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mercoledì 19 giugno 2024

apologia dell'utilitarismo. la mia conversione.

post facebook:

Oggi è la giornata mondiale dell'utilitarismo, per cui dedicherò i miei post a quella che definirei la mia "morbida conversione in divenire" a questa filosofia morale. Ecco il primo, riguarda il finzionalismo deontico. E' una prassi di conversione non traumatica.
Alcuni filosofi cristiani sono dei finzionalisti religiosi ( = atei devoti): concedono che la loro religione non sia letteralmente vera, ma abbracciano comunque i suoi rituali e le sue pratiche perché li trovano utili. Quando affermano i dogmi della loro chiesa, c'è un implicito qualificatore "secondo la finzione". Tuttavia, non intendono tutto cio' in modo dispregiativo. Pensano che sia una finzione buona e utile da mettere in atto, forse per motivi sociali o emotivi.
Parallelo: è interessante considerare se alcuni di coloro - tipo io - che sono inizialmente attratti dalla deontologia del "buon senso" potrebbero ritenersi soddisfatti dal finzionalismo deontico: concedere che le affermazioni teoriche della deontologia siano fuorvianti, ma approvarne ugualmente le norme pratiche. Se questo rende più facile per costoro mantenere la motivazione, allora impegnarsi nella finzione deontologica - comportarsi come se la teoria fosse vera - potrebbe rivelarsi buono e UTILE. È qualcosa che si può fare senza rimanere bloccati dal bagaglio teorico della deontologia. Una forma morbida di conversione all'utilitarismo.

post.

In occasione della giornata mondiale dell'utilitarismo, continuano i miei post sul tema. Qui vorrei spiegare il perché sto pensando di convertirmi a questa etica.

1) Perché mantengo da sempre un approccio utilitarista nel 95% delle questioni che affronto. Sarei un ipocrita se non mi considerassi un utilitarista. Magari un utilitarista prudente ma pur sempre un utilitarista. Per mettere i puntini sulle i c'è sempre tempo.

2) Perché sono la persona più esplicitamente utilitarista che conosca.

3) Perché nel conflitto delle idee gli unici argomenti che fanno breccia nella corazza della controparte sono quelli utilitaristi. Quando uno ha idee per lui disastrose che fino a ieri riteneva corrette, di solito diventa molto pensieroso.

4) Perché gli utilitaristi sono persone con cui è facile e bello discutere. Esempio: non sono un altruista efficace ma traggo sempre un grande profitto nel frequentare questa tribù.

5) Perché l'utilitarsmo è sia universale (tutte le utilità sono uguali) che locale (io sono la persona che conosco meglio e a cui posso apportare più bene).

6) Perché gli esperimenti mentali che mettono in ridicolo l'utilitarismo soffrono dei limiti tipici degli esperimenti mentali. Se davvero fossimo capaci di immergerci in realtà tanto stravaganti, probabilmente la nostra etica cambierebbe in modi impensati. Se non cambia è perché non ne siamo capaci.

7) Perché nei Vangeli riscontro che i ragionamenti utilitaristici abbondano. Non sembra quindi esserci un grande conflitto tra cristianesimo e utilitarismo. Inferno e Paradiso sono ottimi incentivi, tanto per dire.

8) Perché nella Scuola di Comunità ciellina che frequento verità e felicità sono praticamente sinonimi. Ci si chiede di continuo di fare esperienza di Cristo per poi "verificare", dove quel "verificare" significa constatare se siamo soddisfatti. L'approccio utilitarista sembra quindi presente sotto traccia.

9) Perché le intuizioni su cui si basano i "diritti naturali" - ma guarda caso - devono essere inculcate a forza nelle scuole mentre le intuizioni su cui si basa l'utilitarismo sono talmente ovvie che sarebbe risibile insegnarle a qualcuno. Cosicché, quando le due confliggono, sembra chiaro con chi è meglio stare.

9) Perché Richard Y Chappell è un filosofo notevole e mi ha quasi convinto.

post

Oggi è la giornata mondiale dell'utilitarismo, ovvero il giorno adatto per dimostrare che chi non condivide questa posizione morale è nel suo animo un TRADITORE.
Cerca di calarti in questo scenario: sei tra le dieci persone che abiteranno il mondo, anche se non conosci ancora quale sarà la tua identità futura. Quello che sai è che per te la vita è preziosa. Domanda: preferisci abitare un mondo dove un evento funesto sopprima una persona oppure un mondo dove ne vengano soppresse cinque? La risposta è scontata. Per una semplice questione di probabilità tu - come tutti gli altri - preferirete la prima scelta in quanto ciò massimizza sia il tuo benessere che quello degli altri. Ma questa è una scelta utilitarista. Perché mai, una volta nati, dovremmo ritirare questa impostazione? Conclusione: la deontologia è un tradimento rispetto al nostro pre-impegno. Quando si sa di essere ricchi, non si vuole più dare ai poveri. Quando nel trolley problem sai di essere in cima alla passerella, non vuoi più agire per salvare le cinque vite che giacciono sui binari, anche se dietro un velo d'ignoranza pensavi in modo differente. IMO: dovremmo attenerci a ciò che tutti noi avremmo accettato prima di conoscere le nostre posizioni nel mondo. Dovremmo essere tutti utilitaristi.

Oggi è la giornata mondiale dell'utilitarismo, il pomeriggio sta finendo ma molti sono ancora indecisi nel compiere il grande passo verso questa etica. Sono preoccupati, pensano che l'utilitarismo sia troppo impegnativo. Pensano, per esempio, che se anche ci fosse una piccola probabilità che gli animali soffrano, dovremmo essere vegani. E' chiaro che una piccola probabilità sono disposti a concederla anche gli anti-animalisti più focosi. Tuttavia, ci si consoli, quelle non sono affatto le conclusioni corrette. Non è così. Io sono in quelle condizioni ma non ho nessuna intenzione di diventare vegano. Perché? Perché per me, come per voi, sarebbe estremamente impegnativo. Mi piacciono troppo i cheeseburger. Fortunatamente, cio' che conta nel mondo utilitarista non è fare errori ma correggerli. Una volta che noto i miei errori in un ambito della vita (nessuno è perfetto) posso correggerli impegnandomi di più in un altro, magari a me più congeniale. Posso anche decidere consciamente di fare le scelte sbagliate avendo già in mente le rettifiche da apportare successivamente. Mangiare carne non è l'ideale, ma non è nemmeno la fine del mondo. Almeno finché non compensi questa tua debolezza con qualcosa di buono, per esempio facendo della beneficienza. Oppure facendo la stessa beneficienza che facevi prima ma in modo più oculato. Oppure impegnandoti di più sul lavoro (straordinari) diventando più ricco e, quindi, creando più ricchezza da immettere nella società. Ci sono tanti modi per migliorare il mondo e ognuno ha i suoi talenti da investire. Insomma, è del tutto coerente sostenere che: (1) L'acquisto di carne non è giustificato perché gli interessi morali degli animali d'allevamento superano direttamente il nostro interesse a mangiarli. Quindi l'acquisto di un cheeseburger costituisce un errore morale e pratico. E tuttavia: (2) Sarebbe un errore morale e pratico ancora più grave investire i tuoi sforzi per correggere questo piccolo errore, se invece puoi ottenere un guadagno morale maggiore dirigendo i tuoi sforzi altrove (ad esempio, facendo l'educatore in oratorio). Se già non ti piace la carne, diventare vegano puo' essere una buona scelta ma se invece ne sei ghiotto, sarebbe davvero una pessima scelta. Segui il tuo talento.

