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mercoledì 21 febbraio 2018

Prendersela con chi pone problemi

Molti si preoccupano e discutono delle conseguenze.
A me interessa invece l'ontologia: chi è costui, e come va trattato?
Ho un sospetto: molte condanne su possibili conseguenze nefaste riflettono un disagio per il problema ontologico.
E' giusto prendersela con chi ci presenta un problema che comunque, nella forma di esperimento mentale, sarebbe comunque esistito?
È il secondo dopo un maiale-uomo. Secondo alcuni scienziati potrebbe essere un passo verso organi umani in animali
CORRIERE.IT

venerdì 22 dicembre 2017

Per farla finita con le ricette

Per farla finita con le ricette

La tesi sarebbe all’incirca questa: se accetti il principio del consenso informato, allora devi farla finita con le ricette. Che senso hanno?
Il problema di fondo è all’incirca questo: l’assunzione di una medicina assicura certi benefici con una probabilità dell’x% e certi effetti collaterali spiacevoli con una probabilità dell’y%. Chi deve decidere se assumerla o meno? E chi è l’esperto in materia?
Risposta: l’esperto non è il medico (lui è esperto solo nel ricavare x e y) ma il bioeticista.
All’inizio del ‘900 una storiella come questa che schizzo qua sotto rivoltò come un calzino la bioetica.
Maria andò all’ospedale in preda a dolori addominali, il medico che la visitò riscontrò la presenza di un grumo sospetto: bisognava intervenire. Tuttavia, Maria era di parere contrario, voleva tornare a casa la mattina seguente alla notte in cui restava in osservazione. I medici insistettero, la svegliarono più volte per ottenere un via libera ma Maria si oppose ostinatamente. Al mattino decisero di sedarla a sua insaputa e di intervenire chirurgicamente per asportarle un fibroma uterino ricorrendo ad un’isterectomia o come diavolo si chiama. Il decorso post-operatorio fu complicato e incluse l’amputazione di due dita in seguito a cancrena.
Evito date e luoghi per non appesantire, sta di fatto che episodi di questo tipo spinsero allo sviluppo più significativo nell’etica medica del XX secolo: la necessità di un consensodel paziente per far partire la cura.
In poche parole: fine del paternalismo medico.
Ora al comando delle operazioni sta ora il malato, il medico è un prezioso consulente che entra in azione solo ad un cenno del vero boss.
Prima i medici ricorrevano spesso alle “bugie pietose” per mascherare l’esito della diagnosi e agire così in autonomia.
Ancora negli anni ‘70, il 90% dei medici edulcorava o addirittura occultava al paziente la diagnosi di cancro.
Il principio di autodeterminazione nella cura suona così: ogni essere umano adulto in possesso delle sue facoltà mentali ha il diritto di stabilire che fare con il suo corpo.
E’ la dottrina del consenso informato.
Ma il processo storico presenta una curiosa asimmetria: man mano che cresceva l’autodeterminazione nella cura, cresceva anche il proibizionismo nell’accesso ai medicinali.
Più il paziente diveniva “libero” di curarsi, più difficoltoso diventava farlo concretamente. Quel che veniva dato con una mano, veniva tolto con l’altra.
Sembrerebbe molto più logico che l’introduzione del consenso informato sdogani anche il libero accesso ai farmaci.
Questo non significa silenziare i medici ma trasformarli in consulenti del Signore, ovvero del malato.
Si noti il vero paradosso: oggi rifiutare i medicinali è concesso, ma non è concesso assumerli senza autorizzazione dall’alto.
Rischiare omettendo si puo’, rischiare agendo è vietato. Ma che senso ha?
Se il dottore che mi diagnostica il diabete e poi mi prescrive l’insulina, io posso mandarlo a quel paese ripiegando su esercizi e dieta ferrea. Lui non puo’ nulla nei miei confronti, non puo’ impormi la sua cura.
Se il dottore che mi diagnostica il diabete mi prescrive esercizi e dieta ferrea, io non posso mandarlo a quel paese ripiegando sull’ insulina.
Nell’ultimo caso e solo nell’ultimo caso io sono suo schiavo, poiché l’insulina mi è negata in assenza di un suo consenso.
Difficile ricavare una logica da una situazione del genere.
Proibire con la forza l’accesso alle medicine significa negarela libertà di cura. Punto.
La teoria del consenso informato presume che il paziente sia la persona nella posizione migliore per scegliere le cure che salvaguardando i suoi interessi.
Questo perché gli interessi da tutelare sono quelli “generali”, non quelli strettamente legati alla salute fisica.
Il dovere del medico è quello di fornire informazioni, poi deve sparire in attesa di ordini.
Il pilastro giuridico della “posizione di vantaggio” è un’eredità ricevuta da John Stuart Mill: “nessuno più dell’interessato è nelle condizioni di decidere o meno su un rischio che lo riguarda”.
