puo' essere bellissimo, per alcuni anzi è l' unica "salvezza".

Ma per noi mi sa che è tardi per ricorrere a quell' alternativa taoista, ormai la secrezione cerebrale la espelliamo d' istinto di fronte al minimo intoppo.

Allora meglio ogni tanto ricordare a se stessi le delizie di un pensiero ben costruito. SL dà parecchie indicazioni spassose.

In genere si parte osservando un fatto.

Non un fatto qualsiasi, un fatto "rilevante". Questo è un punto problematico su cui popper si scorna con Bacone, per noi è meglio procedere lasciando che i due se la vedano tra loro.

Amalia Miller, per esempio, ha osservato che se una donna (USA, ma anche Europa) posticipa di un anno la nascita del primo figlio, guadagnerà nell' arco della sua vita lavorativa il 10% in più.

Questo è un semplice fatto. Poi comincia la parte creativa, la parte in cui si formula una teoria. Ecco quella della Miller: la maternità costa (un casino).

A questo punto, a qualsiasi latitudine vi troviate, salta sempre su un tale che finirà con il pronunciare l' obiezione stantia: "ma la correlazione non equivale ad un rapporto di causalità!!".

L' obiezione non è molto costruttiva visto che il "pensatore" (economista?) di mestiere fa proprio quello che distingue la cause dalle correlazioni.

L' obiezione standard, oltre ad essere stantia, ci fa perdere il bello del pensare, ovvero la parte creativa. Gli stessi dubbi possono e debbono essere sollevati ma in modo creativo, ovvero con una teoria alternativa.

Di solito la teoria alternativa è una teoria in cui una terza variabile influenza entrambe le variabili sotto osservazione. Per esempio: una madre 24enne sceglie di fare un figlio subito e non a 25 anni perchè ha già capito che la sua carriera non sarà brillante.

Questa sì che è un' "obiezione" come dio comanda. In quanto tale ad essa si puo' rispondere. E Amalia lo fa, infatti non confronta madri 24enni con madri 25enni prese a caso, confronta le prime con madri 25enni che hanno abortito naturalmente (capriccio del destino) a 24 anni. Il differenziale del 10% è confermato.

Amalia non è soddisfatta, ora mette a confronto madri 25enni con madri 24enni che all' epoca usavano mezzi anti-concezionali. Il 10% è confermato. Caspità, ma questa è causalità!

Per fortuna l' obiettore non demorde: chi rimane incinta nonostante l' uso di anticoncezionali è probabilmente una persona trascurata e cio' si riflette sul suo stipendio. Anche questa è un' obiezione creativa, ovvero un' obiezione che: 1) dà piacere ideare (è creativa) e 2) è onesta, ovvero comporta oneri: deve essere confermata dai dati o confutata. Ma da quali dati? Bisogna "inventarsi" un esperimento in merito, non è facile.

Infatti Amalia accetta la sfida e si getta alla ricerca di un gruppo di donne che ha cominciato a cercare la maternità a 23 anni: alcune ci sono riuscite a 24, altre ci sono riusicte a 25. Il 10% è confermato.

La garanzia di aver trovato un nesso causale non esistono, ma questo è il modo corretto di procedere. E' anche il modo più "bello" poichè implica un momento creativo sia nella teorizzazione, sia nella confutazione, sia nell' ideazione degli esperimenti significativi. Landsburg dice che "ricordare ad un economista che la correlazione non è una causalità è come ricordare ad un chimico di lavare le provette". Io aggiungo che dimenticarsene priverebbe il pensatore della parte più divertente e fantasiosa della sua impresa.

Ecco un altro fatto: chi ha una figlia femmina ha anche maggiori probabilità di divoziare.

Questo accade praticamente ovunque nel mondo. Si va da un differenziale del 5% (USA) ad uno del 25% (Vietnam).

Teoria 1: avere delle figlie è causa di divorzio. le figlie sono meno desiderate dei maschi. E' la teoria degli economisti Dahl/Moretti.

Ma per formularla hanno sudato sette camicie dovendo respingere tutta una serie di alternative al fine di dimostrare un nesso di causalità.

OBIEZIONE 1: le persone di successo di solito non hanno figlie femmine e, visti i mezzi ingenti di cui dispongono, riescono spesso ad ammorbidire i conflitti di coppia.

RISPOSTA: la prima parte della considerazione puo' essere giudicata un fatto (le ricerche sono state condotte in modo abbastanza vasto: dai Presidenti degli Stati Uniti alla lista del Who's who... rinvio al biologo Robin Barker e al suo Sperm Wars), ma la seconda fa acqua da tutte le parti.

OBIEZIONE 2: quando la mamma è stressata aumentano le probabilità che partorirà una femmina. Ma la presenza di stress prelude anche al divorzio.

RISPOSTA: la prima parte dell' affermazione è un fatto. Ma con quattro conti che mettano assieme le probabilità ricavate dai numeri delle statistiche, si vede come questa teoria non è in grado di spiegare i differenziali osservati.

Per Dahl e Moretti è ora di passare al contrattacco. Basta limitarsi a respingere le obiezioni! Che abbelliscano la loro teoria con spiegazioni ragionevoli e creative tali da poter essere anche sostanziate dai fatti prodotti dal noiosissimo lavoro statistico. E allora:

PROVA1: le divorziate con figlie femmine difficilmente si risposano. Questo ci dice qualcosa a proposito delle preferenze del potenziale patrigno. E giù numeri.

OBIEZIONE MIA: forse le madri temono la presenza di un adulto vicino alle loro bambine, magari già un po' cresciutelle.

PROVA2: i genitori di una figlia hanno più probabilità di avere un secondo figlio. Questo fa luce su alcuni desideri della coppia. E giù numeri.

PROVA 3: il mercato delle adozioni parla chiaro. E giù numeri.

Qualcuno ha avanzato altre prove di tipo evolutivo: il divorzio colpisce l' autostima dei figli; i ragazzi con poca autostima diventano introversi, le ragazze diventano "facili". Bella questa! visto che è divertente oltre che responsabilizzante?

Altri puntano sulla parte economica: i maschi hanno più bisogno delle femmine di ereditare grandi patrimoni, questo perchè le femminucce ammirano la ricchezza del futuro partner più di quanto non facciano i maschietti e poi un maschio ha più probabilità di intraprendere.

Non ci sono prove inconfutabili, ma cosa c' importa? Il bello è "pensare" e aggiungere. E' talmente bello che ci compensa della noia necessaria relativa al lavoro che deve seguire: sostanziare con i fatti delle statistiche, della soria e dell' esperienza personale, perchè no?

Ma alcuni sono restii ad accettare una simile spericolatezza inventiva, temono ripercussioni problematiche sui valori e sulla società: non tutte le conclusioni sono innocenti.

Mi chiedo io, ma che c' entrano i valori con i fatti? I valori e i fatti viaggiano distiniti.

I miei valori son là, son parcheggiati altrove ed in luogo sicuro, mai nessuna teoria sui fatti potrà mai modificarli, sono in cassaforte.

Io non sarò razzista per quanto i fatti potranno un giorno dire che talune etnie soffrono di tare genetiche, cosa possibile.

Non sono sessista per quanto un giorno alcune teorie faranno risalire a fatti genetici la superiorità di un sesso su un altro in un certo campo, cosa probabile.

Così corazzato, posso buttarmi a capofitto e fare anche le ipotesi più azzardate, i miei valori stanno al sicuro in un' altra dimensione.

Ma è proprio questo che imbarazza molti scienziati (ideologizzati): per loro non esiste un' "altra dimensione", per il loro monismo questi fatti sono tutto. E' un piacere vedeli tirare il freno invidiando chi non è tenuto a farlo grazie al fatto di possedere un' anima.

La storia dell' uomo in un diagramma



Se proprio vogliamo scegliere, questo mi sembra buono. Misura la ricchezza pro capite nella storia ed è il trampolino da cui Gregory Clark prende l' abbrivio per la sua analisi.

Non è proprio tutta la "storia dell' uomo" ma andiamo dall' anno 1000 prima di cristo ad oggi. Mi sembra possa bastare come capacità di sintesi.

Concentrarsi sulle condizioni materiali dell' uomo fa storcere il naso a molti.

Hanno torto gli scettici: c' è ampia evidenza di come la ricchezza influenzi lo stile di vita delle persone.

Se so che il reddito del Btswana raddoppierà sotto deboli vincoli distributivi nel prossimo decennio, sono in grado di presumere i comportamenti sociali che andranno affermandosi (detto in soldoni, la società del Botswana si avvicinerà alla nostra).

Le previsioni economiche a lunghissimo termine, tutto sommato, non sono poi così difficili. Basta vedere come vive l' elite dei più ricchi oggi e pensare che presto quelle abitudini si allargheranno ai molti. E' stato così per secoli e molto probabilmente lo sarà ancora. Faccio solo un esempio e passo ad altro: il turismo.

Certo che se questo diagramma illustra veramente la "storia dell' umanità", allora si tratta di una storia molto semplice: basta capire cosa è successo negli anni dell' impennata.

Da notare che c' è una descrizione da associare all' impennata: Rivoluzione Industriale. Cio' significa che il grande salto è concentrato nel tempo ma anche nello spazio: Inghilterra fine 700.

Anche i libri di idee sono un po' gialli. Allora dirò solo che... GC non crede in uno schock, per lui qualcosa covava da secoli...

giovedì 29 maggio 2008

Pugili sentimentali

Eugenio Finardi questa volta ha fatto centro. Ma era difficile sbagliare mira attingendo alle atmosfere villoniane di Vladimir Vysotskji e alla tavolozza dell' Orchestra milanese Sentieri Selvaggi.

E alla fine c' è anche il colpo del ko.

mercoledì 28 maggio 2008

Razzisti in crisi d' identità. Ma la Prestigiacomo batte Borghezio?

Avendo gridato troppe volte a squarciagola: "fascista!!", mi sono accorto di perdere progressivamente il senso di quell' accusa.

Lentamente l' urlo si trasformava in un vacuo sbraitare e alla fine era persino controproducente avanzare quella contestazione; formulata in tal modo era la prova provata della mia superficialità.

Alla fine mi rassegnai: una parola dapprima tanto preziosa, era divenuta ormai inservibile.

Che peccato rottamare le parole, potremmo averne bisogno proprio nel momento in cui non le abbiamo più in magazzino.

Urgono contromisure.

Anche perchè la medesima sottrazione di senso si verifica per altri vocalizzi di solito emessi con un accompagnamento ragguardevole di decibel. Esempio: "razzista!!!".

E' imbarazzante il mutismo degli urlatori professionali che si esercitano con queste liriche. Spesso si tratta di gente che ha fatto dell' indignazione uno stile di vita.

Ma chi è un razzista? Forse è il caso di averlo chiaro almeno a se stessi.

Ipotesi 1 - Il razzista probabilista.

Razzista è colui che nella vita quotidiana, per adempiere al meglio i suoi doveri, discrimina le persone sulla base di intuizioni statistiche.

