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giovedì 27 giugno 2024

Perché non amo la Storia

 Perché non amo la Storia.


Perché sono un adepto della legge di Galef, quella che recita: davanti a un argomento o ci chiediamo se POSSIAMO crederci o ci chiediamo se DOBBIAMO crederci. Se l'argomento ci piace ci faremo solo la prima domanda, a cui si puo' sempre rispondere affermativamente. Se non ci piace ci faremo solo la seconda domanda, a cui si puo' sempre rispondere negativamente. Ecco, la Storia è una materia in cui questo bias trova terreno particolarmente fertile.

domenica 5 gennaio 2020

PERDITE DI TEMPO: LA STORIA DEL PENSIERO

Non mi piace molto la storia, è talmente complessa che ho sempre l'impressione si possa dire quel che si vuole, tanto qualche argomento da qualche parte lo si raccatta sempre. Non so perché ma gli storici scrivono sempre libroni enormi, se l'autore non è uno squisito stilista - e ce ne sono - diventano subito papponi illeggibili. Forse pensano che chi scrive il libro più alto abbia ragione? Quasi quasi trovo più adatti al compito certi giornalisti.
E non faccio eccezione per la storia delle idee, anzi. Per me, ragioniere, è stato un sollievo apprendere che al liceo non si studiava filosofia ma "storia della filosofia". Di colpo le mie frustrazioni sono svanite, da paria sono assurto a uomo libero; non so davvero a cosa serva studiare "storia della filosofia". Non capisco nemmeno perché esista una materia del genere, o per lo meno perché esistono degli specialisti.
Non voglio essere equivocato, i famosi filosofi del passato sono generalmente interessanti, quello che non capisco bene è perché ci siano degli specialisti che si arrovellano tanto su di loro, perché cioè un campo della ricerca accademica sia dedicato alla materia.
Cosa stanno cercando di scoprire questi studiosi? Forse cercano negli archivi degli scritti dimenticati dai geni del passato? In genere no. Forse tracciano le radici storiche di idee particolari? Direi di no. Forse vogliono capire se particolari teorie proposte da personaggi storici siano vere o false? Mmmm... No. Sappiamo già che sono quasi tutte false.
Nella mia esperienza questa gente legge l'opera di un grande filosofo del passato, quindi sceglie un passaggio particolare in uno dei libri e ne discute all'infinito con i suoi pari. Sperano di trovare un'interpretazione nuova, qualcosa a cui nessuno aveva pensato prima. In genere trovano molto divertente negare che il filosofo abbia mai detto qualcosa per cui va famoso.
Le loro tesi sono di questo tenore: "ora sappiamo cosa intendeva il filosofo P con l'espressione E. Voleva dire X e non Y, come vi hanno raccontato". La cosa non ha una grande importanza filosofica, e tu magari hai letto per ore e ore (in effetti, come tutti gli storici, anche gli storici della filosofia scrivono libri dalla lunghezza record).
Certo, potresti pensare che, poiché il grande filosofo pensava X, questa è almeno in parte una prova che X sia vero. Ma sarebbe una prova estremamente debole. Sarebbe infatti molto meglio considerare direttamente quali ragioni filosofiche serie ci sono per credere a X: per un'indagine approfondita basterebbe un libro che sia la metà della metà della metà di quello scritto sul filosofo P. Inoltre, sapere quali pensieri attraversavano il cervello di una certa persona non ha un interesse storico notevole. Lo sforzo non vale la candela: cio' che conta è la ricezione storica di Aristotele, non cio' che lui "pensava veramente".
E così si spendono una marea di energie intellettuali su questioni di poco conto. Non è un problema secondario, parliamo qui di persone intelligenti, ovvero di una risorsa estremamente scarsa. Un vero spreco.
E' difficile che un lavoro del genere trovi una sua retribuzione, in genere si impara la storia della filosofia per poi insegnarla poi ad altri, magari nei licei pubblici, dove la materia è obbligatoria e quindi non occorre trovarsi una clientela. Quando si intende avviare un corso di storia della filosofia, di solito si assume qualcuno specializzato in storia della filosofia. In realtà basterebbero i filosofi ordinari. Lo storico specializzato si pone rebus interpretativi complicati e sottili che rischiano di confondere la platea disinteressata che ha di fronte, piuttosto che renderla edotta.
Ma c'è di più, e scusatemi se arrischio questa analogia un po' provocatoria. Prendiamo una persona religiosa: c'è una buona possibilità che il libro sacro contenga errori o passaggi fuorvianti che l'adepto tenta di razionalizzare a posteriori. Ebbene, gli storici di solito trattano le figure storiche da loro scelte con più rispetto e deferenza di quanto trattino una qualsiasi figura contemporanea che avanza obiezioni su un argomento specifico, questo facilita gli errori.
Siamo nani sulle spalle di giganti, quindi siamo molto più alti dei giganti, vediamo più lontano di loro, vediamo più chiaramente, è del tutto normale che quanto i giganti ci riferiscono di aver visto sia il più delle volte inattendibile ed errato. In passato, la conoscenza umana nel suo insieme era in uno stato completamente diverso. Duecento anni fa nemmeno esisteva la scienza! Era molto più difficile l'accesso al lavoro dei filosofi precedenti e l'interazione fruttuosa con i contemporanei, anche la formazione era meno rigorosa.
Ci sono persone che ancora oggi si dicono seguaci di Aristotele. Ma se Aristotele vivesse oggi, probabilmente non sarebbe un aristotelico. Essere un grande pensatore, anche il più grande, non è così importante come avere accesso alla conoscenza umana accumulata negli ultimi 2000 anni. Questo è il motivo per cui il lavoro di pensatori molto meno grandi nati oggi ha più probabilità di essere corretto rispetto al lavoro di Aristotele. I tomi di logica vergati da Aristotele oggi sono sintetizzabili in quattro paginette.
Nella visione di Aristotele, il mondo è composto da cose che hanno per loro destino una funzione naturale. Noi, invece, vediamo il mondo popolato da oggetti e soggetti (coscienze). Non esiste un destino particolare, almeno per la materia. Questa cosa della teleologia è un po' stupida se vivi nel XXI secolo. L'idea di teleologia - scopi o "funzioni" che esistono in natura - non contribuisce più a nulla oggi. Tutti i fenomeni materiali sono spiegabili per causalità meccanicistica.
Ma perché uno spreca tanto tempo con la storia della filosofia? Boh, forse piace quel senso di insularità che garantisce: entri nel mondo di un autore e vivi protetto in quell'universo, non esiste altro. Se sei un semplice filosofo, le obiezioni fioccano da tutte le parti come bombe, ti contendi uno spazio che tutti vogliono. Il tuo mondo è aperto e continuamente invaso da altri. Lo storico non sta sostenendo che una certa tesi sia vera, sta solo dicendo che alcune tesi filosofiche sono supportate dai testi. Uno storico della filosofia puo' permettersi di vivere con la guardia bassa. La filosofia, per lui, è relax e archivistica, non duello e riflessione.
In conclusione, penso che le persone debbano porsi le grandi domande della filosofia, non perdere tempo con la storia della filosofia. Dovrebbero pensare, ad esempio, a qual è la cosa giusta da fare, non a ciò che Kant reputa la cosa giusta da fare; dovrebbero pensare a ciò che è reale, non a ciò che Platone ha detto essere reale.

