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sabato 29 ottobre 2011

La bolla educativa

Alison Wolf – Does education matter? Myth about education and economic growth.
Un giorno il povero Tremonti, nel negare i finanziamenti di rito a San Sandro Bondi, ebbe a dire che “con la cultura non si mangia”. Prima ancora di aver terminato la frase, chi di solito si nutre di cultura (e di finanziamenti a fondo perduto), cambiò improvvisamente dieta per mangiarsi vivo il ministro stesso.
Anche Allison Wolf ebbe una feconda “gaffe sociale” in tema. Con la differenza che lei non è un commercialista di Sondrio ma una “dura” molto ferrata in tema solita parlare dell’ argomento con cognizione di causa; cosicché, le reazioni alla gaffe, anziché intimorirla, la spronarono a sistematizzare il suo pensiero in questo libro.
A una cena con amici facoltosi si parlava di come guidare i paesi più poveri sulla strada dello sviluppo. In tema regnava un tranquillizzante accordo: common law, free market and… education, education, education. Ma proprio l’ “esperta del settore” opinò a sorpresa, e mal gliene incolse. Mettere in questione il valore (e il budget) dell’ istruzione significa oggidì passare per qualcosa che sta tra il torturatore di animali e l’ imbecille. Tutto cio’ ha fatto pensare l’ autrice che ha poi deciso di immolarsi per l’ impopolare causa: dissociare una volta per tutte istruzione e crescita economica.
Street artist Banksy A NEW ORLEANS ART
Il libro intrattiene su molti argomenti.
Sul perché sia tanto arduo combattere il fenomeno dell’ “overeducation”. Si scopre che si tratta di produrre un bene pubblico opponendosi ai naturali egoismi dei soggetti coinvolti:
… L’ istruzione conta?… la lezione dell’ ultimo secolo è chiara: per il singolo conta come mai in passato… Ma conta anche nel senso inteso dai governi democratici un po’ di tutto il mondo?…ovvero, nell’ era della conoscenza il nesso tra istruzione superiore e sviluppo si rinforza come sostengono molti?… a questa domanda bisogna rispondere con un chiaro “no”… credenze naif in merito hanno comportato non poche distorsioni nelle politiche di settore… si è creduto che esistesse un legame semplice e diretto tra la quantità di istruzione fornita e il successo competitivo del paese… si è creduto altresì che i governi potessero isolare facilmente il tipo di formazione necessaria all’ avanzamento economico della comunità… entrambe le credenze si sono rivelate inventate completamente infondate…
Sull’ esito fatale di chi parte da certi presupposti, ovvero la “bolla educativa”:
… il problema si espande quando, come negli ultimi decenni, cominciamo a estrapolare i rendimenti dell’ istruzione come se fossero le cedole di titoli trattati in borsa… il risultato è che l’ espansione immotivata negli acquisti ha creato una “bolla educativa” senza precedenti… una simile dilatazione è costosa e dannosa per molti versi… innanzitutto svaluta il ruolo dell’ istruzione (oggi vediamo girare ragazzi chiaramente overeducated e molto arrabbiati)… in secondo ruolo impedisce la reale relazione che potrebbe esistere tra istruzione e successo economico… in terzo luogo impedisce all’ istruzione di essere un ascensore sociale…
Su un sintomo tutto particolare della malattia: la pulsione a “quantificare” lo scibile umano:
