Visualizzazione post con etichetta Cowen. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Cowen. Mostra tutti i post

venerdì 3 luglio 2015

The Great Stagnation by Tyler Cowen


Capitolo 1 tesi
  • Alcune spie inquietanti: 1) jobless recovery 2) median wage 3) aumento tenore di vita (cfr tra generazioni) 4) debiti crescenti sia nel pubblico che nel privato. Cosa ci segnala tutto ciò?... 
  • Tesi del libro: abbiamo raccolto tutti i "frutti bassi" dell'innovazione ma programmiamo le ns vite come se ce ne fossero altri disponibili... 
  • Low Hanging Fruit: terra libera, libera immigrazione, nuove tecnologie.... 
  • La Rivoluzione Industriale ha rotto gli argini dello sviluppo e la sua forza propulsiva si è fatta sentire fino al cuore del 900 ma ora sembra esaurirsi. Il PIL di tutte le nazioni + ricche rallenta in modo evidente, i guadagni di produttività seguono la stessa sorte... 
  • Tecnologia: togliete la magica intrnet: la ns. vita è praticamente la stessa che negli anni 50. Certo, i servizi sono migliorati x qualità e affidabilità ma sono fondamentalmente ancora quelli: auto, elettrodomestici, elettricità. Il mondo dei Jetson nn si è mai realizzato. L' uomo è andato sulla luna e pensavamo alla rivoluzione tecnologica ma nulla è successo... 
  • Istruzione: è cresciuta molto la partecipazione, difficile oggi che un talento resti infruttuoso. Anche qs via di sviluppo sembra ormai satura (il tasso di partecipazione scolastica addirittura cala). Lo "studente marginale" oggi è una testa di rapa, difficile che sarà mai lui a garantirci la prosperità futura... 
  • Discriminazione. E quando donne e altre minoranze entreranno a pieno titolo nel sistema produttivo? Anche questo "frutto basso" è stato colto nei decenni passati... 
  • Una speranza x l'immediato: i paesi poveri. Qs. economie hanno ancora molti frutti bassi da cogliere e il beneficio potrebbe estendersi anche a noi che siamo fermi nella palta
capitolo 2 contabilità nazionale

  • Obiezione alla tesi del libro: ma i numeri della produttività sembrano buoni! Sì ma potrebbero essere ingannevoli: in gran parte sono ottenuti licenziando (e mantenendo inalterata la produzione). Spesso segnalano solo bolle (vedi produttività finanziaria). D'altronde salari e azioni sono stagnanti, evidentemente parliamo di una produttività sterile... 
  • Il punto debole della contabilità nazionale: il valore di beni e servizi statali è valutato al prezzo (poichè sono venduti) quello di beni e servizi statali al costo (visto che nn esiste x loro un mercato). Ora, un aumento di produzione si traduce in un aumento meno che prop. nel valore ma qs. dinamica è catturata dai prezzi nn dai costi cosicchè il contributo statale risulta sopravvalutato. Un conto è arricchirsi con l"export un altro espandendo la spesa pubblica. Domanda: quanto PIL dobbiamo a sopravalutazioni di qs. tipo? Tesi: quanto + il governo partecipa all'economia tanto + è difficile capire se stiamo migliorando. Ai tempi d'oro dell'innovazione il G. pesava per il 5% sul PIL... 
  • Quanto vale veramente la nostra sanità? Domanda legittima visto che i dottori nn si sottopongono al test del mercato. Con loro oltretutto, persino il criterio di mercato funziona poco (figuramoci il criterio della spesa): 1) i benefici sono troppo protratti in là nel tempo cosicchè finiscono x contare altri fattori 2) di solito nn spendiamo i ns. soldi ma i soldi di altri (governo o assicurazioni). Qui la produttività nn è misurabile in modo attendibile: confronta Cipro e USA. Questi ultimi spendono di più senza ottenere di più. Ciò significa che la produttività sanitaria di Cipro è superiore? Si può escluderlo, molto semplicemente la produttività sanitaria è molto ambigua... 
  • Tesi: alcune cure funzionano altre no e noi spendiamo molto di più per le seconde. Tutta la ns. spesa marginale è sulle seconde. Conclusione: nella sanità è evidente + che altrove che i LHF sono stati colti. Qui + che mai un aumento della spesa pubblica nn segnala necessariamente un aumento di pari importo della ricchezza e purtroppo è proprio l'ampliamento di qs settori a trainare il PIL e a farci dire che stiamo meglio... 
  • L'istruzione è un altro settore dove la spesa è aumentata molto. Quanto ha reso qs. investimento? Gli studenti sono + preparati oggi? Nella scuola dell'obbligo gli ultimi 40 anni nn sembrano registrare miglioramenti (italiano e matematica). Qs. mediocri risultati sono ottenuti avendo a disposizione ragazzi più intelligenti e con più mezzi e il pc a casa. La matem. poi nn cambia cosicchè le tecniche d'insegnamento possono affinarsi. Nel frattempo la spesa x alunno è raddoppiata. Forse le scuole sono più accoglienti e offrono + attività rispetto a ieri. Come se nn bsstasse nemmeno qui c'è un market test gran parte della spesa è pubblica. Ebbene, anche qs ambiguo settore risulta trainante quando misuriamo la crescita di qs. anni.
capitolo 3 internet

