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lunedì 17 dicembre 2018

SCIENZE IN CRISI: LA FISICA

SCIENZE IN CRISI: LA FISICA

La fisica è una scienza in crisi? Per sempre più persone il suo progresso è stato molto deludente negli ultimi 30 anni. Nonostante il ritmo degli esperimenti si accavalli, nessuna nuova particella, nessuna nuova dimensione, nessuna nuova simmetria... Certo, ci sono alcune anomalie nei dati qua e là, e forse una di queste si rivelerà interessante domani. Ma i fisici sperimentali nella sostanza stanno guardando nel buio da anni.

Forse la realtà è stata già sviscerata a dovere, forse invece una parte del rallentamento si spiega con il nuovo modo di procedere. Esempio: LHC crea un miliardo di collisioni protone/protone al secondo, questi eventi vengono filtrati in tempo reale e scartati a meno che un algoritmo non li reputi “interessanti”. Di solito ne trattiene un centinaio, il rischio di buttare dati fondamentali è alto. Ma soprattutto, con sempre meno dati da spiegare, i teorici si sono rivolti principalmente a standard di “bellezza” per le loro elaborazioni.

Un tempo, invece, il teorico esponeva la sua teoria nella speranza che i dati sperimentali disponibili a posteriori gliela confermassero o meno.

In conformità al nuovo modo di procedere, allo scienziato non si chiede di scommettere la sua reputazione sulle sue teorie ma solo di pubblicare in continuazione lavori con molte citazioni che testimonino in qualche modo l’approvazione dei pari. Nei fatti la carriera di molti si esaurisce in un prolungamento eterno della tesi di dottorato. La pressione è posta soprattutto sul pubblicare e compiacere i colleghi, la qual cosa scoraggia l’innovazione.

C’è chi propone di farla finita con le citazioni per tornare alla sana vecchia “scommessa”. Ma alla scommessa vera, finanziaria. Una specie di “borsa delle teorie scientifiche” in cui si punti sui paper, sullo scienziato singolo, sull’istituto. Perché non sfruttare il potere predittivo dei mercati anche per rivitalizzare una scienza in crisi?

Ma un progetto del genere implica un ritorno al paradigma precedente: l’adattamento ai dati è uno standard molto meno equivoco della “bellezza” quando si tratta di scommettere.

https://feedly.com/i/entry/pCjzw1s9uw4o7o2a6k88mWl61VH8mv6Frk5BTARJuI0=_167a91e2301:3186544:c2ce2e2e

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martedì 27 novembre 2018

IL TRAMONTO DELLA SCIENZA

IL TRAMONTO DELLA SCIENZA

Grazie alle continue scoperte scientifiche e alla loro applicazione tecnologica la nostra civiltà ci garantisce un benessere materiale mille volte superiore a quello del passato.

Sembra farsi largo un dubbio: la marcia del progresso è destinata a finire? Avremo sempre meno idee brillanti?

A quanto pare siamo in fase calante. O meglio, il ritmo delle scoperte scientifiche non rallenta granché ma cresce a livello esponenziale il numero di persone che vi si dedica.

A cosa imputare il crollo della produttività scientifica? Le spiegazioni sono molte, la mia preferita è questa: tempo fa abbiamo scoperto “l’albero della scienza” e lo abbiamo saccheggiato. O meglio, abbiamo colto tutti i “frutti sui rami bassi”. Ce ne sono altri, per carità, ma sempre più difficili da raggiungere.

Pensate allo sport. Pensate alla maratona. Pensate ai record della maratona. I record vengono regolarmente aggiornati ma questi miglioramenti non riflettono affatto il numero crescente di persone che si dedicano alla disciplina! Ecco, lo stesso accade alla scienza.

Forse l’intelligenza artificiale cambierà le cose. Fra 30 anni saranno i robot a fare ricerca (il mestiere di scienziato non ha futuro) e chissà che non assisteremo ad una ripresa della produttività precedente.

https://web.stanford.edu/~chadj/IdeaPF.pdf

venerdì 13 giugno 2008

Alla fine della scienza

La ricerca scientifica non si esaurisce per definizione.

Cerchiamo però di immaginarci un tempo in cui questo sapere avrà detto praticamente tutto quel che potrebbe dire sulla mente umana.

Non escludo certo a priori che possa farlo, magari la biologia e la genetica avranno parole decisive da pronunciare in merito.

Ripeto, sto immaginando un futuro per ragionare sulle conseguenze. Non mi interessa il probabile, mi interessa il possibile.

