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venerdì 3 gennaio 2020

LA CRISI DELLA FISICA

LA CRISI DELLA FISICA



Nelle basi della fisica, non si vedono progressi sostanziale dalla metà degli anni '70, quando fu completato il modello standard della fisica delle particelle. Da allora, le teorie che usiamo per descrivere le osservazioni sono rimaste invariate. L'ultima particella da confermare è stata il bosone di Higgs, previsto negli anni '60 e misurato nel 2012. Ma tutte le carenze di queste teorie sono rimaste irrisolte.
La causa principale di questa stagnazione è che con il progredire della disciplina, i problemi sono diventati sempre più difficili da studiare sperimentalmente. E' chiaro che con meno esperimenti le scoperte fortuite diventano sempre più improbabili. È un circolo vizioso perché, d'altro canto, la mancanza di progressi sostanziali aumenta i costi di ulteriori esperimenti. Se un collettore di particelle da 40 miliardi di dollari potrebbe servire a solo a scoperte di contorno, chi investirà in queste condizioni?
L'unico modo per evitare di essere risucchiati nel circolo vizioso è scegliere con attenzione quali ipotesi mettere alla prova. Ma i fisici operano con una mentalità vecchia, non sanno focalizzarsi sulle "ipotesi promettenti", la loro educazione non enfatizza questa qualità. Pensano ancora - con Popper - che il test sperimentale sia tutto e la concezione di ipotesi valide nulla; l'ipotesi vincente, per il Cattivo Maestro, puo' arrivare anche in sogno o per puro caso vedendo cadere una mela dall'albero. Un atteggiamento diverso richiederebbe una filosofia e una sociologia della scienza più aggiornata; ma si tratta di materie su cui i fisici si limitano a fare battute sprezzanti. Con queste premesse è chiaro come il "pensiero di gruppo" paralizzi di fatto la comunità nella palude stagnante che vediamo.
Invece di rivedere i loro metodi, i fisici teorici hanno sviluppato l'abitudine di avanzare speculazioni del tutto prive di fondamento fattuale. Si sono trasformati in filosofi. Li senti giustificare la loro produzione insensata di narrativa matematica come "sana speculazione" - ignorando del tutto la sterilità in cui hanno gettato la fisica. Non c'è nulla di salutare in questi "romanzi matematici". L'atteggiamento assunto si basa sulla convinzione ingenua, per non dire infausta, che la scienza progredisca sempre in qualche modo e che prima o poi sicuramente qualcuno inciamperà su qualcosa di interessante da infarcire con nuove speculazioni che sbigottiscano il profano e spiazzino il senso comune. Ma alla scienza si chiede altro.
La fisica è stagnante perché c'è un chiaro fallimento del metodo scientifico. Il solo fatto di poter scrivere equazioni per qualcosa, non significa che questa matematica aiuti a formare ipotesi promettenti. Teoria delle stringhe, supersimmetria, multiverso, c'è tanta matematica a disposizione con cui costruire "oggetti" del genere, ma ciò non significa che questa matematica descriva una qualche realtà di cornice. Le cornici lasciamole ai filosofi, i fisici hanno bisogno di metodi migliori anziché di oziare con la matematica e filosofeggiare. Oggi, invece, i fisici possono felicemente fare carriera scrivendo articoli su cose che nessuno ha mai osservato e nessuno osserverà mai.
Forse la cosa non merita tanta attenzione, senonché lo stesso problema emergerà prima o poi in altre discipline: gli esperimenti diventeranno sempre più costosi e "sequestreranno" grandi parti della comunità scientifica. In effetti, vediamo che questo sta accadendo anche in medicina e in climatologia. La medicina, per esempio, dovrà sempre più affidarsi ai dati raccolti da grandi gruppi per lunghi periodi di tempo e trovare diagnosi e prescrizioni sempre più personalizzate. Gli studi necessari per questa pratica sono estremamente costosi e devono essere scelti con cura perché non molti di essi possono essere realizzati. Allo stesso modo lo studio degli ecosistemi deve affrontare una sfida simile: le piccole indagini isolate hanno già raggiunto il loro limite. La crisi della fisica diventa ancora più cruciale poiché, come sempre, darà l'esempio a molte altre discipline. L'arte di scegliere le ipotesi da testare verrà messa al centro, non potremo affidarci alle mele che cascano o alle rivelazioni oniriche, ma soprattutto sarà opportuno difendersi dal "pensiero di gruppo". Oggi parlare di "comunità scientifica" vuol dire fare del male alla scienza, vuol dire spingere il ricercatore a non prendere rischi e a riscrivere in eterno la sua tesi di dottorato per compiacere i colleghi che lo giudicheranno.

lunedì 17 dicembre 2018

SCIENZE IN CRISI: LA FISICA

SCIENZE IN CRISI: LA FISICA

La fisica è una scienza in crisi? Per sempre più persone il suo progresso è stato molto deludente negli ultimi 30 anni. Nonostante il ritmo degli esperimenti si accavalli, nessuna nuova particella, nessuna nuova dimensione, nessuna nuova simmetria... Certo, ci sono alcune anomalie nei dati qua e là, e forse una di queste si rivelerà interessante domani. Ma i fisici sperimentali nella sostanza stanno guardando nel buio da anni.

Forse la realtà è stata già sviscerata a dovere, forse invece una parte del rallentamento si spiega con il nuovo modo di procedere. Esempio: LHC crea un miliardo di collisioni protone/protone al secondo, questi eventi vengono filtrati in tempo reale e scartati a meno che un algoritmo non li reputi “interessanti”. Di solito ne trattiene un centinaio, il rischio di buttare dati fondamentali è alto. Ma soprattutto, con sempre meno dati da spiegare, i teorici si sono rivolti principalmente a standard di “bellezza” per le loro elaborazioni.

Un tempo, invece, il teorico esponeva la sua teoria nella speranza che i dati sperimentali disponibili a posteriori gliela confermassero o meno.

In conformità al nuovo modo di procedere, allo scienziato non si chiede di scommettere la sua reputazione sulle sue teorie ma solo di pubblicare in continuazione lavori con molte citazioni che testimonino in qualche modo l’approvazione dei pari. Nei fatti la carriera di molti si esaurisce in un prolungamento eterno della tesi di dottorato. La pressione è posta soprattutto sul pubblicare e compiacere i colleghi, la qual cosa scoraggia l’innovazione.

C’è chi propone di farla finita con le citazioni per tornare alla sana vecchia “scommessa”. Ma alla scommessa vera, finanziaria. Una specie di “borsa delle teorie scientifiche” in cui si punti sui paper, sullo scienziato singolo, sull’istituto. Perché non sfruttare il potere predittivo dei mercati anche per rivitalizzare una scienza in crisi?

Ma un progetto del genere implica un ritorno al paradigma precedente: l’adattamento ai dati è uno standard molto meno equivoco della “bellezza” quando si tratta di scommettere.

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