aaaaaaaa


le nostre intuizioni sui principi sono in conflitto con le nostre intuizioni sui casi.tre intuizioni: Il mondo migliorerebbe se una persona morisse e altre cinque venissero salvate. Se un'azione migliora il mondo, non è sbagliata. Non si dovrebbe uccidere una persona per salvarne cinque.Fare la cosa giusta non peggiora le cose.Se una certa azione verrebbe compiuta se lei sperimentasse tutto ciò che viene sperimentato da chiunque, o se si trovasse dietro il velo dell'ignoranza, e fosse anche approvata dalla regola d'oro, quell'azione è giusta.le opzioni che non si prendono non influenzano la desiderabilità di quelle che si prendono.Se un'azione è sbagliata, se una persona la facesse mentre è sonnambula, sarebbe un male.chi crede nel deserto deve credere che ciò che si merita dipende da quanto si è fortunati e che a volte è meglio stare peggio.L'argomento a favore dei vincoli deontici è che sono l'unico modo per dare un senso alle seguenti intuizioni: È sbagliato uccidere una persona e prelevare i suoi organi per salvare cinque persone.la questione è quale tipo di intuizione dovremmo fidarci di più: le intuizioni sui casi o le intuizioni sui principi. Se dobbiamo fidarci delle intuizioni sui casi, allora la deontologia probabilmente batte l'utilitarismo. Al contrario, l'utilitarismo domina completamente la deontologia quando si tratta di intuizioni sui principi.Supponiamo che un'intuizione sui principi sia vera. Allora, ci aspetteremmo che il principio sia a volte controintuitivo, perché i principi si applicano a molti casi. Se le nostre intuizioni morali hanno ragione il 90% delle volte, allora se un principio si applica a dieci casi, ci aspetteremmo che sia controintuitivo una volta. Dato che la maggior parte di questi principi si applica a un'infinità di casi, non sorprende affatto che occasionalmente producano risultati controintuitivi. Al contrario, se una sentenza specifica di un caso fosse giusta, sarebbe una bizzarra, enorme coincidenza se entrasse in conflitto con un principio plausibile.Quindi ci aspettiamo che i principi veri siano in conflitto con i casi, ma non ci aspettiamo che i casi veri siano in conflitto con i principi.Di conseguenza, quando i casi sono in conflitto con i principi, dovremmo supporre che il principio sia vero e il giudizio sul caso sia falso.Inoltre, molte persone storicamente si sono sbagliate molto sulla moralità, giudicando, ad esempio, che la schiavitù è ammissibile.Al contrario, non abbiamo le stesse prove di un errore persistente sui principi. Non riesco a pensare a una sola intuizione sui principi morali generali che sia stata ribaltata in modo inequivocabile.Sappiamo che le convinzioni morali delle persone dipendono enormemente dalla loro cultura. Le intuizioni morali delle persone in Arabia Saudita sono molto diverse da quelle delle persone in Cina,Ma nessuno dei principi che ho fornito ha una spiegazione culturale plausibile:non c'è nessun documento governativo che dichiari che "il fatto che un'azione dia agli esseri perfettamente morali delle opzioni in più non la rende peggiore, a parità di altre condizioni".I nostri insegnanti, i nostri genitori e i documenti governativi ci dicono che le persone hanno dei dirittiSappiamo che le nostre convinzioni morali sono spesso enormemente influenzate dalle emozioni.Le emozioni possono spiegare in modo plausibile molte delle nostre convinzioni non utilitaristiche - la contemplazione di un vero omicidio suscita molte emozioni.Al contrario, l'intuizione che "se è sbagliato fare A e sbagliato fare B dopo aver fatto A, è sbagliato fare A e B" non è affatto emotiva. Sembra vero, ma nessuno si appassiona.Quindi, molto plausibilmente, le reazioni emotive inaffidabili possono spiegare le nostre intuizioni non utilitaristiche.Le nostre intuizioni basate sul deserto derivano dalla nostra rabbia verso le persone che fanno il male; le nostre intuizioni basate sui diritti derivano dall'orrore di cose come l'omicidio.Ovviamente è quasi sempre sbagliato uccidere le persone. E quindi deduciamo la regola "è sbagliato uccidere", anche in scenari strani e gerrymandered in cui non è sbagliato uccidere.Ecco perché quando si modificano molti scenari deontologici in modo da renderli meno simili ai casi del mondo reale, le nostre intuizioni al riguardo scompaiono.Anscombe ha dichiarato, a proposito della persona che accetta di incastrare una persona innocente per evitare che una folla uccida diverse persone: "Non voglio discutere con lui; mostra una mente corrotta".Quando le persone ricevono dilemmi morali in una seconda lingua, è più probabile che diano risposte utilitaristiche;sembra che le nostre intuizioni deontologiche siano soggette in modo unico a essere sfatate. Per esempio, gli esseri umani sono soggetti al pregiudizio dello status quo, una tendenza irrazionale a mantenere lo status quo. Ma le norme deontologiche ci insegnano a mantenere lo status quo, anche quando sarebbe meglio discostarsene.Quindi sembra che abbiamo prove schiaccianti contro l'attendibilità delle nostre intuizioni deontologiche.Non è difficile per un utilitarista spiegare perché così tante intuizioni favoriscono la deontologia nell'ipotesi che l'utilitarismo sia vero. Al contrario, non c'è una spiegazione plausibile del perché avremmo tante intuizioni che favoriscono l'utilitarismo se fosse falso.

https://benthams.substack.com/p/the-ultimate-argument-against-deontology


Da dietro un velo di ignoranza, tutti coloro che si trovano nella situazione sarebbero razionalmente favorevoli ad ucciderne uno per salvarne cinque, in quanto ciò aumenta notevolmente le loro possibilità di sopravvivenza.Prima di aprire gli occhi per la prima volta, abbiamo tutti un motivo decisivo per impegnarci a sostenere i compromessi utilitaristici (a condizione che gli altri facciano lo stesso), in quanto ciò massimizza il nostro benessere atteso.La deontologia è una defezione. Quando si sa di essere ricchi, non si vuole più dare ai poveri. Quando sa di essere in cima alla passerella, non vuole salvare i cinque sui binari. Ma se la situazione fosse al contrario, penserebbe in modo diverso. E il resto di noi non ha motivo di sancire il suo privilegio dello status quo.Dovremmo attenerci a ciò che tutti noi avremmo accettato prima di conoscere le nostre posizioni nella vita. *Spingere*La filosofia morale progredisce attraverso l'equilibrio riflessivo: soppesando la plausibilità dei principi fondamentali di una teoria rispetto a quella dei suoi verdetti sui casi. Il consequenzialismo ha principi fondamentali molto più plausibili. I verdetti sui casi non favoriscono chiaramente la deontologia letterale rispetto al finzionalismo deontico o al consequenzialismo a due livelli.


https://www.goodthoughts.blog/p/three-arguments-for-consequentialism

Alcuni filosofi cristiani sono dei finzionalisti religiosi: concedono che la loro religione non è letteralmente vera, ma abbracciano comunque i suoi rituali e le sue pratiche. Quando affermano i dogmi della loro chiesa, c'è un implicito qualificatore "secondo la finzione". Tuttavia, non lo intendono in modo dispregiativo. Pensano che sia una finzione buona e utile da mettere in atto, forse per motivi sociali o emotivi.