… un risultato è stato il moltiplicarsi degli obiettivi quantitativi al fine di facilitare un controllo centrale delle Università… l’ approccio assomiglia terribilmente al modo in cui i pianificatori sovietici gestivano la loro economia… e registra anche i medesimi inconvenienti… l’ obbiettivo quantitativo funziona quando l’ oggetto delle osservazioni è facilmente misurabile (trattori, voti…)… molto meno quando sono in gioco grandezze oggetto di dibattito e di valutazione soggettiva… in un’ organizzazione gerarchica e centralizzata gli unici incentivi di chi opera sul campo consistono nel soddisfare chi distribuisce le risorse e i compensi… se a costoro si chiedono certi numeri, probabilmente li otterremo, ma non otterremo cio’ che i numeri non possono esprimere… per esempio la qualità e la cura…
Sui miti da sfatare:
… poiché la gente più istruita è anche meglio pagata e poiché i paesi più ricchi sono anche quelli con livelli di istruzione più elevati, si generano molti malintesi… si ritiene per esempio che esista una relazione diretta tra livelli d’ istruzione e abilità… si ritiene che l’ istruzione sia il miglior ascensore sociale a nostra disposizione… si ritiene poi che tutto questo sia particolarmente vero oggi… senonché, per quanto si torturino i numeri… non si riesce ad andare oltre l’ accattivante retorica…
Su quanta istruzione ci serve:
… per supportare ricerca e innovazione a un paese occorre un drappello cospicuo ma non vasto di personale ben preparato e ben equipaggiato… e non un plotone di ricercatori lacunosi e imperfetti su più fronti… anche solo per limitarsi alle strutture universitarie, nessun governo è in grado di attrezzarle tutte al meglio e nelle democrazie moderne una simile diseguaglianza non è tollerata, cosicché si preferisce uniformarsi verso il basso…
Poi si affronta un argomento scottante: il mondo del business puo’ dare una mano?
… i governi aspirano a rimodulare il settore educativo sulla base delle esigenze manifestate nel mondo del lavoro… cosicché cosa c’ è di meglio che chiedere consigli a quel mondo e farlo entrare in Università?… Gli anni ‘80 e i 90 costituiscono un buon test per questa strategia visto che è stata implementata un po’ ovunque… inutile nascondere l’ esito deludente, per lo meno quando a essere coinvolte sono stati i “rappresentanti ufficiali” del business… il singolo imprenditore sa bene cosa chiedere al neo assunto ma, a quanto pare, le confindustrie non sanno cosa chiedere agli studenti…
In tutto questo bailamme la formazione professionale che fine fa?
… bisogna ammettere che sul tema della formazione professionale una preoccupazione ha attraversato la politica la quale si è proposta di aumentare sia i fruitori che il loro status… missione fallita… le scuole professionali vanno benissimo… ma per i figli degli altri… i miei vanno all’ università…
Sulla guerra dei ministri:
… da anni i ministri dell’ istruzione di tutte le democrazie si fanno la guerra a colpi di laureati e università: chi ha sfornato più laureati? Chi è stato il campione nel riempire il paese di Università?… purtroppo le indagini sul campo ci dicono che in questo campo quasi sempre il “più” è nemico del “meglio”… la “guerra” dei ministri è infondata e il fatto che la si combatta è sintomo di come siamo lontani dalla comprensione dei problemi…
E infine sul ruolo dell’ istruzione: perché persistere a disegnar fiorellini se poi arriva il mondo cattivo che ce li cancella?:
… sarebbe utile rassegnarsi a ripristinare il tradizionale ruolo dell’ istruzione e dire chiaro e tondo che apprendere è bello e desiderabile di per sé… che l’ istruzione serve a conoscere e a diffondere la conoscenza… non esistono elementi che consentano di rintracciare altre relazioni dirette… questa diffusione non ha conseguenze lineari bensì espande in modo discontinuo e irregolare taluni benefici che riguardano innanzitutto lo spirito…