Per esempio: in USA la polizia compie i suoi controlli antidroga fermando molte più auto guidate da neri rispetto a quelle condotte da bianchi.

Non ravvedo razzismo: è risaputo che i neri spacciano più dei bianchi.

Volendone una conferma basterebbe constatare che gli spacciatori neri arrestati durante questi controlli pareggiano come numero quelli bianchi. Cio' indica assenza di pregiudizi (il gruppo meno controllato è incentivato a delinquere, quando si raggiunge un equilibro tra i gruppi significa che tutti i gruppi hanno il medesimo incentivo, in questo caso l' equilibrio è ottenuto esercitando una maggiore pressione sui neri).

A recriminare dovrebbero essere gli ispanici: la percentuale di controlli che subiscono è sproporzionata rispetto agli arresti.

Se l' Italiano diffida dell' albanse o del nigeriano è razzista? Dipende. Se l' albanese ha più probabilità di delinquere, no. Per dismettere il tono ipotetico e avere una risposta più concreta, basta basta farsi un giro nelle carceri italiane.

Difficilmente è razzista colui che manifesta un disagio per la vicinanza della sua residenza ad un campo ROM. La statistica lo salva dall' infamante accusa: costui ha più probabilità di subire un furto e le sue apprensioni sono giustificate.

Sarebbe meglio evitare l' accusa di razzismo a chi si limita a "ragionare bene". La polizia americana organizza razionalmente i suoi posti di blocco, perchè gettare fango su di lei?

Ipotesi 2 - Il razzista scientifico.

E' colui che nota differenze innate tra gruppi di etnie diverse.

Il razzista statistico non è un razzista, anche perchè spesso recrimina sulla sfortuna e sull' ingiustizia che deve subire chi comunque non rinuncia a considerare un "diverso", anzi un "peggiore".

Se la causa di certi comportamenti è ambientale, nessuno potrà mai accusarlo di razzismo.

Che dire allora del razzista scientifico? Secondo lui un nero ha delle tare proprio perchè è nero.

Penso che nemmeno lui sia un razzista.

Se uno scienziato rintraccia una caratteristica nel patrimonio genetico dei neri ed è in grado di dimostrare come quella caratteristica pregiudichi certe performances, cosa dovrebbe fare? Tacere? e' razzista solo perchè parla? Sarebbe assurdo.

No, nemmeno lo scienziato puo' essere considerato un razzista.

nella nostra ipotesi, l' unico modo per non essere razzisti è rinnegare il metodo scientifico. Troppo oneroso.

Ipotesi 3 - Il razzista giuridico.

E' colui che pretende di attribuire diritti differenziati a persone con caratteristiche diverse.

Mi sa che questa volta ci siamo.

Qui, secondo me, abbiamo a che fare con il vero razzista.

Poichè i neri hanno tare innate (o culturali) a loro deve essere prudenzialmente precluso a priori il diritto al porto d' armi. A tutti, in quanto neri. E per il loro bene.

Accogliendo questa definizione incappiamo in un evento spiacevole: molte politiche comunemente accettate possono definirsi "razziste".

Esempio: poichè i neri hanno certe caratteristiche loro proprie, è giusto privilegiarli con un vantaggio nell' accesso universitario. Un privilegio che spetta a tutti i neri. Per il loro bene.

Poichè le ragazze... è giusto che godano di diritti a priori più vantaggiosi rispetto ai ragazzi. Una garanzia che spetta a tutte. A priori. Per il loro bene.

Per quanto nitide, non so fino a che punto queste conclusioni siano accettabili.

Basta pensare ai casi concreti: la Prestigiacomo avrebbe una forma mentis di gran lunga più incline al razzismo rispetto a Borghezio.

Miri, Scrooge, Landsburg vs ric

La Miri non tollera gli "sprechi", è la sua filosofia di vita ed è anche la filosofia di vita che intende insegnare a chi le sta vicino. Siccome a starle vicino sono io, mi fa sempre una capa tanta.

Non tollerando gli sprechi ha anche poca stima degli spreconi e di chi li giustifica o li giudica senza la dovuta severità. Lo sprecone è un castigo di dio e la sua presenza va scongiurata.

Non c' è niente di peggio che chi tiene aperta l' acqua mentre va a zonzo per la casa con lo spazzolino da denti in bocca tentando di comunicare qualcosa farfugliando, oppure chi ha i suoi nirvana installandosi immoto nella doccia per venti minuti immobile sotto l' acqua bollente.

Richiesto di un parere a sorpresa circa l' eventuale educazione dei figli, rispondo istintivamente: "... sì... bè... lo sprecone... in fondo la cosa importante è che paghi quel che consuma per quel che vale... ehm...".

Risposta sbagliata!!: per la miri lo sprecone è deleterio per quanto paghi cari i suoi vizietti. E aggiunge con dedica: chi spreca acqua alza il prezzo dell' acqua e ad andarci di mezzo siamo anche noi poveretti.

Ho l' impressione che la miri odi gli spreconi e si disinteressi del tutto delle conseguenze economiche ma per tapparmi la petulante bocca una volta per tutte abbia tirato fuori la storia dei prezzi alti e di "noi poveretti vessati".

Scopro ora che la miri ha un alleato insidioso in questa sua crociata, trattasi dell' economista di Rochester Steven Landsburg.

Naturalmente, trattandosi di SL, l' alleanza si rinsalda "al contrario": SL, nel cap. 3 della sua ultima fatica è impegnatissimo nell' esaltare le mille splendide virtù dell' avaro, un vero eroe sociale.

Il mito di SL è l' Ebenezer Scrooge (prima maniera): la sua casa è misera e buia (la luce costa), il riscaldamento è al minimo (il carbone non lo regalano) e la sbobba se la prepara da solo con pochissima materia prima.

Dickens non simpatizza con lui e non se ne capisce il motivo: come si potrebbe accusare uno che tiene le lampade spente e salta praticamente i pasti, lasciando agli altri più combustibile da bruciare e più cibo da mangiare.

"... nessuno è più generoso dell' avaro, un uomo che pur avendo la possibilità di attingere alle risorse comuni sceglie di non farlo... la generosità del filantropo si riversa su pochi mentre la generosità dell' avaro si spande in lungo e in largo... Scrooge non è egoista, è avaro, ma l' avaro è un benefattore...".

Non c' è che dire, l' argomento di Landsburg è lo stesso della miri (rovesciato).

D' altronde bisognava aspettarselo: se la presenza di spreconi è una iattura per la società, quella di avari ne è la salvezza.

Ho l' impressione che sia la miri che SL abbiano preso una cantonata.

Partiamo da un punto: lo sprecone immette la sua ricchezza nel circuito del mercato facendo aumentare i prezzi, Scrooge la ritira facendoli diminuire.

Ma il livello dei prezzi influenza i nostri redditi reali che, per restare costanti, necessiteranno di essere ritoccati a livello nominale.

Detto in soldoni: la presenza di "spreconi" è la base su cui verranno accordati senza resistenza alla miri i suoi aumenti di stipendio, se prima aveva strappato certe condizioni riuscirà a ribadirle ritoccando il compenso nominale; al contrario, Scrooge tiene bassi i prezzi ma, così facendo, tiene bassi anche i redditi nominali.

Avevo già ascoltato una difesa di Scrooge. Ma in quel caso l' accettavo, non si trattava di una vera esaltazione bensì di una difesa da accuse sommamante ingiuste. Infatti è vero che Scrooge (statisticamente) non fa male a nessuno. Non per niente in quel libro, oltre a Scrooge, veniva difesa ad oltranza anche la figura dello "sprecarisorse". SL non potrebbe mai permetterselo. Quanto alla Miri, lei non ci pensa nemmeno.

martedì 27 maggio 2008

Un secolo in una settimana

In un secolo di duro lavoro, le nostre migliori intelligenze hanno partorito l' analisi della "domanda" e dell' "offerta". Mica male.

I frutti di un simile sforzo sono insegnati come routine nella prima settimana di un corso qualunque di economia.

Al termine di quella settimana si procede oltre con sempre nuovi argomenti.

Se le proporzioni sono queste, come pretendere che un novizio "riscopra", giusto con l' aiuto di un "facilitatore", cio' che è costato tanto sforzo ai "migliori" esperti della materia? Se vogliamo che languisca sull' ABC per un paio d' anni, forse abbiamo imboccato la via giusta.

Ma forse è meglio mettere sotto la cattedra una pedana bella alta e fare in modo che l' insegnante spieghi e l' allievo ascolti dal suo banchetto. Almeno nella fase iniziale.

Una volta che "sa", lo studente avrà anche modo, qualora sia realmente interessato alla materia, di "assimilare", di "penetrare a fondo", di trarne le implicazioni.

Non parlo da esperto, eppure l' intuito mi fa aderire alla posizione che Thomas Sowell descrive nei capitoli dedicati all' educazione del suo EWW.

Sarà perchè all' autoscuola non mi hanno messo sulla strada facendomi scoprire "per tentativi" come si porta una macchina nel traffico. E nonstante cio', sono un discreto pilota.

Per quanto l' empatia con TS possa traviarmi, rimarrei volentieri aperto anche alle pedagogie "discover by doing". E' così bello e onesto non giudicare a priori.

Rinuncio al giudizio a priori ma mi piacerebbe tanto poter perlomeno giudicare a posteriori, ovvero in base ai risultati.

Purtroppo il "giudizio in base ai risultati" sulla scorta di prove standard elaborate da soggetti indipendenti, è l' ultima cosa a cui ambiscono i sostenitori del DD. Va da sè che spesso l' esame finale è visto di cattivo occhio, come qualcosa di falsante e perturbante. Non parliamo poi dei test, vero demonio ingannatore.

Devo ammettere che questa renitenza è già un mezzo verdetto ai miei occhi.

La conoscenza non si giudica! Chissà se è vero.

Di sicuro, se non si giudica la conoscenza acquisita dagli allievi, non potranno mai essere giudicati nemmeno i professori. Ai maligni potrebbe cominciare a chiarirsi il fervore con cui una certa classe docente abbraccia i principi dell' insegnamento creativo.

Astenersi dal giudicare il docente in base ai risultati, non conviene a tutti. Qualcuno dovrebbe farsi sentire. I migliori potrebbero recalcitrare.

Conviene però alla parte sindacalizzata del corpo docente. Il motivo è cristallino: ogni differenzizione introdotta minerebbe la possibilità di avere sindacati coesi ed influenti.

Inoltre l' elite che più pesa nella classe degli insegnanti è anche quella più esperta, di lungo corso e saldamente inserita nel sistema. Perchè a quel punto della loro carriera dovrebbero spingere un sistema che premi i migliori anzichè gli anziani? Molto meglio procedere in modo che i fallimenti educativi non abbiano conseguenze su carriere già tanto avanzate.

TS parla della pedagogia creativa come di qualcosa che gli USA conoscono molto bene, forse è nata proprio lì. La sua levatrice probabilmente è stato l' influente filosofo John Dewey: bando al "teaching to the test" e via libera all' aspetto "socializzante" dell' insegnamento; la scuola doveva diventare una società in miniatura.

