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lunedì 14 maggio 2018

I MIEI 25 EURO

I MIEI 25 EURO
Perché non aiutare i poveri prestando loro dei soldi anziché donarli? Il microcredito incentiva la costituzione di piccole attività che si inseriscono armoniosamente nel tessuto sociale, il piccolo imprenditore sviluppa delle competenze durature e una disciplina dettata dall’esigenza di restituire quanto ricevuto. Inoltre, il “capitale di soccorso” resta intatto e disponibile per altri prestiti. Quando si dona, mi dicono, il beneficiario subisce l’assalto di parenti e amici che polverizzano così la sua ricchezza inattesa e la destinano inevitabilmente al consumo occasionale. Con il microcredito almeno questo inconveniente è aggirato: l’esigenza di restituire pone un freno alla polverizzazione. Impegnarsi in questo settore è facile, mi sono iscritto da poco a Kiva prestando via paypal 25 euro a un taxista ugandese, per lui una somma notevole. Chissà se rivedrò mai quei soldi, ma mi dicono che le probabilità sono elevate e gli interessi tutt’altro che disprezzabili.
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One of America’s most respected economists presents a quirky, incisive romp through everyday life that reveals how you can turn economic reasoning to your advantage—often when you least expect it to be relevant.Like no other economist, Tyler Cowen shows how economic notions—such...

mercoledì 9 dicembre 2009

Aiutare sul serio

link

Il link di cui copra testimonia il fallimento del microcredito, una pratica con la quale si è creduto di combattere la povertà nel mondo. La pratica si espande ma la povertà non si ritira.

Non dico che bisognerebbe ritirare il Nobel per la Pace a Janus, il padre nobile del Microcredito, ma perlomeno prenderne atto e fare una riflessione sull' ennesimo fallimeno nella lotta allo spettro della povertà.

Dubbio: ma questa lotta vogliamo davvero combatterla?

Dubbio legittimo visto che sappiamo già qual è la ricetta che meglio funziona: favorire l' immigrazione.

Dubbio rinforzato quando si scopre che il "donare" migliora la condizione del donatore piuttosto che quella del presunto beneficiario (link).

venerdì 8 agosto 2008

Forme di welfare: microcredito ed evasione fiscale

Questo articolo sembra fare il punto in maniera credibile sulla pratica del microcredito.

Per alcuni, per esempio gli assegnatari del Nobel a Yanus, l' idea appariva forse come epocale e particolarmente innovativa.

Anche per questo alcune precisazioni meritano di essere espresse.

Innanzitutto, non ci si aspetti che il microcredito risolva o allievi in modo significativo il problema della povertà. In genere è una boccata d' ossigeno, ma poche persone escono dalla loro condizione percorrendo quella via.

Il microcredito è sempre esistito, lo si sappia. Coloro che prendono i soldi dalle banche del microcredito, li prendevano senza molte difficoltà anche ieri. Ogni villaggio ha infatti sempre avuto il suo "prestatore" che agiva al di fuori del circuito bancario. Solo che le banche di oggi chiedono tassi intorno al 50-100%, il "prestatore" tradizionale era invece più esoso, nonchè scrupoloso nel riscuotere. E' un miglioramento, certo, non una soluzione rivoluzionaria.

Il microcredito generalmente non aiuta lo start-up di nuove aziende. I denari ottenuti così vengono consumati in seno alla famiglia o risparmiati con l' acquisto di una mucca o di una capra (non si creda che la mucca sia un investimento! E' un risparmio: nessun povero risparmia in contanti, verrebbero subito parenti ed amici a chiedere favori non rifiutabili; la mucca invece non puo' essere fatta a pezzi). Al massimo si investe in beni da usare promiscuamente sia nell' azienda che in famiglia (per esempio il cellulare).

Non si creda nemmeno che il microcredito sia esente dall' incorporazione in titoli collaterali. Visto che siamo nel mezzo di una crisi subprime, ovvero di titoli minati da mutui concessi ai meno abbienti, la cosa non puo' che preoccupare.

Conclusione: quasi sempre il microcredito si risolve in una specie di elemosina con un lato positivo: consente al povero di mantenere un' attività che lo impegna durante la giornata e, quindi, una propria dignità personale. E' un' assistenza anche psicologica. Dall' altro canto cancrenizza le cose come stanno mantenendo in vita una miriade di imprese non produttive.

In un certo senso il microcredito ha effetti simili all' evasione fiscale tollerata a lungo specie nel sud Italia. Mancando di un vero welfare, si sorvola sull'evasione diffusa dei piccoli: costoro possono stare a galla conducendo la loro aziendina senza costituire un problema sociale: sbarcano il lunario e sono alle prese con un' attività che li impegna fattivamente e dà loro qualche soddisfazione illusoria. I pregi e i difetti sono i medesimi del microcredito: si campa ma ci si immobilizza con una produttività deprimente.

La struttura polverizzata del nostro sistema produttivo forse è dovuta anche a questo: 1) evasione fiscale tollerata che consente al micro imprenditore di portare avanti la sua impresa improduttiva (in fondo è meglio comandare che essere comandati) 2 e regolamentazione del lavoro dipendente oppressiva.

venerdì 21 marzo 2008

Il microcredito fa bene? Panico

Surowiecki ne dubita, da lì non è mai uscita un' impresa importante. La risposta è pronta: giudicare il microcredito alla stregua di una politica industriale è sviante, trattasi di politica di welfare e come tale funziona abbastanza bene.


Lo stesso argomento si puo' adottare contro chi scrolla la testa nell' osservare la struttura del nostro sistema produttivo ed esclama "...troppe microimprese!!". Vero, e molte cause potrebbero essere rimosse. Però, per quanto sulla micro impresa che non si sviluppa puo' essere emessa una sentenza di condanna produttiva, bisogna invece decantarne le qualità welferistiche. Il piccolo fruttivendolo che presidia il terrirorio con il suo negozietto dai margini minimi, dà spesso sostentamento minimo e significato ad un paio di vite che hanno fatto tutta la vita quel lavoro.