  • In realtà l'innovazione esiste: internet. Solo che è ben diversa da quella passata. Crea un valore differente xchè di natura mentale visto che i suoi servizi sono per lo più gratuiti ed è difficile quantificarli. Inoltre nn sono disponibili x tutti, occorrono abilità cognitive particolari x sfruttarli e goderne... 
  • Immagina che si scopra la droga xfetta: tutti noi staremmo meglio ma gli indicatori economici segnerebbero un tracollo. Ebbene, internet produce uno scollegamento del genere lasciandoci nel mistero. Comprare 2 euro di banane alza il pil di 2 euro ma godere con internet x 20 euro nn incide sulle cifre ufficiali anzi le abbassa xchè ci distoglie da altri lavori... 
  • Internet genera pochi posti di lavoro. Tutti abbiamo sentito di Twitter ma solo qualche centinaio di xsone lavora lì. Il lavoro grosso lo fanno gli utenti x divertimento. Il resto lo fanno le macchine o da lavoratori con competenze particolari. Ecco spiegate le jobless recovery o il fatto che alta disoccupazione conviva cpn imprese alla vana caccia di xsonale... 
  • Paradosso: ci immaginiamo immersi in un mondo materialistico/consumistico quando in realtà viviamo in un mondo dove il gratuito si è moltiplicato. La vera rivoluzione consiste allora nel passaggio da consumi materiali a consumi immateriali se non spirituali. È difficile dare un valore a qs. attività spirituale mentre è chiaro come incida negativamente sulle attività tradizionali che creano un valore più facilmente quantificabile.

venerdì 16 novembre 2012

Slow food


On the question of how we can eat our way to a greener planet, Cowen the economist trumps the free-marketer. Rather than worry about what constitutes aLow Carbon Diet, we should adopt a carbon tax so that the prices of food reflect the full cost of growing, shipping and producing it, including the environmental externalities. He writes:
Relying on prices means taxing fossil fuels and it also means higher taxes on meat, which through methane emissions (e.g., cow farts) contribute to climate change.
…Prices are far more powerful than lists of instructions to green-minded consumers.
Carbon pricing could also help us sort through the debate over localism. When it comes to protecting the environment, buying local isn’t necessarily better and it may be worse if you live in a place where lots of water, energy and land are required to grow food. Cowen writes:
The environment is better off if the residents of Albuquerque import most of their food from far away.
It feels greener to buy from the local farmer than to patronize a large, multinational banana company, but perhaps with a dubious political history at that. But there’s nothing especially virtuous about the local farmer, even if it feels good to affiliate him.
As Matt Ridley once said, we’ve tried eating local before. That was called the Middle Ages.

