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martedì 14 gennaio 2020

I FATTI SEPARATI DALLE OPINIONI

I FATTI SEPARATI DALLE OPINIONI




1) La cosiddetta legge di Hume dice che non possiamo passare dall'”essere”, al “dover essere”, ovvero dai fatti ai valori. Dalla descrizione oggettiva di un fatto non discendono in automatico dei doveri o dei giudizi etici. I fatti da una parte e le opinioni dall’altra. Tutti sembrano essere d’accordo, questa distinzione ci appare puro buon senso. Eppure i cattolici si smarcano. Perché? Perché, una volta capito cosa si intende con la legge di Hume si scopre che il buon senso sta altrove.
 
2) Descriviamo un fatto: Caino uccide Abele. Ne discende che Caino è colpevole? Ovvio. Ma allora dall’ “essere” (la descrizione di un fatto), deriva un “dover essere” (un giudizio etico). Semplice no? Tutto di buon senso no? Ma dove sta l’inghippo?
 
3) Anche Hume probabilmente avrebbe condannato Caino, così come avrebbe condannato qualsiasi omicida. Avrebbe però negato l’esistenza di un legame reale tra il fatto e il valore. Classificherebbe la sua condanna come un’opinione soggettiva. Qualcosa di radicalmente diverso dalla descrizione di un fatto.
 
4) Un idealista avrebbe potuto pensarla diversamente e dire che la condanna dell’omicidio è un’idea innata che noi associamo alla storia di Caino e Abele. Anche in questo caso si evita di postulare un legame tra fatto e valore.
 
5) Riassunto: l’empirista (Hume) ha un’etica soggettiva, l’idealista (Kant) ha un’etica innata, mentre il realista (Aristotele) ha un’etica intuitiva. L’intuizione è quella facoltà che ci fa estrarre dei valori dai fatti. Possiamo chiamarla intuizione o buon senso. Inutile aggiungere che noi cattolici – via Tommaso – siamo degli aristotelici.
 
6) L’etica relativista ha mille difetti, non penso nemmeno che possa esistere un relativista sincero. L’etica innata è pretenziosa: come faccio a conoscere il bene e il male stando chiuso nella mia stanza? L’esperienza è un ingrediente essenziale. Alla fine l’etica realista si impone come la più sensata: dai fatti traiamo i nostri valori.
 
7) Analogia. Chi nega che dai fatti non discendano dei valori nega anche che io di fronte ad una banana gialla possa dire “ecco una banana gialla”. La banana gialla, infatti, non è un fatto, perché il giallo non lo è! Il fatto è costituito da un oggetto che emana certe frequenze. Certo, uno potrebbe dire che ha deciso di affibbiare a quelle frequenze il nome “giallo”. Ma questa ricostruzione è artefatta, la nostra esperienza è diversa: vediamo il giallo e lo chiamiamo giallo. Non solo, il giallo per noi è un colore, non una frequenza! In un senso il colore giallo (universale) ha uno status simile al comando morale: non si potrebbe inferire dai fatti, appartiene ad una dimensione aliena dai fatti. Eppure tutti noi lo inferiamo e crediamo che sia corretto farlo.
 
8) Ma perché quando sentiamo che fatti e valori sono distinti noi sottoscriviamo immediatamente? Abbiamo appena visto che ha poco senso farlo. Probabilmente perchè la modernità ci offre solo due alternative in cui collocarci: empirismo e razionalismo; ed entrambe ci chiedono di distinguere tra fatti e valori.
 
9) Secondo l’intuizionismo: (a) esiste una netta differenza tra l’intelletto da un lato e i sensi dall’altro, e (b) nulla penetra nell’intelletto se non attraverso i sensi. I concetti astratti (male, giallo, triangolarità…) sono reali e noi li scopriamo grazie a come il nostro intelletto elabora dei fatti concreti.
 
10) Razionalisti ed empiristi abbracciano solo una delle due ipotesi respingendo l’altra. I razionalisti sottoscrivono (a) ma rigettano (b), per loro i concetti sono innati, sono cioè un patrimonio della mente, ovvero di un mondo a sé stante. Gli empiristi accettano (b) ma non (a), per loro i concetti devono tutti derivare dai sensi, cio’ che abbiamo nella mente sono giusto delle immagini mentali di cio’ che proviamo con i sensi, nulla di nuovo.
 
11) L’accusa degli empiristi ai razionalisti: è un’illusione supporre di poter dedurre la verità prescindendo dai sensi, si finisce nella palude della metafisica più obsoleta.
 
12) L’accusa dei razionalisti agli empiristi: non puoi arrivare a concetti veramente universali partendo da osservazioni limitate; la logica induttiva non conduce da nessuna parte. Lo scetticismo verso il mondo esterno, la causalità, la coscienza eccetera ti condurranno al nichilismo.
 
13) Un ponte tra razionalismo ed empirismo è stato offerto da Kant. Purtroppo, prendeva il peggio da entrambe le dottrine e lo riuniva nella sua, innatista e scettica al contempo. Non a caso l’idealismo del XIX secolo si presenterà come metafisicamente stravagante – in conformità alle accuse degli empiristi – e antirealista – in conformità all’accusa dei razionalisti.
 
14) Separare (a) da (b) è stato il peccato originale dell’epistemologia moderna. Una sua triste eredità: il positivismo logico, ovvero quella dottrina per cui le uniche verità che esistono sono quelle della scienze naturali (sensi) e della logica (ragione). La condanna di Caino viene quindi retrocessa al rango di opinione.