Trafficanti di carne umana
1. I “trafficanti di carne umana” sono persone che trasportano i migranti consentendo loro di violare le frontiere politiche ed entrare clandestinamente negli stati più ricchi. In Italia ne sappiamo qualcosa perché con i loro barconi hanno condotto sulle nostre coste parecchia gente, e dopo le primavere arabe il flusso di rifugiati si è ulteriormente intensificato, specialmente dalla Siria. Nel 2011 molti paesi hanno firmato un protocollo ONU che li impegna a criminalizzare e perseguire questo contrabbando, cosicché la UE ha intrapreso diverse operazioni militari nel Mediterraneo al fine di concretizzare l’impegno preso. Nella popolazione europea si è man mano diffuso un generico sentimento di condanna morale verso gli scafisti, da qui l’ appellativo infamante di “trafficanti di carne umana”. Ma la cosa non è una prerogativa europea: il primo ministro Australiano ha definito la loro azione un “commercio demoniaco” e loro come “la feccia della terra”. Per molti questa gente trae un indebito vantaggio da persone in condizioni disperate, lo “sfruttamento” che realizzano sarebbe inqualificabile. Per altri non sono mai difendibili poiché agiscono comunque solo sulla base di una logica di profitto, la loro motivazione di fondo sarebbe quindi inquinata in partenza. Per altri ancora a condannarli basterebbe il solo fatto che violano e aiutano a violare la legge di alcuni paesi.
2. Di parere diverso è il filosofo Javier Hidalgo che nel saggio “The ethics of people smuggling” mette in piedi una difesa morale di questo contrabbando. La sua tesi: lo scafismo è un’attività moralmente lecita, almeno fino a prova contraria. Facciamo il caso di Ibrahim, uno scafista che prende in affitto la sua barca e assume degli uomini per trasportare dei migranti, tra i suoi clienti c’è Khaled, un tale in fuga dalla guerra civile libica. Ibrahim è onesto con Khaled sui rischi del viaggio, tuttavia Khaled insiste per salire a bordo. Una volta partiti, se il viaggio andrà liscio, in prossimità di Lampedusa si spegneranno i motori e si lancerà l’allarme sperando in un sollecito recupero. Quand’anche Ibrahim realizzi un profitto da questa sua attività, sembrerebbe un profitto lecito. Oppure no?
3. Innanzitutto sembrerebbe falso che Ibrahim abbia il dovere morale di trasportare gratuitamente Khaled, poiché ci sono dei costi (la barca, lo stipendio dell’equipaggio) e dei rischi (arresto) sarebbe assurdo chiedere tanto, in casi del genere avere un guadagno è moralmente lecito. Anche noi potremmo acquistare uno smartphone meno costoso e con la differenza aiutare i poveri, farlo sarebbe ammirevole ma probabilmente non è dovuto. Certo, c’è una soglia vaga oltrepassata la quale si passa dall’ammirevole al doveroso, ma c’è comunque una soglia.
4. C’è poi il chiaro consenso di Khaled, è un ulteriore elemento che legittima Ibrahim, d’altronde si tratta di un consenso ragionevole: i rischi che affronta sono controbilanciati dai benefici che potrebbe avere dal vivere in un paese civile. Anche se si tratta di un consenso espresso da persone disperate cio’ non ne inficia l’autenticità. Facciamo un’analogia: se una persona con una malattia letale si sottomette volontariamente ad un’operazione chirurgica rischiosa, il chirurgo è moralmente autorizzato a procedere.