mercoledì 16 maggio 2012

Se ce l’ abbiamo nel melone

Getto la spugna, lo faccio da inguaribile ottimista, rinuncio a ogni apologia liberista e mi ritiro alla chetichella: è tempo perso.
Cosa occorre in fondo per essere impermeabili al vangelo “mercatista”?
Molto poco: basta essere spontanei, sensibili ed empatici verso il prossimo.
In altri termini, basta essere “uomini” fatti e finiti, e della pasta migliore, stando al comune buon senso.
Il nostro cervello ci rende antiliberisti, siamo costruiti per scendere in piazza, “occupare wall street” e combattere l’ anarchia del “mercato selvaggio”; questo ci dice chi studia i nessi tra psicologia e ideologia: siamo degli “statalisti naturali”, non si scampa, ce l’ abbiamo nel melone.
brain_watermelon-500x375
Qualsiasi brufolosa manifestazione studentesca offre uno spettacolo ripugnante, almeno ai miei occhi, ma come non riconoscerne una certa spontraneità? Il liberismo appare sempre più come un’ ideologia “vietata ai minori”. E’ impensabile sotto una certa età, è inconcepibile da tenere menti al riparo da ogni artificiosa sofisticazione
Io stesso, che mi ritengo un “militante” pro-market, faccio fatica a riconvertirmi ogni giorno: messo di fronte alla prima pagina di un giornale il primo istinto mi fa sbandare verso ricette antiliberali. Per tornare sulla strada maestra ho bisogno di concentrazione, di fare mente locale e ricalibrare il pensiero… una faticaccia.
In genere per tutti noi il “bene” non puo’ essere casuale, riteniamo scandaloso che possa emergere senza “intenzioni” specifiche, non riusciamo proprio a pensarlo come tale: se un bene si realizza, da qualche parte un Uomo della Provvidenza è in azione; così come se un Male ci affligge, dietro le quinte sta operando un Cattivone, e se proprio non è immediatamente visibile ripieghiamo volentieri sulle sempre disponibili tesi complottiste.
Da un lato converrebbe rimeditare una versione aggiornata di un concetto profondo come quello di “Abbandono alla Provvidenza”, dall’ altro i meccanismi cognitivi che ci spingono nelle braccia di Dio sono in fondo gli stessi che sviluppano la fiducia nel Big Government, da qui i nostri guai.
Spremendoci, possiamo al limite immaginare le strade che portano all’ inferno come lastricate da cattive intenzioni, ma difficilmente siamo in grado di immaginare le strade che portano al paradiso come non lastricate da alcuna intenzione.
Siamo fatti così: dopo aver pensato al Grande Problema cerchiamo la Grande Soluzione, e, una volta escogitata, sentiamo di poterci concedere un giusto riposo, il nostro lavoro intellettuale è felicemente concluso: le istruzioni ci sono, basterà demandare la loro esecuzione a un soggetto sufficientemente potente, meglio se Onnipotente. Un Governo purchessia fa proprio il caso nostro.
Rubano? Mettiamoli in galera. Ingrassano? Mettiamoli a dieta. Speculano? Regoliamoli. Evadono? Sanzioniamoli. Si arricchiscono? Tassiamoli. Scandalizzano? Censuriamoli.
Semplice no? Scendiamo dunque in piazza per urlare le nostre Soluzioni a cui solo il Maligno puo’ opporsi.
Trincerati nel baretto sforniamo Soluzioni a raffica tutto il santo giorno, basta dare per scontata la presenza di un Governo a cui passare i nostri suggerimenti, ci penserà lui. E se il governo reale tentenna, basterà potenziarlo affinché non accampi più scuse.
L’ ideologia antimarket è coriacea, non sembra nemmeno sensibile agli interessi materiali: se vinciamo alla lotteria il nostro voto politico non cambia!
Siamo dunque di fronte a una preferenza pura che dipende per lo più dal carattere: sulle modalità di questa dipendenza, poi, possiamo sbizzarrirci; esempio:
… critics of the free market are more neurotic… than proponents…
People high in Stability realize that, objectively speaking, life in First World countries is good and getting better all the time.
As long as government leaves well enough alone, our problems will take care of themselves…
People low in Stability, on the other hand, habitually blow minor problems out of proportion.
Even when they live in First World countries, they manage to convince themselves that the sky is falling.
Their typically neurotic response… is to beg for Big Brother to save them from their largely imaginary problems.
When government solutions don't work out, they misinterpret it as further proof that life is hopeless - not that their "solutions" were ill-conceived.
I liberali affannosamente hanno messo a punto una miriade di teorie per spiegare la crescente invadenza dello Stato nel corso del secolo passato: dalla diffusione di ideologie socialisteggianti, alle dinamiche parassitarie della burocrazia, si è tirato in ballo di tutto, ma poiché nessuna regge è tempo allora di accettare la spiacevole e cruda verità: se lo Stato cresce è perché lo vogliamo noi, il nostro cervello, la nostra psicologia, ne ha bisogno per pensare con meno sforzo.
… Democratic government cannot grow large, and stay large, against the express wishes of a substantial majority of the population…
Poi ci sono gli “ottimisti”, che, numeri alla mano, cercano di consolarsi: “ dopo tutto i pro-market sono tipi più intelligenti e istruiti, il futuro è loro”.
Macché: sebbene sia vero che istruzione e quoziente intellettivo tendano a crescere nella popolazione portandola su medie oggi riservate all’ élite liberista, è anche vero che lo sviluppo tecnologico avanza di pari passo.
Ma che c’ entra lo sviluppo tecnologico adesso?
C’ entra eccome! Lo sviluppo tecnologico è decisivo: solo la mancanza di mezzi in grado di conferire potenza allo Stato ci fa dubitare per un attimo del suo ruolo salvifico:
… perform a very simple thought experiment… Assume that we had no cars, no trucks, no planes, no telephones, no TV or radio, and no rail network.
Of course we would al be much poorer. But how large could government be? Government might take on more characteristics of a petty tyrant, but we would not expect to find the modern administrative state, commanding forty to fifty percent of gross domestic product in the developed nations, and reaching into the lives of every individual daily.
Think also about the timing of these innovations. The lag between technology and governmental growth is not a very long one…
Avere robuste cinghie per legare il paziente al tavolaccio è la premessa per operarlo. Avere un ferreo controllo sulla società è decisivo per “pianificarla” secondo le teorie elaborate al bar o nei centri studi: noi abbiamo continuamente delle idee e vogliamo “più Stato” affinché esista una Potenza che le realizzi; non appena i mezzi lo consentono, ce lo prendiamo.
Lo sviluppo tecnologico foraggia la tentazione "centralista" imponendo così una melanconica conclusione: il mercato genera innovazione e l’ innovazione genera statalismo. Non vedo vie d’ uscita: getto la spugna e mi defilo alla chetichella.
Alan Gerber et al: Personality Traits and the Dimensions of Political Ideology
Tyler Cowen: Does Technology Drive the Growth of Government?

martedì 2 agosto 2011

Perché siamo molto più poveri di quel che raccontano le statistiche?

Spesso sento parlare delle inadeguatezze del PIL come misuratore del benessere.

Chi puo’ negare talune insufficienze? Le statistiche spesso mentono, e in questo ambito lo fanno spesso e volentieri.

Nausicaa Distribution

Senonché, chi esprime dubbi in merito si butta successivamente a capofitto in proposte quanto meno dubbie. La radice ideologica di suggeritori tutt’ altro che disinteressati è evidente.

