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sabato 23 novembre 2019

GENEALOGIA DELL'ODIO

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Riccardo Mariani
7 min
GENEALOGIA DELL'ODIO
Su questo punto mi smarco dall'idea dominante che colgo sui giornali. Il motore immobile non lo vedo tanto nel razzismo quanto nel disprezzo.
Mi spiego meglio. La distinzione politica che va per la maggiore è quella tra "tribali" e "internazionali". I primi guarderebbero al qui ed ora, i secondi avrebbero una mente più aperta.
Non è una novità. Già nel 1957 il sociologo Robert Merton condusse uno studio sul funzionamento dei mass media all'interno di una piccola cittadina e trovava utile contrapporre i "locali" ai "cosmopoliti"; I "locali" erano chiusi, fondamentalmente egoisti e impauriti dalle possibili interferenze esterne mentre i cosmopoliti erano "ecumenici" e benevolmente curiosi nei confronti del mondo. Si noti che questa distinzione sembra essere stata "riscoperta" in modo indipendente da David Goodhart che parla di "somewheres" (i "locali" di Merton) e "anywheres (i "cosmopoliti" di Merton).
Ma qual è la novità? Che oggi i cosmopoliti sono più "giudicanti" di ieri, sentono sdoganato il loro atteggiamento un tempo "originale", armati della terminologia anti-razzista si percepiscono dalla parte della Ragione, non riescono più a calarsi in un vero dibattito: non si parla con i razzisti! Insomma, si sentono liberi di disprezzare i tribali. E il disprezzo, naturalmente, genera odio.
Il problema con le piattaforme digitali, per esempio, non è che persone "pessime" carichino contenuti pessimi ma che - con tanta merda nel ventilatore - persone "decenti" pensino sul serio di aver caricato contenuti decenti. Sono così orgogliose dei loro cinguettii. Quando odi sai che stai odiando, quando manchi di rispetto a qualcuno no.
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lunedì 22 luglio 2019

IL DISPREZZO

IL DISPREZZO
Non è un sentimento molto costruttivo, eppure non è mai stato tanto diffuso quanto oggi. Non è che la tecnologia c’entri qualcosa?
Su Facebook ricevi molti like se accusi ed esprimi disprezzo (magari ricorrendo ad un sarcasmo creativo). Atteggiamenti di apertura verso il “nemico” invece sono poco apprezzati.


http://www.econtalk.org/arthur-brooks-on-love-your-enemies/#audio-highlights
Non è un sentimento molto costruttivo, eppure non è mai stato tanto diffuso quanto oggi. Non è che la tecnologia c’entri qualcosa?
Su Facebook ricevi molti like se accusi ed esprimi disprezzo (magari ricorrendo ad un sarcasmo creativo). Atteggiamenti di apertura verso il “nemico” invece sono poco apprezzati.


http://www.econtalk.org/arthur-brooks-on-love-your-enemies/#audio-highlights

https://feedly.com/i/entry/Nkn6RK6HwBgWrvMj84SxHg63I5Wn8O87ZvoPCQT30Mw=_16c09cfa278:2861592:4b2e0c8b

martedì 23 aprile 2019

LA BRUTTA FINE

LA BRUTTA FINE
Diciamolo: internet è finita male, almeno rispetto ai sogni degli anni novanta.
Da allora la massa è approdata nel web. Era poco esperta da un punto di vista tecnico e più interessata a consumare passivamente l'intrattenimento che a contribuire in modo creativo. Gestiva in modo poco maturo i contenuti non censurati ed era più disposta a rinunciare alla propria autonomia in cambio di comodità.
I blog simboleggiano la "vecchia visione" di Internet mentre Facebook incarna la nuova e vincente.
Quando leggi i blog, fai le tue scelte su chi seguire. Con Facebook, ti affidi all’algoritmo di un’ intelligenza artificiale.
Chi tiene un blog mette dentro ogni post un lavoro genuino. Su Facebook, molti post sono solo "condivisioni" occasionali dove la persona che l aopera non aggiunge nulla.
I blogger creavano "metadati". Inserivano i loro post in categorie aggiungendo tag con parole chiave. Ciò consentiva ai lettori di filtrare ciò che leggevano e di recuperare un senso evolutivo. Su Facebook, l'intelligenza artificiale cerca di dedurre i nostri interessi dal nostro comportamento. Non selezioniamo gli argomenti da soli ma veniamo sospinti ora da una parte, ora dall’altra.

L'ambiente più popolare per leggere e scrivere blog è il personal computer, che consente al lettore di pensare e dà a chi scrive uno strumento per comporre e modificare diversi paragrafi. L'ambiente consueto per la lettura e la pubblicazione su Facebook è lo smartphone, che favorisce lo scorrimento rapido di foro e parole sporadiche.

https://hackernoon.com/how-the-internet-turned-bad-b85b079ac45f

mercoledì 12 settembre 2018

La concorrenza su internet

Perché tanti monopoli?  Suppose I am managing the incumbent firm X, and you want to enter the market with firm Y. In textbook economics, Y just has to copy what X does. But that does not work in the Internet context. Most people say that is because of network effects and lock-in, but I think there is a more important reason.