Le preferenze di una persona sono inaccessibili ai terzi, è questa la base di ogni sano soggettivismo/solipsismo. Tu non puoi leggermi nell’animo.
I due bioeticisti di riferimento su questo tema sono Allen Buchanan e Robert Veatch: “non ha senso che chi è esperto in una sola componente del benessere debba pronunciarsi sul benessere in generale di un altro soggetto”.
La salute fisica è solo una componente – per altro secondaria – del benessere. Chi meglio dei cattolici ha chiara questa verità? Nessuno.
Una focalizzazione miope sulla salute fisica assomiglia a quella di chi punta tutto sul denaro per essere felice. Pazzi!
I dottori dovrebbero curare i pazienti prima che le malattie (Maimonide), è quindi ovvio che al paziente debbano concedere la precedenza.
Di fronte ad una divergenza nulla vieta che il dottore insista, ma alla fine sarà lui a cedere, pena la violazione di diritti fondamentali.
Immaginatevi il classico testimone di Geova contrario alle trasfusioni. Sottoporsi al trattamento è chiaramente nell’interesse della sua salute fisica ma che ne sappiamo noi della sua “salute generale”? Della sua identità culturale, del suo impegno religioso? Solo uno scientista equiparerebbe “salute fisica” e “benessere generale”.
Il discorso si estende – in modo depotenziato – ai figli del Testimone di Geova. Qualora non siano in grado di esprimere un consenso, la cosa più plausibile è supporre che assomiglino ai genitori, del resto i più interessati al loro bene.
Possiamo anche immaginare un paziente che rinuncia alla chemioterapia per preservare la sua fertilità anche se questa decisione mette a rischio la sua vita. Le scelte di cura sono sempre valoriali e i valori appartengono al soggetto.
Tutte le libertà possono essere ricondotte alla libertà religiosa, la libertà fondamentale.
La chirurgia estetica non fornisce nessuna cura a fronte di molti rischi, ma noi l’accettiamo proprio perché alla base rinveniamo il consenso del paziente.
***
Tutti gli argomenti appena scorsi valgono quando si affronta un rischio di cura. Non ha senso distinguere se il rischio si generi da un’omissione piuttosto che da un’azione.
Quando il medico decide di prescrivere una medicina lo fa calcolando un rischio, ma, per quanto appena detto, il medico non ha gli elementi per capire se “il gioco vale la candela”. Il medico puo’ solo quantificare un rischio particolare e poi cedere la parola.
Ma quelle messe peggio sono le autorità che autorizzano la messa in commercio dei medicinali: loro nemmeno conoscono i possibili beneficiari! Come mai potrebbero calcolare  il “rischio personale complessivo”?
Immaginiamoci un paziente che sbaglia. Per ignoranza, per presunzione, per distorsioni cognitive il paziente puo’ prendere posizioni sbagliate e pentirsi amaramente delle sue scelte.
La cosa non cambia i termini della questione: un paziente che decide e sbaglia mantiene comunque una dignità personale superiore a quella del paziente/pupazzo forzato nella giusta direzione.
Se la modernità conserva un briciolo di virilità è qui che la troviamo. Vogliamo estinguerla del tutto?
Chi sostiene la prescrizione delle ricette, ritiene che medico e regolatore siano meno coinvolti e più esperti rispetto al paziente.
Obiezioni precedenti a parte, questo varrebbe anche nel caso del consenso informato! Perché lì abbiamo ritenuto perdentequesto argomento?
Qualcuno sostiene che il paziente trascura il lungo periodo. Ma è tutt’altro che chiaro perché mai bisognerebbe privilegiare il lungo periodo.
Ad ogni modo, e vale la pena di ricordarlo ancora, il giudizio degli esperti ha comunque un grande peso, direi che nella maggior parte dei casi è determinante nei fatti in moltissimi casi. Si tratta di un’evidenza in nostro possesso maturata nell’ormai lunga pratica del consenso informato.
Il paziente insicuro, sperso, disorientato, travolto dagli eventi – quello a cui pensano i paternalisti – si affiderà certamente al medico.
C’è un altro motivo per delegare al paziente le decisioni: quando un paziente sceglie, l’effetto placebo va alle stelle (e non vi passi per la testa di sottovalutare l’effetto placebo). Scegliersi la cura significa formulare profezie che si autoavverano.
Io sono mio. Ecco il principio cardine.
Sbagliare moglie puo’ avere conseguenze tragiche. Uno psicologo (ma anche un algoritmo) ne sa in teoria più di noi sulla compatibilità dei caratteri nel lungo termine dei caratteri. Eppure, nessuno di noi oserebbe conculcare il diritto fondamentale di scegliere e sbagliare su questo tema. Il diritto di rovinarsi la vita con le proprie mani è sacro.
C’è chi resiste a quanto dico sostenendo che le scelte sanitarie non siano poi così intime, e che quindi non meritino una protezione particolare.
Io dico invece che toccare il corpo di una persona significa entrare nella sua intimità. Anche di più che toccare la sua proprietà o la sua reputazione.