È interessante considerare se alcuni di coloro che sono inizialmente attratti dalla deontologia "di buon senso" potrebbero essere soddisfatti del finzionalismo deontico: concedere che le affermazioni teoriche della deontologia sono fuorvianti, ma approvare le norme pratiche. Se questo rende più facile per loro mantenere la motivazione, allora impegnarsi nella finzione deontologica - comportarsi come se la teoria fosse vera - potrebbe rivelarsi buono e utile. È qualcosa che si può fare senza rimanere bloccati dal bagaglio teorico della deontologia.

https://www.goodthoughts.blog/p/three-arguments-for-consequentialism

Etica del cheeseburger. Compensa!

Eric Schwitzgebel invoca l'"etico del cheeseburger" - un filosofo morale che concorda sul fatto che mangiare carne è sbagliato, ma che mangia comunque carneHo certamente un'alta considerazione dei vegani. Eppure... non lo sono.è proprio riflettendo sul modo in cui ritengo di vivere una vita ampiamente consequenzialista che possiamo vedere che evitare gli errori morali in sé non è una priorità elevata (per i consequenzialisti del mio genere). Conta molto quanto sarebbe utile rimediare all'errore e se i suoi sforzi potrebbero essere spesi meglio altrove.



Dovremmo solo essere onesti sul fatto che le nostre scelte non sono sempre perfettamente giustificate. Non è l'ideale, ma non è nemmeno la fine del mondo.Non credo che mangiare carne sia sbagliato in questo senso. Non è come torturare i cuccioli (così come non donare abbastanza in beneficenza non è come guardare un bambino annegare in questo senso). Piuttosto, potrebbe richiedere uno sforzo non banale da parte di una persona generalmente rispettabile, e questi sforzi potrebbero essere meglio spesi altrove.Per la maggior parte delle persone, la priorità morale principale dovrebbe essere quella di donare di più a enti di beneficenza efficaci.Le decisioni sul consumo personale, invece, devono essere molto in basso nella lista delle priorità.è coerente sostenere contemporaneamente che: (1) L'acquisto di carne non è giustificato: gli interessi morali degli animali d'allevamento superano direttamente il nostro interesse a mangiarli. Quindi l'acquisto di un cheeseburger costituisce un errore morale e pratico. E tuttavia: (2) Sarebbe un errore morale e pratico ancora più grave investire i suoi sforzi per correggere questo piccolo errore, se invece può ottenere un guadagno morale molto maggiore dirigendo i suoi sforzi altrove (ad esempio, donazioni).Naturalmente, se lei è già vegano, o potrebbe diventarlo facilmente e con costanza, con uno sforzo minimo, allora faccia pure!gli individui variano in base a quali attività trovano personalmente facili o difficili, quindi vale la pena di pensare a come dare priorità ai propri sforzi.(Ho donato più di 10.000 dollari a questo settore, ho intenzione di donare di più in futuro e ritengo che questo sia molto più importante dell'evitare personalmente il consumo di carne,qualunque cosa faccia, non lasci che la dissonanza cognitiva derivante dal mangiare carne la illuda di credere che gli animali non siano importanti, o che lei non possa fare la differenza.

https://www.goodthoughts.blog/p/confessions-of-a-cheeseburger-ethicist

Come distinguere lo strumentale fal finale: fungibilità.

Ora, perché pensare che il valore strumentale debba essere fungibile? Intuitivamente: un mezzo è buono come un altro, a condizione che si arrivi allo stesso risultato in termini di obiettivi finali. Se non abbiamo alcun motivo per volere X oltre alle nostre ragioni per volere Z, allora il fatto che quest'ultimo obiettivo sia servito altrettanto bene da un mezzo alternativo Y (senza influire negativamente sugli altri obiettivi) implica che non possiamo avere alcun motivo per preferire X a Y. È come scambiare due banconote da 10 dollari con una da 20 dollari.

https://www.philosophyetc.net/2009/08/mark-of-instrumental.html?m=1

mercoledì 17 aprile 2019

LINK Contro l'utilitarismo

While utilitarians often urge self-sacrifice, they rarely preach other-sacrifice.  But given their principles, they totally should!  Moller’...

prospect of exploiting others for the greater good thus terrifies us. Of course, it’s rare that harming innocents will produce much good, but it....

Esempio...

Grandma is a kindly soul who has saved up tens of thousands of dollars in cash over the years. One fine day you see her stashing it away under her mattress, and come to think that with just a little nudge you could cause her to fall and most probably die. You could then take her money, which others don’t know about, and redistribute it to those more worthy, saving...

Bottom line...

...The problem, then, is that most people don’t seem able to accept even that they ought to aspire to such behavior, let alone engage in it. ”  In other words, utilitarians don’t preach other-sacrifice, but fail to practice what they preach.  They barely even preach it!  Suspicious, to say the least...

Governing Least: What’s Really Wrong with Utilitarianism, by Bryan Caplan https://www.econlib.org/governing-least-whats-really-wrong-with-utilitarianism/

mercoledì 28 ottobre 2015

Tutti sulla stessa barca

Perché “se lo faccio io” è sbagliato mentre “se la fa un politico” è doveroso e commendevole?
La miseria della filosofia politica sta nel fatto di non aver risolto eticamente un problemino come quello del doppio standard.
Naturalmente si possono riempire intere biblioteche tentandone una giustificazione, anche se il rischio di girare a vuoto è grande.
La mia libreria preferita, comunque, si compone di nove scaffali. Li descrivo brevemente aiutandomi con un’analogia consolidata, quella della “barca”.
BOAT
  • Analogia: siamo su una scialuppa che, da una falla, imbarca acqua. Per evitare l'affondamento la gente si prodiga col secchio. Devo contribuire? E perché mai dovrei?
  • Primo scaffale: l'utilitarismo: il mio contributo è doveroso, altrimenti si affonda con grave danno per tutti.
  • Secondo scaffale: obiezioni all'utilitarismo: in realtà il mio contributo sarebbe minimo e astenendomi non procuro alcun danno significativo alla comunità. Le ragioni utilitaristiche sono deboli.
  • Terzo scaffale: l'utilitarismo delle regole: se tutti facessero come te si affonderebbe, quindi sei tenuto a contribuire.
  • Quarto scaffale: obiezioni all'utilitarismo delle regole: la regola del "se tutti facessero come te..." non funziona: “se tutti facessero come me” saremmo tutti su questa maledetta barca, la quale, se mai fosse partita, sarebbe già affondata da un pezzo.
  • Quinto scaffale: teorie dell'equità: contribuire allo sforzo della comunità è un dovere perché solo così si adotta una condotta corretta.
  • Sesto scaffale: obiezione alle teorie dell'equità: ma se anziché darsi da fare col secchio si pregasse il dio Poseidone sarei tenuto a contribuire? Direi di no: quindi la teoria dell'equità fa acqua almeno quanto la scialuppa che vorrebbe tenere a galla.
  • Settimo scaffale: le aggravanti: l'analogia della barca è oltretutto deficitaria, nel senso che è benevola rispetto alla condizione in cui si trova l'autorità politica, la quale, oltre alla pretesa di impormi un dovere, rivendica anche un monopolio su tale pretesa. Perché se l'ordine di svuotare lo dà lei bisogna obbedire mentre se lo do io no?
  • Ottavo scaffale: le conclusione radicali: l'autorità politica è un'illusione, non esiste alcun dovere all'obbedienza.
  • Nono scaffale: le conclusioni moderata: l'autorità politica si giustifica solo come eccezione alla regola (ovvero non si giustifica), se ne faccia quindi un uso omeopatico. 
BOA