Già l' Unione Sovietica negli anni 20 e 30 si è dimostrata ricettiva rispetto al verbo, e il suo messia benediva il tutto con queste parole: "... quali meravigliosi sviluppi grazie ai metodi progressisti che il governo sovietico sostiene nell' ambito dell' educazione...".

La "partecipazione" dello studente "socializzato" mandava in brodo di giuggiole gli educatori progressisti.

Solo che spesso si traduceva in un insegnamento che dal "come pensare" svoltava pericolosamente verso il "cosa pensare".

Allora ecco lo studente sempre alle prese con una petizione, con una esaltazione di enfatici ideali, con una condanna per le brutture della guerra ecc. Il "cosa pensare", inevitabilmente, finiva per avvicinarsi molto all' ideologia del corpo docente, la quale tendeva stranamente a coincidere con quelle di lassù.

Purtroppo i risultati educativi non furono all' altezza e il regime si liberò in quattro e quattr' otto di quell' impostazione.

Lo stesso avvenne nella Cina maoista tra i 50 e i 60: via gli esami, esiti fallimentari e pronta restaurazione.

Ma Cina e URSS non avevano mica i sindacati indipendenti degli insegnanti! Potevano permettersi una provvidenziale marcia indietro.

Purtroppo le barriere tra scuola e società che Dewey voleva abbattere avevano una una ragione per esistere: la scuola non è una società ma un posto "specializzato" nel preparare chi deve entrare in società. Proprio come il simulatore all' autoscuola mi prepara a scendere in pista. Se non si tiene conto della differenza tra un videogioco e la realtà si finisce sempre fuori strada.

Per meglio considerare se sia possibile una valutazione significativa e standardizzata dello studente a posteriori, mi sembra la questione cruciale, sono di recente usciti due volumi che ho intenzione di leggere: questo e quest' altro. Sono forse destinato a ritirare il mio appoggio alla visione di TS? Ai posteri.

Colpi di stato linguistici

Nel leggere i saggi di Thomas Sowell, salta subito all' occhio quella che puo' essere considerata la sua missione: sventare i colpi di stato linguistici.

Le esperienze di vita pesano parecchio nelle riflessioni di TS. Ma quando si è accorto che il "suo avvocato" lo difendeva ricorrendo a distorsioni lessicali, gli ha revocato l' incarico sdegnosamente.

In quanto nero del ghetto, il "suo avvocato" era l' equivalente di cio' che alle nostre latitudini chiamiamo "Intellettuale Progressista". Evidentemente il Nostro pensava che la sua causa fosse talmente facile da poter essere difesa con schiettezza, senza impelagarsi nell' illusionismo parolaio.

Ma facciamo qualche caso in grado di parlare a tutti.

Quando IP bombardava TS dicendogli che "non doveva arrendersi alla dittatura del mercato", siamo già al cuore della questione linguistica.

Perchè mai dovremmo chiamare "dittatura" l' accordo consensuale tra due persone libere?

Non si capisce il motivo ma la presenza di un Terzo che imponga con la forza ai primi due un certo comportamento, tranquillizza l' Intellettuale Progressista. Con soluzioni del genere, contro ogni logica linguistica, costui sente scongiurati i rischi di dittatura.

Ma la tradizione che IP ha scelto di seguire lo rinforza in un atteggiamento del genere. Per un saggio storico di questo talento linguistico arretro ad una vecchia loro passione: I totalitarismi del socialismo reale. Questi regimi amavano definisri "Democrazie Popolari".

Naturalmente l' ultima cosa di cui si occupavano era il Popolo.

La sparizione del senso immediato è utilissima: impedisce di discutere nella sostanza, il che è assai temibile per chi vuole evitare il fastidio dei "fatti".

Se un barbone diventa un homeless, eccolo trasformato da ozioso scansafatiche in qualcuno che dobbiamo proteggere.

Se ci riferiamo ad una palude con l' espressione "territorio ad alta biodiversità", significa che, qualora quel terreno fosse di tua proprietà, rassegnati: ora non lo è più. Te lo abbiamo sequestrato con un "colpo di stato" linguistico.

Se non hai le carte in regola per fare qualcosa (sul lavoro, nello studio, nell' accesso al credito), non preoccuparti. L' IP saprà trasformarti. Diverrai qualcuno a cui l' "accesso è negato"! Delle opportunità ti sono state sottratte e tu nemmeno te n' eri accorto. Per fortuna che ci sono i tuoi amici "democratici".

I media progressisti, esempio classico la BBC, nel corso della guerra in Iraq, raccomandavano agli inviati di non riferirsi a Saddam Hussein con l' appellativo di ex-dittatore. In caso contrario ne avrebbe sofferto la "neutralità" della TV. Chi se ne importa se Saddam fosse un dittatore e si doveva ricorrere ad una truffa linguistica, ci sono cose che vengono ben prima rispetto all' ascoltatore.

E in questa strategia truffaldina la BBC non operava sola: i principali media americani, ma basterebbero la Bottero o la Gruber, sostituivano alla parola "terroristi" quella di "insorgenti" mentre i "facinorosi" e i "teppisti" diventavano "dimostranti".

Se parlo di truffe e non di ambiguità è perchè le distinzioni sono palmari: la resistenza non si pone come obbiettivo i civili, non fa scoppiare le bombe al mercato nell' ora di punta, non filma lo sgozzamento di un giornalista non schierato. Una distinzione che non puo' certo scalfire chi è solidamente catechizzato alla neutralità gruberiana.

Il fatto che la "neutralità" strida con l' "oggettività" è secondario. Al giornalista gruberiano è stata data la parola e con quella deve costruire il mondo buono dove noi potremo abitare in futuro.

E tu che credevi di aver di fronte un umile cronista solerte nel riportare la notizia. Macchè "umile cronista"! Avevi di fronte un intellettuale a tutto tondo impegnato in prima persona nel forgiare il Mondo Nuovo.

L' oggettività non richiede neutralità così come l' onestà cronistica non richiede di assumere linguaggi ideologici. Al contrario, neutralità e truffa non possono fare a meno l' una dell' altra.

Il giornalista alla Rai Tre eredita una tradizione ben radicata di questi imbrogli, basta risalire alla guerra fredda e rispolverare un taboo giornalistico ricorrente: riferirsi all' occidente come al "mondo libero". Non sia mai.

Peccato che i giochi linguistici non siano semplicemente giochi. Rappresentano un assalto al potere. Mediante la vuota retorica è possibile acquisire potere eludendo fastidiose questioni di sostanza.

lunedì 26 maggio 2008

Razzisti in affari

Chi ha paura di Rosa Parks? Ma soprattutto, chi era costei?

RP sfidò le leggi di Jim Crow in Alabama rifiutando di alzarsi dal sedile del bus per fare posto ad un bianco. Dai tumulti seguiti a quel gesto impreveduto prese avvio negli USA la grande stagione dei diritti civili che infiammò il Paese negli anni 50 e 60.

Bisogna sapere che sui mezzi pubblici i bianchi avevano una serie di privilegi. Qualcuno potrebbe pensare che cio' fosse una forma con cui si manifestava il "razzismo" sudista. Ma sarebbe sbagliato fermarsi qui, dietro, come spesso capita, c' è una storia molto più interessante.

Per fortuna che c' è anche TS a raccontarcela a p.386 di EWW.

Si consideri allora che: 1) sentimenti razzisti erano da sempre diffusi al sud e 2) il provvedimento dei posti riservati ai bianchi risaliva solo ai primi del '900. Si resta un po' basiti. Come mai interi secoli di KKK senza "posti riservati"?

Sembra chiaro: non esiste un legame solido tra "razzismo" e "posti riservati".

Chi vede nel governo la soluzione di molti problemi sarà sorpreso di apprendere che, in questo caso, il governo sta alla radice del problema. Chi legge gli editoriali di TS, sarà invece molto meno spiazzato.

Nell' Ottocento il trasporto pubblico era in mano a compagnie private e in un sistema del genere esistevano forti disincentivi economici a praticare la discriminazione razziale dei passeggeri. I bianchi erano razzisti come e più che nel Novecento ma erano anche gente "in affari", desiderosi di massimizzare i loro profitti.

Jim Crow invece non era "in affari", non aveva nessun profitto economico da massimizzare. Cio' gli consentì, sfidando la dura opposizione della lobby dei trasporti (aiutato dal fatto che le compagnie private andavano assottigliandosi per far posto alla mano pubblica), di emanare le sue leggi in Alabama.

Ormai si sarà capito che chi dice "i soldi non puzzano", spesso non si rende ben conto di cosa dice.

Se il telegiornale dell' ammiraglia berlusconiana non ci fa il lavaggio del cervello ogni sera, forse lo dobbiamo un po' anche al fatto che "i soldi non puzzano".

La resistenza delle compagnie a Jim Crow non fu certo motivata dall' idealismo tipico del Movimento dei diritti civili. Eppure, finchè il sistema non fu tolto ai privati, garantì libertà assoluta al "consumatore" di colore.

Certo, Jim Crow doveva vedersela con il 14esimo emendamento nel quale si stabilisce il pari trattamento dei cittadini. Bastò un manipolo di scaltri giuristi per aggirarlo.

La morale di questa storiella potrebbe essere la seguente: le minoranze facciano scarso affidamento sui polici e sulla giustizia per la protezione dovuta, puntando questi obiettivi la loro causa durerebbe decenni; puntino invece su un mercato in grado di responsabilizzare chi vi agisce dentro, quello stesso mercato che ai razzisti faceva pagar care le pratiche discriminatorie, quello stesso mercato che raggiungeva esiti antitetici rispetto alla politica di Jim Crow e della Corte Suprema.

sabato 24 maggio 2008

Silvio... macchine usate e frigidità.

Silvio Pellico: Le mie prigioni.



Non capisco perchè insista ad imbarcarmi nella lettura di classici italiani dell' Ottocento, visto che ormai ho compreso quanto mi riesca insopportabile la gonfia retorica con cui vengono zavorrati.

Ora è la volta di Silvio Pellico. Uno dalla scrittura asciutta ed essenziale. Almeno stando alle varie "Introduzioni".

Invece l' effetto insiste. Evidentemente la retorica non è oggettiva ma solo "percepita". Strano, neanche questa scoperta mi sprona nella lettura.

Silvio è personaggio dall' insipida perfezione: si sente mancare come una dama senza ventaglio quando resta esposto ad un' ingiustizia perpetrata contro terzi.

Ma sa andare ben oltre: come un Cristo in croce cerca di considerare ogni giustificazione che sollevi i suoi aguzzini.

Quando pensa alla Libertà e alla Patria, non dico che pianga sempre. Ma come minimo...geme. Sì, geme. Geme di continuo. E' un pianto interiore e silenzioso, tossicchiato fuori, tradito appena da qualche nuova corrugazione nella geografia del volto, da sommovimenti sussultori delle spalle robuste.