venerdì 22 aprile 2011

Bromuro

Nessuno guarda male chi si lancia in intemerate contro l’ università italica. Sparare a palle incatenate contro un nemico astratto e vago è uno sfogatoio che raccoglie sempre consensi.

Girando per la rete, poi, noto che si tratta di un leitmotiv suonato un po’ in tutti i maggiori paesi.

Che bello, dopo la lettura degli ultimi dati OCSE, potersene uscire trionfanti con l’ annuncio che “stiamo peggiorando” La gioia di suonare questo allarme ci pervade come un brivido. E se “stiamo migliorando” possiamo sempre omettere di dar conto del rassicurante segnale per concentrarci sulla poco dignitosa posizione in classifica. Qualcosa di “vergognoso” si troverà, anche se magari saremo costretti a rovistare tra le appendici.

Più difficile osare l’ inosabile. Per esempio dire che c’ è “troppa istruzione superiore”. Al punto che chi lo fa deve in qualche modo dissimulare l’ argomento per trasfigurarlo, che ne so, nell’ elogio del lavoro manuale.

Possiamo dire tra gli applausi che siamo “male educati” ma non possiamo dire che siamo “iper-educati”.

Alla fine, anche per chi ammette le due verità, il paradigma più rassicurante è offerto da quelle storielle in grado di rendere interdipendenti i due capi d’ accusa: la democratizzazione del sapere universitario ha abbassato il livello rendendo la frequenza delle nostre università scarsamente produttiva, sia per chi ambisce ad una qualità più elevata, sia per chi si ritrova a passeggiare nei lunghi corridoi degli atenei solo perché soggetto a “pressioni sociali” che arrivano da tutte le parti.

Una simile visione è gradita ai fans della “meritocrazia”: basterebbe in qualche modo alzare la qualità dell’ istruzione selezionando i frequentanti. Non è facile, ma per lo meno avremmo un lavoro da fare e dei fondi da allocare.

Cosicché tutti ripiegano su questa storiella pur di non considerare un paradigma ben più inquietante, eccolo: quand’ anche si ponesse rimedio alla “mala-educazione”, non è detto scompaia la “iper-educazione”. Facciamo un esempio: il paese delle “università da sogno” – USA - ha scoperto quanto poco i suoi atenei formino chi intende sbarcare preparato nel mondo del lavoro. In altre parole, il capitale umano che si accumula in quei santuari del sapere è minimo: un semestre potrebbe comodamente sostituire i quattro anni canonici. Conclusione: lì – dove qualità docet - più che altrove la bestia grama della “overeducation” fa sentire il suo morso.

Come darsene ragione? Secondo Arnold Kling andare all’ università è un modo per far capire al datore di lavoro da cui saremo esaminati quanto si è in grado di rispettare la “gerarchia”, per questo bisogna restarci tanto: solo un tempo prolungato offre un test attendibile delle proprie capacità di ossequio:

in hierarchy, signaling respect for the hierarchy is very important…That is, part of the process of getting ahead in academia is showing respect for the academic hierarchy.

I think this offers a potential insight into the signaling role of education. It does not just signal intelligence or conscientiousness, which could be signaled more cheaply in other ways. It signals respect for hierarchy. Thus, large organizations will tend to value educational credentials, while small organizations may not need to do so.

There is no cheap alternative to educational credentials if you want to signal respect for hierarchy. … Any attempt to evade the educational credential system inherently signals a lack of respect for hierarchy!

Gli studi accademici sarebbero dunque una specie di bromuro.

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Strano, perché noi di solito siamo portati a vederli come un fattore “liberante”, una spinta al criticismo più irrequieto; pensiamo, ad esempio, che sia fatale per un paese autoritario ed arretrato garantire un livello educativo elevato alla gioventù locale.

Davvero? Eppure:

Counter to modernization theory, increased human capital [from education] did not produce more pro-democratic or secular attitudes and, if anything, it strengthened ethnic identification.

A quanto pare, anche su questo fronte, la versione accademia/bromuro esce indenne. E’ il caso di approfondire.

 

 

martedì 28 dicembre 2010

Eresie ineludibili

Oggi in treno, ascoltando la rassegna stampa di Prima Pagina, ho assistito alle reazioni piccate, in primis quella del conduttore, che hanno fatto seguito alla lettura di un articolo di Stefano Zecchi.

Di solito agli studenti che manifestano si dice: "andate a studiare". Zecchi ha invece osato dire: "andate a lavorare".

La discussione è aperta. Purchè ci si pongano le domande giuste senza girarsi dall' altra parte stizziti.

Per esempio, per quanto riguarda l' istruzione:

"... have you ever noticed that colleges don’t teach a lot of job skills?...”

Per esempio, per quanto riguarda la qualità dell' istruzione:

"... the best evidence is that it is almost impossible to make a long-term difference in education, then the statistical evidence on teacher quality is bound to be highly unreliable. What appears to be teacher quality is likely to be random variation..."

add: la versione di Rojas (nei commenti):

1. There really are individual teachers who are measurably better than others.

2. Easily measured attributes (e.g., credentials, gender, age, seniority, etc) usually do not correlate with effective teaching (i.e., test score improvement).

... teaching is mainly about coaching and connecting with students...