giovedì 31 gennaio 2013

Sessantadue pensierini sulla “società armata”


  1. L’ ultimo massacro nella scuola di Newtown ha di nuovo scaldato i proibizionisti del porto d’ armi. C’ è chi parla di sciacallaggio, mi sembra esagerato.
  2. Noi tutti siamo rimasti colpiti da questa ennesima tragedia, e un frettoloso sentimento che scambiamo per buon senso sembra dirci: stop alle pistole.
  3. Tuttavia il buon senso è prezioso per far partire un ragionamento, molto meno per rimpiazzarlo del tutto. Meglio allora se viene impiegato per fissare le premesse più che le tesi. Queste ultime emergono solide solo quando buon senso ed elaborazione dei dati disponibili si coniugano armoniosamente.
  4. Ma quali sono i dati da considerare per informare una decisione sensata in merito?
  5. Prendiamoci cinque minuti, vale la pena fare il punto sullo stato dell’ arte, innanzitutto perché spesso se ne parla di getto teleguidati da sensazioni epidermiche, e poi perché puo’ essere un’ occasione preziosa per riflettere sull’ uso e sul modo in cui interagiscono etica & statistica, argomento d’ interesse generale che va ben al di là delle noiose discussioni di policy.
  6. Il possesso di armi crea danni visibili ed evita danni invisibili, questo semplice fatto manda in confusione il neofita.
  7. L’ evoluzione ci ha programmato per dare peso alle cause immediate che possiamo vedere e toccare. E’ spiacevole però constatare quante topiche prendiamo lasciando campo libero alla rudimentale epistemologia della “scimmietta” tutto istinto che ci portiamo dentro: lei, d’ altronde, sa conoscere solo in questo modo! Purtroppo, le cause dei fenomeni sono spesso assai remote e del tutto inavvistabili dal punto in cui ci troviamo.
  8. Non parliamo poi dei guai che combina questo vizietto quando si miscela con il culto dell’ esperienza personale. Un esempio sostituisce tante parole: il “grande guerriero” credeva di essere invincibile stuprando una vergine prima di scendere nel campo di battaglia. Non gli passava neanche per l’ anticamera del cervello di essere invincibile perché era un “grande guerriero”. In breve tempo ogni “grande guerriero” divenne capo della sua comunità rendendo lo stupro della vergine un preliminare obbligatorio a cui ciascun soldato avrebbe dovuto attenersi. Come potremmo mai rimproverare questi capi se siamo noi i primi che si lasciano abbagliare dalla potenza esplicativa di cause visibili ed esperienza personale? Lo stupro e la vittoria, infatti, risultano unite in un solido nesso che ciascun “grande guerriero” puo’ toccare con mano grazie alle ripetute esperienze personali! Chi non ha toccato con mano questa verità è morto e sepolto da un pezzo, si è reso “invisibile” non potendo più offrire la sua testimonianza.
  9. Poi arrivarono lo studio della storia e delle statistiche, e l’ uomo fece un passo verso la civiltà. Ecco, vediamo allora di non fare un passo indietro quando trattiamo di pistole, fucili e vivere comunitario.
  10. Il “personalismo” è ottimo per prendere decisioni personali (che riguardano solo noi) ma per prendere decisioni politiche (che riguardano tutti) meglio affidarsi allo studio di storia e statistica. I passati recenti e remoti di molte comunità umane sono lì davanti a noi – anzi, dietro – bisogna solo osservarli e interpretarli.
  11. Adesso che il discorso mi ha preso la mano, lasciatemi dire ancora due parole sul persistente bias della personalizzazione.
  12. Parlare di sé è coinvolgente, sarà per questo che spesso lo si fa tanto spesso anche al di fuori delle autobiografie. Mi chiedo infatti che posto puo’ avere la domanda “tu compreresti un’ arma?” quando si discute come regolamentare il mercato delle armi.
  13. Dietro una “curiosità” del genere gli equivoci si affollano. Quali equivoci? be’, i soliti, quelli in cui cade chi, mescolando i piani della discussione, non riesce mai a capire fino in fondo che si puo’ essere “a favore” della libera circolazione delle armi pur aborrendo armi e violenza, che si puo’ essere “a favore” del divorzio pur considerandolo un peccato mortale, che si puo’ essere “a favore” della libertà d’ espressione pur schifando il negazionismo, che si puo’ essere “a favore” della libera discriminazione pur essendo anti-razzisti convinti, che si puo’ essere “a favore” della droga libera pur considerandola una minaccia letale per la gioventù, che si puo’ essere “a favore” di poligamia e matrimonio gay pur essendo convinti che la famiglia tradizionale sia un perno della nostra civiltà. Si puo’ essere “a favore” di tante cose perché pur avendo delle certezze non ci riteniamo infallibili e si lascia volentieri che altri esplorino per noi terreni che riteniamo minati.
  14. Ora cerchiamo di passare al sodo guardando da vicino la rugosa realtà: la pace che dura è sempre “armata”, tant’ è che in campo internazionale lo diamo per scontato. Una sonora risata accoglie chi propone di “abolire gli eserciti nazionali”. Ma se il medesimo problema strategico ci viene riproposto a livello “locale”, facciamo fatica a trasporre la medesima soluzione, e anche la voglia di ridere ci passa.
  15. La deterrenza, poi, è qualcosa di impalpabile: una brutta bestia da studiare. Anche il meccanismo che trasforma di fatto lo slogan “niente armi” in un molto meno rassicurante “armi solo ai cattivi”, non è poi così chiaro all’ attenzione intermittente dell’ elettore democratico.
  16. Per queste e per altre insidie che costellano la tematica si preferisce cedere la parola all’ esperto piuttosto che al lettore (di titoli) di giornali.
  17. Iniziamo a scalare il versante etico della faccenda, è breve ma decisivo. Propongo questo principio: portare con sé un’ arma rappresenta un diritto della persona, per conculcarlo occorre provare la pericolosità di questa pratica, e l’ onere della prova spetta al conculcatore. Liberty first.
  18. Questa soluzione ha il pregio di girare al largo dai bilancini mercuriali dell’ utilitarista, sempre in cerca di quantificare anche l’ “inquantificabile” con le sue ossessive analisi costi/benefici; evita inoltre il pragmatismo pasticcione e disorientante di chi di volta in volta  “va dove lo porta il cuore” finendo presto fuori strada dopo un rapsodico zigzagare. D’ altro canto elude anche la spietata deontologia dei valori non negoziabili, quelli per cui ci si attiene scrupolosamente a certi principi, dopodiché succeda quel che succeda. Viene invece valorizzato il senso comune: si seguono i principi ordinari a meno che esistano “forti ragioni” per fare altrimenti.
