PREGHIERA DELLE CINQUE
Non toglierci la voce che è rimasta adesso che si spanano le viti del corpo e il senso della fede si disaffila che gli anni che slargano la mente sono andati
Riccardo Mariani ha condiviso un link.
6 febbraio 2018 12:16 |
Il male naturale (Italian Edition)
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Un piccolo indugio rotto troppo presto, troppo in fretta.
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non toglierci la voce che è rimasta adesso che si spanano le viti del corpo e il senso della religione si disaffila che gli anni che slargano la mente sono andati
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Ha preso le medicine e ha fatto gli impacchi, come fosse stato davvero convinto che gli sarebbero serviti. L’ho perfino sentito dire a uno di loro che dopo gli impacchi si sentiva meglio.
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una volta mi disse che gli piacevano i tentativi inutili. Diceva che i tentativi inutili sono quelli che rivelano il nostro limite e ci danno il senso della nostra umanità.
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Sono settimane che sono pronto, che mi dico che sono pronto. Poi succede all’improvviso, sembra che succeda sempre all’improvviso.
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Se ci ricorderemo per caso di quando ci amavamo e ci odiavamo senza schermi penseremo: oh, che stupide: eravamo bambine, e proseguiremo immutate, ormai immutabili.
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uscendo dal portone del condominio nell’umido della sera e andando verso il ragazzo che aspettava lei, di uscire da una vita calda e sicura e di trovarsi in una vita esterna, non protetta e rischiosa, dalla quale non le sarebbe stato forse più possibile tirarsi indietro:
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La piccola paura era che l’indugio fosse stato rotto troppo presto, per fretta
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La lista delle pizze è lunga e Ruota la scorre senza riuscire a leggerla e senza riuscire a capire quale cosa, in quel luogo di delizie, in quella lista di piaceri, sia la cosa buona per lei.
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trasformare tutto in parole poco importanti. È questa l’adultità… Si sta con una persona per fare conversazione, per dirsi delle cose che non fanno succedere niente…
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Poi all’improvviso sente l’odore, un po’ acido, acuto. Non è l’odore di un cibo: è l’odore di Mario.
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La morte mi ripugna e credo che non esista una sofferenza più forte del sentirla avvicinare.
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L’aria condizionata è diventata accettabile, appena entrato Mario aveva sentito la camicia incollarsi gelida alla schiena; ora si sta bene, un gradevole fresco, Mario pensa alla vampata che lo aspetta fuori.
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un bar così semplice e pulito, intonaco bianco e tavoli di legno chiaro, musica a volume bassissimo (sembra David Bromberg), un piacere per il viaggiatore stanco. Sulle pareti due grandi riproduzioni di Walasse Ting: una balena azzurra che si inarca contro un’onda, un ramo fitto di pappagalli multicolori.
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se voleva andare a scucire qualcosa al parroco o all’assistente sociale per prima cosa faceva a meno di lavarsi per un po’ di giorni, in modo da puzzare bene, e poi era capace di rovinare apposta la roba per sembrare peggio di quel che era.
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teneva lo sguardo orizzontale, all’altezza delle nostre pance
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C’erano dei dischi volanti assurdi che facevano un rumore stridente e, alla fin fine, non si capiva che cosa volessero e che male facessero; e c’era un capo della difesa anti-ufo con i capelli bianchissimi.
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Parlava un italiano con più dialetto nella sintassi che nel lessico.
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A casa avevo ricevuta un’educazione tanto minuziosamente sessuofobica che a volte mi sembra di non aver ricevuta alcuna educazione sessuale, e altre volte mi sembra di aver avuta un’educazione esclusivamente sessuale.
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pensò furiosamente, aspettò che fosse passato un po’ di silenzio, poi disse
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Le prime volte io riuscivo solo a sentirmi il paradenti in bocca. Non vedevo niente, non capivo niente, avevo solo questo fastidio in bocca.
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l’eleganza quasi invisibile del percorso più breve, della fatica minore, del gesto più contenuto.