L’ immagine che danno costoro è quella di dottori che, al capezzale di un lebbroso, si consultano su come curare un’ influenzina collaterale e per di più ineliminabile.

A latere dei grossi guai di salute, magari c’ è pure l’ influenzina di cui sopra. La mia impressione è che, comunque, nelle mani di questi dottori sia destinata a degenerare.

Ma oggi il punto non è questo. Oggi vorrei occuparmi invece della “lebbra”. Ovvero di quelle croste che i solerti “dottori” della stampa popolare trascurano in favore di inezie più funzionali “all’ altro mondo possibile”.

Partiamo allora con alcune considerazioni sulla spesa governativa in generale.

… Per comprendere quanto siano inaffidabili le talvolta rassicuranti misurazioni della produttività economica nelle nazioni sviluppate, basta prestare attenzione a come il PIL viene calcolato…

… per partire con un semplice esempio consideriamo il fruttivendolo sottocasa: se ci vende una mela a 1 euro il PIL incrementa di 1 euro… puo’ darsi che la mela venduta sia la proverbiale “mela marcia” ma se continuiamo a comprare probabilmente le cose stanno diversamente e la misurazione fatta deve ritenersi affidabile…

Ora concentriamoci sull’ azione di governo: se il governo spende 1 milione di euro per una strada come misureremo il suo contributo al PIL? Diversamente dalla mela, nessuno comprerà mai quella strada!… per convenzione si è deciso di ritenere che il contributo governativo al PIL sia pari ai costi sostenuti: più si spende, più si crea ricchezza… per definizione…

… Talvolta i beni e i servizi governativi valgono ampiamente il loro costo ma non sempre è così… nel tempo il ruolo dei governi si è enormemente allargato… oggi possiamo dire che 1 euro speso in più non sarà speso in settori chiave dell’ attività pubblica ma in settori collaterali… cosicché cresce il dubbio che il contributo al PIL sia sovrastimato…

“Al margine” i governi diventano sempre meno produttivi… tuttavia le convenzioni statistiche non fanno differenza tra l’ euro speso negli anni cinquanta, quanto il Governo si concentrava sulle sue funzioni caratteristiche, e l’ euro speso oggi… Detto in altri termini: l’ euro speso per allargare una strada di montagna perennemente deserta, in termini di ricchezza misurata, vale quanto quello speso per costruire un’ arteria viabilistica che collega importanti centri commerciali…

Ora confrontiamo tutto questo con la spesa che facciamo dal fruttivendolo… come nel caso della spesa governativa, anche nel nostro caso una mela in più ha (forse) meno valore della mela ricevuta per prima… ma cio’ si ripercuote sul prezzo esercitando una pressione al ribasso: più mele in circolazione, prezzi più bassi e minor contribuzione al PIL e alla produttività misurata… qui possiamo considerare i prezzi e non i costi!… tuttavia cio’ non è possibile nel settore pubblico, dove un euro sprecato vale necessariamente con un euro essenziale…

… Ricordiamoci allora di una massima ovvia per gli economisti, meno per i profani:

…Più ampio è il ruolo dei governi nell’ economia, più le misura del PIL sovrastimano il benessere del cittadino…

… Chiudo segnalando  cio’ che invece anche i profani dovrebbero sapere, ovvero che da noi negli ultimi 50 anni il ruolo dei governi nell’ economia si è notevolmente accresciuto…

Ora sappiamo meglio perché gli incrementi di produttività che talvolta vengono segnalati non siano poi così affidabili: derivano da una contabilità afflitta dai limiti di cui abbiamo appena parlato… l’ ipotesi che siamo in mezzo ad una “grande stagnazione” regge anche in presenza di quelle cifre…

Tyler Cowen – The great stagnation

Passando a qualche esempio concreto, occupiamoci di sanità.

… La spesa governativa nel settore sanitario è elevata… ma qui c’ è di più… noi sappiamo riconoscere una mela cattiva evitandone l’ acquisto, ma difficilmente riusciamo a valutare i servizi di un medico o l’ efficacia reale di una medicina… nel dubbio “compriamo” anche perché, in caso contrario, “segnaleremmo” la scarsa cura che abbiamo per la nostra salute e per quella dei nostri famigliari… avere speranza e segnalare di avere speranza anche contro le evidenze diventa cruciale… così facendo teniamo un comportamento irrazionale che per questo prodotto vanifica il market-test… e senza “market-test”, anche la misurazione del PIL diviene inaffidabile… non ne faccio un discorso ideologico, un bias del genere affligge sia i sistemi pubblici che quelli privati…

… gli Stati Uniti hanno una spesa medica molto elevata se comparata a quella di altri paesi… eppure il loro sistema sanitario non sembra chiaramente superiore… ma in generale sembrerebbe che, a parità del resto, spendere di più in prodotti sanitari non renda le persone più sane…

… I ciprioti e i greci spendono infinitamente meno senza ripercussioni sulla loro salute… certo, la dieta, gli esercizi e lo stile di vita conta… in più possiamo dire che negli USA gli ospedali sono più carini, i trattamenti più specializzati e le medicine più variegate… possiamo dire che solo negli USA riceverete “cure di frontiera”  altrove inaccessibili… possiamo dire molte cose ma resta fondamentale sapere che la spesa sanitaria, per sua natura, è particolarmente inefficiente… tanto è vero che la speranza di vita non varia con le cure ricevute…