Per coloro i quali il sapere scientifico è di primaria importanza, l' uomo sarebbe ridotto ad un robot programmabile. L' uomo agisce e noi avremmo la risposta del perchè l' ha fatto. Sapremmo anche come fare per indurlo a comportamenti differenti. Un robot.

La mia posizione è ben diversa: per quanto la scienza vada a fondo sul tema della mente umana, per definizione non potrà mai "spiegarla". Non esiste spiegazione senza "causa prima" e la scienza si disinteressa delle "cause prime".

Non penso che l' uomo sia un robot, anzi sono certo che non lo sia. Se lo fosse non avrebbe senso parlare di "diritti", di "intenzione", di "responsabilità". Invece per me ha senso, ha senso parlare di diritti, per esempio.

Secondo me l' uomo non è un robot, proprio perchè ha senso dire che, per esempio, Tizio ha il diritto a non essere ucciso, specie se non si è reso colpevole di nulla. Un robot non avrebbe certo il diritto ad essere "salvato", neanche quando fosse "innocente". Non ha nemmeno senso dire che un robot è "innocente".

Il monista scientifico ha pronta la sua obiezione: "l' esistenza in sè di diritti è un' illusione. Molto più semplicemente, tu, io e e tutti i nostri antenati programmati dal caso con quella "illusione" feconda, abbiamo vinto la lotteria della selezione naturale e, ora che ci siamo solo noi, quella illusione è diventata universale e ci appare come una certezza".

Ma sulla base di cosa il monista scientifico puo' fare certe affermazioni? Sulla base del fatto che il sapere scientifico è l' unico da considerare.

Personalmente sono sicuro che Tizio non sia un robot, che Tizio abbia diritti. Ne sono sicuro con un grado di certezza, diciamo pari a C1.

Quando interpreto l' esito di un esperimento scientifico sono sicuro delle mie conclusioni con un grado di certezza pari a C2, persino quando l' interpretazione è elementare non posso andare oltre C2. Anche le leggi logiche mi appaiono corrette con un grado di certezza pari a C'1.

Nel mio caso C2 è inferiore a C1 mentre C1 e C'1sono abbastanza simili.

Sulla base di quanto detto, non vedo come conclusioni costruite assommando delle verità con gradi di certezza pari a C2 e C'1, possano mai confutare una verità ben più robusta con grado di certezza pari a C1. Ma è proprio quello che pretende di fare il monista con la sua obiezione.

Lui, il monista, probabilmente è in buona fede; lui - non ne capisco il motivo ma probabilmente è così - non vede che l' uomo si differenzia da un robot, lui non vede con l' occhio della mente che è ingiusto stuprare un innocente. Per lui queste cose vanno "dimostrate". Per lui queste cose sono dei punti di arrivo e non dei solidi e rigorosi punti di partenza.

A volte il monista tradisce la sua concezione scientista simpatizzando con la morale utilitarista: è giusto cio' che è utile.

C' è un salto logico! La scienza dei fatti, per quanto possa darci una mano nel calcolare cio' che è utile, non ci dirà mai che cio' che è giusto. Come potrebbe?

Il fatto che i più efficienti sopravvivano non significa che adottino i comportamenti "giusti" in senso etico.

Senza contare che l' utilitarismo ci costringe a parecchie scelte arbitrarie, all' utilità bisogna dare un contenuto: utile per chi? Per me, per i miei figli, per i miei nipoti, per il mio vicino di casa? Domande a cui rispondere lanciando il dado qualora si voglia passare dai fatti ai valori.

In conclusione vorrei solo precisare una cosa che spesso viene equivocata: la mia posizione non mi preclude in alcun modo la ricerca scientifica più completa sulla mente umana. Non trovo alcun imbarazzo nel mappare con la maggiore precisione e cura possibili la parte "robotica" dell' uomo. Sarei felicissimo e non vedo l' ora che si scopra "il cromosoma dell' etica". In questo senso, nel campo della ricerca, avrei le mani libere esattamente quanto il monista.

***
Naturalmente la faccio facile. Distinguere tra pensiero scientifico e pensiero non-scientifico non è una bazzeccola. E' il "problema della demarcazione" o problema kantiano. Non è facile discernere un "fatto" da una "teoria".

A me sembra che tutta la faccenda del "problema della demarcazione" possa essere aggirata. Pragmaticamente noi siamo in grado di distinguere un fatto materiale e chiamarlo così. Quando parlo di scienza, quindi, mi riferisco a quel sapere verificato o confutato sulla base di fatti materiali.