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martedì 17 gennaio 2023

 Cosa preferisci?


1) Avvicinarti alla verità o

2) Essere considerato uno che si avvicina alla verità?

Io, d'istinto, (2). Non conosco nessuno che preferisca (1), forse qualche mistico o qualche nerd sepolto nella sua cameretta. Il fatto cruciale è che se (2) si realizza è facile pensare che anche (1) si sia realizzato. Quindi, meglio prendere due piccioni con una fava che uno.

Ci sono però due fatti preoccupanti: tra (1) e (2) la coerenza è piuttosto debole e, per ottenere (2), devi far parte di una comunità. Tutti noi, per fortuna, prendiamo parte e siamo dipendenti da relazioni che instauriamo in una comunità.

Facciamo un esempio: in una scuola di comunità ciellina se dici che "il cristianesimo è un incontro" ottieni subito (2). Se invece dici che "il cristianesimo è una religione che adora un dio creatore dell'universo che ama la sua creatura" non ottiene nulla. Supponendo che per ottenere (1) tu debba fare la seconda affermazione, sarà molto dura perché, come dicevamo, facendo la prima otterrai di fatto sia (2) che un ottimo simulacro di (1).

La cosa spiacevole è che anche in comunità che hanno per oggetto sociale la ricerca della verità - per esempio le comunità scientifiche - queste dinamiche perverse permangono e con tutto il loro potere sviante.