… inutile aggiungere che uno dei settori maggiormente in crescita nelle nostre economie è quello sanitario… un settore che si presta poco al market-test e che quindi falsa pesantemente la misurazione della nostra ricchezza…

Tyler Cowen – The great stagnation

Il discorso cambia poco quando si passa a parlare di scuola:

… La nostra spesa in servizi educativi è cresciuta “enormemente”, ha dunque senso chiedersi se i nostri ragazzi siano “enormemente” più istruiti che in passato?… risponde il National Assessment of Educational Progress: “nella lettura il punteggio medio di un diciasettenne oggi è sostanzialmente pari a quello riportato nel 1971”… in matematica idem…

… dobbiamo anche considerare che la scuola di oggi lavora con ragazzi più intelligenti (Flynn effect) e che vivono in un contesto socio-economico migliore…

… aggiungo che i tassi di completamento degli studi si sono abbassati dopo aver raggiunto il loro picco a fine anni sessanta…

… tutto cio’ a fronte di una spesa che non ha mai cessato di innalzarsi… rispetto al 1970 oggi spendiamo il doppio per ogni allievo…

… forse i miglioramenti non sono misurabili dai test… tuttavia l minimo da dire è che in questo campo  non esiste una chiara correlazione tra spesa e risultati…

… la gran parte della spesa educativa è nelle mani dello Stato… cosicché, diversamente dai servigi del fruttivendolo, non esiste un market-test che renda credibile la contribuzione al PIL di questo settore…

… un’ assunzione di personale in più si rifletterà in una maggiore ricchezza del paese in termini di PIL, anche se quell’ insegnante non insegnerà mai nulla a nessuno limitandosi a percepire lo stipendio…

… è sorprendente che di anno in anno spendiamo in modo crescente per la nostra scuola in assenza di risultati chiari… riuscite a pensare a qualcosa del genere che vi tocchi direttamente?… che riguardi magari il vostro pc, o il ristorante, o i vestiti, o l’ automobile…

Tyler Cowen – The great stagnation

 

Una conclusione s’ impone:

Tre dei settori di spesa tra più notevoli e dall’ importanza crescete si riflettono in modo distorto sul PIL gonfiandolo a dismisura senza averne chiaro titolo… per me da tutto cio’ dobbiamo trarre una conclusione drastica: i numeri mentono, siamo molto più poveri di quel che ci raccontano.

lunedì 1 agosto 2011

I Jetsons traditi

A parte le magie apparenti di internet, in termini materiali la nostra vita non è molto diversa da cio’ che era negli anni cinquanta… guidiamo ancora auto, usiamo frigoriferi… e accendiamo la luce con l’ interruttore, anche se forse molti di noi ce l’ hanno graduale…

… Le meraviglie illustrate nel cartone dei Jetson, che risale agli anni sessanta, non si sono mai realizzate. Non viviamo per sempre, non visitiamo colonie su Marte, non viaggiamo su piccole navicelle personali… La vita è migliorata e abbiamo più cose, ma l’ innovazione ha rallentato fortemente la sua corsa tradendo le aspettative che si potevano nutrire ancora solo poche generazioni fa…

… La mia vita migliorerebbe di molto se avessi a disposizione una macchina del teletrasporto… ma avere a disposizione frigo sempre più ampi che tritano il ghiaccio costituisce un miglioramento quasi irrilevante a cui pochi sono realmente interessati…

… molti pensano all’ allunaggio del 1969 come ad un punto divisivo che ha segnato l’ inizio di una grande stagnazione

… oggi “cresce” solo chi è indietro e puo’ seguire le nostre orme (catch-up growth)… ma chi ha raggiunto la frontiera tecnologica è condannato ai piccoli passi (magari all’ indietro)…

… Credete forse che le crisi a ripetizione di questi anni non siano correlate con questa grande stagnazione tecnologica?… non è così, abbiamo raccolto tutti i frutti della precedente innovazione e ora avanzare è tremendamente difficile… di volta in volta ci illudiamo di poterlo fare con internet o con le nuove tecnologie finanziarie ma, puntualmente, scoppia una bolla che ci risbatte al punto di partenza… quando ci sembra di “avanzare” spediti capiamo presto che le cose stanno diversamente: ci si arricchisce a debito (destra) oppure investendo su improduttivi “big government” (sinistra)… si tratta di illusioni ciclicamente disvelate… sarebbe meglio rassegnarsi a considerare terminata un’ età dell’ oro e, eventualmente, a mettere le basi per la prossima… ma “mettere le basi” non è esattamente un compito a cui la politica si presta con docilità…

Tyler Cowen – The great stagnation

Dunque la distinzione tra e-book e libro cartaceo non puo’ essere paragonata a quella che esiste tra lavatrice e lavatoio. Consideravamo i nostri genitori come abitanti di una foresta pietrificata e ora scopriamo che sono stati loro a vivere in un mondo realmente rivoluzionario, un mondo in cui la vita delle persone cambiava realmente da un anno all’ altro.