Stephen Darwall sostiene in modo convincente che interferire nelle scelte mediche di un adulto responsabile significa nella sostanza non riconoscere la sua dignità di membro di una comunità morale.
Così facendo si  viola un principio kantiano.
L’aspetto criticabile del paternalismo, allora, non sta tanto nella delega a terzi di una tutela non richiesta, quanto piuttosto  in una mancanza di rispetto  verso chi intende proteggere.  La persona viene di fatto squalificata e ridotta ad infante permanente.
***
La dottrina del consenso informato ha anche il pregio di proteggere il paziente da abusi.
Anche chi non è convinto dal diritto a scegliere per sé, converrà sul fatto che le persone non debbano subire violenze fisiche.
Fissare delle eccezioni è sempre un rischio.
Manson O’Neill sostiene che la dottrina del consenso informato è meglio compresa se vista come un impedimento ai medici di violentare i propri pazienti, neanche a fin di bene.
***
Chi può scegliere di ingurgitare una medicina che avrà certi effetti, puo’ anche scegliere di farlo con una medicina che probabilmente avrà certi effetti. perché no?
Nel mondo concreto tutto è riconducibile a probabilità, il fatto che una probabilità si avvicini al 100% o al 75% non deve cambiare lo schema di fondo.
I medici, oltretutto, non hanno particolari competenze in tema di valutazione del rischio, non conoscono nemmeno le basi della decisione razionale in presenza di rischi, non sono operatori finanziari. La loro competenza si limita a stabilire e comunicare le probabilità stimate. Poi, se sono medici coscienziosi, possono trasformarsi in “amici” del paziente, ma non andare oltre.
Se quanto ho appena detto è vero, allora ciò comporta una profonda riforma nelle procedure di approvazione dei medicinali.
Ad oggi nessun malato può accedere a medicine sprovviste di apposita certificazione di sicurezza.
Tuttavia, come abbiamo visto di sopra, il concetto di sicurezza rinvia ai valori personali.
Non solo, gli stessi regolatori certificano anche medicinali che implicano certi rischi. In altri termini, il concetto di sicurezza è sempre relativo, e non potrebbe essere che così.
Posta e tollerata una certa quota di rischio, la domanda diventa: come individuare questa soglia?
***
C’è chi sostiene che il consenso è davvero informato solo se inerente a farmaci approvati. In caso contrario, come conoscere i reali rischi?
Ma il mercato nero delle medicine non approvate dimostra che un consenso informato si forma anche senza certificazioni.
Per capire meglio di cosa sto parlando, bisogna sapere che in taluni medicinali vengono approvati solo per specifiche patologie, ma poi restano a disposizione di tutti su un mercato nero.
Si tratta di contesti in grado di simulare un mondo deregolamentato, una specie di esperimento naturale. E’ chiaro che l’estensione e il successo di questi mercati getta sospetti sull’utilità di una regolamentazione preventiva.
Noi gente di confine abbiamo una fruttuosa esperienza in questo senso: i nostri medici di fiducia ci spedivano regolarmente in Svizzera per reperire utili medicine non autorizzate in Italia. Svizzera, grazie di esistere.
Oltre all’approvazione delle medicine, c’è poi la questione delle ricette. Anche qui bisogna intervenire per tutelare il diritto alla cura.
Prendiamo il caso delle medicine in grado di potenziare la nostra resistenza ai carichi cognitivi, l’Adderal ha fatto parlare molto di sé. Oggi vengono usate da tutti senza prescrizione poiché ufficialmente si tratta di medicine destinate unicamente ai soggetti ADHDDHHAHADA.
Ma questo è anche  un caso preclaro in cui il medico  non sarà mai in grado di soppesare l’opportunità dell’assunzione, i fattori in gioco per ciascun soggetto sono moltissimi e sempre diversi, la gran parte di essi ricadranno al di fuori della sfera di competenza del medico, molti non saranno neppure a lui noti.
Anche gli alcolici bevuti ad una festa possono essere pericolosi per la nostra salute, ma nessuno si sogna di delegare ad un medico la decisione di quale spumante stappare al mio compleanno. Si tratta della mia festa e decidi decido io.
Anche la privazione da sonno è estremamente dannosa, ma poiché l’indomani ho un esame decisivo sono io a decidere se stare sveglio a studiare stanotte, non il medico.
Conclusione: se troviamo  ragionevole la dottrina del “consenso informato”, e ormai è accettata ovunque, allora urge riformare al più presto le procedure di approvazione e prescrizione dei medicinali. Una volta proclamata la libertà di cura non si possono fare eccezioni e non si può ricorrere a doppi standard del  tutto arbitrari.  
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venerdì 11 dicembre 2009