martedì 19 marzo 2019

L’egemonia culturale

L’egemonia culturale

Non è poi cosi difficile raggiungerla!
Il sistema universitario come è organizzato oggi aiuta non poco, oserei dire che l’utilizzo esteso della regola di maggioranza nei dipartimenti la rende inevitabile. Cio’ non significa che sia anche auspicabile, gli inconvenienti dell’egemonia ideologica sono molti ma uno spicca su tutti, il “groupthinking” o “pensiero da parrocchietta.
Il mondo universitario è soggetto ai difetti del “pensiero da parrocchietta”? E’ importante saperlo perché l’egemonia esclude molte idee rispettabili, per esempio quelle dei conservatori, ma anche quelle del liberalismo classico. Daniel B. Klein e Charlotta Stern hanno tentato di rispondere al quesito nel loro articolo “Groupthink in Academia. Majoritarian Departmental Politics and the Professional Pyramid”. Un lavoro che approfondisce alcuni alcuni punti critici. Provo a metterli in fila.
Risultati immagini per art group thinking
Nel calcio i fan delle varie squadre possono accordarsi facilmente su questioni generali relative a regole, arbitraggio e valutazione delle prestazioni, poiché tali questioni prescindono dal supporto per una squadra specifica. Nel mondo accademico non è così: le regole e gli standard per le prestazioni non sono ben separabili da credenze specifiche. La sensibilità ideologica tende a ripercuotersi su tutta l’impresa accademica. La discussione stessa sull’ideologia nel mondo accademico – ovvero quella tenuta qui – è necessariamente ideologica.
Ampia evidenza sul profilo ideologico dei professori nelle scienze umane e sociali. Praticamente tutti liberal (= socialdemocratici). Trascurate le idee liberali e conservatrici.
Tesi: il monolitismo ideologico è una sfortuna.
Il lavoro fondamentale sul bias della parrocchietta: “Groupthink: Psychological Studies of Policy Decisions e Fiascoes (1982), Irving L. Janis. Si esaminavano fallimenti nelle decisioni della politica. Esempi: Baia dei Porci, escalation in Vietnam e alcuni episodi del Watergate.
Definizione di “pensiero della parrocchietta”: pensiero in cui  i membri si sforzano per non rompere l’unanimità e sopprimono o autocensurano ogni valutazione alternativa e autonoma della realtà.
Paul Hart: “Groupthink in Government: A Study of Small Groups e Policy Failure” (1990). Il pensiero da parrocchietta consiste nell’ “eccessiva ricerca di concomitanza“. E’ tipico dei piccoli gruppi piramidali. Hart si occupa dell’affare Iran-Contra. Diane Vaughan analizza il disastro dello Space Shuttle Challenger.
I teorici del bias si sono concentrati su casi incontrovertibili, ma il loro modello puo’ essere esteso ad altri casi.
Quando si produce più facilmente il bias? 1) quando il gruppo è piccolo, 2) quando si tratta di addetti ai lavori, 3) quando c’è un capo, 4) quando l processo è centralizzato, 5) quando si agisce sotto stress, 6) quando c’è emergenza e la posta in palio è alta.
L’accademia sembra esente da queste caratteristiche: i gruppi sono più estesi, le situazioni di stress assenti e le decisioni da prendere meno cruciali. Ma le convinzioni espresse sono profonde, oserei dire esistenziali. Dissociarsi significa ferire il nostro vicino, aprire un conflitto, tutti ne sono consapevoli. Ecco, questo fatto rende preziosa l’armonia e potrebbe compensare le precedenti anomalie.
In università i dipartimenti sono di fatto autonomi, la discrezionalità è ampia poiché la supervisione del rettore è problematica. Le decisioni dipartimentali più importanti riguardano il reclutamento, il licenziamento e la promozione dei docenti di ruolo. Tali decisioni vengono prese a maggioranza.
La maggior parte degli intellettuali sviluppa una sua sensibilità ideologica all’età di venticinque/trenta anni (Sears and Funk 1999). Difficilmente rivede poi le sue posizioni. È più che probabile che chi assume favorisca studiosi affini ideologicamente e che padroneggiano modalità di pensiero simili. Se un candidato è sentito come estraneo potrebbe dare origine ad angoscia personale e creare acrimonia in facoltà. Il professore A potrebbe perdere la sua reputazione e la sua credibilità con gli studenti se un collega, il professor B, che sta insegnando a quegli stessi studenti in un corso differente, dovesse minare alcune premesse fondamentali delle sue lezioni.
In astratto l’esclusione dello studioso estraneo al gruppo è sempre giustificabile, si puo’ plausibilmente affermare: “se il candidato A ha un giudizio diverso dal mio sui fondamenti della disciplina, allora mostra di avere un pessimo giudizio scientifico nel merito” Questa modalità non puo’ essere eliminato. la discriminazione è sempre legittima.
Dinamica dei gruppi. I gruppi sociali cercare di apliarsi attirando nuovi arrivati omogenei (McPherson, Smith-Lovin e Cook 2001), schermano e respingono i disadattati (Allport 1954; Brewer 1999) e plasmano l’informe a loro immagine (Katz e Lazarsfeld 1955, 62-63; Moscovici 1985). Queste tendenze sono radicate nella natura umana.
Supponiamo che un dipartimento debba assumere un nuovo membro e che il 51 percento degli attuali membri condivida un’ideologia socialdemocratica.  Se vale quanto detto il 51 percento diventerà presto il 55 percento, quindi il 60 percento, quindi il 65 percento, quindi il 70 percento e così via. Stephen Balch (2003): la regola della maggioranza tende a produrre uniformità ideologica.
