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lunedì 28 febbraio 2011

Tempo perso

Donne e uomini sono dotati di pari intelligenza, sarebbe tempo perso ingegnarsi per negarlo. Così come sarebbe tempo perso negare che alcune differenze ci sono. Vediamo un po’ le sei principali:
1. differenti priorità, specie se consideriamo “status” e “famiglia”;
2. differenti interessi, specie se distinguiamo tra “cose”, “persone” e “astrazioni”;
3. differente attitudine verso il “rischio”;
4. differenti prestazioni nei test matematici e nel ragionamento matematico (non nel calcolo matematico);
5. differente attitudine mentale verso le proiezioni spaziali (non nella memoria visiva);
6. differente variabilità nelle distribuzioni di frequenza sulle varie abilità cognitive.
A questo punto la domanda cruciale: si tratta di differenze “naturali” o indotte dalla cultura.
Esistono diversi motivi che inducono a privilegiare l’ ipotesi di una base naturale, almeno sei:
1. uomini e donne hanno una biologia molto differente;
2. si tratta di differenze universali nello spazio, anche se variabili nell’ entità;
3. si tratta di differenze universali nel tempo, anche se variabili nell’ entità;
4. si tratta di differenze condivise con la gran parte dei mammiferi;
5. molte di queste differenze si riscontrano già nella prima infanzia;
6. si tratta di differenze impermeabili allo “stile educativo”;
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Concludo con alcune notazioni di cui tenere conto:
1. parliamo di differenze statistiche; ovvero, anche quando diciamo, per esempio, che “gli uomini sopravanzano le donne nell’ ambito X” cio’ è compatibile con il fatto che nell’ ambito X esistano parecchie donne che sopravanzano parecchi uomini;
2. spesso le differenze nemmeno si riscontrano a livello di media, bensì a livello di “coda” (es.: gli uomini in un certo ambito potrebbero prevalere sia nel “meglio” che nel peggio);
3. molti studi offrono risultati deboli che, vista la delicatezza della materia, si tende a scartare; anche per questo diventano decisive le meta-analisi (se una debolezza si ripete sistematicamente nello stesso senso, il risultato cessa di essere “debole”) e le sperimentazioni su vasti campioni;
4. difficilmente gli stereotipi culturali giocano un ruolo decisivo, anche perché noi, nell' agire quotidiano, tendiamo a sottovalutare le “differenze di genere”.
5. al modello “osmotico” molti contrappongono il modello degli “stereotipi autorafforzanti”, ma si tratta di un modello improbabile in presenza di “flussi e riflussi” visto che un modello del genere favorisce piuttosto la crescente polarizzazione;
6. il modello degli “stereotipi autorafforzanti” ha un ulteriore punto debole: sembra incapace di descrivere la dinamica osservata nel caso di altre odiose discriminazioni. Ho in mente quella subita dai neri in ambito sportivo, o quella ancor più vasta a danno degli ebrei. Sono casi in cui, appena cadute le barriere, c’ è stata integrazione: i neri hanno cominciato a mietere successi, gli ebrei a trovare la loro posizione sociale. Ma anche la discriminazione femminile, appena si sono aperte le porte, è cessata molto velocemente in parecchi ambiti
7. vale a poco obiettare che nello sport, per esempio, esistono misure oggettive; infatti le maggiori difficoltà a ottenere un’ adeguata rappresentanza femminile si hanno proprio in ambiti dove le performance sono più facilmente misurabili;
8. chi denuncia la sproporzione tra “differenze naturali” e ruolo sociale non coglie alcuni meccanismi economici; ogni economista sa che bastano differenze minime nelle attitudini per avere conseguenze catastrofiche nella distribuzione razionale dei ruoli. Non solo, potrebbe essere irrilevante persino il segno delle differenze (se ci fosse un sesso migliore in tutte le attività umane, sarebbe razionale confinare il suo ruolo alle attività dove la differenza di prestazioni è più ampia).
Ma se devo essere sincero, da profano, a convincermi sull’ ipotesi della “base naturale” è un altra cosa: l’ alto numero di studiosi che approfondisce la questione partendo dall’ ipotesi culturalista e approdando alla sponda opposta. Il cammino inverso è pressoché inesistente. Un caso emblematico è quello di Diane Halphern:
At the time I started writing this book it seemed clear to me that any between sex differences in thinking abilities were due to socialization practices, artifacts, and mistakes in the research. After reviewing a pile of journal articles that stood several feet high, and numerous books and book chapters that dwarfed the stack of journal articles, I changed my mind. The literature on sex differences in cognitive abilities is filled with inconsistent findings, contradictory theories, and emotional claims that are unsupported by the research. Yet despite all the noise in the data, clear and consistent messages could be heard. There are real and in some cases sizable sex differences with respect to some cognitive abilities. Socialization practices are undoubtedly important, but there is also good evidence that biological sex differences play a role in establishing and maintaining cognitive sex differences, a conclusion I wasn't prepared to make when I began reviewing the relevant literature.
Scusate se non ho inserito né link, né bibliografia. Su richiesta provvederò a fornire la letteratura su ciascun punto. Tanto per cominciare, chi è interessato puo’ trovare una buona rassegna in materia nella “Tabula rasa” di Steven Pinker.