La ripugnanza

Quando mi è stato descritto per sommi capi in cosa consisteva la clonazione, la mia prima reazione è stata: "bleah. Ma il presunto crimine dov' è?".

Un vero schifo. Eppure niente feti raschiati, niente embrioni smembrati. Ero pronto ad oppormi ma non capivo bene cosa avrei dovuto dire. Insomma, il presunto crimine dov' è?

Al silenzio sbigottito di chi era chiamato a rispondere è seguita qualche interiezione indignata, poi, finalmente, qualche parola. Ma si trattava purtroppo solo di "giri" di parole o poco più.

Certo, il futuro è un' incognita, a volte ci sentiamo angosciati. Ma questo vale di fronte a tutte le innovazioni.

Lo stesso canovaccio si ripete spesso parlando di compravendita degli organi. Reni e midollo vanno per la maggiore.

Anche lì prendo più sul serio chi si limita all' indignazione che non chi la fa seguire da argomentazioni appiccicate con lo sputo e pensate chiaramente dopo che è già stata pensata la conclusione a cui si vuole arrivare.

Ma questi sono solo esempi, mi servono per dire che in certe materie etiche noi eleggiamo a supremo giudice la ripugnanza dell' argomento.

La clonazione e la compravendita di organi ci ripugnano. Punto e basta. Le aggiunte pseudorazionali con cui condiamo questo sentimento primitivo sono meramente ipocrite e malferme. Fanno danno anzichè aiutare.

Trattasi di istintiva ripugnanza e solo di quella, quindi.

A dirlo sembra di mascherare un malfattore, ma non è così. La ripugnanza, da maschera per l' assenza di argomenti, in alcuni filosofi avvertiti diventa argomento in sè.

Leon Kass, probabilmente il massimo bioeticista d' Oltreoceano, nonchè consigliere di Bush, è l' epitome di quanto vado dicendo:

Repugnance is the emotional expression of deep wisdom, beyond reason's power fully to articulate it. Can anyone really give an argument fully adequate to the horror which is father-daughter incest (even with consent), or having sex with animals, or mutilating a corpse, or eating human flesh, or even just (just!) raping or murdering another human being?

Eppure cio' che ieri ci ripugnava oggi non ci ripugna più. Chi dà peso alla ripugnanza dà peso al relativismo, non c' è nulla da fare. Perfino Kass coglie il punto fermandosi in tempo per non trarre l' elementare conseguenza:

Revulsion is not an argument; and some of yesterday's repugnances are today calmly accepted -- though, one must add, not always for the better...

L' indignazione è la maschera più comune del relativismo. E' davvero sorprendente questa parentela, eppure viene alla luce con una naturalezza tale che...

Anche la ripugnanza e l' intuizione sembrano saldamente connesse, ma è solo un apparenza, basta un piccolo approfondimento per capirlo.

Personalmente, nel campo della morale, do' grande peso all' intuizione. Se condanno lo stupro in fondo è solo per un' intuizione. Un' intuizione però che ritengo oggettiva. Nella ripugnanza, per quanto detto dallo stesso Kass più sopra, c' è ben poco di oggettivo.

Sarà per questo che snobbo le mie "ripugnanze", al punto che qualcuno potrebbe anche scambiarmi per un cinico. Capita a volte che anch' io mi senta tale, inutile nasconderlo.

In breve, mentre credo che l' ituizione colga valori oggettivi, ritengo la ripugnanza come qualcosa di eminentemente soggettivo.

La ripugnanza significa spesso mettersi nelle mani della mera intuizione, ovunque ci si trovi. Spesso la ripugnanza tenta il pigro che con quella sensazione puo' chiudere ogni discorso (di solito sono discorsi appena iniziati, il pigro non va oltre).

In etica l' intuizione è una necessità, la ripugnanza una comodità.

L' intuizione è il grado zero del discorso, la ripugnaza compare a qualsiasi grado del discorso, viene buona sempre.

Ma cos' è questo grado zero? Semplice, quando due "ripugnanze" confliggono, una deve essere sacrificata. Al grado zero solo un' intuizione fondamentale resta valida e funge da fondamento.

Esempio: la clonazione mi fa schifo e la bandirei. Ma per farlo, in concreto devo esercitare una violenza fisica sui "colpevoli", altra cosa che mi ripugna profondamento. Chiamato a scegliere, sfoltisco le mie intuizioni e dalla Torre getto la prima. Di fatto autorizzo la clonazione.