The problem with your copying me is that by the time you finish copying the current version, I will be two or three versions ahead of you


The source of entry barriers on the Internet http://www.arnoldkling.com/blog/the-source-of-entry-barriers-on-the-internet/

mercoledì 8 novembre 2017

C’era una volta il web

C’era una volta il web

Il web sta morendo.
Anzi, è già morto (nel 2014).
Voi che a cavallo del millennio avete avuto la fortuna di conoscerlo lo racconterete ai vostri figli come fosse una fiaba.
Era un posto anche brutto, certo: pieno di angoli oscuri, di sorprese indesiderate, di anonimato ambiguo, di tarocchi, di scambi di identità, di virus, di pornografia, di violenza…
Ma era anche un luogo eccitante.
Era anche metafora del mercato e di come il mercato muore (e risorge dalle sue ceneri).
***
Il mercato è una sfida, ma una sfida che avviene contemporaneamente su più livelli.
Mentre c’è chi gioca in campo per guadagnarsi la coppa, c’è chi gioca altrove per guadagnarsi lo stadio dove gli altri si sfidano per la coppa. E così via.
Il concorrente “nidifica” ovunque, e spesso non la vedi nemmeno (sta sopra e sotto anziché di fianco).
Il ciclo tecnologica di solito ha tre fasi: 1) concorrenza su beni2) concorrenza su piattaforme 3) cannibalismo. Per i particolari rivolgersi a Tim O’Reilly.
  1. Una piattaforma apre e  gli imprenditori di beni e servizi cominciano a giocarci su per vedere cosa accade. È toccato negli anni 70 ai personal computer, negli anni 90 a internet e nel nuovo secolo agli smartphone
  2. Comincia una competizione per appropriarsi della piattaforma stessa: il sistema operativo nel caso dei pc, i portali nel caso della rete e i social (o altri attrattori di attenzione) nel caso degli smartphone
  3. I vincitori della fase 2 realizzano che giocando in modo neutrale i loro ricavi non sono più destinati a salire, così che inaugurano un’azione di cannibalismo, ovvero cominciano ad inclinare il piano dove si gioca la partita in senso favorevole a loro. Così facendo, quando esagerano, pongono anche le premesse per la creazione di una piattaforma alternativa.
A quanto pare viviamo oggi in questa terza fase, motivo per cui possiamo dire che ormai il web è morto. È morto da almeno tre anni.
Tre anni fa erano in molti ad usare Google (G), Amazon (A) e Facebook (F). Oggi sono ancora in molti a usare il GAF ma soprattutto sono moltissimi ad usare servizi connessi al GAF.
Andare sulla rete significa essenzialmente passare per il GAF.
Prendi il sito del Corriere. Da dove pensate che arrivi il suo traffico? Dal GAF.
E se il GAF s’incazza… addio Corriere.
Già oggi le relazioni tra GAF e media tradizionali non sono rose e fiori. F ha già saggiato un’offensiva con FPaper e FInstant Arrticles. G ha fatto lo stesso ma i tempi e la giurisprudenza non sembrano ancora maturi. Il Corriere e gli altri si sono messi a frignare alzando un retorico grido di dolore (”e la democrazia di qua e la democrazia di là”). Ma hanno capito che è iniziato il conto alla rovescia.
Se tutto passa dal GAF prima o poi scatta il pedaggio.
Due parole sul GAF.
F è focalizzata sulle relazioni (una notizia che arriva in mano a F, se F lo vuole, schizza all’istante in tutto il pianeta). G è focalizzata sull’intelligenza artificiale (quando parlerai con qualcuno – che ti influenza – molto probabilmente starai parlando con G senza neanche saperlo). “A” se ne infischia del reddito per concentrarsi su ricavi alfine di espandersi il più possibile (presto sarà l’unico negozio sul pianeta… tutto sarà una sua succursale).
Sono esagerazioni, ma serve a capire.
Una volta c’era il WEB, oggi c’è il GAF.
Il GAF ha un’influenza tale sul web da averlo fagocitato.
I creatori del web – per esempio Tim Berners-Lee – lo immaginavano come un luogo anarchico, dove l’anonimo partisse alla pari della multinazionale. Un idillio peer-to-peerdove uno vale uno. Anche per questo sono i primi a dichiararlo morto.
Questa roba c’è stata. Dagli anni 90 agli anni 10 c’è effettivamente stata. La sua diversità e sregolatezza ha permesso a molti di cominciare da zero e di prosperare.
Dal 2014 abbiamo cominciato a perdere questi benefici, oltre ai molti inconvenienti.
Il GAF, intendiamoci, ha anche bonificato il web. Ieri non ci avrei mandato su mia figlia, oggi è diverso, ci sono ampi stimolanti corridoi a sicurezza garantita.
Presto, però, qualcuno comincerà a stabilire quale trafficoarriverà sui vostri device.
Vi proporranno tariffe più elevate per accedere a fette di rete più ampia (in Portogallo è già così).
