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martedì 16 novembre 2010

Mi sono preso un po' di tempo per leggere lo pseudoromanzo "Se una notte d' inverno un viaggiatore...". Lo dico a giustificazione della tardiva replica. D' altronde il forum serve anche a questo: fornire pretesti di lettura.
A quanto pare anche il romanzo di cui parliamo ha funzionato bene sopratutto come pretesto. Pretesto per un dibattito serrato intorno alle nuove scritture dell' epoca.
Calvino fa partire dieci storie come fossero dieci treni che sfumano all' orizzonte e di cui presto perderemo le tracce. Forse vuole catturare la naturale benevolenza con cui ogni lettore si equipaggia nell' accingersi a prendere in mano un libro. Solo che questo caso è diverso: io-lettore so in anticipo che oltre all' attacco non ci sarà nulla, che i treni sono diretti in un non-luogo.
D' altronde la figura del lettore non sembra in cima alle preoccupazioni di Calvino. Lui è concentrato sullo scrivente, sulla fonte dell' affabulazione: propone il suo racconto come un ponte sul vuoto e procede in cerca di fortuna buttando avanti notizie e sensazioni per creare uno sfondo di rivolgimenti tra i quali spera presto o tardi di aprire un varco.
"Mi faccio largo nella profusione di dettagli che coprono un vuoto di cui il mio slancio di scrittore non vuole accorgersi". Devo ammettere che aderisco a queste sensazioni solo grazie alla mia minuscola esperienza di scrivente, ma, in quanto lettore, rimango estraneo.
Il laccio che mi lega alla storia è sempre lasco, salto pagine su pagine e quando riprendo a leggere non mi pento mai dei buchi che ho lasciato dietro di me. E' la classica sintomatologia di chi ha tra le mani un testo sperimentale. Alla fine i capitoli più interessanti sono quelli che descrivono la cornice, ovvero quelli più esplicitamente metaromanzeschi. E non si puo' nemmeno dire che producano un anticlimax, visto che non c' è traccia di atmosfere da "rompere".
In fondo Calvino non ha nulla da dirci e paga cara questa lacuna. Non capirlo è stata l' ingenuità delle nostre avanguardie recenti.
Questo "nulla" a volte appare nella sua fredda luminosità da galleria degli specchi, altre volte viene occultato alla bell' e meglio da una saturazione di storie che, come avvoltoi, girano intorno a quella principale costituendo una perenne distrazione per chi racconta, specie per chi non ha particolari urgenze di dirci qualcosa, e Calvino appartiene proprio a questa schiatta. Alla fine la moltitudine di favole in campo non produce sinergie ma solo straniamenti.
Quanto al nostro discorso sulle allegorie, sono sempre dell' avviso che l' idea di vedere questi testi come neo allegorici, per quanto vada presa con le pinze, sia una buona intuizione, anche se mi permetterai di buttare lì una riserva.
Posto che l' astrazione allegorizzata dovrebbe essere la Scrittura, Calvino non dà mai l' impressione di volersi realmente affrancare dal suo mondo, al limite ci resoconta i segni di quel movimento invisibile che è la lettura: la rotazione di uno sguardo che scorre un rigo, il balletto della pupilla tra il nero delle parole... Cio' lo rende piuttosto improduttivo come fonte di allegorie propriamente dette.
Rendiamo comunque omaggio all' amore per i libri che aveva questo autore, e ai mille pretesti inventati da una fantasia sbrigliata per passarci insieme più tempo possibile.