Per il soggettivista "indignato di professione" è molto più semplice: appena incontra l' oggetto della sua indignazione emana verdetto inappellabile trascurando le conseguenze.

L' edificio razionale si costruisce su alcune intuizioni, non c' è alternativa. Sulla ripugnanza non si costruisce niente, non si suda. Si prende dall' istinto un giudizio già confezionato lo si fa proprio. Fine.

Se qualcosa mi ripugna, sento di essere appena all' inizio di un lungo lavoro di decostruzione. Molti invece sono già alla fine, aspettano solo che quel sentimento bussi alla loro porta e provano subito il sollievo di uno schiarimento, di un arrivo, di un riposo disturbato solo da persone moleste e prive di buon senso.

Parlando di compravendita degli organi e di clonazione, parlo di cose che mi ripugnano. Eppure, se riconduco tutto alle mie intuizioni più profonde, non vedo motivi validi per un bando. E faccio tutto cio' mettendo al centro un' intuizione, ma un' intuizione a cui mi arrendo quando sono al grado zero del discorso, non quando mi hanno appena descritto in cosa consista la clonazione o l' incesto.

Strategie per superare un non-argomento come quello della ripugnanza di massa: link

venerdì 9 ottobre 2009

Alla Facci(a) delle statistiche

Ve lo ricordate il buon Filippo Facci che dichiarava: "Sull' aborto abbiamo una buona legge, tanto è vero che gli aborti calano". Io m' interrogavo sullo strano ragionamento, prima ancora che sui suoi contenuti.

Ma un simile ragionamento è tutt' altro che una primizia, si ripete spesso sotto altre vesti:

A new study by the Guttmacher Institute and the World Health Organization shows that abortion rates are similar in different countries whether the procedure is legal or not. Shocking, I know. Of course, what wasn't similar was the risk to women's health.

Megan McCardle rievoca il suo passato di femminista quando era di moda ripetere la filastrocca "facciana". Ora, rinvenuta dallo stordimento sembra riflettere con più accuratezza

... I'm not quite sure why I thought that abortion was a magical exception to the rule that when you make something much harder and more costly to do, fewer people do it...

Il trucco che c' è sotto non è certo dei più sofisticati:

abortions are generally high in the developing world, where it is usually illegal, and low in the developed world, where it is usually legal

Naturalmente i numeri che abbiamo a disposizione sul modo migliore di difendere i nascituri raccontano una storia ben diversa: dove l' aborto è legalizzato c' è strage di feti, dove è interdetto si impennano le nascite.

Respiro, forse non ero io ad avere le traveggole.

link

venerdì 17 luglio 2009

Aborti in calo

Facci su "Il Giornale:

sull' aborto abbiamo una legge che funziona e di cui siamo pienamente soddisfatti per la semplice ragione che gli aborti calano anno dopo anno: ed è la sola cosa che conta

Interessante. Ma gli aborti calano grazie alla legge? E' possibile linkare studi che comprovino almeno in parte questo nesso? Sono molto interessato. Anche perchè se il nesso fosse inesistente, questo sarebbe piuttosto un argomento contro i sostenitori della legge: meno aborti potenziali, meno rischio di aborti clandestini.

P.S. tento l' iscrizione alla comunity de "Il Giornale" per rivolgere la richiesta allo stesso Facci. Lo ritengo un giornalista abbastanza "disinteressato".

lunedì 27 aprile 2009

Metafore dell' aborto

Glen Whitman propone (e contesta) alcune metafore utilizzate comunemente per legare con un' analogia il caso dell' aborto ad altre situazioni più famigliari e con soluzioni evidenti.

La metafora per me più calzante, e che non vedo, è però quella relativa allo STATO DI ABBANDONO: qualcuno, ora per sempre irreperibile, ha abbandoato un bambino in "casa vostra".

mercoledì 22 aprile 2009

Cervello e interiorità

Se penso, "qualcosa" accade nel mio cervello. Chi puo' negarlo?



Cio' non significa che quel "qualcosa" sia il mio pensiero. Oppure che quel "qualcosa" sia causa del mio pensiero.



Quanto è difficile fare questa semplice distinzione! E come semplificherebbe il dibattito intorno ai progressi delle neuroscienze.



Solo un' opzione metafisica postula il legame tra il "pensiero" e il "qualcosa".



L' empirista puro rinuncia a questa opzione, io invece la faccio: tra la supposta "causa" e il supposto "effetto" ci metto il Libero Arbitrio.



ESPERIMENTO MENTALE 1: un bottone funge da terminale ad una serie di cavi collegati ai miei lobi frontali. Premendo quel bottone il mio cervello assume un certo stato e io "alzo il braccio".