  19. L’ alternativa a questo modo di procedere s’ incarna nel principio di precauzione: è consentito solo cio’ che è provato come non dannoso. Presenta almeno tre difetti che per me lo rendono inservibile.
  20. Primo, voi capite, in un mondo in cui lo “sbatter d’ ali di una farfalla” crea cataclismi, anche lo spericolato volo della colomba della pace potrebbe essere interdetto per precauzione. Insomma, è praticamente impossibile provare la non-pericolosità di alcunché.
  21. Secondo: punire gli innocenti per punire i potenziali colpevoli, è una strategia dalla dubbia portata etica.
  22. Terzo: è un principio decisionale che, chissà perché, non si applica praticamente mai nelle scelte che ciascuno di noi è chiamato a fare quotidianamente; il fatto di introdurlo ad hoc qua e là desta sospetto. Vuoi vedere che risulta simpatico soprattutto a chi non ha una grande passione per le armi?
  23. Ultima osservazione e chiudiamo con la parte etica: c’ è chi considera la libertà stessa come un valore. Magari non proprio un valore “non-negoziabile”, tuttavia, in questo caso, si porrebbe il problema di stabilire il prezzo che si è disposti a pagare per rinunciarvi.
  24. Operazione complessa visto che nessuno puo’ leggere nella testa dell’ altro, siamo così diversi!: chi detesta le armi difficilmente potrà avere una chiara idea dei benefici che ne trae chi ama collezionarle. A volte sembra che chi non ci è empatico non sia neppure un essere umano da considerare al nostro pari. Le crociate partono quando non si riesce a concepire la radicale diversità che ci separa. Una volta realizzata, invece, passare alla tolleranza è un tutt’ uno. Domanda: come mai le comunità eterogene sono anche le più libere? 
  25. Penso che il cattolico, poi, debba essere particolarmente generoso nel valutare la libertà: il suo Dio giustifica il male del mondo con il dono della libertà all’ uomo. Le carneficine di Mao e Stalin valgono la libertà di questi due tristi figuri. Auschwitz appartiene a pieno diritto al “migliore dei mondi possibili”: a fare da contrappeso basta il dono della libertà. Francamente non conosco un libertario più radicale di così.
  26. C’ è poi un coté culturale: la testa delle persone conta e parecchio. Alcuni paesi con tassi di criminalità infimi, hanno cittadini armati fino ai denti (Svizzera, Israele, Canada…). Ha poco senso fare confronti tra comunità troppo distanti nel tempo e nello spazio, ovvero tra “culture” diverse. In questo senso tra indagine storica e indagine statistica, dovremmo privilegiare la seconda.
  27. Penso poi alla nostra Europa: la “libertà” traumatizza il cittadino protetto e “infantilizzato” da divieti perduranti nel tempo; così come, altrove, regole stringenti non migliorano di molto la situazione del cittadino abituato alla responsabilità.
  28. In questo senso si capisce perché combattere per introdurre un diritto è meno urgente che combattere contro la revoca di un diritto. Un libertario al timone in Italia farebbe bene ad abbattere di qualche punto la pressione fiscale lasciando perdere il “problema delle armi”. Cio’ non toglie che per amor di discussione se ne possa parlare.
  29. I confronti andrebbero fatti tra comunità omogenee, per esempio gli Stati o, ancora meglio, le contee degli Stati Uniti. Fortunatamente la stragrande quantità degli studi si concentra proprio lì.
  30. C’ è poi il problema dell’ enforcement: quand’ anche elaborassimo una strategia ottima dal punto di vista etico e quantitativo, bisognerà considerare i costi di implementazione. E’ difficoltoso legiferare e regolamentare quei beni che hanno un florido mercato nero.
  31. Noi anti-abortisti lo sappiamo bene: una proibizione pura e semplice senza stato di polizia scatena il mercato nero delle “mammane”, ne vale la pena? Noi contribuenti lo sappiamo altrettanto bene: una tassazione al 50% senza stato di polizia scatena il mercato nero dell’ evasione, ne vale la pena?
  32. Ecco, lo stesso dicasi per le armi: purtroppo le armi sono un bene apprezzato soprattutto dal mondo criminale, ovvero da un soggetto specializzato in “mercato nero” (altro che idraulici, pasticceri e mammane!); e si capisce, chi ordina omicidi tutti i giorni non viene certo colto da tremarella se costretto dalle contingenze a non battere lo scontrino.
  33. L’ ultima parte è quella meramente quantitativa: il proibizionista ha assolto il suo compito? Ha provato inequivocabilmente la presenza di un danno sociale?
  34. La sintesi della risposta è “no”. L’ analisi è un po’ più lunga, purtroppo.
  35. Partiamo dai “pazzi” stragisti. Fanno sempre notizia, specie se non sono “pazzi” del tutto e in loro riscontriamo somiglianze con la persona che conosciamo meglio: noi stessi. Quel tale che ha compiuto la strage non è poi un “marziano”, i suoi problemi sono simili ai miei, così come le sue debolezze. E chissà quanti ne girano nella medesima condizione! Come se non bastasse agisce in luoghi che frequentiamo tutti i giorni: la scuola, il supermercato, l’ autobus…
  36. Il “pazzo” lo sentiamo più contiguo del criminale. Forse un giorno saremo chiamati davanti a una telecamera per testimoniare al mondo quanto il nostro vicino era “una brava persona”. Magari un po’ chiusa ma una bravissima persona.
  37. Queste impressioni sono potenti ma insidiose, saltare a conclusioni sull’ onda emotiva sarebbe ingannevole: i “pazzi”, spiace dirlo, pesano poco nel computo costi/benefici che siamo chiamati a fare. Una ventina di morti per armi da fuoco su quindicimila difficilmente faranno la differenza.
  38. Persino l’ azione tipica dei “pazzi”, il mass shooting, nel tempo è diminuito visto che l’ aumento di “pazzi” armati – che pure bisogna ammettere – è stato più che bilanciato da una diminuzione di mass shooting dovuti a moventi più tradizionali.
  39. Ma veniamo ora ai dati nudi e crudi, il modo più semplice di studiarli consiste nel produrre regressioni statistiche, ovvero nel vedere se le variabili che ci interessano sono tra loro collegate (nel nostro caso armi & criminalità).
  40. La regressione statistica ha molti inconvenienti, non solo il fatto di limitarsi a stabilire “correlazioni” – ricordare all’ economista che correlazione e causalità non sono la stessa cosa è come ricordare al chimico di lavare le provette – ma anche il fatto di richiedere “specificazioni”. Come specificare allora la diffusione delle armi? Non esistono quasi mai registri da cui attingere informazioni di prima mano.