Rileggendo queste parole mi vengono in mente certi economisti della “decrescita” felice, secondo loro la crescita economica non porta a ad un maggior benessere. Lo sostengono riferendosi implicitamente alle molte ansie della modernità.

In realtà siamo reduci da decenni di stagnazione e non sembra che la cosa abbia reso poi tanto “felici” i protagonisti.

Sarebbe forse più assennato e più aderente ai fatti sostenere che il nostro benessere non cresce proprio perché i tempi d’ oro dello sviluppo sono finiti da un pezzo, almeno nelle nazioni più avanzate. 

giovedì 21 luglio 2011

Lo scrollone di internet

Negli USA il reddito medio stagna dal 1980, così come è sensibilmente rallentato il tasso d’ innovazione tecnologica.

La stessa dinamica si registra un po’ ovunque nei paesi ricchi.

Cosa sta succedendo all’ Occidente?

Ecco l’ idea di Cowen: le grandi innovazioni del XVIII e XIX secolo hanno dato una scrollata all’ albero.  I grandi governi del secolo XX hanno raccolto i frutti a terra.

Ora di frutti in terra non ce ne sono più molti e la raccolta sembra esaurirsi, senonché gli uomini del governo esteso non hanno nessuna voglia di cedere nuovamente la pianta nelle mani degli scrollatori.

Per avere un’ idea di “low-hanging-fruit” ci si concentri per un attimo sull’ istruzione: rendere più produttivo un analfabeta è relativamente facile ma legare oggi gli investimenti educativi alla crescita economica è praticamente impossibile. Al di là di ogni retorica, chi potrebbe negarlo?

Qualcuno opina osservando che internet è un’ innovazione di portata almeno pari all’ elettricità. In questo senso il suo scrollone è imponente e manda all’ aria molte cose, tra cui la tesi che stiamo discutendo.

Staremo a vedere, sta di fatto che per ora non sembra proprio, e di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia ormai.

Ad oggi l’ avvento di Internet si riflette poco nelle statistiche legate allo sviluppo: l’ Ipod ha creato 14000 posti di lavoro e Facebook meno di 2000. Quisquilie.

Perché?

Forse internet, più che uno strumento, è un fine. Non serve ad investire, quanto a consumare.

Mi spiego meglio con un esempio banale.

Prima potevi tagliare i ponti e chiuderti in casa massimo per un paio di giorni, dopodiché, pena il soffocamento, era giocoforza uscire per una boccata d’ aria e di contatto umano. Oggi puoi barricarti in cameretta doppiando la settimana, il tempo vola e tu viaggi con la mente senza mai atterrare.

Esagero?

Cio’ non toglie che internet favorisca l’ isolamento e l’ introversione, cosicché l’ “isolato” e l’ “introverso” sono i maggiori beneficiati; sono loro gli "eroi sociali" del nostro tempo. Nel nuovo mondo i timidi vanno a nozze (anche nel vero senso della parola).

Clemens_Fantur_01

Alla fine bisogna concludere con un certo sconcerto che chi utilizza la rete per progettare e costruire concretamente qualcosa gratta solo la superfice dell’ innovazione finendo per trattarla come un telefono superveloce o un’ adunata oceanica. Cose che in fondo c’ erano anche prima.

La profonda natura del nuovo si disvela con ritrosia a chi non sacrifica la propria socialità divenendo un po’ “più autistico”.

Internet resta un fattore liberante, ma un fattore interiore: i Grandi Governi regolano ogni forma di vita ma difficilmente avranno accesso alla nostra vita interiore.

Detto questo, vediamo ora come queste considerazioni si riflettano poi sulle statistiche produttive.

Un patito potrebbe decidere di rinunciare alle vacanze per starsene quindici giorni ipnotizzato dalla realtà virtuale di internet. In un caso del genere il PIL di quel paese diminuirebbe per effetto dell’ innovazione. Un concetto spiazzante che non viene subito afferrato poiché di solito associamo in automatico innovazione-sviluppo-pil.

Questo esempio estremo rende chiaro cosa intende Cowen quando si mostra scettico sulla portata economica della rete. Somiglia troppo ad una droga per essere realmente produttiva.

***

Se questo è il mondo in cui viviamo la domanda diventa: dobbiamo tornare alla stagione degli scrollatori selvaggi?

Possiamo davvero farlo? O è meglio rassegnarci  e vivere felici (e autistici) nella stagnazione?

Tyler Cowen - The Great Stagnation

venerdì 15 aprile 2011

Crisi d’ abbondanza

La “crisi d’ abbondanza” cinge d’ assedio l’ intellettuale italiano che ora si sente fagocitato da cio’ che avrebbe dovuto stare sulla sua scrivania: le carte. Ora le “carte” assumono la becera neutralità della plastica, prendono vita autonoma, si moltiplicano in continue esplosioni demografiche fino a soffocare chi è designato a curvarsi su di loro. 