giovedì 12 novembre 2009

SEMPLICITA': CALVINO E WALSER

A volte girare pagina procura un grande ristoro. Che pace si effonde in noi quando passiamo dal rigo impervio dell' ultimo giovane sperimentatore sintattico alla quieta ma non meno creativa pagina di Italo Calvino. Che serenità luminosa ci pervade nell' imboccare l' ultima ansa del barocchissimo labirinto futurista, quando questa immette nelle acque calme e pescose della prosa di Calvino. Ci viene da giurare che non tradiremo mai questa oasi perfetta di pace. Ma poi sopraggiunge la bonaccia. E qui ti voglio. Il marinaio poco esperto non sa che in alto mare la bonaccia puo' essere mortifera quanto la tempesta. Posso ben dirlo, la minaccia di tutte le "semplicità" è la spettrale stagnazione. Quel blocco che costringe il lettore a sfiancarsi e a iprecare mentre lo vedi che risale controcorrente la fiumana delle pagine con la sola forza dei suoi corti remi e armato di una volontà che va scemando a vista d' occhio. Non conosco molti libri di Calvino. E se ho rinunciato ad invadere il suo continente è proprio per il forte sentore di questo pericolo. Cosa che non mi è successa, per esempio, con altri testi dove pure veniva elargita grande povertà di spirito, quelli di Robert Walser per esempio. Ma perchè Calvino giù e Walser su? Cerco di dirlo. Il primo è un "costruttore", lo vedi sempre intento a montare le quinte e i fondali delle sue storie. Esamina in lungo e in largo i pezzi del suo lego e poi, con fare sicuro, incastra. Zac. Walser la sua vera storia ce l' ha alle spalle e non ce la racconterà mai. Probabilmente non è una storia piacevole, il suo problema è semmai di smontarla, di dissolverla. Deve dimenticarsela e farla dimenticare. Deve al più presto guadagnare una deriva e lo fa a suon di passeggiate ottuse e ottundenti. Tra le righe di Walser c' è tanfo di cloroformio, di farmacia. Un dramma si è consumato da qualche parte, lo sappiamo benissimo, eppure questo scrittore semi- deficiente non ne parla. Non sputa il rospo. Da lui con caveremo un ragno dal buco. Ma la possibilità di carpire qualche indizio punge e risveglia di continuo la nostra attenzione. Sotto le travi del racconto walseriano pulsa un cuore rivelatore (Poe) e questo bel tomo ha l' aria di non accorgersene. Dei cadaveri freschissimi sono stati occultati, si vede lontano un miglio. E lui niente, continua ad annusare i fiorellini di campo appena colti e a scappellarsi per salutare festoso una bellezza di cui è innamorato senza nessunissima chances Adesso fa tanto il poeta, lui. See, ma prima del primo rigo cosa avrà mai combinato? Di sicuro l' ha fatta grossa, te lo dico io. Questa coscienza che il vero dramma si sia già concluso nel momento in cui il reticente scrittore austriaco impugna lo stilo è una cosa decisamente frustrante. Ma perlomeno tiene a distanza la bonaccia. Perlomeno le radiazioni dell' orrore ci toccano e ci risvegliano come fossero potentissimi sali. Nonostante le apparenze Walser è un realista dal realismo fuori scena, anzi uno scrittore drammatico dai drammi dissimulati. Il dramma, il realismo, possono essere decisamente kitsch, possono accompagnarsi alla repulsa...ma non allo sbadiglio, non al vero spauracchio del prosatore semplice e leggero. Ecco che la leggerezza di questo "annusatore di fiori" ha trovato il suo anticorpo. Prima di Walser abbiamo visto cosa c' era. Ma cosa c' era invece prima di Dio? Probabilmente un inferno abitato da chi si è fatto questa domanda. Calvino è un dio e non ha senso chiedersi cosa c' era prima che cominciasse a raccontare. E' un creatore di mondi e prima di lui immaginiamo solo una noiosissima tabula rasa a cui possiamo disinteressarci. La sua leggerezza aerea non ci vaccina contro il tedio. E lo si vede. Montato e smontato il suo puzzle non ci resta altro da fare. E' lui stesso che ci aiuta ad aprire tutti gli armadi: nessun cadavere, niente di niente, il sangue è salsa di pomodoro e tutto il resto è solo cartone di prima qualità. Del resto sul suo conto non avevamo mai provato il brivido del sospetto. Lo spauracchio tipico degli scrittori "dai righi ben spaziati" è tutt' altro che esorcizzato, ne incombe ivece la presenza. Io lettore, che percorro le sue strade asfaltate privato del sacrificio che di solito sono chiamato ad elargire in cambio della ricompensa estetica, rimango spaesato. Poi lentamente mi accorgo che la mia assenza di sacrificio si trasforma in una "assenza" tout court. Infine c'è tutto un capitolo che non intendo aprire ma solo socchiudere. Con la Realtà Calvino ha vissuto drammi interessantissimi ma sono tutti fuori dalle sue storie, vengono dopo i suoi racconti, appartengono alla vita privata. Quando ha tentato sul serio di ordinarla secondo il suo rigore libresco gli esiti sono stati tristemente risibili, quindi interessanti