Il processo non dipende dall’identità dell’ideologia. Il Dipartimento di Economia della George Mason University, per esempio, è guidato e dominato da liberali classici. Molti economisti alla George Mason considerano l’indebita fiducia nei governi espressa da alcuni loro colleghi come un cattivo giudizio scientifico e non assumerebbero mai un professore che commettesse errori del genere.
Un “marziano” ideologico potrebbe essere il benvenuto in facoltà perché considerato non minaccioso, forse anche perché mite o perché fa ricerca in settori marginali. D’altronde, la maggioranza di solito non intende attuare la sua politica di uniformità in modo esplicito, non intende cioè mettersi troppo in evidenza o generare provocazioni.
E i cittadini? L’opinione pubblica non incide in queste faccende, in genere si limita a sperare che la pubblica conversazione tra prestigiosi accademici mitighi gli inconvenienti. Oltre non si va.
I dipartimenti di una certa disciplina – es. di storia – sono più connessi tra loro che con gli altri dipartimenti dell’università. Grazie alle dinamiche dell’uniformità maggioritaria, intere discipline vengono “colonizzate” in breve tempo. E’ più facile colonizzare una disciplina che un’università.
Gli studiosi, oltre a svolgere ruoli specifici (insegnante, scrittore, editore…), offrono il loro contributo nel fissare il rango dei colleghi, ad esempio scrivendo lettere di raccomandazione, lodando un certo lavoro e/o citandolo. Ma anche loro sono soggetti al rango e dipendono da altri colleghi. Tutte le metriche per stabilire il rango sono intrecciate e si rafforzano a vicenda.
Il mercato puo’ essere una medicina? Difficile. Il mercato del lavoro accademico è diverso dal mercato dei camerieri o dei tassisti. Un dipartimento di storia “vende” il suo prodotto ma i consumatori, i produttori e il prodotto stesso sono tutti storici. Un cameriere offre invece i suoi servizi a un barista che li gira ad un consumatore. Gli storici sono responsabili per la maggior parte solo di altri storici e il finanziamento proviene da contribuenti, fondazioni e benefattori. Nessuna “sovranità del consumatore”, quindi. La tribù degli storici è autosufficiente, non necessità di nessuna convalida esterna.
Per molti si quelli elencato sono inconvenienti inevitabili, lo standard è basso ma non puo’ che essere quello. Il precetto per cui “la storia è ciò che fanno gli storici”, e “gli storici sono quelli nominati come tali” potrebbe non essere soddisfacente dal punto di vista razionale, ma almeno fa girare le ruote al carro della disciplina.
Supponiamo ora che i dipartimenti e le riviste all’apice della piramide aderiscano a una certa ideologia. Gli inferiori saranno inclini ad astenersi dalle critiche perché la loro stessa vita accademica dipende dall’accettazione e dall’approvazione dei loro superiori. Le microdecisioni in tutta la piramide tenderanno a compiacere l’apice.
La cima è quasi interamente autorigenerante e chi sta sotto dipende interamente dalla cima.
Esempio. Nel campo del diritto, Richard Redding afferma dopo un breve calcolo: “Un terzo di tutti i nuovi insegnanti [assunti nelle scuole di diritto tra il 1996 e il 2000] si è laureato a Harvard (18%) o a Yale (15%), un altro terzo in altre 12 scuole con il 20 per cento restante laureato in altre scuole di giurisprudenza top 25 (2003, 599).
Qualche dissenso si verificherà, ma la piramide dominante rimane il bene gravitazionale della pratica di gruppo e delle ambizioni individuali. Eventuali piramidi parallele vengono ignorate o cooptate da quella “ufficiale”.
Conseguenze del bias della parrocchietta: 1) illusione di invulnerabilità, 2) mentalità chiusa, 3) razionalizzazione, 4) stereotipi sugli outsider, 5) autocensura, 6) mobbing sui dissenzienti…
Tutto questo ha ripercussioni concrete? Probabilmente sì. Esempi di affermazioni plausibili mai verificate seriamente: 1) Roosvelt e il suo New Deal hanno prolungato la Grande Depressione. 2) Le leggi sul lavoro, come i privilegi sindacali, non sono giustificati e anzi hanno danneggiato i poveri. 3) Il sistema scolastico può essere analizzato come un’industria socialista mostrando come in esso emergano i medesimi difetti. 4) La maggior parte del riciclaggio imposto dei materiali è uno spreco. Eccetera.
Alcune tesi filosofiche interessanti, immagina uno studente che le voglia approfondire e immagina al contempo l’appoggio che riceverebbe in facoltà: 1) “La giustizia sociale” non ha senso 2) La giustizia sociale è un atavismo. 3) Lo stato socialdemocratico è uno strumento di coercizione. 4) Le caratteristiche principali dei processi democratici includono l’ignoranza, la superficialità e i pregiudizi sistematici. 5) La democrazia spesso calpesta la libertà, la decenza e la prosperità. 6) L’ascesa della socialdemocrazia dalla fine del diciannovesimo secolo può essere considerata fruttuosamente come una sovversione del liberalismo. 7) Dal 1880, gli intellettuali hanno alterato il significato di molti termini chiave del lessico liberale – libertà, liberalismo, giustizia, diritti, proprietà, stato di diritto, equità e uguaglianza – in modo da indebolire il loro potere in opposizione ad un visione del mondo democratica. 8) La distinzione tra azione volontaria e coercitiva (o laissez-faire contro interventismo) fornisce un quadro migliore per analizzare  opinioni politiche e opinione pubblica piuttosto che una distinzione tra liberale e conservatore. Eccetera.