Ricopre i suoi cari di tenerezze e li preserva da ogni dispiacere, a costo di sopportare sulla sua persona le aspre conseguenze di tanta magnanimità. Gli piace "pagare" di persona e correre a scriverlo nel diario.

Figuriamoci se c' è speranza che uno così tradisca. Hanno capito tutti la pasta d' uomo e rinunciano da subito alla tortura privandomi di pagine che, nel mio sadismo, lo confesso, pregustavo.

Io, da Silvio, una macchina usata la comprerei di corsa se l' avessero già inventata. Se fossimo circondato da Silvii, i notai farebbero la fame.

Dietro le sbarre s' immonachisce e, anzichè graffitare le pareti con disegnini e motti osceni, trascorre il suo tempo in una mestizia dolce, piena di pace e pensieri religiosi. Il secondino lo rispetta d' istinto, la sua persona emana un carisma inconfondibile.

Solo ogni tanto sopraggiunge qualche malattia. Niente di grave, dice. E intanto atteggia una smorfia con cui comunica al mondo intero l' esatto contrario. Con parole scelte dissimula ogni effetto per non impensierire chi lo circonda e attirare su di sè cure che sarebbero preziose altrove. Con la smorfia attira da ogni dove cure che sarebbero state più preziose altrove.

Silvio sembra avere un unico messaggio interessante da comunicarci: come alleviare il soggiorno carcerario.

E' l' unico momento in cui i toni altisonanti si smorzano. I grandi ideali ci danno tregua, ora si parlerà di "trucchetti", di bassi espedienti con cui ingannare il proprio spirito nelle lunghe domeniche carcerarie. Lo ascolto con l' attenzione che dedicherei a Silvan qualora il permanentato si decidesse una volta per tutte a tradire la deontologia.

Scopro che per stare bene bisogna affliggersi.

Spiegazione. Poichè il demone più insidioso che visita il detenuto è l' inquietudine, al fine di coprirne gli effetti ed annullarne il maligno lavorio, la cosa migliore consiste nel soffrire, ma, si badi bene, per la sorte altrui.

Nel consegnarsi ostaggio di una compassione universale sempre pronta a scattare, il proprio spirito sega le sbarre e si libera. Dopo aver preso una boccata d' aria, rientra in noi rigenerandoci.

Spirito... devo sempre concentrarmi in modo innaturale per farmi un' idea di cosa intendano con questa parolina questi uomini ottocenteschi che ce l' hanno sempre in bocca e nel calamaio. Dopo un tot di riflessioni a libro ed occhi chiusi mi sembra quasi di averlo capito. Ma mai del tutto. Fa niente, dopo quel tot prevale comunque l' esigenza di procedere ( ho voglia di sbolognare l' affare e sono solo al capitolo quadragesimoquarto).

Altro consiglione: evitare la rabbia e l' ira. Qui le dritte di Silvio convergono con quelle dell' SS di Buchenwald. Io e il quindicenne di "Essere senza destino" troviamo tutto ciò di grande buon senso.

Non un rigo dell' intera memoria puo' dirsi toccato da rinfrescante spirito umoristico. Questo è grave per un lettore del ventesimo secolo. Deprimente per uno del ventunesimo.

Ideale dedicatario di Piazze e Vie, i libri del Silvio sembrano privi di quell' asfalto che ci consenta di scivolarci attraverso altrettanto celermente.

M' impaludo, m' impastoio. Mi preoccupo di essere solo al "capitolo vigesimoottavo".

Sento che devo far uso della mia arma segreta: rinunciare a concludere e andare dove mi porta l' appetito. Prima tento ancora con brevi letture ad apertura randomizzata ma alla monotonia del random si associa la monotonia dei paragrafi.

Adesso calma e gesso. Mi si conceda qualche riflessione finale affinchè le diottrie lasciate in quel libro non debbano essere considerate completamente perdute.

Ho un po' preso in giro il Pellico eppure, sia chiaro, il suo messaggio è alto, nobile, condivisibile. Ma, per quanto vi aderisca, non mi emoziona sentirmelo riformulare in continue variazioni di cui mi sfugge la sottigliezza e mi investe la monotonia. Smetto presto di cogliere sia il contenuto che le variazioni.

A scuola era abbastanza noioso e, clamoroso!, è noioso anche a distanza di anni, anche dopo averlo "riscoperto".

Purtroppo è così: quello che mi sembrava noioso a scuola mi ammorba ancora oggi, con tutte le esperienze di vita e di lettura attraverso cui sono passato. Sembra un miracolo.

Sono grandi libri che non avevo capito ed ora posso apprezzare per il veritiero messaggio. Però, devo compiacermene, la loro pesantezza inerte l' avevo capita eccome.

Il linguaggio impiegato dista troppo dal mio cuore. Lo comprendo, riesco a "tradurlo" e a giudicarlo positivamente come ho appena fatto. Riesco a dominarlo. E' lui, purtroppo, che non riesce a dominare me, è lui che non riesce a sorprendermi scottandomi: ha ormai la distanza e la tipepidezza dei classici.

Ecco la mia definizione di classico: testo innovativo e che stabilisce un' ascendenza.

Se, nella limitata cerchia delle mie letture, penso ad una stirpe de "Le mie prigioni", penso alle catene della Hillesum, a quanto la naturale spiritualità cristiana di una non cristiana, sia riuscita a farle levitare. Ecco allora che al messaggio di Pellico si affianca la bellezza del buonumore nel Lager. Ma, poichè la bellezza non tollera connubi: sparisce il messaggio, resta la Bellezza. La furia di quella dea mi fa perdere il controllo, proprio quello che cerco aprendo un libro. Etty riscatta per me il debito con Pellico (abbandonato al capo settuagesimonono), mi prende per mano e mi estrae dalla frigida palude dei classici. Noi ce ne andiamo finalmente a leggere. Ciao.

venerdì 23 maggio 2008

Prezzi alti e prezzi in aumento. Dove s' incarta il grillo-naderismo

Non capire la distinzione tra livelli e incrementi, ci condurrebbe al punto di simpatizzare con teorie di successo propalate dal Beppe Grillo o dal Ralph Nader di turno.

Gli esempi sono innumerevoli.

Un brusco sbalzo nel prezzo della benzina fa guaire il nostro Beppe nazionale: siamo in mano ad un cartello di monopolisti collusi che ci tira il collo.

In realtà l' oscillazione dei prezzi dimostra proprio il contrario.

Il monopolista ci spolperebbe tutto l' anno tenendo fisse le condizioni di offerta, che bisogno avrebbe di ritoccare i prezzi? Perchè ci sfrutta ora quando poteva benissimo farlo anche prima? E' forse uno stupido che tutela con colpevole ritardo i suoi interessi di bottega?

Basta questa semplice osservazione per smontare logicamente le teorie grillesche. Ma sono osservazioni che vale la pena ripetere visto che il gregge di Grillo è numeroso e le sue conclusioni appaiono a molti come di buon senso.

Il busillis, lo ripeto, sta nel non distinguere tra "aumento dei prezzi" e "prezzi alti".

Altro esempio.

Negli USA, ma anche da noi, gli obesi sono in aumento.

Non chiedete nulla a Ralph Nader in proposito, la sua risposta, essendo sempre la stessa, è già nota: capitalisti avidi alla stregua di Mc Donald aumentano le loro porzioni disinteressandosi della nostra pancia che dilaga.

In effetti McDonald ha rivisto le poszioni: quella che era l' unica porzione standard di patatine, ora è diventata la misura "piccola".

Purtroppo un' osservazione del genere non dimostra ancora niente: io posso prendere una porzione grande e dividerla con la famiglia, potevo prendere due porzioni piccole anche prima, nulla me lo vietava.

Ma soprattutto, e veniamo al vizio di fondo che rende sospetto il naderismo: perchè quegli imbranati di McDonald si sono bruciati vent' anni senza ricorrere a questo genere di trucchetti a cui tutti noi abbocchiamo spinti da forze occulte e irresistibili?

Già, chissà perchè? Ma senza un perchè, sorge il dubbio che la gente, per qualche misterioso motivo, oggi voglia effettivamente porzioni più grandi.

Ci sono altri tentativi di motivare l' aumento degli obesi. Esempio: siamo più ricchi e molti non sanno come investire le loro risorse se non strafogandosi. Mmmm, non mi piace. Altro esempio: il welfare USA ora tutela gli obesi, anche sui luoghi di lavoro, quindi essere obesi è meno costoso che in passato. Oppure: esistono nuovi meravigliosi farmaci che curano l' obesità e l' eccesso di colesterolo, altri ancora e sempre più meravigliosi sono in cantiere. Rassicurate dalla scienza le persone allentano i freni. Oppure: i cibi sono molto più magri che in passato, anche questo ci fa perdere ogni prudenza.

Non si sa bene come spiegare il fenomeno. Si sa comunque che le ultime spiegazioni, diversamente dalla prima, sono costruite in modo logicamente corretto.

La spiegazione "naderiana" tralascia colpevolmente la distinzione tra "prezzi elevati" e "prezzi in aumento". Ma una leggerezza del genere non puo' reggere ad un esame minimamente accurato. Regge invece benissimo se supportata dall' ideologia.

Per avere un' altra caterva di esempi basta sfogliare il cap.9 del libro di SL, è molto prodigo di casi pratici e divertenti che illustrano l' errore standard.

L' utilitarista all' angolo

Steven Landsburg è un utilitarista, per lui la gran parte dei nostri problemi potrebbe essere risolta con un' analisi costi-benefici.

Essendo pure un liberista alcune cose lo imbarazzano, l' utilitarismo non va sempre d' accordo con la libertà economica. Il mercato fallisce. Per esempio, imporre per legge la RC auto sembra che produca un beneficio universale, la teoria lo spiega e la pratica lo comprova.

Ma questo non è poi così inquietante, in fondo prosperità e libertà economica vanno volentieri a braccetto. E' un colpo di fortuna per chi le ama entrambe. Le classifiche annuali del Fraser Instituite o della Heritage Fondaution ce lo confermano.

Se solo provassimo a sostituire le libertà economiche con quelle politiche (democrazia, libertà di parola, di religione ecc...), ogni legame si perderebbe. Non sembra che "beni" di tal fatta giovino granchè alla prosperità di un paese. Il "democratico" non puo' dunque dare molta corda all' "utilitarista", in molti casi è costretto a stringergli il bavaglio e a chiuderlo in cantina.

Ma anche l' utilitarista ha le sue gatte da pelare. Un suo motivo di imbarazzo risiede nella natura dei costi da mettere sul bilancino. Vanno considerati i "costi psichici"? Nulla osta a che lo siano, per quanto sia problematico isolarli. Ci si deve affidare a compromessi.

Queste difficoltà sono in parte superate grazie all' invenzione del denaro. Il denaro favorisce sia la misurazione che i compromessi: l' entità del denaro offerto terrà conto del costo psichico dell' offerente.