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oggi sembra che quasi nessuno muoia perché si muore, voglio dire muoia perché è mortale, come noi tutti siamo, invece sembra che si muoia sempre per una ragione specifica, una malattia, un incidente, un caso, qualcosa che non abbiamo dentro di noi e che non è la nostra mortalità, la nostra natura di morire, ma è qualcosa che viene da fuori e ci colpisce a tradimento
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tutti vedevamo gli occhi dei bambini del Piccolo coro e dei solisti che guardavano tutti da una parte sola, dove evidentemente c’era Mariele Ventre che li dirigeva invisibile
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ho amato Mariele Ventre, posso dirlo, nello stesso modo in cui ho amati Pippi Calzelunghe e padre Tobia, Febo Conti, Andrea e l’Oracolo dei biscotti Doria, oppure Guido Pancaldi e Gennaro Olivieri i nostri arbitri internazionali (internazionali perché svizzeri e in quanto svizzeri cronometrici e neutrali) di Giochi senza frontiere, così come ho amati i bambini fatti di carta di giornale della sigla della Tv dei ragazzi o i personaggi delle trasmissioni scolastiche del primo pomeriggio, lingua inglese e lingua francese, Slim John alias Robot Five o Monsieur Dupont e Monsieur Dulac: si la girouette tourne vers le sud, le vent vient du nord; si la girouette tourne vers le nord, le vent vient du sud
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Quegli schifosi del “manifesto” domenica parlavano già di santificazione di Mariele Ventre, naturalmente facendo dell’ironia, anche dell’ironia pesante, facevano addirittura il paragone con la pretesa santificazione di Moana Pozzi, può controllare chiunque sul “manifesto” di domenica 17 dicembre 1995
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mi viene in mente Walter Carbone, quello che vende mobili sulle tv private; oggi lavora per Semeraro ma una volta lavorava per Aiazzone, quando Aiazzone morì, precipitato nel mare tra la Corsica e la Liguria con tutto il suo aeroplano personale e la segretaria; all’epoca io lavoravo a Venezia e nel pomeriggio qualcuno mi aveva detto che Aiazzone era morto, poi quella sera avevo finito di lavorare tardissimo, ero tornato a casa che erano le dieci passate e mi ero precipitato subito a guardare Rete A per vedere che cosa avrebbero fatto, allora Rete A alla sera non trasmetteva altro che le trasmissioni di Aiazzone, non si erano ancora buttati sui telefoni osceni; su Rete A c’era Walter Carbone che piangeva e parlava di Aiazzone e dei suoi grandi meriti industriali e umani, anche industriali ma soprattutto umani naturalmente; e mentre Walter Carbone parlava sfilavano davanti a lui le camere da letto, gli armadi, le cucine, i divani, e Walter Carbone parlava, stava seduto sopra una poltrona girevole e piangeva e parlava, e io rimasi affascinato a guardare, a sentire Walter Carbone che parlava di quest’uomo che aveva dato lavoro a tante persone, che a tante giovani coppie aveva dato l’opportunità di metter su casa senza spendere cifre impossibili
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la stessa televisione che ci parla dei bambini che vengono ammazzati in quella che era la Iugoslavia, e ce li fa vedere, e ci fa vedere le strade deserte con le rare donne che strisciano contro i muri, sono sempre le donne che vengono mandate fuori, e i colpi isolati dei cecchini, e cinque minuti dopo la stessa televisione ci dà, Carramba che sorpresa, Raffaella Carrà, oplà, coronate il sogno della vostra vita… c’era Fabrizio Frizzi che parlava e straparlava, stava facendo un gioco con i proverbi, annunciava per la sera un gioco che chiamava il gioco della zingara, e io senza guardarla ma soltanto ascoltandola ho pensato, ecco, la televisione è nichilista, Fabrizio Frizzi è nichilista, quello che fanno è trascinarci verso il nihil, verso il niente, tutti allegri ci faranno diventare niente, ci annichiliranno; a che cosa serve questo orrore, mi sono domandato, a che cosa serve negli scopi di chi lo produce, di chi investe soldi per produrlo, questo orrore che ci viene fornito con la lieta faccia dell’intrattenimento e il compìto volto dell’informazione; a che cosa serve questo orrore quotidiano, meticoloso, porta a porta, che si concretizza, che si incarna quasi, ormai, in questo oggetto-feticcio del quale tutti siamo preda, nella televisione? Allora all’improvviso ho pensato, mentre Fabrizio Frizzi continuava a dire scemenze: la televisione serve a far dimenticare Auschwitz. A cos’altro può servire, ho pensato, questa miscela di divertimento osceno e sguaiato e di informazione orroristica, se non serve a far dimenticare Auschwitz….
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Scrivendo e pubblicando il racconto Amore ho consapevolmente violato un certo numero di tabù. Non l’ho fatto per épater le bourgeois, per fare scandalo in piazza. Ci sono miei coetanei scrittori molto più bravi di me a fare scandalo in piazza. Scrivono libri pieni di scelleratezze, molto più violenti e molto più “pornografici” (uso una parola di Oreste Rossi) dei miei: libri pubblicati da Mondadori ed Einaudi, cioè dai miei stessi editori. Sono stati chiamati, questi miei colleghi, scrittori “pulp”, “splatter”, “cannibali”, e così via. Nessuno dei loro libri, tuttavia, per quel che ne so – ho chiesto in giro – ha procurato all’editore denunce o interrogazioni parlamentari. Credo di sapere il perché. Questi miei coetanei – non parlo qui del valore letterario del loro lavoro – hanno rinunciato a un desiderio che invece io provo fortissimamente: il desiderio di tentar di parlare del mondo così com’è (per quel che possiamo saperne: aggiungere sempre la precisazione). È ciò che tecnicamente si chiama l’istanza realistica. Le efferatezze raccontate nei loro libri – alcune francamente disgustose, almeno per me – sono tuttavia come le efferatezze del cinema: non sangue, ma sugo di pomodoro; sono come i cartoni animati di South Park, dove un ragazzino in ogni puntata muore, ma nella successiva è ancora bel vivo.