In questo caso alzare il braccio non è una libera scelta. Ma non si puo' nemmeno dire in generale che quando alzo il braccio lo faccio perchè nel mio cervello si è creato un "qualcosa". Potrei anche alzarlo perchè lo voglio alzare.



Il fatto che premere un bottone crei "qualcosa" nel mio cervello non significa che quel "qualcosa" possa crearsi anche altrimenti, magari grazie all' azione del Libero Arbitrio.



In altri termini: l' esistenza del libero arbitrio è un postulato filosofico che non puo' mai essere confutato, a meno che non si ricorra ad un altro postulato filosofico altrettanto inconfutabile: esistono solo "interazioni materiali" misurabili statisticamente. Si faccia attenzione: trattasi di vera opzione metafisica e non di semplice agnosticismo metafisico.



Ma all' orizzonte c' è qualcosa di più preoccupante.



ESPERIMENTO MENTALE 2: il dott. X dice che tutti noi siamo "pre-detetrminati" e mi sottopone un' equazione la quale predice che tra un minuto alzerò il braccio. Infatti, dopo un minuto, alzo il braccio.




Non trovo che questo esperimento mentale minacci seriamente l' esistenza del Libero Arbitrio. Infatti è molto più verosimile un finale diverso: io, con gran godimento personale, non alzo il braccio confutando l' equazione del menagramo! Dopodichè procedo al gesto dell' ombrello.



E se il dottore tenesse celate le sue previsioni? Allora, molto semplicemente, la sua equazione deterministica non sarebbe in grado di sfidare il mio Libero Arbitrio avendone la meglio.



Spesso l' empirista si bea dicendo: i miei argomenti sono osservabili, nulla si svolge al di fuori del nostro controllo.



Ma anche l' esistenza del Libero Arbitrio è osservabile. Anzi, io trovo la sua presenza lampante, persino più evidente di certe micro cause materiali. Certo, diversamente dall' empirista ritengo che anche la Ragione possa rilevare l' esistenza di "qualcosa". I sensi non hanno il monopolio in questo campo.



Quando l' empirista tenta la sortita finale osserva come il Libero Arbitrio sia solo una mera convenzione attraverso cui noi ci spieghiamo il mondo.



Se mi metto nei suoi panni cio' non è affatto una critica: tutta la conoscenza per lui è convenzione (è la sua opzione metafisica), anche il legame statistico che lega due eventi materiali. A questo punto si lasci sopravvivere una convenzione che ha dimostrato di servirci bene. Personalmente la trovo di gran lunga preferibile rispetto alla convenzione per cui saremmo tutti dei morti-viventi telecomandati. Se poi questa "convenziome" non la consideriamo tale ma la consideriamo una "realtà", funziona ancora meglio.

sabato 18 aprile 2009

Piccoli inconvenienti dell' ingegneria sociale

16 milioni di bambine cinesi mancano all' appello. Ora sappiamo che fine hanno fatto: abortite.

Nessuna paura: trattasi solo della libertà del più forte.

lunedì 6 aprile 2009

Il ponte tra biologia e aborto

Sentite questa:



Why do so many people on the pro-choice end of the abortion argument insist that life does not begin until after birth and that a fetus is not a human? I mean, you can say that an embryo is not a human because it has no cognitive abilities. You can use science to show that it has no cognitive abilities too, but you cannot use science to prove that cognitive abilities are the defining attribute of a person.



As a matter of fact, don’t scientists identify organisms as members of their respective species based on their unique genetic signature? Human beings have a genetic signature of their own. Every human has it and no other species shares it with us. So, scientifically the fetus is a human, it’s only when we put religious sentiment into the mix that we can define it as anything else than a member of our species.



The life argument is more effective... except that biologically there’s no significance to the instant of birth.




Semmai fossi un militante pro-choice questa obiezione non mi farebbe un baffo.



Nel sostenere la mia tesi circa la mancata identificazione tra feto ed essere umano saprei benissimo di fare un' affermazione di tipo "etico" che non necessita e non puo' essere sostenuta con gli argomenti della biologia. Essere Umano non significa appartenere alla famiglia animale degli uomini.



Eppure, se penso ai pro-choice in circolazione e al loro modo di incastrare scienza e fede puntando tutto sulla prima, capisco che possano ricevere una randellata dalle parole di cui sopra. E gliel' ammollo volentieri.



P.S. con questo non voglio dire che la biologia sia irrilevante su queste questioni (se non mi arruolo tra i pro-choice è proprio perchè il quadro che ci fornisce la biologia conta), dico che non è decisiva dovendo esprimere un giudizio morale. E la scienza non ha mai implicazioni morali.

lunedì 30 marzo 2009

Incipit

Il dibattito sulle cellule staminali ha un fascino tutto particolare. La sua radicalità lo rende una premessa al dibattito sull' aborto e non solo. Chi non ha tmpo da perdere bazzicando materie affini, che si limiti a questa diatriba. Se mai i nodi etici che implica venissero dipanati, cio' avvierebbe a soluzione molte altre questioni bioetiche.



