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venerdì 24 giugno 2011

La mamma che voleva il figlio dottore

La secca volatilità delle favole di Esopo muove a un riso svelto, pronto a passare oltre, sollecito nel trasferirsi dalla pagina alle incombenze quotidiane.

Nell’ era della comunicazione in streaming 24 ore su 24, un raro esempio in letteratura di brevità conclusa.

Abbiamo a che fare con uno schiavo (frigio), e, si sa, la rapidità è difensiva: si allea bene con la prudenza, favorisce lo stare in guardia.

Lo schiavo disdegna il comunismo, come disdegna ogni vasto progetto; ambisce invece al piatto di minestra, e se proprio si abbandona a qualche chimera, sogna il figlio dottore.

Per indirizzarlo meglio lo esorta a condotte micragnose. Ad un’ empietà ragioniera, da mantenersi defilata. Quando poi gli eventi dovessero volgere al peggio, si gira pagina con una rapida imprecazione.

Omero andava matto per i nomi propri, Esopo esalta l’ anonimato: molti ruoli, nessun personaggio; molte pedine, nessun sentimento. Tutto è tagliato con l’ accetta per infilarsi al meglio sulla minuscola ribalta e per un tempo molto inferiore al quarto d’ ora.

Daniel K Sparkes

Nelle sue storie sparagnine i grandi e gli umili vivono in arcaica contiguità dentro un anonimato che livella tutto in un’ unica grande plebe.

Quando le brevi vicende narrate, già di per sé essenziali, si asciugano ulteriormente, a volte superano una soglia magica e si trasformano in enigmi fulminei che ci guardano taciturni dalla pagina.

Ecco, in questi casi noi cessiamo di capire. O meglio, capiamo solo che il commentatore postumo (*) non ha capito niente.

Esopo – Favole – BUR (introduzione - che vale l’ acquisto - di Giorgio Manganelli)

(*) Al termine di ogni favola è aggiunta postuma una morale.