venerdì 29 novembre 2019

LA MADRE DI TUTTE LE LIBERTA'

A cosa serve la Storia?
No, non serve ad ammaestrarci per il futuro, serve ad ammaestrarci per il presente, in particolare a sopire i nostri bollori moralistici. Serve a farci vedere la terra dalla luna, serve a spiegarci, per esempio, che certi comportamenti che oggi tanto ci oltraggiano, ci indignano moralmente e ci fanno rivoltare l'anima, in passato erano la regola. Non solo: erano una regola giustificata razionalmente! Razzismo, sessismo, xenofobia e bla bla bla erano la regola, ed erano una regola giustificata! La libertà e l'eguaglianza tra gli uomini non sono un progresso, sono invece un lusso che ci siamo concessi quando abbiamo potuto permettercelo, ovvero in un contesto mutato (magari grazie a quelle forze che gli indignati di professione disprezzano. Dobbiamo quindi 1) gioire per questo fatto e 2) capire chi conserva certi atteggiamenti che in passato erano comunque la regola giustificata. Il libro di Koyama, a prescindere ci sia accordo o meno, porta esempi illuminanti, ma uno svetta e riguarda la nascita delle società libere.
Come sono emersi i moderni stati liberali? Gli economisti si sono tradizionalmente concentrati sulla produzione della ricchezza mentre gli scienziati della politica su questioni relative a democratizzazione e stabilità politica. Ma c'è un fattore che è stato trascurato da tutti: la religione.
Questa negligenza è facile da capire. Nel mondo sviluppato la libertà religiosa è così radicata nelle istituzioni che la diamo per scontata.
Il primo passo di questo ragionamento consiste nel non confondere libertà religiosa e tolleranza religiosa. Oggi sono praticamente sinonimi. Ci riteniamo tolleranti quando non giudichiamo o condanniamo gli altri per le loro scelte di vita, ma questo non è il significato originale latino di "tolere". Fino al XVII secolo tollerare significava sopportare qualcosa con cui non si è d'accordo. Si trattava di un principio pratico piuttosto che morale, ed era contingente e soggetto a revisione arbitraria. C'è quindi una certa differenza tra tolleranza e autentica libertà religiosa.
Perché questa distinzione è importante? Troppo spesso gli storici lodano le società che non hanno perseguitato attivamente le minoranze religiose e le chiamano "tolleranti". Ma l'assenza di persecuzioni non implica che gli individui fossero liberi di perseguire il miglioramento economico o sociale adorando il loro dio. L'ipotesi che il dissenso potesse invitare alla repressione da un momento all'altro era sufficiente a creare un clima in cui i pensieri potenzialmente sovversivi non fossero espressi liberamente. Né l'antica Roma né gli imperi islamici o mongoli avevano libertà religiosa. Spesso si astenevano dal perseguitare attivamente le minoranze religiose, ma erano anche spietati nel reprimere queste difformità quando la cosa si adattava ai loro obiettivi politici. La libertà religiosa è un'esclusiva della modernità post-1700. Perché?
E qui arriviamo al punto. Alcuni studiosi hanno introdotto la fertile distinzione tra "regole personali", "regole identitarie" e "regole generali". Le prime comportano un trattamento differenziato a seconda delle caratteristiche individuali. La legge cambia da persona a persona. Questo funziona quando la comunità è minuscola e i membri si conoscono personalmente, possono fidarsi l'un l'altro ed avranno interazioni future. Perché Ronaldo riceve un trattamento speciale nello spogliatoio della Juve? Perché tutti sanno chi è e cosa fa. Non solo, possono sempre tenerlo d'occhio e verificare che continui a rispondere alle aspettative. Le regole personali hanno tuttavia una grave lacuna, sono di scarsa utilità nel trattare con estranei.
Con il passaggio all'agricoltura, le organizzazioni politiche sono diventate più estese e i sistemi legali più sofisticati, le leggi hanno assunto la forma di regole identitarie, ovvero dipendevano dall'identità sociale dei gruppi coinvolti. Ogni gruppo aveva la sua legge. Ci si poteva riferire al clan, alla casta, alla classe, all'affiliazione religiosa, il sesso o all'etnia di un individuo. Gli aristocratici avevano regole diverse da quelle comuni. Gli schiavi avevano regole diverse rispetto ai liberi. Il Codice di Hammurabi, ad esempio, prescriveva una punizione basata sullo status del colpevole e/o della vittima. Le regole identitarie erano comuni perché più pratiche di quelle personali quando le dimensioni del gruppo si ampliavano e la conoscenza reciproca diminuiva. Poiché l'identità religiosa era particolarmente saliente, si differenziava spesso in base alla religione.