L' embrione con un' ora di vita è già una persona con dei diritti?



In realtà il diritto di cui si parla è uno solo e coincide con quello fondamentale di non essere massacrati. Quindi, chi ridicolizza la posizione dei pro-life dicendo che considerano queste poche cellule alla stregua di una donna di quarant' anni, fa solo della propaganda trascurabile.



Ma esistono anche parecchie obiezioni che meritano considerazione. Io le ho sintetizzate nei sei punti che trascrivo imbastendo di seguito una breve replica.



  1. Diverse religioni, diverse conclusioni circa il momento in cui l' essere umano viene al mondo. Assumendo le indicazioni di San Tommaso anche molti aborti sarebbero sdoganati. Cio' conferma la soggettività della questione, e di fronte a problemi con soluzioni soggetive la libertà di scelta s' impone.



    Le conclusioni dell' ebraismo e dell' Islam derivano dalla lettura pedissequa dei testi (fondamentalismo). Anche San Tommaso si rifaceva alle conoscenze dell' epoca. E allora si noti quello che a chi viene assordato dalla moltitudine degli agit-prop sembrerà un paradosso: i Cattolici, per esempio, hanno assunto posizioni più "rigoriste" proprio perchè meno ancorate a interpretazioni letterali dei testi sacri e più attente invece agli sviluppi della scienza nel nostro tempo.




  2. L' embrione di pochi giorni (blastocisti) non è una "persona distinta". Infatti da una blastocisti possono originare due persone (gemelli). Così come da due blastocisti puo' originare un' unica persona (chimera).



    "Gemelli": è secondario se ad essere "distinta" sia la singola vita o una pluralità di vite. "Chimera": il fatto che possano anche realizzarsi non pregiudica il giudizio sulle potenzialità della blastocisti.




  3. Per giudicare la morte di un uomo ci rimettiamo al funzionamento del suo cervello. Perchè non fare altrettanto per la nascita: nella blastocisti il cervello non si è ancora formato. Quindi...



    Tante cose non si sono ancora formate nella blastocisti come nel bambino. Esiste però la potenzialità che, in un contesto adeguato, un cervello venga a formarsi spontaneamente. Nel "morto", per esempio, non esistono potenzialità che la vita cerebrale riprenda.




  4. Se creo in laboratorio una blastocisti destinata sicuramente a morire, il prelievo delle cellule staminali assomiglia ad una donazione d' organi.



    Devo ammettere che l' argomento mi sembra ben congegnato. Ma ci sono dei problemi: 1) esiste in concreto questa possibilità? 2) si tratterebbe di una donazione molto particolare, ovvero senza consenso esplicito di nessuno. Puo' esistere una donazione senza un donante?




  5. Eppure il 70% degli embrioni concepiti vengono "distrutti" naturalmente nei cicli mestruali. Cosa pensare di questo? Nessuno sembra farci caso, eppure, se ci accordiamo a certe sensibilità, questa dovrebbe essere la più grande tragedia dell' umanità. Altro che campi di concentramento.



    Esiste una differenza tra "male" e "ingiustizia". Il primo va in qualche modo accettato ma contro la seconda si puo' e si deve intervenire.




  6. Le tecniche di clonazione sono ormai potentissime: una cellula adulta contiene già un completo corredo genetico. Chi tratta l' embrione come una persona solo perchè diventerà una persona, deve sapere che ciascuna delle nostre cellule potrebbe diventare una persona se esposta al giusto ambiente.



    Gli ineterventi sul DNA a cui deve essere sottoposta una cellula adulta per diventare totipotente e quindi poter evolvere in una "persona", sono di natura "attiva" e prevedono comunque l' impianto del nucleo in un ovulo. Non possiamo parlare di semplice "esposizione ambientale". Al contrario, all' ovulo fertilizzato basta essere accolto in un ambiente uterino per evolvere in un feto.




Mi riservo una sola osservazione finale.



Per difendere almeno il diritto fondamentale all' embrione ad esistere ho dovuto introdurre il concetto problematico di "intervento attivo" da contrapporre a quello di "processo spontaneo". Dove c' è intervento attivo dell' uomo cessa la spontaneità del processo naturale e questa distinzione diventa cruciale nei giudizio morale e giuridico.