Ma allora i ricchi sarebbero avvantaggiati? Se i loro diritti debbono acquistarli, i loro vantaggi si attenuano di molto. Se la mia quercia ostruisce il panorama a Bill Gates, lui potrebbe costringermi a tagliarla ma questo diritto potrebbe costargli 500.000 euro. Procederei così entusiasta all' abbattimento.

Se il ricco paga i suoi privilegi, l' obiezione si indebolisce. Le preoccupazioni etiche riguardano essenzialmente la distribuzione iniziale dei diritti. In molti casi l' utilitarista è indifferente alla questione. Coase docet.

Altra riserva: pesare i costi e i benefici è molto pratico. Ma i costi e i benefici di chi? Dei feti? Dei morti? Degli agonizzanti con elettrocardiogramma piatto? Delle Mucche? Delle generazioni future ancora da concepire?

Si capisce che, per un inquadramento minimo, si debba ricorrere ad uno sfondo etico, non si sfugge. Ma la cosa è meno decisiva di quanto si creda, basterebbe passare alla trattazione concreta delle questioni per accorgersene.

Conclusione: l' utilitarismo è prezioso ma necessita di limiti. Il limite proposto da SL riguarda il bigottismo. Il bigottismo non deve mai essere tollerato, al di là dei calcoli utilitaristici.

Ma cosa deve intendersi per "bigottismo"?

Un esempio ce lo dà il "paradosso Posner": a te piace avvolgermi nel filo spinato e punzecchiarmi con una spada affilata. Purtroppo io non amo subire questo trattamento. Forzarmi sarebbe controproducente. Ma con un offerta di 100.000 euro potrei rivedere le mie posizioni. Entrambi potremmo essere accontentati e uscire felici da questa esperienza. Anche l' utilitarista è contento, meglio di così non poteva finire.

Ma facciamo un passo ulteriore: a te piace torturarmi solo se puoi farlo senza il mio consenso. Ecco il limite, siamo di fronte ad un "bigotto". Lo abbiamo superato e in questo caso per decidere non interpelleremo l' utilitarista bensì il moralista.

Il bigotto è colui che vuole forzare i nostri comportamenti senza pagarne un prezzo.

Io non voglio fare una cosa e non voglio che la faccia nemmeno tu. Michael Schiavo si rifiutava di tenere in vita Terry ma si opponeva anche a che lo facessero i genitori di Terry. In questa seconda risoluzione c' è un elemento di bigottismo.

Per saperne di più SL p. 283

giovedì 22 maggio 2008

La solita (saporitissima) zuppa

Nulla di nuovo sotto il sole: io sono uno sfigato, tu sei un angelo disceso dal cielo. La solita zuppa. Gustosissima se a condirla sono i Radiohead.

Alla sorgente del razzismo: la negazione dell' ovvio

Per favore, parlando di immigrazione si cerchi di evitare la retorica dell' "abbiamo bisogno di loro poichè svolgono mansioni che noi italiani ci rifiutiamo di adempiere".

Se di una cosa "abbiamo bisogno", lo decideremo valutando il costo. Come è possibile giungere a conclusioni simili trascurando i prezzi? Eppure lo si fa comunemente.

L' immigrato "ci serve". Ma anche ad un miliardario "serve" il jet privato. A me però non serve il Jet, ho una diversa priorità rispetto al miliardario.

Agli stipendi correnti, pochi italiani prenderebbero il posto dell' immigrato. Ma gli stipendi sono tenuti bassi proprio per la presenza degli immigrati (illegali). Da cio' si evince l' assurdità dell' espressione "... ci servono, fanno i lavori che noi non facciamo più...".

Se un' ordinata immigrazione è utile, non lo è certo per le ragioni assurde di cui sopra. Anzi, sarebbe auspicabile assistere ad un innalzamento della qualità migratoria. La cosa migliore sarebbe quella di ospitare una fuga di cervelli.

Di fronte ad un movimento del genio umano verso l' Italia, chissà come si spaventerebbe colui che tenta di difendere lo straniero con le giustificazioni appena esorcizzate.

E con cio' veniamo alla seconda questione: alcuni flussi migratori sono migliori di altri, inutile negarlo, alcuni immigrati appartenenti ad alcune etnie, danno meno problemi.

Puo' un' osservazione ragionevole essere tacciata di razzismo? Nessuno negherebbe che certe provenienze che si ambientano meglio, sono fonte di minori rischi e hanno l' integrazione facilitata. Nessuno negherebbe le difficoltà che incontra il poligamo desideroso di farsi esplodere al mercato per castigare gli infedeli nel nome del suo dio. Anche chi trova normale campare di espedienti (scippi, elemosina) offre una dura resistenza. Negli USA si conoscono bene le etnie che più tendono ad affidarsi passivamente al welfare: sono sempre le stesse da decenni. A proposito degli USA, si potrebbero fare altri sgradevoli esempi: Russia e Nigeria possiedono due dei governi più corrotti al mondo. Chi migra da quei paesi, le forze dell' ordine lo sanno bene, puntualmente mette in piedi delle forme di criminalità organizzata.

Eppure non è possibile dirlo a voce alta, figuriamoci se sia possibile agire di conseguenza, ovvero agire in modo ragionevole. Per esempio stabilendo filtri differenziati all' ingresso.

Esaltando forme fraudolente di "correttezza" si arriva a negare l' ovvio, non c' è altra strada.

Poichè l' ovvio è compreso anche dal cittadino più semplice, dal cittadino che sta alla base della piramide sociale, costui, oltre a subire sulle sue spalle la concorrenza dell' immigrato, deve pure sorbirsi le circonvuluzioni paralogiche dell' intellettuale democratico. Una tortura a cui non potrà resistere a lungo.

Bastonato e turlupinato finirà, quando va bene, per cessare ogni indignazione di fronte ad inqualificabili comportamenti razzisti.

Osservazioni del genere di cui sopra sono esplicitate da TS nel suo EWW p.51

La fabbrica degli autistici

Come se non bastasse si scopre che Thomas Sowell è anche l' anima di una fondazione a supporto dei bambini late-speaking.

Nel raccontare la sua esperienza focalizza il punto centrale dei suoi sforzi: raschiare via dalla fronte di questi bambini l' etichetta di "autistici".

Ci sono almeno due cause che motivano il suo zelo: la prima è perchè spesso non si tratta affatto di bambini autistici. La seconda è inerente ai danni che procura un simile merchio: deprime i genitori, incanala i bambini in cicli terapeutici estranei a loro reali bisogni.

Eppure sono in molti i professionisti affezionati alla parolina e desiderosi di affibbiarla a quanta più gente possibile senza star lì tanto a sottilizzare. Anche per questo hanno tirato fuori dal cilindro il classico illusionismo linguistico: "autism spectrum". Lo "spettro", manco a dirlo, è vago e tende all' infinito, un po' come se i miopi fossero nel "blindness spectrum".

La possibilità di essere tratti in inganno nella diagnosi non sembra toccare a fondo la gran parte dei professionisti. Eppure questo rischio c' è. Tanto per fare un esempio, alcuni studiosi hanno notato comportamenti pseudo-autistici tra i bambini molto dotati. Un nome? Ellen Winner: spesso giocano soli, amano la solitudine, hanno interessi ossessivi e una memoria prodigiosa.

TS si rattrista parecchio quando nota che molti genitori insistono affinchè i loro bambini vengano considerati autistici contro ogni evidenza. Ma li capisce, è un peccato perdersi gli aiuti governativi. Che si debba anche a questo il poderoso incremento della sindrome? Anche così opera la fabbrica degli autistici in USA. Con questa amara considerazione, TS torna per un attimo economista.

A p. 288 di EWW, TS racconta la storia di Billy (un playboy dodicenne al quale era stata diagnosticata una vita grama e senza matrimonio).

mercoledì 21 maggio 2008

Un paio di misteri petroliferi

Ma perchè il petrolio aumenta tanto di prezzo e la benzina tanto poco?

Semplice, siamo protetti dall' euro forte. In più i nostri motori sono sempre più risparmiosi, merito dei vincoli ambientali.

Qui ci vuole un link, se lo dico io nessuno si fida.

Entrando lì dentro capirete anche perchè quando il prezzo del petrolio s' impenna, la benza subito si adegua felice; quando flette, cominciano i tentennamenti, le incertezze, le titubanze, eccetera. Insomma, il fenomeno razzi e piume, il fenomeno che viene sempre fuori al bar.

Teoria numero 1: speculazione cattiva da parte di gente avida. In effetti il mercato petrolifero non è libero e le distorsioni abbondano.

Teoria numero 2: poichè il trend dei prezzi viene giudicato in crescita, quando c' è un calo lo si battezza come contingente e temporaneo.

Verifiche: il trend è effettivamente in crescita. La cosa depone tremendamente a favore della seconda teoria.

Storia del "genio"

Secondo voi un libro pudicamente intitolato "Le Conquiste dell' Umanità" è stato scritto in Europa o negli USA?

Risposta esatta.

L' ha scritto Charles Murray, un tipo per cui gli avanzamenti della civiltà umana, non solo esistono, ma si sono realizzati in alcuni luoghi piuttosto che in altri, in alcuni tempi piuttosto che in altri.

Un tipo per cui Rembrandt con il pennello ci sapeva fare meglio che molti altri. Un tipo singolare che considera preziosa la cura di una malattia inguaribile. Più preziosa anche di un nuovo passo di danza che nasce e muore nel giro di un' estate.

Un' impostazione inaccettabile in tempi di multiculturalismo. Ma tant' è.

Un buon senso che deve professarsi di nascosto, lontano dai salotti dell' intelligentsia. Ma tant' è.

Ecco una sua scoperta scomoda: nella storia e nello spazio il genio si presenta concentrato.

Esempio: prendiamo l' arte. Coordinata spaziale: Italia centro settentrionale. Coordinata temporale: XV-XVII secolo. Concentrazione pazzesca di talenti e capolavori influenti ovunque nell' Occidente.

Lo stesso dicasi per la Francia settentrionale e i Paesi Bassi, fucine di talenti nel corso dell' 800 e fino alla metà del 900.

Cartesio diceva che il buon senso è risorsa equamente distribuita un po' ovunque. Murray dice il contrario del genio.

Per rinforzare il significato della scoperta, guardiamo allo sport, prendiamo il golf. Tra i professionisti la maggioranza e oltre non ha mai vinto un torneo. Anche tra i giocatori d' elite raramente qualcuno ha vinto più di un torneo. Jack Nicklaus ne ha vinti 18.

Altri esempi presi a casaccio.

Le città hanno ospitato molte "conquiste" dell' umanità in molti campi. E questo resta vero anche tenendo conto del fatto che lì si concentrasse una popolazione numerosa.

Nella prima metà del 900 gli ebrei vinsero il 14% dei Nobel. Nella seconda metà il 29%. Nel corso del 900 gli ebrei hanno rappresentato meno dell' 1% della popolazione mondiale.

Non interessa molto indagare sulle cause del "genio", basterebbe anche solo pensare alle modalità con cui si manifesta.