Giulio Ferroni è un caso paradigmatico, osserviamolo mentre come un ectoplasma passeggia tra i banchi di un festival del libro qualsiasi:

… mi metto a vagare per gli stand… gli incontri sono molteplici, spezzati, ripetuti, tra agnizioni e ricognizioni… solidarietà e ostilità… e libri dappertutto, proliferanti ammonticchiati, sparpagliati, in ordine geometrico o rizomatico, con tute le possibilità di conoscenza, di esperienza, di contemplazione, di curiosità, di esaltazione, di esibizione, di vitalità… cerco editori noti e meno noti, mi oriento e mi disoriento, perdo la strada e la ritrovo… scopro editori e attività che ignoravo ma che inevitabilmente dimenticherò… e vago, continuo a vagare… la costipazione e l’ eccesso di libri mi rende allucinato, per i colori, per i rumori… esco da questo luogo fisicamente stordito… con qualcosa che mi ottunde la visione, la capacità di controllo dello spazio…di fuori, sul piazzale d’ ingresso del Lingotto… ora si accalcano i taxi… tanti libri, tante automobili, tanto di tutto…

Giulio Ferroni – Scritture a perdere - Laterza

Sembra di vederle quelle suole consumate dall’ augusto professore in disarmo mentre orbitano intorno alla poltiglia della microerudizione festivaliera. Assomigliano un po’ a quelle che Umberto D si trascinava in giro per Roma.

Poverino, fa quasi tenerezza: sopra, gli occhi da leprottone abbagliato; sotto, bronzee borse che denunciano la vetustà di chi non puo’ più raddrizzare un legno storto.

Ovunque si rechi, il malcapitato s’ imbatte in “brusii crescenti”, in “scorrevoli nulla che avvelenano il paese”, in “paradisi imbecilli”, in “eccessi di produzione”, in “zapping nevrastenici”, in “modalità dilapidatorie”, in “gare d’ apparenza”, in “violenze disgreganti”, nel “piacere di unirsi al degrado”, nell’ “incanaglirsi del reale”  e altre insulsaggini di vario tipo al traino di “tortuosi e occulti poteri economici”.

Nella requisitoria contro l’ Italia “berlusconizzata”, in pochi scampano l’ autorevole frusta: giusto Zanzotto e il padre di Eluana, con quel loro riserbo fuori dal tempo in cui avvolgono pudici un sentimento da preservare contro l’ offesa di una realtà che vorrebbe ingurgitare e rigurgitare anche loro.

Non ne parliamo poi quando accende la TV e sbatte contro la voce da camionista di Maria De Filippi. Quella gara a prendere la parola senza esclusione di colpi, gli riporta in casa quel mondo sguaiato che credeva di aver chiuso fuori, un mondo che ci offende, un mondo…  dove anche l’ assuefatto operaio vuole il figlio dottore.

Inutile dirlo, il problema c’ è. Davanti al lato anti-estetico che ci rovescia addosso ogni giorno la cornucopia della modernità, possiamo reagire in due modi:

1. cowenianamente. Ovvero, mettendosi di buzzo buono, imparando a navigare sulla monnezza traendone le gioie di un zio Paperone in panciolle nel deposito. Affinare l’ arte della selezione, mettere a punto il pescaggio fior da fiore, specializzarsi nella costruzione di bussole… e ripassare di continuo il teorema Alchian Allen.

2. pasolinianamente. Ovvero, cercando il brividino dell’ apocalisse, maledicendo con alata invettiva l’ arricchito, fare l’ elogio ditirambico della deflazione invocando un salvifico depauperamento con annessa decrescita felice.

La prima soluzione è una gran iattura, c’ impone di lasciare le luci della ribalta per “lavorare duramente su noi stessi”, c’ impone di ri-formarci, di ri-educarci, di re-integraci.

Meno male che c’ è la seconda via. Grazie a lei possiamo concentrarci sugli altri, esigenza essenziale per incanalare al meglio quell’ impulso autoritario che cova sempre dentro un depresso. La decrescita è essenzialmente la decrescita altrui: ovviamente, la nostra non farebbe la differenza. Eppure “lui” non lo capisce, si ostina, non “rinuncia”, non “decresce” mai come vorremmo. 

Poco male, con l’ “altro” nelle nostre mani – come fosse plastilina - possiamo cambiare il mondo tra la digestione e la pennica stando qualche minuto in più a tavola dopo pranzo, bastano quattro pensierucci sulla “bellezza”. Rassicuro subito i perbenisti che hanno qualche problema di coscienza: non c’ è niente di più facile che imbellettare queste interferenze nella carne altrui, basta nobilitarle formulandole in termini di “cura ecologica” o di “scatto critico” o di…

Con l’ “altro” nel mirino potremo finalmente perorare una “causa persa”, quelle più confacenti all’ esibizionismo avvocatesco; potremo espettorare la nostra condanna quasi fosse un “do” che piove da una scena sapientemente illuminata. E noi saremo lì, su quella scena, condannati dalla lucidità, spettinati da un vento che ci piega senza sradicarci, sofferenti di un dolore consapevole, flebili come il lume dell’ ultima lucciola sul pianeta.

lunedì 28 febbraio 2011

Altro che persuasori occulti!

Mentre sognavate, avete mai avuto la sensazione che stavate sognando?

Avete mai sperimentato la metamorfosi che trasforma radicalmente eventi esterni al sogno in eventi interni? Per esempio: la sveglia che suona sul comodino, dentro al sogno diventa una sirena dei pompieri.

Se sì, ci sono le basi per apprezzare Inception.