5. Non sembra nemmeno che in tutta questa faccenda ci siano diritti di terzi violati. Potrebbero esserci quelli dei cittadini dei paesi di destinazione: fornire cibo, casa e lavoro a questi disperati è un’operazione costosa che finirà presumibilmente per gravare su di loro. Inoltre, i migranti saranno dei concorrenti sul mercato del lavoro e abbasseranno gli stipendi in molti settori. Tuttavia, l’opinione generale degli studiosi è che esista, almeno in teoria, un dovere per i paesi più ricchi di ospitare i “rifugiati”, e qui Hidalgo cita dei lavori di Michael Walzer, Christopher Wellman e David Miller. Nelle nostre società la concorrenza è qualcosa di tollerabile: non sono, per esempio, autorizzato a condannare moralmente un istituto scolastico solo perché diploma geometri che poi mi faranno concorrenza sul mercato abbassando le tariffe professionali. Quanto ai costi di accoglienza sono imposti dalla fiscalità, non dagli scafisti, eventuali abusi sono da imputare quindi ai governi.
6. Vediamo meglio il concetto appena espresso grazie ad un’analogia: ammettiamo che un bus urbano trasporti dalle periferie al centro un gruppo di poveri destinati ad un soggiornare in un ospizio e che, a causa di questa nuova presenza sul territorio, la richiesta di servizi welfare del quartiere centrale s’impenni. Poiché, poniamo, i servizi sono finanziati con tasse locali è prevedibile che i residenti pagheranno di più. Ma cio’ non significa che l’autobus ha violato una norma morale nel trasportare della gente dalla periferia in centro. O meglio, da parte dei residenti potrebbe aver senso una recriminazione verso chi ha deciso di garantire servizi tanto generosi (e costosi) ma non una recriminazione contro il trasporto pubblico delle corriere. Il principio generale potrebbe essere questo: se un agente A ha certi doveri e un agente B agisce in modo tale che A sia chiamato ad adempiere ai suoi doveri, B non è condannabile.
7. Bisognerebbe aggiungere il fatto che la definizione operativa di “rifugiato” è parecchio restrittiva, oggi è tale solo chi fugge da una persecuzione sulla base di razza, sesso, religione, opinioni politiche e nazionalità. E chi fugge dalla guerra, dalle malattie o dalla povertà estrema? Queste ultime minacce non sembrano meno severe. Oggi, poi, le ricche democrazie dell’occidente ospitano un numero esiguo di rifugiati, la maggior parte resta ammassata in paesi poveri come Etiopia, Pakistan e Turchia. I siriani, per esempio, sono per lo più in Libano e Giordania. Nel respingerli il nostro retro-pensiero di solito è questo: si tratta di paesi già nei guai, una calamità in più o in meno non cambia la vita. Ma è questo un pensiero che possiamo chiamare etico? Direi di no. Ebbene, l’azione dei “trafficanti di carne umana” compensa in parte questa ingiustizia distributiva.
8. Ma lo scafista-tipo in concreto potrebbe anche ingannare il migrante con cui lavora, d’altronde si opera su un mercato nero, senza tribunali, e cio’ rende lo scafista sospetto a priori. Ma gli scafisti puntano al grano e sarebbe una pessima strategia di business rovinarsi la reputazione. David Spener ha intervistato molti “passisti” e molti migranti sulla frontiera USA-Messico: in genere il passista viene scelto con il passaparola, la reputazione è quindi fondamentale. Van Liempt, Missbach e Sinanu confermano che queste modalità sono le più comuni anche in Europa e Australia. Veronika Bilger, Martin Hofmann e Michael Jandl hanno lavorato sullo specifico della frontiera orientale dell’ Austria dove gli intervistati hanno negato di sentirsi alla mercé dei contrabbandieri. Aggiungerei che spesso i contrabbandieri sono stati migranti irregolari loro stessi e rivedono in chi accompagnano la loro storia, il che crea una certa solidarietà.