Pensarlo è fonte di perplessità per chi vive in tempi in cui risulta intollerabile tutto cio' che non sia uniformemente distribuito.

Approfondimenti in TS EWW p. 270

martedì 20 maggio 2008

La sacra alleanza tra giustizialisti e garantisti

"... i criminali hanno una certa attitudine al rischio... se non lo avessero si guadagnerebbero la vita impugnando uno straccio giù all' autolavaggio...".

Il libro di SL continui a leggerlo anche dopo che lo hai chiuso: puoi farlo visto che i suoi concetti base sono sintetizzati in due righe che riecheggiano nella mente anche quando sei sotto la doccia. E magari proprio lì dentro hai l' illuminazione.

Dalla premessa sopra riportata, SL trae alcune coerenti misure per la lotta contro il crimine: dobbiamo rendere l' attività criminale meno attraente, ovvero: meno rischiosa.

Farlo è semplice. Ammettiamo che non s' intenda inasprire il sistema. In questo caso basterebbe aumentare le probabilità di condanna diminuendo le pene previste.

Alcuni fatti a sostegno esistono: il numero di condanne alla pena capitale produce più deterrenze rispetto al numero di esecuzioni.

Un suggerimento del genere da noi è destinato a riscuotere scarso successo.

Sia i giustizialisti che i garantisti si opporrebbero: i primi si oppongono a qualsiasi sconto di pena, i secondi inorridiscono all' idea di un innocente ai ceppi.

Considerata poi la nostra storia recente in materia di giustizia, è facile osservare che sul campo sono rimasti solo loro: garantisti e giustizialist.

Nella nostra cultura giustizialista/garantista probabilmente c' è una falla: noi non vogliamo una giustizia che funzioni, quanto piuttosto una giustizia che separi i buoni dai cattivi.

C' è differenza? Sì, spesso una giustizia comincia a funzionare proprio quando rinuncia al discrimine netto tra onesti e disonesti.

Prendiamo una delle poche riforme positive della giustizia in Italia: il contenzioso tributario.

Cio' che ieri era estremamente macchinoso, cio' che ieri si perdeva in lungaggini ed accumulava arretrato, oggi si è snellito smaltendo quasi interamente il lavoro pregresso. Come? Grazie ai concordati, ovvero l' esaltazione della via di mezzo.

Il concordato è una specie di condono: tu paghi una percentuale della sanzione e io rinuncio a perseguirti. Conosciamo tutti il caso di Valentino Rossi: pagando una somma concordata ha ottenuto il condono dell' accusa che gravava su di lui. Come ha fatto Valentino, fanno ogni giorno migliaia di italiani: le casse dello stato si rimpinguano, il cumulo di processi si smaltisce e l' accusato torna alle sue faccende.

Purtroppo noi non sapremo mai se Valentino è disonesto o meno, il processo non verrà mai celebrato.

Questo fatto è intollerabile per un "giustizialista". Costui è essenzialmente un moralista ed è assetato di colpevolezze e di innocenze immacolate. Per la sua cultura non esiste giustizia senza un verdetto bivalente. E intanto, anche a causa di queste fisime, da noi non esiste giustizia funzionante.
***
SL lo dice da subito: a lui interessa solo una giustizia funzionante, ovvero una giustizia con i giusti incentivi.

Altro cardine per noi intollerabile della giustizia funzionante: la responsabilità dei giudici.

SL prevede multe e premi per quei giudici che vedono i loro giudizi riformati o confermati a posteriori.

Emergono fatti nuovi (prova dna, nuove confessioni, nuovi ritrovamenti...) e chi era stato condannato viene assolto? Multa per il giudice che aveva emanato il verdetto a suo tempo.

Ma che colpa ne ha il giudice se al momento della pronuncia la prova del dna non era disponibile?

Rispondere con una domanda non è elegante ma, in questo caso, è efficace: ma che colpa ne ha il contadino se cade la grnadine? che colpa ne ha il poeta se il suo libro non ha successo? Che colpa ne ha l' imprenditore se i prezzi crollano e deve chiudere bottega?

Non conosco esattamente la colpa di questi soggetti. Di sicuro renderli responsabili gli incentiva ad agire per il meglio.

E ci siamo di nuovo: l' espressione "... non conosco esattamente la colpa di questi soggetti..." è un passaggio chiave per giungere all' efficienza. Ma nello stesso momento è un passaggio intollerabile per la cultura garantista/giustizialista.





Saper impugnare una pistola

Per due secoli il tasso di omicidi a NY è stato 5 volte quello di Londra. Nessuna delle due città aveva leggi sul controllo delle armi.

Questo piccolo dato dovrebbe indebolire da solo la sicumera con cui molti paladini della pace intonano inni al bando delle armi.

I proibizionisti sono convinti che più armi portino con sè più crimine violento. Ma i fatti non sostengono con lo stesso entusiasmo queste parole d' ordine. Infatti gli zeloti proibizionisti spesso rinunciano ai fatti.

Su un tema tanto spinoso ed elusivo, dare troppo valore all' ultima statistica è un po' azzardato. Alla statistica meglio affiancare la storia. Anche per questo TS loda il lavoro di Joyce Malcom

Osservando la storia inglese si nota per esempio come la diffusione sempre maggiore delle armi (tutelata con gran solennità dal Bill of Rights del 1688) si accompagni ad una continua diminuzione dei crimini violenti. Neanche la successiva introduzione di leggi gun control puo' essere giustificata da aumenti di crimini compiuti con armi da fuoco. Anzi, da allora (inizio del novecento), il crimine riprese a crescere. USA e Inghilterra sembrano raccontare la stessa storia. Per non parlare della recente caduta del crimine USA in concomitanza con una sempre maggiore diffusione delle armi. Ma forse questa è già cronaca.

Se viaggiare nel tempo è noioso possiamo viaggiare nello spazio. Vogliamo parlare allora dei paesi più armati della terra? Svizzera, Finlandia, Israele, Nuova Zelanda... molto pacifici e criminalità ai minimi. Un bel problema per i cantori del paradiso disarmato.

Altro dogma che non sembra affatto tale: detenere una pistola è inutile, anzi è pericoloso. Anche qui problemi: i fatti sembrano parlare altrimenti. Le doppie rapine nelle ville disarmate si sprecano, così come i ferimenti e le morti a chi reagisce disarmato.

Gli incidenti con le armi da fuoco, poi, sembrano trascurabili. Dagli interruttori alle piscine gonfiabili, in casa ci sono pericoli ben maggiori.

Per chi vuole mantenere le posizioni raggiunte nella lotta al crimine violento, sottrarre un' arma andando a scovare chi non sa manovrarla, puo' essere una buona soluzione. Ma per chi vuole avanzare, molto meglio creare una cultura delle armi, o perlomeno non demonizzare quella poca e sana che già c' è.

TS p. 229

lunedì 19 maggio 2008

L' immaginifico cacciaballe

Camilo Josè Cela: A tempo di mazurca.





Con Don Josè è tutta una questione di ritmo...

"... due passi, cinque battiti del cuore, peto scivolato, pausa, un colpo di tosse, scoreggia a pernacchia, tremolio dello zigomo, occhietto, pausa, lamento sospiroso, assolo di singhizzo, flatulenza abortita, passo e giravolta, scaracchio..."

tanto per capirsi, Don J. scrive in falsetto quando riferisce un dialogo tra donne. E' l' unico che sa farlo.

I suoi libri di solito iniziano così:

"...piove, tranquillamente e senza smettere, piove svogliatamente e con infinita pazienza, come tutta la vita, piove sulla terra che è dello stesso colore del cielo..."

e tu capisci subito che la storia ha già preso una piega truffaldina, che sei di fronte a quel sussiego fraudolento che invera la miglior tradizione iberica.

Te ne rendi conto ma quando JMC suona il suo piffero, noi topolini siamo percorsi da un fremito alle setole. E poi succeda quel che deve succedere.

Bisogna dirlo per avvertenza: sono proprio libri che con tutto il loro moto non vanno da nessuna parte. La prosa è sugosa e la brace che l' indora sempre viva. Eppure si limitano a girare in tondo senza prospettiva.

La carne frolla di quelle parole è dolce come marmellata e nugoli di vivaci mosche nere la presidiano. Libri semimprovvisati, monchi, abortiti, ripresi, mai salvati. Come si puo' dire che è il più grande di uno che ha scritto solo roba malriusita? E quando ti accorgi dell' incoerenza non sai mai a quale giudizio rinunciare.

"... è ormai autunno, dall' albero cade una foglia..."

ecco un fatto, è accaduto. L' umile cronista consegna all' avido lettore lo scabro evento tramite un resoconto fedele quanto scheletrico.

Ma se a prendere la parola fosse l' immaginifico cacciaballe, allora la musica cambia:

"... conosco un albero rarissimo le cui foglie, quando arriva l' autunno, cadono per terra abbattute dalla tristezza, si accartocciano dolcemente come fossero carne di chiocciola... se soffia il vento si possono sollevare e cominciano a vivere e volare; altrimenti, bosogna lasciarle per terra finchè muoiono di fame, perchè ucciderle porta male; solo se le lasci per terra non succede niente e il mondo continua a girare come sempre...".

Don Camilo ogni 2 righe ricomincia la sua storia, ogni 2 righe imposta una variazione sorprendente e risaputa. Il suo martello è ossessivo quanto fantasioso. Fiato corto e voce intonata. La prosa scurrile si stempera nel gioco. Una parlata sminuzzata ma espressiva: il ritmo si fa serrato e sincopato, la nuova invenzione irrompe a metà del rigo troncando il promettente sviluppo della precedente.

Don Camilo ogni due righe ricomincia a tessere una storia. Puo' farlo perchà sa raccontare storie in due righe:

"... Anton, il marito di Fina, venne ucciso dal treno, davanti a tutti, alla stazione di Orense. "Come mai non s' è tirato da parte?" "Che ne so! Il poveretto non parlava molto"..."

"... mia cugina Georgina, mentre era ancora vivo il suo primo parito, Adolfito, faceva il bagno nuda nello stagno del mulino di Lucio Mouro. C' era una trota che restava a fissarle le tette e non si muoveva finchè mia cugina non se ne andava per i fatti suoi. Mia cugina ha sempre avuto delle belle tette. Lo strano era che una trota si fermasse per fissarle come fosse un coscritto..."

"... Luisino Bocelo, il servo castrato di don Benigno, morì in guerra per morte naturale. Gli venne una polmonite in seguito ad un acquazzone, divento cieco e poi morì. Luisino Bocelo lo chiamavano Papero, ma così alla buona, senza cattiveria. "Papero!", "Comandi don Benigno", "Stai su una gamba sola e resisti finchè puoi", "Sì, signore"...".


Chi ci vede un gomitolo arruffato, chi un labirinto di destini incrociati... ma sono destini rattrappiti: chi fila quelle vite ha poca lana. Ogni storia di Don Camilo ha le gambe corte, ma quello non è ancora il suo marchio di fabbrica. Che dall' altra parte della penna ci stia Don Camilo lo capisci dal cominciamento ex abrupto di una favola già predestinata a tamponare violentemente nella successiva.