  41. Alla ricerca di proxy credibili, c’ è chi ha usato i sondaggi, c’ è chi ha usato gli abbonamenti a riviste di settore e c’ è chi ha guardato ai suicidi con armi da fuoco.
  42. Gli esiti alla fine sono differenti: si va da una forte correlazione inversa tra armi e criminalità (more guns less crime) a una leggera correlazione diretta.
  43. E non scordiamo la variabile dipendente: il tasso di criminalità. E’ una variabile estremamente volatile, molti sono i fattori che la determinano. Bisogna far le “grandi pulizie” per isolare l’ effetto che ci interessa, quello delle armi da fuoco.
  44. Dopo aver avanzato forti dubbi sul metodo delle regressioni, faccio comunque notare che se adottassimo gli standard comunemente usati per questioni politicamente corrette anche in tema di armi, allora la questione sarebbe già sentenziata da tempo: il proibizionista non è in grado di provare le sue tesi. Chi non ritiene provata la pericolosità che comporta l' avere genitori dello stesso sesso, come potrà mai pensare che le armi siano in qualche modo pericolose? Sono stato chiaro? Posso evitare di fare esempi parlando di ambiente o razza?
  45. Ma i pignoli, e giustamente, si rivolgono a metodi d’ indagine più sofisticati. Si è guardato allora con interesse, per esempio, a quello impiegato nella sperimentazione di nuovi medicinali: su cento gruppi di pazienti se ne prendono a caso venti a cui propinare il “trattamento”, dopodiché si misurano gli effetti facendo un confronto tra “trattati” e “non trattati”. Il caso ha un potere prodigioso: elide le differenze tra gruppi neutralizzando la presenza di variabili fastidiose che potrebbero interferire sugli esiti.
  46. Per noi “il trattamento” potrebbe essere una legge contro il porto d’ armi: promulgarla in una contea sarebbe come inoculare un vaccino. Dopodiché, basterà stare a vedere quel che succede confrontando la reazione della comunità “trattata” con un gruppo di controllo.
  47. Primo problema: le comunità che adottano una legge “contro il porto d’ armi” non sono propriamente scelte a caso, quindi le differenze non si elidono mai del tutto.
  48. Ci mette una pezza la tecnica “difference in difference”: l’ effetto viene isolato analizzando solo gli scostamenti sulle differenze pre-esistenti.
  49. Secondo problema: l’ effetto placebo.
  50. Gli sperimentatori di medicinali lo conoscono benissimo: se il “trattato” sa di essere tale, spesso guarisce anche bevendo un bicchier d’ acqua. E’ necessario non informarlo (blind test).
  51. L’ effetto placebo si manifesta nei modi più impensati. Sembra esserci persino quando si sperimentano nuove sementi nei villaggi africani: i villaggi scelti per la sperimentazione diventano improvvisamente più produttivi… ma solo se sanno di essere tra i prescelti! (il link a questo studio devo metterlo perché mi ha troppo divertito).
  52. [… veramente la legge-placebo la conosciamo anche noi religiosi: per negare effetto miracolistico alle preghiere gli sperimentatori hanno dovuto imporre al test la doppia cecità: i gruppi di preghiera dovevano pregare per “non si sa chi” e il malato non doveva assolutamente sapere se qualcuno pregava per lui…]
  53. L’ effetto placebo va comunque inteso in senso lato come “effetto annuncio”, qualcosa destinato a sfumare nel tempo. Qualcosa che va di pari passo con l’ introduzione della misura.
  54. Ci sono comunque tecniche che, anche nel caso delle armi, ripuliscono gli studi dalla “placebo law”. La cosa qui si fa complessa: fidatevi o vi ammollo un link impegnativo.
  55. Ma veniamo agli esiti degli studi “difference in difference” ripuliti dalla “placebo law”: il proibizionismo (“all’ europea”) serve a poco o nulla.
  56. Quali soluzioni raccomandano allora gli esperti?
  57. C’ è chi spinge per sussidiare le armi: una loro maggior diffusione presso la cittadinanza sarebbe un deterrente al crimine. Problema: leggi anti-proibizioniste in una regione non fanno che spostare il crimine in quelle limitrofe.
  58. C’ è anche chi si spinge a proporre di contrassegnare le case in cui si detiene un’ arma per “internalizzare” i benefici del possesso.
  59. Altri chiedono di alzare l’ età consentita per il porto d’ armi istituendo al contempo vere e proprie taglie a favore di chi denuncia gli illeciti: se il proibizionismo generico è inutile, puo’ avere un senso quando insiste su gruppi sociali (i giovanissimi) dove i “coglioni” si concentrano. Quasi sempre i guai cominciano quando il ragazzino va a spasso per il quartiere in cerca di autostima facendo mostra del suo cannone.
  60. Per lo stesso motivo c’ è chi vede bene un pesante coinvolgimento dei genitori: dovrebbero pagare anche loro per le marachelle letali del figlio minorenne.
  61. Anche l’ introduzione di una tassa o di un’ assicurazione obbligatoria sul tipo rc auto è caldeggiata da qualcuno. Alternativa: tassare i “non-armati” e offrire un premio agli “armati” che riconsegnano l’ arma.
  62. Infine c’ è chi chiede ancora più studi in materia. Chissà, torturando a sufficienza i dati puo’ darsi che “confessino” quel che vogliamo sentirci dire.
  63. Oggi sappiamo che esiste comunque una correlazione robusta tra suicidi e detenzione di armi.
  64. Difficile che un liberal sia autenticamente interessato ai suicidi visto che, tanto per dirne una "OxyContin abuse kills three times more people than gun homicides yearly". E il liberal è sempre impegnato a battersi contro la war on drug
  65. Sei preoccupato per la vita del tuo prossimo? Non occuparti della diffusione delle armi, non è certo una priprità.
  66. Negli USA la libertà di portare armi ha un' origine storica: i cittadini difendono la democrazia presentandosi armati ai governanti.
  67. Anche nella storia delle lotte per i diritti civili dei neri le pistole hanno giocato un ruolo importante, specie negli anni 60. Sembra una contraddizione (pistole + lotta non violenta) ma è così.
  68. Chi possiede armi è più felice. arthur brooks http://mobile2.wsj.com/device/html_article.php?id=77&CALL_URL=http://online.wsj.com%2Farticle%2FSB120856454897828049.html%3Fmod%3Dopinion_main_commentaries
  69. sul tasso degli omicidi gli usa sfigurano con l'europa occidentale ma fanno bene rispetto agli altri paesi americani. premesso che reddito e tasso degli omicidi non sembrano correlati (nell'africa povera ci sono molto più omicidi che nell'asia povera), a questo punto sarebbe interessante sapere il tasso degli omicidi usa disaggregato razzialmente. così, tanto per capire quali termini di paragone sono più uniformi.-