Per le imprese non ci sarà più nessuna convenienza ad avere un sito (basterà un account… sul GAF).
Non farete neanche più ricerche, G – che vi conoscerà meglio di vostra madre – cercherà per voi e vi offrirà già l’esito preconfezionato all’apertura del device.
Al massimo premerete il tasto generico “dammi informazioni utili”.
Il GAF sa chi siete, sa dove siete, sa che ore sono, saprà anche cosa vi interessa! E ve lo dirà (in modo opportunamente orientato), visto che a voi sfugge.
Chi vorrà continuare a spendere risorse inutili cercando in prima persona sarà in ogni caso indirizzato.
Si potranno redigere dei “piani culturali quinquennali”.
Esempio banale: se si deciderà che la molestia sessuale è da bandire senza “se” e senza “ma” o che la famiglia tradizionale non esiste, per cercare un’opinione eccentrica dovrete sudare sette camice, sarà più facile tornare in biblioteca.
Siamo in piena terza fase. Siamo in fase “cannibalismo”, G sa bene che come arbitro neutrale ha già massimizzato i suoi profitti, ora deve inclinare il campo per andare oltre.
Un tempo “navigavate sulla rete”, oggi la rete non esiste più, esistono le App che vi fanno navigare, ma con il pilota automatico incorporato. Su “A” ormai è tutto una App.
Già oggi sono in molti a comunicare tra loro via Appaggirando il web e consegnandosi al vento soffiato dal GAF.
All’interno del web si crea un web virtuale da cui non si esce. E intanto il web autentico avvizzisce.
Non muore di botto, intendiamoci. Come tutte le tecnologie muore perché viene gradualmente messo da parte, non offre più granché, diventa sempre meno attraente.
In sintesi potremmo dire che il GAF ha “melificato” il web.
Il precursore del GAF è infatti Apple: con il suo mondo chiuso fatto solo di brand loyality ha dettato la linea, e ben presto non ci sarà più alcun mondo aperto.
Internet sopravvive al web, ovvio: il GAF funziona ancora con quei cavi sottomarini! Ma su quei cavi ora viaggia il GAF (o Trinet, come lo chiama qualcuno), non più il web.
Non siamo ancora abituati al GAF, abbiamo ancora unamentalità da internauti, ci pensiamo come liberi, non adottiamo le dovute correzioni mentali, diamo per assodata l’anonimia e il controllo assoluto su cio’ che condividiamo, diamo per scontata la facilità con cui far partire una start up con tanto di server indipendenti.
Dimentichiamo che il web non c’è più, che, per esempio, essere permanentemente bannati da F avrà sempre più gli effetti di una scomunica della chiesa cattolica medievale. E nessun tribunale potrà mai reintegrarci perché noi non abbiamo nessun diritto ad un account su F.
Che fare? Tornare indietro? Stare fermi a colpi di sentenze “democratiche”?
Per molti – quelli della difesa delle piccole librerie, tanto per capirsi – la soluzione è quella: museificare il passato e congelarlo così.
Tuttavia, la parte finale del punto 3 offre una soluzione diversa, in particolare quando dice che: “il cannibalismo esagerato incentiva l’emergere di nuove piattaforme”.
E allora ecco: che la politica non si spenda per la difesa del vecchio ma casomai per l’emergere del nuovo. 
Meno regole, più piattaforme.
E se le nuove piattaforme non emergeranno, vorrà dire che il GAF avrà saputo autolimitarsi. Bene!
Bene! Sì, bene. bene perché non ho certo l’intenzione di suonare catastrofista: sia chiaro che, così come mi fido più delle lobby che del parlamentimi fido più del GAF che delle istituzioni democratiche.
Si puo’ vivere bene anche sotto il regno del GAF. Non mi sembra che Apple abbia rovinato chi si è rintanato nella sua bolla.
Saranno contenti poi i “piangina” della “società liquida”, quelli per cui l’ “atomizzazione”, l’ “isolamento” e l’ “individualismo cieco” e bla bla bla.
Ora che saremo tutti irregimentati nel GAF la smetteranno di frignare. [Non penso proprio: 1) è nella loro natura e 2) la società del piagnisteo continuerà a premiarli]
***
Tanti anni fa (più di dieci), quando eravamo ancora in piena epoca web, sul forum della trasmissione radiofonica Fahrenheit si discuteva ogni 2 giugno di repubblica e monarchia. Ero l’unico a perorare la seconda ipotesi stando ben attento a precisare che i monarchi che avevo in mente non erano quelli tradizionali, che non si trattava quindi di tornare indietro, che non ero certo un reazionario. Tutti allora mi chiedevano con insistenza: “ma a chi pensi dunque?” Allora non sapevo esprimermi con chiarezza. Oggi è più facile: avevo in mente qualcosa tipo il GAF.
Con questa precisazione, chi più di me è titolato a dire “si puo’ vivere bene anche sotto il GAF”? Chi più di me non è imputabile di catastrofismo’
morte del web