Canta, abbozza, digressiona creando vortici e buchi neri. Usa la parola come un artificiere, un pirotecnico. Si sgola, sussurra, blatera, enuncia, fa tutte queste cose insieme e poi le rifà al contrario senza mai inghiottire la saliva, fa tutto con l' impegno amorale di un circense.

Se nel rigo che leggiamo invoca calamità, nel rigo dopo impartisce una benedizione. Quando sembra imporsi un pudico riserbo, è la volta buona che apre la sua ruota mostrando una pompa barocca. Agile e vuota, si dispiega la sua narrazione, la lima non cessa mai un lavorio all' impronta. Le sue storie sono gonfie come furuncoli infarciti di un sebo putrido e nutriente. La scorrettezza è ilare e gratuita e, ormai precipitati in una vacuità amorale, la accettiamo senza riserve: si rutta come leoni, si scopa con dispotismo, si rimane zitelle per orgoglio, si evitano le smancerie da fighetti, ci s' ingelosisce come giapponesi, ci si evira con il falcetto, l' umidità è spessa come la vasellina, i modi di peccare sono salubri e allegri. Un paio di virgolette sono sempre disponibili per alienare la tragedia.

La raffica di fantasie si fa talmente fitta da farsi percepire presto come automatica. Emerge un elemento agonistico, sembra sia in corso una gara, tratteniamo il fiato, qualche primato sta senz' altro per essere infranto.

Adagi sulla discriminazione

TS (Thomas Sowell) nel suo EWW, sembra avere molto da dire su molte cose.

Per esempio sembra infervorarsi parecchio ogni volta che affronta l' argomento delle discriminazioni razziali e di genere.

Infervorarsi è la parola sbagliata, lui parla compreso nel ruolo dell' editorialista prestigioso ed ascoltato che ha pubblicato 32 libri, osservando le cadenze del vecchio saggio dalla solida reputazione che puo' evitare fastidiose note a piè di pagina.

Sul punto relativo alla politica delle quote, dopo la pag. 192, tornano alcune osservazioni:

  1. c' è un primo mito che inquina il dibattito: il pluralismo migliora la qualità dei college. Falso, il doppio standard di entrata e la presenza di studenti con preparazioni differenziate, abbassa la qualità complessiva del college;
  2. c' è un secondo mito: è decisiva la presenza di "role models". Nelle scuole, alla minoranza giova constatare una sua rapprersentanza nel corpo docente. I fatti non confermano cio' che molti scontano;
  3. i due miti, negati in pubblico dai sostenitori, sono da loro stessi confermati in privato. Tanto è vero che alle amministrazioni dei College è richiesto di evitare il voto segreto quando si esprimono in materia di quote;
  4. la stagione dei diritti civili è un po' sopravvalutata: nei vent' anni che la precedettero, uscì dalla povertà una quota di neri di gran lunga superiore a quella che uscì nei 40 anni successivi alle conquiste legislative. Molti (liberal, black leader...) hanno semplicemente rivendicato un merito che non avevano;
  5. c' è un fatto che disturba molte rappresentanti del movimento femminista: guardando alle percentuali, la posizione delle donne nella società americana (master, lauree, diplomi, lauree in matematica, master in economia, who's who...) era più prestigiosa prima delle rivoluzioni anni sessanta. Solo recentemente si sono ripristinati i livelli precedenti. Forse l' andamento demografico (baby boom) ha contato più delle urla in piazza. D' altronde si sa: fare la mamma di tre bambini porta via molto tempo e ne rimane poco per il master;
  6. entrare in una squadra di basket non aumenta la nostra statura. I fatti confermano. Eppure un dogma simile anima i sostenitori dell' affirmative action: studiare nei college più prestigiosi aumenta il profitto e il reddito futuro del giovane nero. I fatti negano;
  7. la politica delle quote a favore dei neri, rischia di produrre un triplice danno: 1) danneggia il bianco con le carte in regola che viene escluso 2) danneggia il nero ammesso senza merito che probabilmente si ritirerà dagli studi e sarà in ritardo per tamponare con valide alternative il suo fallimento 3) danneggia i migliori studenti appartenenti alle minoranze sui quali graverà sempre un pregiudizio di favoritismo (es: per gli avvocati neri gli stipendi sono mediamente più bassi). I fatti sembrano confermare.
  8. falso argomento in favore delle quote: persino il big business sostiene la politica delle quote! Il big business difende i suoi interessi: senza quote precise le cause di discriminazione fioccano. I neri denunciano per la scarsa rappresentanza, i bianchi per l' esclusione ingiusta che subiscono: è il paradiso degli avvocati.

sabato 17 maggio 2008

La vita è eterna in cinque minuti

Per Amanda sono i 5 minuti della pausa pranzo in cui incontra Manuel, per noi sono i 5 minuti di questa canzoncina capolavoro. Depositata su un padellone vinilitico negli anni ottanta, non riuscivo a riversarla su file. Ma oggi finalmente è disponibile anche su e-mule e puo' risorgere.

Scuole incommensurabili

Come ci si oppone alla meritocrazia?

Di sicuro non frontalmente. Quarant' anni non sono passati invano.

In genere ci si concentra pensosi sulle mille difficoltà che rendono impervia una misurazione quantitativa del merito, per poi concludere affermando cio' che già si aveva in mente. è impossibile fare un lavoro serio.

Ma c' è una via più sottile, è quella che percorre chi dice: ha senso parlare di meritocrazia per gli allievi, non ha senso invece parlarne per le scuole.

Il professore trascorre un anno con l' allievo: ha le carte in regola per giudicarlo.

Ma nessuno trascorre anni con il professore, quindi nessuno puo' giudicarlo.

Certo che se un professore (o una scuola) dovessero essere giudicati per le strategie d' insegnamento che adottano, sarebbe imprescindibile che il "giudice" presidi ininterrottamente l' ambiente scolastico che dovrà giudicare.

Se invece fosse possibile giudicare sui "risultati" le cose cambierebbero. Si potrebbero trascurare le strategie (DI, Montessori...) per concentrarsi sui risultati. Di più, sarebbe auspicabile una competizione tra stratergie diverse.

Considerare debole un "giudizio per risultati" e poi preoccuparsi delle condizioni in cui versa la scuola italica visto che le valutazioni PISA la relegano agli ultimi posti, è a dir poco contraddittorio.

Ecco un buon libro che si pronuncia in modo ottimistico sulla misurabilità dell' efficienza nelle scuole. L' ha scritto Roger Abravanel. E Tony Blair, per esempio, l' ha preso molto sul serio.

Privatizzare, liberalizzare... ma soprattutto insegnare l' economia

Ma come diavolo si arricchisce un Paese? Sicuramente, da qualche parte nella biblioteca borgesiana dedicata a l tema, sta pure scritto, magari per sbaglio. Una fallimentare sintesi bloggesca potrebbe essere questa.

La distinzione canonica mette da una parte chi punta sulla qualità delle istituzioni e dall' altra chi punta tutto sulla cultura. I primi risolvono in quattro e quatr' otto con ricette chiare, i secondi, che pronunciano sempre degustandola la parola "complessità", hanno ricette epocali e s' indignano se qualcuno tenta una verifica seppur minima.

Non sarà questo uo di quei 99 casi su cento in cui la soluzione sta nel mezzo? probabilmente sì, e tutti lo sanno.

Magari il "mezzo" è l' isitituzionalizzazione di una certa cultura.

Indottrinare sembra funzioni. Prendete dei ragazzi, isegnate loro l' economia e loro tenderanno a comportarsi da economisti.

"Privatizzare", "liberalizzare"... a molti già solo la parola innervosisce. Probabilmente non hanno studiato l' economia. Se lo avessero fatto la loro reazione sarebbe ben diversa.

Funziona persino quando i cervellini sottoposti ad esperimento sono già piuttosto formati.

Passiamo ai fatti.

Ray Fisman sperimenta con gli allievi di Harvard. Caspita, quanto conta l' insegnante per plasmare il futuro cittadino, e non è neanche necessario che l' argilla sia particolarmente tenera e duttile per avere effetto:

"...all students [at Yale Law School] are required to take courses in contracts and in torts, and they're randomly assigned to an instructor for each class. Some of these teachers have Ph.D.s in economics, some in philosophy and other humanities, and some have no strong disciplinary allegiances at all. Professors are encouraged to design their courses as they see fit. Instructors from economics may emphasize the role of contracts in making possible the efficiency gains of the marketplace, while philosophers may emphasize equal outcomes for contracting parties. So economists teach about efficiency and philosophers teach about equality.

To figure out whether this affected their young charges, we put 70 Yale Law students in a computer lab, and had them play a game that would reveal to us their views on fairness....It turns out that exposure to economics makes a big difference in how students split the pie, in terms of both efficiency and outright selfishness. Students assigned to classes taught by economists were more likely to give a lot when it was cheap to do so. But they were also much more likely to take the whole pie for themselves..."

Capito cari liberali: privatizzare, liberalizzare... ma soprattutto insegnare economia!

venerdì 16 maggio 2008

Disinquinare il dibattito sull' evasione

Sul problema dell' evasione fiscale si monta sempre un gran baccano. Studi televisivi o bar dell' angolo, il rumore di fondo non cambia.

Sembra che la vecchia lotta di classe oggi si produca essenzialmente in questo campo: visto che la classe avversa non possiamo più annientarla, vediamo almeno se ci è concesso di derubarla.

A me non disturba parlarne, a patto che si diano per scontati due punti fermi. Sono essenziali per ridurre i decibel. Eccoli:

  1. il problema dell' evasione fiscale è essenzialmente un problema localistico. Regioni come Lombardia e Veneto sono tra le più virtuose al mondo nella compliance fiscale (tengono il passo di Svizzera e Usa); sempre al nord molti territori non invidiano Francia e Germania (l' Emilia per esempio); per alcune regioni va un po' peggio ma ci possiamo accontentare: la Toscana assomiglia un po' alla Svezia, non mi sembra un paragone offensivo. Il problema è l' evasione da terzo mondo che c' è in alcune regioni del sud. Ma probabilmente quello non è altro che il welfare all' italiana;
  2. il secondo punto riguarda la questione sul "chi" evade in Italia. Da anni la CGIA tiene d' occhio la questione con uno zelo riconosciuto anche dal Ministero (qui sono scaricabili le ultime elaborazioni). La maggiore evasione si annida tra i lavoratori dipendenti. Sorpresa? Non direi. Facciamo qualche numero: l' imponibile sottratto al fisco è di circa 310 mrd di euro all' anno. 200 mrd sono da imputare all' economia sommersa (su 3 mln di soggetti coinvolti nell' affare 2.300 mln sono dipendenti con il secondo, terzo lavoro); 100 mrd all' economia criminale; 10 mrd alle grandi imprese e 6 mrd alla mancata emissione di scontrini e fattura da parte di lavoratori autonomi e PMI.