Purtroppo molti difensori dell' embrione non sono in altri campi tanto sensibili alla differenza qui decisiva tra "intervento attivo" e "processo spontaneo". Pensiamo alla distinzione tra "uccidere" e "lasciar morire". Il secondo, pur essendo un processo spontaneo, viene equiparato in tutto al primo.

venerdì 27 marzo 2009

Perchè sto con la Chiesa

Le questioni di bioetica non mi appassionano poi così tanto.



Spesso sono estremamente complesse e io prediligo temi lineari dove poter vedere più chiaro. Anche per questo l' attualità e la sua baraonda mi respinge.



Inoltre, in molti casi la mia visione non collima con quella proposta dal Magistero. In questo senso sono un Cattolico maldestro e ho ancora tanta strada da fare per rendermi minimamente accettabile.



Se le prese di posizione contro l' aborto e contro l' uso delle cellule staminali le trovo ragionevoli, in altri casi sento una distanza.



Valga per tutti il caso del testamento biologico. Ma voglio andare oltre, anche l' eutanasia in certe forme e con le dovute garanzie riesco a digerirla. Ho lo stomaco forte, io. Perfino di fronte alla clonazione il mio primo moto è quello di dire: e il crimine, dov' è?



Eppure io mi sento dalla parte della Chiesa Cattolica. Perchè?



Perchè sul fronte opposto, quello che spesso, a rigore, dovrei frequentare, ci stanno i nipotini di Gramsci. Già, Gramsci.



Un tale che ragionava in questo modo: per prendere il potere politico bisogna prima impadronirsi di quello culturale.



Gramsci (e il suo nipotino pure) auspicava un cambio di paradigma culturale: il Nuovo Sistema avrebbe potuto funzionare solo con l' Uomo Nuovo. La Nuova Cultura avrebbe dovuto provvedere alla sua formazione. Inutile dire che la Vecchia Cultura, ossia quella tradizionale che aveva condotto l' Occidente dove si trovava allora, si identificava perlopiù con quella cristiana.



Al Sistema di Gramsci non ci crede più nessuno ma al suo Metodo, alla Prassi, i nipotini sono rimasti fedeli. Anche perchè in questo G. aveva le sue ragioni a cui rendo omaggio senza problemi.



Cio' cosa significa? Significa che molti di coloro che sponsorizzano aborto, eutanasia, uso delle cellule staminali, "scienza libera" ecc... non sono poi così interessati all' aborto libero, alla libera eutanasia, all' uso delle cellule staminali e alla "scienza libera", bensì ad una manovra più ampia: a distruggere quel paradigma culturale che la Chiesa Cattolica difende e che rappresenta la "Tradizione".



Esempio, andate un po' a controllare come le prime sentenze della Corte Suprema Statunitense sdoganavano l' aborto. Forse facendo appello alla "libera scelta"? Macchè! La Corte liberal degli anni '60 si ergevano invece a baluardo contro l' interferenza di idee di origine religiose in ambito civile. Come se il bando dell' omicidio o del furto non origini anch' esso da "idee religiose".



Ora si dà il caso che la Chiesa Cattolica possa anche difendere soluzioni specifiche che io valuto in modo differente. Se però, come ho premesso, esiste una "battaglia culturale", trovo che la Chiesa Cattolica stia dalla parte giusta.



Il paradigma che difende mi piace, trovo che sia all' origine della nostra civiltà occidentale, della nostra libertà, dei nostri diritti. Trovo che l' idea cristiana abbia contribuito in modo decisivo alla produzione di questi beni inestimabili e che quindi non sia un caso se le sue gerarchie siano in prima linea per proteggerli contro chi li attacca in nome di nuove religioni laiciste.



Forse la storia annovera parecchi errori commessi dalla Chiesa ma per tutte le volte che questa istituzione è stata attaccata al fine di estirpare la cultura che promuoveva (Rivoluzione Francese, Napoleone, Fascismo, Nazismo, Comunismo...) accendiamo un cero che abbia tenuto botta in qualche modo.



Ma non è escluso che la storia si ripeta con nuovi culti che si presentano con la faccia accattivante del modernismo, ovvero con la stessa maschera suadente indossata dai "nemici" elencati più sopra.



Il fatto è che considero la nostra Civiltà come... ma sì, non sprechiamo tempo, come la migliore.



Se non mi piace vedere l' adultera lapidata significa che mi piacerebbe "convertire" l' altro ai miei valori solo che cio' fosse possibile con un mutuo vantaggio.



E la considero migliore non solo nello spazio ma anche rispetto a quelle che qui da noi hanno tentato di rimpiazzarla: parlo delle varie declinazioni novecentesche della religione socialista.



Ora traggo una morale da quanto ho cercato di dire: se la posta in gioco non è solo la sorte delle cellule staminali o la voglia di crepare di Tizio e Caio, allora sarà bene procedere con i piedi di piombo prima di schierarsi.