    https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_intentional_homicide_rate
  70. Militarismo. Nelle zone dove le armi sono più diffuse vige una cultura militarista. In questo senso le persone armate non vogliono "sostituirsi" ai tutori dell'ordine quanto aiutarli e integrarli.
  71. Freedomnomics: Why the Free Market Works and Other Half-baked Theories Don't di  John R. Lott - crimini e pistole
    • usa: nel 2004 spira un importante bando alle armi ma gli omicidi continuano a diminuire tra le grida d allarme degli attivisti....
    • altro provvedimento importante: il brady act. nessuna conseguenza sul tasso degli omicidi...
    • il problema con il proibizionismo? che ubbidiscono solo i cittadini modello nn i criminali. un pò come con le droghe o l alcol
    continua
  72. Freakonomics  Steven D. Levitt, Stephen J. Dubner - CRIMINI E PISTOLE
    • teoria anti gun: senza pistole chi è più debole si rassegna senza spargimenti di sangue...
    • pro gun: se tutti sono armati: meno ingiustizie e nn più sangue. perchè mai i forti dovrebbero vantare le loro pretese?...
    • gli usa hanno un tasso di omicidi elevatissimo. le pistole contano? e la svizzera? sono più armati e più sicuri. xchè?...
    • brady act: un fallimento. ragioni: il mercato nero prospero compensa i divieti....
    • chicago e wachington città gun free ma anche i fanalini di coda nella diminuzione dei crimini...
    • gun buyback: dove ha avuto successo il crimine nn è diminuito...
    • c è l iopotesi opposta: more gun less crime. nn sembrano replicabili gli studi di lott
    • conclusione: l ipotesi del bando non sembra spiegare il crollo della criminalità negli usa durante gli anni 90
    continua
  73. More guns less crime - John Lott
    • Tesi dello studio empirico: dopo il passaggio di leggi liberali sulle armi il crimine crolla.
    • Critica: le conclusioni dipendono  da quale intervallo di tempo consideri dopo la promulgazione. Se accorciamo i risultati svaniscono
    • Risposta: l effetto deterrenza nn può essere immediato, i criminali non calcolano a tavolino ma si avvalgono dell'esperienza
    • Critica: di solito qs leggi vengono passate in un pacchetto di misure
    • Vero ma il controllo dettagliato città/città contea/contea stato/stato neutralizza l'effetto mix. E cmq in molti casi la scrematura è stata fatta mantenendo le conclusioniinalterate
    • Critica: altre proxy - es la vendita di giornali - danno esiti diversi.
    • Risposta: la deterrenza spiega i suoi effetti soprattutto se non solo attraverso la legge, che è un atto pubblico.
    • Obiezione: esiste uno spillover: liberalizzi qui e i guai accadono là.
    • Risposta: non puo' essere una regola generale, se il campione è adeguato l'effetto è neutralizzato. L'evidenza degli spillover è anedottica.
    • imho: la materia è complessa e isolare le variabili impossibile ma una cosa è certa: se le conclusioni fossero state "socialmente desiderabili" il dettaglio delle critiche non sarebbe di certo stato quello noto.
    • https://www.facebook.com/ymaltsev/posts/10207310750864817 ****** https://www.washingtonpost.com/news/volokh-conspiracy/wp/2015/10/06/zero-correlation-between-state-homicide-rate-and-state-gun-laws/
    continua
  74. Se Hitler non avesse controllato la circolazione delle armi l'olocausto sarebbe stato possibile? http://econlog.econlib.org/archives/2015/10/does_gun_contro.html
  75.  This Nonviolent Stuff'll Get You Killed: How Guns Made the Civil Rights Movement Possible di Charles E. Cobb Jr. - il ruolo delle armi nella lotta per i diritti civili dei neri d'america.
    • in molti decisero di impugnare le pistole x difendere il movimento nn violento
    • attacchi ai nonviolenti del gruppo di mlk: malcom e du bois
    • x molti neri la nn violenza era una strategia nn un credo: x compensare o se nn funzionava erano sempre pronte le pistole
    • la cultura delle armi nel sud consentì ai neri di armarsi
    • il vero militante nn violento: in fondo un elite ristretta della leadership. dietro di lui una massa armata
    • dividere violenza e nn violenza nn è utile
    • nella storia usa la violenza è stata spesso celebrata. ma nn quella nera, che pure c'è stata ed è stata fruttuosa
    • tema del libro: chi partecipava alla lotta nnviolenta senza credervi... 
    • dilemmi morali del nonviolento: fino a che punto puoi coinvolgere terzi sodali nel rischio che prendi. c'è un limite oltre il quale devi armarti o consentire agli altri di farlo
    • fanon: le virtù liberanti dell imbracciarr un arma
    • alleanze esplicite tra violenti r nn violenti
    continua
  76. Confronti internazionali in tema di omicidi e possesso di armi
    • America’s unusually high gun homicide rate.


