Perché non lasciare che le tasse siano un versamento volontario?
Comprendo lo scetticismo tipico di chi ha subito violenze per tutta la vita, ma il mondo non è solo quello in cui ha vissuto.
C’è poi il problema della privacy che stiamo perdendo ogni giorno di più anche e soprattutto in ambito fiscale: già in passato qualche Ministro ha minacciato di mettere on line le tasse pagate da ciascuno di noi. Considerato che questo prima o poi capiterà, l’introduzione di “tasse volontarie” anticiperebbe la mossa con uno sberleffo.
La tassa volontaria giustifica infatti l’utilizzo della trasparenza come metodo di pressione sociale. Ognuno dice a tutti quanto versa.
La privacy persa in questo modo è già più accettabile. O no?
Probabilmente verrà raccolto meno che ora, ma questo è solo un bene poiché la cosa dà modo di inaugurare finalmente un taglio consistente della spesa pubblica (la politica delle politiche, a detta degli esperti).
Anche la burocrazia riceverà un duro colpo dal fatto che si rinuncerà alle violenze, mi sembra evidente. E voglio vedere chi non applaude.
Il metodo è inoltre graduabile: una parte della tassazione (per esempio quella sulla casa, meno invasiva in termini di privacy) potrebbe restare coercitiva prima di sparire del tutto.
Alcuni ritengono che il metodo intralci la programmazionedell’azione governativa. Ma questo, da un punto di vista liberale, puo’ essere un bene: il governo si impegnerebbe solo in programmi meno ambiziosi.
Si puo’ comunque stabilire per ogni contribuente – salvo casi eccezionali – uno (generoso) spettro di oscillazione dei doni da un anno all’altro.
Inoltre, puo’ essere riconosciuta, a fianco della tassazione in denaro, una tassazione in natura. In questo senso i “programmi ambiziosi” sarebbero intrapresi dai privati che intendono dare in quelle forme il loro contributo.
Un sistema di tassazione volontaristico produrrebbe dei cambiamenti psicologici immensi nei cittadini: cesserebbe il loro malumore verso lo stato e la politica, e si ridesterebbe l’impegno sociale e comunitario.
In una società rimodellata sullo spirito del dare, il gesto della beneficenza diventerebbe sempre più comune, apportando alla fiscalità pubblica gran parte di ciò che oggi le serve per consolidarsi. La donazione a vantaggio del bene comune potrebbe dunque trasformarsi, nel tempo, in un’abitudine psicopolitica consolidata, impregnando le popolazioni democratiche di una sorta di seconda natura.
La storia ci dice che in molte occasioni i tipici problemi di free riding (opportunismo) sono stati superati grazie alla pressione sociale, al senso civico e allo spirito pubblico.
Per tutti noi la stima della comunità è estremamente importante.
Il senso di comunità lieviterebbe intorno a certi leaderparticolarmente generosi.
I discorsi infiammati, l’esaltazione della magnanimità, e il richiamo alla generosità spingerebbero a donazioni ragguardevoli.
La buona reputazione è sempre stata l’ architrave delle società ben ordinate, perché non potrebbe continuare a svolgere il suo ruolo positivo anche e soprattutto in campo fiscale?
Oggi l’ammirazione va ai “furbetti”, e con parecchie ragioni. Chi non è infastidito dalla nota falsa che contiene la musica mielosa che invita alla correttezza fiscale? Chi non vede il vampiro dietro l’ ipocrita richiamo al senso civico? Chi non vi coglie l’insopportabile lato trombonesco? Chi ha la forze di trattenere la pernacchia? Giusto qualche indottrinato tutto d’un pezzo, ma pochi altri.
Nelle stime di fattibilità non confondiamo la stitica generosità anonima con quella che potrebbe essere la generosità pubblica. La prima è misurabile, per esempio, dai doni alle ONLUS, un flusso di ricchezza tutt’altro che disprezzabile. Ma la seconda sarebbe molto più cospicua. Perché? Ma perché conforme alla nostra natura più profonda.