9. Altri ritengono che lo scafista “sfrutti” la povera gente facendo i soldi sulle disgrazie altrui con un’attività di stampo criminale, è questa l’opinione di Dimitris Avramopoulos, per esempio, commissario all’immigrazione per la UE. Ma chiariamo il punto tornando alla nostra analogia, poniamo che Ibrahim sia l’unico scafista sulla piazza, magari perché ha fatto fuori fisicamente la concorrenza che lo disturbava, poniamo anche che possa trasportare a Lampedusa Khaled senza rischi per se stesso al prezzo di 1.000 euro ma ne chieda 5.000 prosciugandolo totalmente dei suoi risparmi. In un caso del genere direi che si potrebbe anche parlare di “sfruttamento”. Ma se Ibrahim è uno dei tanti e il suo comportamento è quello descritto all’inizio allora è ben difficile parlare di sfruttamento. Il fatto che gli scafisti agiscano in un mercato nero e che violino la legge non autorizza di per sé a parlare di sfruttamento. Per vedere come stanno le cose nella realtà la parola passa agli studiosi sul campo. Il mercato del contrabbando, proprio perché illegale, non presenta molte barriere all’entrata, chiunque sia sufficientemente coraggioso puo’ provare a fare un viaggio. Spener parla esplicitamente di “assenza di monopoli” sulla frontiere USA-Messico. Bilger, Hofmann e Jandl parlano di “intensa competizione tra gruppi di scafisti nelle varie rotte del Mediterraneo”. Istituti come quello della restituzione del denaro in caso di viaggio fallito non potrebbero esistere in assenza di competizione. Nemmeno la cura reputazionale avrebbe senso. A me sembra che nel campo dei trasporti la concorrenza sul mercato nero sia addirittura maggiore di quella presente nei mercati ufficiali (rotte aeree, autobus, eccetera).
10. Per molti il contrabbandiere è comunque reo di essere un egoista che aiuta il prossimo mosso esclusivamente dall’avidità. Ma perché mai anche in un caso del genere emettere una condanna a tutto campo? Non è forse meglio distinguere tra azione e motivazione? Uno potrebbe anche concludere che se la motivazione è dubbia l’azione resta pur sempre lodevole! Filosofi importanti come Scanlon utilizzano proprio questo paradigma nell’esprimere un giudizio morale. Molti scafisti, di fatto, considerano il contrabbando come un normale lavoro con cui mantenere la loro famiglia, è questa una motivazione insulsa? E’ probabilmente la motivazione che muove gran parte di noi tutti i giorni. Ammettiamo che un giovane ambizioso intraprenda una carriera di prestigio come quella del chirurgo riuscendo nel suo intento di sfondare. Quando questo chirurgo mi asporterà un tumore salvandomi la vita devo forse considerare la sua azione malvagia? Me ne guarderò bene, e questo a prescindere dalle sue motivazioni. Gabriella Sanchez ha intervistato molti passisti che ostentavano solidarietà con la causa dei clandestini, soprattutto perché – lo dicevamo prima – rivedevano in quella gente la loro stessa storia passata. Puo’ darsi che nelle interviste millantassero ma giungere alla conclusione che siano motivati solo dal profitto vuol dire cadere nell’esagerazione opposta.
11. Infine molte persone pensano che infrangere una leggesia comunque immorale. Qui bisogna distinguere tre posizioni: 1) per alcuni c’è un’identificazione completa tra legge e morale, 2) per altri c’è un collegamento tra legge e morale, 3) per altri ancora legge e morale sono due cose diverse. Possiamo trascurare la prima posizione poiché poco ragionevole. La terza è secondo me la più coerente anche se ammetto che la seconda sia la più diffusa. Tuttavia, anche chi sostiene la seconda posizione giustifica in vari casi la violazione delle leggi: chi non ha mai attraversato una strada con il semaforo rosso? Chi non ha mai violato i limiti di velocità? Chi non ha bevuto un goccio prima di mettersi alla guida? Tutti noi violiamo la legge più volte al giorno. A volte il contrabbando è necessario per tutelare i diritti umani di una persona, in questo senso sembrerebbe rientrare tra le violazioni lecite, anzi, oserei dire doverose.