In un'epoca precedente agli stati nazionali la religione era una componente particolarmente importante dell'identità. Le credenze religiose condivise erano cruciali per mantenere l'ordine sociale. In queste condizioni la libertà religiosa era impensabile, si poteva giusto arrivare alla tolleranza. Ad esempio, nell'Europa medievale e nella prima modernità i giuramenti prestati davanti a Dio hanno svolto un ruolo importante nel sostenere l'ordine sociale. Gli atei, tanto per dire, erano fuori dalla comunità politica, poiché, come diceva John Locke, "le promesse, le alleanze e i giuramenti, che sono i vincoli della società umana, non possono avere alcuna presa su un ateo". Ma un'identità religiosa condivisa era anche cruciale per l'appartenenza alla gilda, che escludevano i musulmani, per esempio. Le corporazioni di Tallinn escludevano i cristiani ortodossi, altro esempio di Koyama. Gli ebrei poi erano sottoposti a leggi ad hoc e furono esclusi quasi ovunque.
Ma come siamo passati da un mondo di regole identitarie ad un mondo di regole generali in cui siamo "tutti uguali davanti alla legge"? Il potenziamento degli stati è stato decisivo. Per capacità statale s'intende la capacità di far rispettare le regole, e le regole identitarie sono un modo per facilitare questo compito. Il singolo va facilmente fuori dai radar e si imbosca impunito ma la comunità no. Quando il radar si potenzia l'espediente della regola identitaria non serve più.
Facciamo un esempio di come le regole identitarie potevano facilitare la convivenza con beneficio reciproco: i primi governi moderni usavano spesso le comunità ebraiche come fonte di entrate fiscali, al contempo ne tutelavano l'esistenza. Le restrizioni all'usura, per esempio, rendevano i prestiti interdetti ai cristiani. Tuttavia, i prestiti realizzavano profitti tassabili, cosicché i sovrani potevano sopperire a questa lacuna concedendo i diritti legati al prestito agli ebrei senza violare precetti religiosi. A loro volta, i tassi di interesse applicati dai finanziatori ebrei erano alti e gli utili venivano tassati dagli stessi sovrani che incameravano cospicue entrate. Certo, questa esclusiva alla lunga ha esacerbato l'antisemitismo preesistente tra la popolazione cristiana. Ciò a sua volta ha reso relativamente facile per i governanti minacciare gli ebrei nel caso in cui non intendessero pagare le enormi tasse a loro carico. Ora, fintanto che i governanti si affidavano al denaro "giudeo" come fonte di entrate, gli ebrei rimasero intrappolati in questa morsa che li rendeva quasi-liberi e vulnerabili allo stesso tempo. La loro posizione migliorò solo quando gli stati svilupparono sistemi finanziari e di tassazione più sofisticati, allora divennero cittadini tra tanti. Insomma, la limitata capacità statale implica potenti regole identitarie. Inoltre, la religione è una comoda fonte di legittimità per gli stati deboli. Ciò dà origine a una collaborazione tra stato e chiesa. Lo stato impone la conformità religiosa (privilegi) in cambio del sostegno dell'autorità ecclesiastica.
La modernità è l'epoca in cui lo stato si emancipa dalla religione, la sua potenza rende desuete le regole identitarie, e quindi anche il ruolo sociale della religione. Ma il passaggio non fu indolore, la storiella semplificata degli ebrei che ho appena raccontato non inganni. Dopo la Riforma, la violenza religiosa fu più estrema proprio laddove lo stato era forte, ovvero dove la regola identitaria - e quindi la tolleranza - non aveva più senso. La ratio è chiara, se la religione non serve più ad organizzare la società non ha più senso "tollerare" le minoranze religiose. Al contrario, in paesi come la Polonia, dove lo stato era debole, le persecuzioni religiose furono limitate nonostante la diffusione del protestantesimo. Le Guerre di religione non erano tanto legate a controversie confessionali e dottrinali. I principali stati europei si stavano spostando da regole identitarie a regole generali, avevano bisogno di un popolo omogeneo e proteiforme, i nuovi gruppi si sarebbero dovuti formare spontaneamente sul mercato senza ricorrere a identità pre-costituite. Il contratto (tra parti anonime) diventava metafora del sociale. Il passaggio da uno status fisso a una società fluida (contrattuale) ha contribuito a mettere in moto una serie di sviluppi, tra cui la crescita dei mercati e una più ampia divisione del lavoro. Ma ebbe la conseguenza non intenzionale di diminuire l'importanza politica della religione, e ciò rese il liberalismo possibile. La libertà religiosa si diffonde perché la religione conta sempre meno.
Non esiste alcuna relazione necessaria tra forza dello stato e liberalismo. Gli orrori del XX secolo furono condotti tutti da stati Leviatano. Ma il liberalismo è fragile, artificiale e altamente vulnerabile in assenza di uno stato potente. Quando manca lo stato si torna alla legge dei clan, ovvero delle comunità religiose.