Per questo riconoscere e tributare onori alla generosità è essenziale. Sulla generosità anonima non si costruisce nulla ma su quella trasparente si puo’ costruire molto poiché compatibile con la nostra natura.
Tuttavia, proprio per quanto appena detto, senza necessità impellente non c’è generosità: una volta istituito l’obbligo la generosità si estingue.
Lo scettico è vissuto in un mondo fondato sulla coercizione reiterata, non deve quindi sorprendersi per l’assenza di generosità che nota intorno a sé.
Rimuovi il requisito della volontarietà, e ogni istinto a cooperare si spegne. Introduci la coercizione e tutto quel che resta è puro egoismo.
In Grecia i cittadini più facoltosi di ogni città venivano chiamati a pagare i beni pubblici come l’equipaggiamento militare, le navi da guerra, i giochi atletici, i divertimenti pubblici, e raramente qualcuno si sottraeva a questo dovere, chiamato “liturgia”. Da ogni cittadino ci si aspettava una certa cifra, ma il più delle volte essi davano molto di più, anche il doppio o il triplo, per dimostrare l’attaccamento alla propria comunità (un fatto oggi impensabile!). È probabile, che in questo modo la comunità abbia ricevuto più averi dai ricchi nell’antica Grecia che nelle nostre democrazie a tendenza socialista.
Gran Bretagna e Australia hanno conosciuto le “Friendly society”, in America erano diffuse le Logge, noi ci ricordiamo ancora le “Società di Mutuo Soccorso” e le “Società operaie”. Tutte forme di autentica solidarietà sociale volontaria spazzate via da un anonimo welfare state.
Grazie a queste associazioni, vedove e orfani avevano un sostegno garantito. Le “FS” provvedevano poi anche alle cure mediche (nel 1911 in GB coprivano 9 milioni di persone). Si forniva anche uno stipendio ai malati, un’assicurazione sulla vita e un pronto ricollocamento per i disoccupati.
La loro gestione era improntata a principi democratici e il loro punto di forza erano le “scuole” e i “rituali”. Nelle prime si inculcavano valori quali il lavoro duro, la libertà, la tolleranza verso gli altri e la fraternità verso i compagni. I secondi erano realmente sentiti.
Tutta roba che si puo’ fare solo se non è imposta. Paragonate quelle scuole alla ridicola ora di educazione civica tenuta controvoglia da un professorino malpagato che pensa solo al trasferimento e ascoltata da una classe col pensiero fisso sul pezzo di carta!
Il moralismo diventa insopportabile se inflitto, ma è spesso necessario e benefico se adottato volontariamente. Nel solidarismo spontaneo gli anziani introducevano i novizi, si elevavano multe agli ubriachi e ai giocatori. Ma tutto faceva parte di quel gioco accettato all’atto di adesione.
L’aiuto, fondamentale, non era garantito a priori, solo gli “sfortunati meritevoli” potevano accedervi, ma questo era possibile proprio per il carattere volontario della comunità. Queste associazioni sapevano benissimo che l’aiuto crea dipendenza, e possedevano l’antidoto.
L’aiuto elargito non umiliava poiché era visto come un “mutuo soccorso”: “oggi a te domani a me”. In questo senso creava anche un impegno in chi lo riceveva. La “fraternità” predicata rinforzava l’affidabilità e da questo legame nasceva l’autentica comunità.
Il solidarismo spontaneo era anche il veicolo primo utilizzato da chi puntava a ruoli di leadership sociale.
La volontarietà di queste associazioni è il punto cruciale: i soci supportavano la causa realmente motivati, e i leader eletti da “uomini realmente liberi” si sentivano veramente consacrati.
Si tratta di un mondo completamente spazzato via dall’anonimo e sprecone welfare state moderno che, per quanto appena detto, puo’ fornire risorse ma non certo una formazione morale, considerato anche come quelle risorse se le procura.
In America e in GB il passaggio ha fatto impennare crimine, disgregazione familiare e disoccupazione. Un caso?