    • The United States’ homicide rate of 3.8 is clearly higher than that of eg France (1.0), Germany (0.8), Australia (1.1), or Canada (1.4). However, as per the FBI, only 11,208 of our 16,121 murders were committed with firearms, eg 69%. By my calculations, that means our nonfirearm murder rate is 1.2. In other words, our non-firearm homicide rate alone is higher than France, Germany, and Australia’s total homicide rate.
    • There are many US states that combine very high firearm ownership with very low murder rates. The highest gun-ownership state in the nation is Wyoming, where 59.7% of households have a gun (really!). But Wyoming has a murder rate of only 1.4 
    • There are many US states that combine very low firearm ownership with very high murder rates. The highest murder rate in the country is that of Washington, DC, which has a murder rate of 21.8, more



    continua
  77. Esiste un collegamento tra possesso delle armi e tasso di omicidi, e, diversamente da quello tra armi e morti per armi da fuoco, è negativo, almeno se misurato tra gli stati degli USA. Il fatto è che ci sono parecchi stati ad ad alta criminalità con leggi proibizioniste. Si tratta di stati con una forte presenza, specie urbana di neri. Ecco allora che un modo per cambiare di segno al collegamento esisterebbe: far rientrare nella funzione esplicativa anche la razza. Ma forse è un espediente troppo imbarazzante, per quanto uno sia un invasato proibizionista non se la sente di arrivare a tanto, anche per evitare la soluzione più razionale in casi del genere: proibire solo ai neri.
  78. Di solito gli argomenti pro gun sono tre: 1 secondo emendamento 2 deterrenza crimine 3 protezione da un governo invadente. Vediamone un quarto. There is another, and perhaps better, argument for private possession of firearms. If the population is disarmed, protection against crimes is provided mainly by the police. People very much want not to be victims of crimes, so if protection depends on the police there will be public support for expanding the powers of the police in order to better protect us. The result is a more powerful and invasive government, which I think a bad thing. Given the current government, I would expect that argument to appeal to many people who find the first three unconvincing.
  79. brian doherty sulle armi
    • Più pistole in america ma meno omicidi con pistole. Mi sembra che questo semplice dato renda sempre meno urgente varare leggi proibizioniste, anche qualora una parte degli omicidi siano collegate con la possibilità di ottenere facilmente una pistola!
    • nota la psicologia dell'anti-gun: accoglie senza colpo ferire gli studi che dimostrano un collegamento tra pistole ed omicidi a livello statale. Poi, quando si dimostra come studi del genere siano viziati perché comprendono anche gli omicidi cio' che resta dello studio, e che dimostra una relazione negativa tra le due variabili, viene integrato in modo estremamente sofisticato (e forse anche arbitrario) pur di rovesciare la relazione sgradita. Morale: le pulci si fanno solo agli studi sgraditi.
    • che fare davanti ai ladri o rapinatori? fuggire è solo leggermente più sicuro che difendersi con una pistola. Difendersi con una pistola è comunque più sicuro che difendersi senza pistola. Quanto ai danni patrimoniali la cosa migliore da fare è difendersi con una pistola.  study, by Harvard's Hemenway and Sara J. Solnick of the University of Vermont,
    • A 2013 Pew Research Poll found 56 percent of respondents thought that gun crime had gone up over the past 20 years, and only 12 percent were aware it had declined.
    • Suicidi/omicidi. Due affari ben diversi
    • Occhio ai trucchetti atatistici. Among other anomalies in Fleegler's research, Hinderaker pointed out that it didn't include Washington, D.C., with its strict gun laws and frequent homicides.
    • Udare un arma nn è dannoso x la tua incolumità ed è vantaggioso x la tua prop.  "attacking or threatening the perpetrator with a gun had no significant effect on the likelihood of the victim being injured after taking self-protective action," since slightly more people who tried non-firearm means of defending themselves were injured. for those who place value on self-defense and resistance over running, the use of a weapon doesn't seem too bad comparatively; Hemenway found that 55.9 percent of victims who took any kind of protective action lost property, but only 38.5 percent of people who used a gun in self-defense did...
    • Cost-Benefit Analysis Leaving Out a Key Set of Benefits. avere un arma ci rende felici e realizzati. la cosa nn deve stupire poiché rafforza il nostro senso di autonomia, che è una variabile fondamentale a detta di qualsiasi psicologo. eppure questo fattore fondamentale nn viene contabilizzato.
    • Perché stimare l'impatto delle armi è difficile? Il lavoro di Lott è sintomatico. The range of contentious issues involved in Lott's techniques were summed up pretty thoroughly in a sympathetic but critical review of the third** edition inRegulation. The economist Stan Liebowitz of the University of Texas at Dallas wrote: "Should county level data or state level data be used? Should all counties (or states) be given equal weight? What control variables should be included in the regression? What violent crime categories should be used? How should counties that have zero crimes in a category, such as murder, be treated? How much time after passage of a law is enough to determine the effect of RTC laws? What is the appropriate time period for the analysis?". He attempted to control for many handfuls of other variables that might affect crime rates--indeed, some researchers accused him of accounting for too many variables, while others slammed him for failing to account for other factors... Trying to prove Lott wrong quickly became a cottage industry...
    • In all of the discussions of how to address "gun violence" something that is almost invisible is how race is a major factor in the composition of gun death statistics. Blacks die at the hands of other blacks and commit a disproportionate percentage
    • The best way to reduce gun violence is to legalize drugs and restrict access.
    • alcuni studiosi (miller hemenway) arrivano a dimostrare una correlazione positiva tra omicidi e detenzione di pistole. come fanno? inseriscono tra i confounders il tasso di criminalità. ovvero dicono: gli omicidi elevati in assenza di pistole si spiegano con la presenza di altri crimini (es rapine); a parità di rapine o crimini senza armi coinvolte il danno del possedere armi emerge. Il ragionamento: in un posto tranquillo, senza criminalità, è più facile che le armi non facciano danno. qs è vero pensando alla campagna ma forse non è sempre vero  poiché le basse rapine forse  sono un beneficio  dovuto anche dalla presenza delle armi http://johnrlott.tripod.com/2007/01/problems-with-latest-miller-hemenway.html
    • http://econlog.econlib.org/archives/2016/01/brian_doherty_o.html
    • In yesterday’s post, I suggested that the difference in homicide rates between America and other First World countries were about two-thirds cultural, one-third gun-related. That’s sort of true, but people have reminded me to think of it as an interaction. Without the cultural factors in place, guns are pretty harmless. 
    • una possibile parola finale sulla relazione armi-stati-omicidi dal meta studio di gary cleck: su tot studi analizzati metà propendono per una relazione positiva metà per una relazione negativa. quanto più lo studio è accurato tanto più si evidenzia una relazione negativa. http://slatestarcodex.com/2016/01/10/guns-and-states-2-son-of-a-gun/
    continua
  80. Faccio seguire un elenco degli autori che mi hanno ispirato diversi “pensierini”, puo’ essere utile a chi intende approfondire:
  81. il secondo emendamento, nel quadro dell'equilibrio dei poterei, forniva una soluzione ottimale ai pericoli di un esercito professionista: una milizia privata poteva aiutarlo in caso di invasione o osteggiarlo in caso di colpo di stato. Ma oggi la disparità di forse e di armamenti sarebbe eccessiva, oggi la funzione del secondo emendamento è meglio svolta da una garanzia della privacy. vedi david friedman nel capitolo sui codici encrypton
Frederic Bastiat, sulla dialettica visibile\invisibile.
Daniel Kahneman, su personalizzazione e availability bias.
Adam Winkler, sulle guerre culturali in tema di armi.
Isabel Briggs Myers, sulle differenze psicologiche tra individui.
Michael Huemer, sulla relazione tra statistica, etica, utilitarismo, pragmatismo e senso comune.
David Friedman e Kenneth Arrow, sul principio di precauzione.
Peter van Inwagen, sul Dio cristiano, il male e la libertà dell’ uomo.
David Murray, su stato sociale e “regressione infantile” del cittadino deresponsabilizzato.
David Kopel, sull’ idea di “pace armata” e su come il “no alle armi” puo’ trasformarsi in “armi solo ai cattivi”.
William Briggs, sullo scarso peso del mass-shooting nel computo complessivo degli effetti.
Jesse Walker, sui tendenziali del mass-shooting.
Alicia Miller, su correlazione e causalità.
Ed Leamer, sul problema delle specificazioni statistiche.
John Lott, sulle regressioni con utilizzo di sondaggi.
Philip Cook\Jens Ludwig, sulle regressioni con i suicidi come proxy.
Mark Duggan, sulle regressioni con gli abbonamenti a riviste specializzate come proxy.
Esther Duflo, sui metodi “differences in differences”.
Steve Leavitt, per una rassegna sugli studi “differences in differences”
Richard Swinburne, sull’ effetto miracolistico delle preghiere.
Alex Tabarrok, su come correggere le conclusioni “difference in difference” tenendo conto della “placebo law”.
Jesus Castro Jr., sul ruolo dei genitori nell’ abuso di armi.
Megan Mcardle, sui limiti dell’ assicurazione obbligatoria.
David Henderson, sulla segnalazione dei possessori di armi.
Robert Wiblin, sull' importanza del problema delle armi http://www.overcomingbias.com/2013/02/is-us-gun-control-an-important-issue.html
Charles E. Cobb Jr.   This Nonviolent Stuff'll Get You Killed: How Guns Made the Civil Rights Movement  sul ruolo delle pistole nella lotta per i diritti civili dei neri.