Ho l' impressione che se il dialogo partisse da queste premesse tutto sommato oggettive, sarebbe meno interessante e anche meno chiassoso. Quindi abbandonerebbe presto sia i bar che gli studi televisivi, magari per approdare sulle scrivanie di chi cerca seriamente una soluzione.

ADD1: il dipendente evade soprattutto nei decili più bassi.

Lo strano caso di IE

Dopo trent' anni di studi sugli effetti della pena di morte (qui una rassegna equilibrata), di tanto in tanto ancora spuntano alla Tv o sui giornali personaggi disposti a dichiarare con tutta l' enfasi del caso che una simile punizione non serve a niente.

Sarà, ma chi è andato a fondo alla questione è arrivato a conclusioni ben diverse.

Negli USA per esempio, molto si è dibattuto, alcuni ritengono che ogni esecuzione salvi 8 vite, altri che ne salvi 24. Molti si collocano tra questi due estremi. L' effetto deterrenza però non sembra contestato.

Chi non trova giusto che il boia disponga della vita di un uomo, si dovrebbe fare carico anche delle altre 8-24 vite. Solo in questo modo comincerebbe una seria discussione morale.

Isaac Ehrlich è lo studioso che con il suo lavoro certosino ha convinto la gran parte degli economisti. Ha convinto anche se stesso, devo dire.

Resta da notare un' ultima cosa, la menziono perchè alle nostre latitudini potrebbe risultare addirittura curiosa.

IE ha cosruito un lavoro sistematico rispondendo nel dettaglio a molte contestazioni e giungendo sempre alla medesima conclusione: la pena capitale nel complesso funziona. Ciò non gli ha impedito di essere uno dei più strenui oppositori alla sua applicazione nel mondo. Uno mica deve fare l' economista 24 ore al giorno.

Particolari in SL p.131

giovedì 15 maggio 2008

Il sesso come diga anti-AIDS

Uno non ci pensa mai abbastanza.

Ero rimasto che una cultura dell' astinenza fosse raccomandabile per arginare la diffusione dell' AIDS.

Invece mi dicono di no.

Attenzione, non mi dicono semplicemente che una simile cultura ha scarse possibilità di attecchire. Mi dicono che è dannosa e cio' che serve è esattamente l' opposto: un chiaro, sano incitamento all' attività sessuale. Siccome una simile campagna sarebbe socialmente molto utile come diga anti AIDS, sarebbe anche logico che goda di finanziamenti pubblici.

La tesi è stata divulgata da Steven Landsburg nel suo articolo su Slate (il più commentato in rete nel 2007) ora divenuto il cap.1 del libro a suo nome che tengo sul comodino.

Pensiamoci, una campagna che inviti a rilassarsi sessualmente non avrebbe nessun effetto sui libertini (in materia sono già molto rilassati). Andrebbe ad incidere invece sui soggetti più avveduti nelle scelte, sui tipi più morigerati e socialmente responsabili. Riferiamoci a loro come ai "sessualmente prudenti" (SP).

La logica di SL è semplice: l' epidemia si diffonde ramificandosi. La scesa nell' agone sessuale dei SP devitalizza i rami più rigogliosi e, al limite, fa nascere rami destinati a disseccarsi presto.

DEVITALIZZA: un SP puo' salvare vite facendo concorrenza ai contagiati. Il partner che abborda è al sicuro. Diversamente sarebbe potuto finire con un contagiato ricevendo a sua volta la malattia e facendosene veicolo.

DISSECCA: per sua natura SP esamina spesso il suo stato di salute. Appena scopre di essere contagiato, si ritira da ogni attività sessuale (è responsabile!).

SL fa un esempio: in una comunità le mogli sono fedeli ma i mariti devono avere almeno 2 partner sessuali all' anno. Esiste un postribolo che ospita prostitute in cui il contagio è molto diffuso. Se queste sono le condizioni di partenza, ben presto la malattia si estenderà a tutta la società. L' ancora di salvezza? Chiedere alle mogli di divertirsi un po' di più praticando l' adulterio.

Obiezioni? Si potrebbe timidamente affermare che, in queste materie, una volta impressa la svolta al proprio stile di vita, è difficile mantenere la misura. Anche la persona più dilgente, una volta messasi sul piano inclinato della lascivia, slitterà nel libertinismo. E a quel punto non potrà più rendere alcun servigio, anzi, sarà una mia vagante in più.

Obiezione deboluccia.

Il ragionamento non fa una grinza, in teoria. Il bello è che funziona anche in pratica, almeno stando agli studi del Prof. Michael Kramer.

Una campagna di castità potrebbe essere utile, ma dovrebbe essere rivolta ai libertini con scarse probabilità di successo. In più dovrebbe essere inaccessibile ai SP perchè in quel caso, lo abbiamo visto, sarebbe solo dannosa.

Molti hanno reagito scandalizzandosi alla proposta di spingere SP a darci dentro: "... siete dei pazzi ad incoraggiare comportamenti a rischio...".

A rischio per l' interessato (SP) ma di grande beneficio per la comunità.

SL traccia un parallelo con il problema dell' inquinamento. Uscite scandalizzate come quella di cui sopra potrebbero essere rese in questo modo: "... siete dei pazzi ad incoraggiare comportamenti costosi come l' obbligo a non riversare gli scarichi nei fiumi...". Non scaricare nei fiumi è costoso per l' industriale ma la comunità ne trae un beneficio.

Chiarito questo punto, come incitare i SP a rilassare i propri costumi. L' operazione è difficile perchè chiediamo loro qualcosa che fa bene al mondo ma che a loro costa in termini di rischi effettivi.

Si potrebbero decantare le gioie del sesso, ma ci vorrebbe qualcosa di più concreto.

Si potrebbero distribuire preservativi gratis. Ma la cosa inciterebbe ulteriormente anche i libertini, ovvero i soggetti da tranquillizzare.

PROPOSTA MIA: all' acquisto dei preservativi si potrebbe abbinare un concorso a punti. Ce ne sono tanti ormai. Ma i premi dovranno essere scelti in modo da discriminare tra libertini e SP. Esempi DI PREMI: abbonamento gratuito alla stagione teatrale, cena con Umberto Eco, serata di gala al Teatro alla Scala, possibilità di pubblicare per una settimana sulla prima di Repubblica...

ADD1: la discussione si è spostata nei commenti a questo post.

mercoledì 14 maggio 2008

Decompressioni in quel di Gubbio








Ecco il più virtuoso nel pezzo meno virtuoso della sua carriera. La qualità non ne risente. Sarà che sonava a Teatro in quel di Gubbio, posto che disperde anche la cattiveria dei lupi, scioglie le frenesie e riconcilia ciascuno con il suo Dio. Anch' io e la miri, prima di precipitarci in vacanze mondane, facciamo sempre tappa a Gubbio per distenderci l' animo e dire, ognuno nella sua lingua, una preghiera.

n.b. file in esclusiva, non disponibile nè su you tube nè su e-mule

False credenze: i bambini rendono felici

Nelle note a commento di pag.243, DG elenca una serie di studi concordi nell' affermare una tesi già sentita: i bambini comprimono la nostra felicità.

Se una coppia reputa di avere un certo grado di soddisfazione, con l' arrivo dei bambini vedrà diminuirlo. Una volta che la prole sarà cresciuta e lascerà la casa paterna, anche la felicità tornerà a regnare ripristinando i livelli precedenti di soddisfazione.

L' effetto tipico delle distorsioni dovute alla soggettività, in questi casi, è attenuato. Non ci sono confronti interpersonali ma solo confronti fatti sulla medesima scala.

Cio' non toglie che la felicità precedente possa essere dovuta all' attesa di figli e la felicità successiva al fatto di averne avuti. Quest' idea si rinforza guardando all' infelicità dei singles.

Comunque DG sostiene che l' idea "i bambini rendono felici" sia una classica "falsa credenza" con cui veniamo indottrinati affinchè la società si espanda e prosperi. In questo, nello schema esemplificativo di DG, l' idea farebbe il paio con un' altra falsa credenza: "i soldi rendono felici".

Bottom line: se i bambini minacciano la nostra felicità si spiega anche perchè alle famiglie spetti un aiuto statale. In caso contrario non si vede come possa essere giustificato, specie qualora si accetti l' idea che "il denaro non rende felici".

Costo-prezzo. Barare con la salute.

TS spesso s' intrattiene con i giochi di parole. Ce ne fa respirare la magia intrattenendoci illustrando l' anatomia di alcuni illusionismi.

Lo sapevate, per esempio, che "diritto alla salute" non significa altro che "servizio sanitario coercitivo e burocratizzato"? Dopo aver letto la p.71 e EWW, non ci saranno più dubbi. Il politico appassionato che proclama "il diritto universale alla sanità", sta proclamando il suo diritto a prendere il comando universale in quel settore.

Lì, sempre a proposito di Sanità, si scopre anche quanto sia importante distinguere il "costo" di un servizio dal suo "prezzo". Il Costo di un servizio è cio' che dovremmo pagare affinchè ci venga offerto, il prezzo è cio' che sborsiamo per quel servizio.

Quando prezzo e costo divergono, a risentirne è la qualità dell' offerta (piccola e tristissima legge economica).

Se un buon insegnante per formarsi deve sopportare un certo costo, non possiamo poi pretendere di pagarlo meno. Se lo facciamo avremo sempre meno "buoni insegnanti". Eppure dietro certe ambizioni che vorrebbero una scuola gratuita e aperta a tutti, si nasconde la volontà o la necessità di pagare prezzi molto inferiori ai costi. A risentirne sarà inevitabilmente la qualità.

Torniamo al nostro "diritto alla salute", il paradosso prezzo/costo si esplica soprattutto lì.

Perchè ormai la ricerca farmacologica è condotta solo da quelle imprese che hanno il loro sbocco principale sul mercato USA? Perchè quello è il mercato sanitario più libero. Su un mercato libero i prezzi non si disancorano mai completamente dai costi.

Non è un caso se la spesa sanitaria USA supera di gran lunga quella europea.

ma al politico quest' ancora interessa poco. Cio' che interessa a lui è che i suoi elettori paghino poco rendendo grazie a lui e alla sua lotta per il "diritto alla salute".

In Europa, dove la sanità è socializzata, il politico realizza i suoi sogni ma, così facendo, a causa della leggina citata più sopra, fa in modo che il servizio lentamente si trasformi.

La prima trasformazione la conosciamo: niente più ricerca, niente più innovazione nel campo dei farmaci ma solo mera produzione di generici. In questo campo siamo ormai la Cina di altri occidenti. Attrezzatura e farmaci sono perlopiù importati dai paesi con un libero mercato sanitario. Anche il nostro migliore capitale umano si forma là.

Se la situazione è questa non ci resta che sperare.

Speriamo che il velato ricatto sui brevetti ci consenta sempre di importare a basso prezzo in modo che l' Europa possa prolungare i suoi comportamenti opportunistici in campo sanitario e speriamo anche che il "capitale umano", dopo essersi formato altrove, abbia voglia di tornare a casa.