venerdì 15 marzo 2019

IL PROBLEMA DELL'ACCADEMIA

IL PROBLEMA DELL'ACCADEMIA

Nel calcio i fan delle varie squadre possono accordarsi facilmente su questioni generali relative a regole, arbitraggio e valutazione delle prestazioni, poiché tali questioni prescindono dal supporto per una squadra specifica.

Nel mondo accademico non è così: le regole e gli standard per le prestazioni non sono separabili da credenze specifiche. La sensibilità ideologica tende a ripercuotersi su tutta l'impresa accademica.

La discussione stessa sull'ideologia nel mondo accademico è necessariamente ideologica.

http://www.independent.org/publications/TIR/article.asp?id=731

L'OGGETTIVITA' DELLE SCIENZE SOCIALI

L'OGGETTIVITA' DELLE SCIENZE SOCIALI

In generale, possiamo osservare che gli scienziati si muovono come un gregge, riservando le loro controversie e le loro originalità a questioni che non mettano in discussione il sistema fondamentale di pregiudizi che condividono (Gunnar Myrdal)

http://www.independent.org/publications/TIR/article.asp?id=731

martedì 1 settembre 2015

Il rischio educativo by Luigi Giussani - Introduzione


Introduzione al rischio edicativo di Don Giussani
  • Educare significa proporre un'ipotesi di lavoro sull'umano in parallelo con lo sviluppo di un pensiero critico...
  • C' è in tutto cio' un'eco dell'educazione liberale, dove il ragazzo riceve il sapere tradizionale (arti e scienza) insieme alla capacità di pensare autonomamente (pensiero critico)...
  • Nell'analisi critica il ragazzo è aiutato da una compagnia che lo rende più saldo...
  • Un uomo senza compagnia? Leopardi. Arrivò fino ad un certo punto ma nn ci fu nessuno a sostenerlo per fare il grande passo...
  • Purtroppo in epoca recente il pensiero critico è degenerato in mera negatività e dubbio sistematico nichilista. Ma un uomo volente o nolente giudica tutto, il dubbio sistematico è esistenzialmente impossibile...
  • La fede esalta la razionalità perchè corrisponde al nostro cuore (intuito). Ciò richiede un concetto di razionalità che vada oltre quella strumentale...
  • Ecumenismo della cultura cristiana: da ogni espressione culturale estrae ciò che è già suo...
  • Perchè "rischio" (educativo): perché si fa una proposta culturale che si puo' verificare solo vivendo una vita intera.
  • IMHO: ho qualche dubbio sul ruolo chiave della "compagnia", esistono anche pericoli di group thinking
  • IMHO: noto una mancanza: la conoscenza delle alternative alla proposta avanzata. Come si sviluppa un pensiero critico senza dominate le alternative all'ipotesi che abbracciamo?
continua

mercoledì 26 ottobre 2011

Chi fa per sè…

… forse non fa proprio per tre, ma…

Il lavoro di gruppo spesso è controproducente: consultarsi frequentemente con altri porta fuori strada:

A neat experiment at Nottingham University shows how consultation can be counter-productive.
They got subjects to say whether a couple of paintings were by Paul Klee or Wassily Kandinsky. The subjects were split into two groups. One group comprised individuals making their own decisions. The other comprised individuals who were assigned to teams of six and allowed to consult team members.
And members of the teams did worse. Whereas only 29% of individuals got both paintings wrong, a whopping 51% of team members did so - twice as many as you‘d expect by chance.
There was, however, no significant difference in the proportions getting both questions right: 38% of individuals versus 36% of team members.
Consultation, then, increases the chances of a bad decision, without improving the chances of a good one. What’s more, people don’t realize this; most said that they found the consultation process helpful.

Lisa Evanss

Il “lavoro di squadra” tende a essere sovrastimato, su questo punto la retorica ci ha lavorato ai fianchi per benino. Eppure ci sono parecchie patologie legate al pensiero di gruppodistorsioni ben note agli psicologi ma che nel fervore di molti proclami torna utile sottostimare.

Non voglio con questo attentare alle vacca sacra della cooperazione. Per carità.

Ce n’ è comunque abbastanza per farsi bastare la “cooperazione volontaria” respingendo strane idee comunitarie dal sapore utopico.