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Religious freedom has become an emblematic value in the West. Embedded in constitutions and championed by politicians and thinkers across the political spectrum, it is to many an absolute value, something beyond question. Yet how it emerged, and why, remains widely misunderstood. Tracing the hist...

martedì 11 settembre 2018

La storia con i se e con i ma

The correlational studies demonstrate that experts with strong theoretical commitments to a covering law and cognitive-stylistic preferences for explanatory closure are more likely to reject close-call Counterfactual that imply that “already explained” historical outcomes could easily have taken radically different forms.

https://www.cambridge.org/core/journals/american-political-science-review/article/poking-counterfactual-holes-in-covering-laws-cognitive-styles-and-historical-reasoning/7FF1D86D9C975C36A906956D75A39A0A#

lunedì 12 marzo 2018

La nuova storia nella nuova scuola

Nello studio della storia la mente avida e concreta del bambino pretende racconti, aneddoti, fatti, immagini. E invece la scuola di oggi gli propone una lavagna con sopra scritta una frase da copiare come questa: "Il tempo passa. Il tempo non torna mai più indietro..."
Molti lamentano la crisi della cultura scientifica, la diffusione di un analfabetismo scientifico e tecnologico, che inizia nella scuola e sarebbe alimentato da una diffusa ostilità nei confronti della scienza. Il modo di curare questa malattia consisterebbe nel…
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martedì 6 ottobre 2015

La Grecia inventata

http://www.theonion.com/article/historians-admit-to-inventing-ancient-greeks-18209