Quello che sicuramente non avete sperimentato, comunque, è il "sogno condiviso".

Non fa nulla, potete immaginarvelo: se due sognatori sono in qualche modo fisicamente connessi, i loro impulsi cerebrali (i sogni non sono altro che impulsi cerebrali) interagiscono; ipotizzando una qualche forma di addestramento, si puo' immaginare una qualche forma di coordinamento dell' interazione. Si puo' anche immaginare che un terzo sognatore "forzato" (la vittima) possa essere influenzato dagli "addestrati" attraverso la sottrazione o l' innesto di idee che lo rendano poi quella persona diversa al suo risveglio.

Altro che "persuasori occulti"!

Tutto quadra, in teoria.

E tutto il resto è cinema, cinema scatenato, come è facile immaginare.

Altra domanda che senz' altro vi ha tormentato a lungo: cosa passa nella testa di Giucas Casella quando legge e domina la mente altrui?



Come escludere che viva avventure in parte simili a quelle di Di Caprio?

***

Se un impulso cerebrale che ha luogo nella realtà puo' essere trasformato nel sogno in un elefante o in un elicottero che precipita o in un treno in corsa, immaginatevi quali e quante spettacolari avventure possono essere messe in scena: un senso di colpa verso la moglie tradita puo' trasformarsi in una tigre antropogaga che irrompe nel sogno all' improvviso.

Consiglio due autori "colti" per prendere confidenza con la dimensione di Inception.

Antonin Artaud: per lui la nostra mente era un palcoscenico; era anche l' unico Teatro in cui lui volesse rappresentare le sue pièce. La smisurata crudeltà che metteva in scena, non era altro che la metaforizzazione di pensieri intimi. Così, in Inception, le rocambolesche avventure sono un coacervo di metafore che noi dobbiamo interpretare e che rinviano alla quasi-immobile intimità del reale.

Tyler Cowen: per lui il grado di interiorizzazione (autismo, sogno, preghiera...) osservabile in una società, misura il grado di avanzamento di quella civiltà. Probabilmente esisono molte forme di vita intelligente nell' universo, civiltà molto più avanzate della nostra, ma di esse non abbiamo notizia ed è normale che sia così: a causa dell' inevitabile introflaessione a cui tende ogni intelligenza superiore, non sono interessate al contatto con noi.

Nel video Cobb addestra Arianna alla condivisione dei sogni.



problemi video?: http://www.youtube.com/watch?v=DzTI_xqaVbY

mercoledì 17 novembre 2010

Riflettere per anni

Parlando di Robin Hanson:

"... ancora secondo Robin, i soldi che le società avanzate spendono per l' assistenza sanitaria sono sprecati. Giacchè i medici uccidono tante persone quante ne salvano, vivremmo altrettanto a lungo anche senza di loro. Tutto questo sa un po' di follia ma il fatto è che i dati, oltre un certo livello, non mostrano alcuna correlazione, sia a livello internazionale che a livello nazionale, tra spesa sanitaria e aspettativa di vita...

... Bryan Caplan, altro mio amico e collega, la mette così: "Quando l' economista tipo mi illustra la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è "Ah... forse". Poi l' accantono per sempre. Quando è Robin Hanson a illustrarmi la sua ultima ricerca, la mia reazione standard è: "No, impossibile". Poi ci rifletto per anni".


Tyler Cowen - No crac.

venerdì 12 novembre 2010

Economia dell' anima

L' economia non si occupa di soldi, si occupa di scarsità.

Il suo concetto chiave è quello di "incentivo". I soldi forniscono buoni incentivi, ma ne esistono anche altri.

Nell' era dell' abbondanza, quella in cui viviamo, i soldi scarseggiano sempre meno, cosicchè l' economia finisce per occuparsi sempre più d' altro.

Chiediamoci cosa scarseggia realmente nella cornucopia della contemporaneità?


Mi viene in mente il mondo della cultura: mai come oggi siamo sommersi da un profluvio di cultura che sgorga da ogni dove. I "Capolavori" ci tengono sotto assedio, è perfino difficile schivarli. Con pochi euro ti porti a casa l' integrale delle cantate di Bach in esecuzione prestigiosa.

E nel frattempo accatastiamo libri intonsi, per non parlare dei cd acquistati che giacciono inascoltati.

Cosa manca allora?

Bè, mancano: attenzione, tempo e reale interesse.

E' una "triade" cruciale e per produrla in modo efficiente dobbiamo consultare un buon economista che si occupi di questi beni, un economista dell' anima come Tyler Cowen, per esempio.

Lui ci dirà che dobbiamo partire riconoscendo una triste verità: pochi di noi sono interessati all' "arte per l' arte", quasi tutti ci esaltiamo invece per quell' arte in grado di ornare ed esaltare il cosiddetto "Fattore-Io".

Coltivare la nostra autoimmagine attraverso i consumi culturali è decisivo, vogliamo stare al centro della scena, anche quando siamo semplici spettatori.

Riconoscere il ruolo chiave del "Fattore-Io" è la prima mossa per rendere più efficiente la produzione della triade e vivere "felici & acculturati".

Chi se lo dimentica è destinato a fallire facendo naufragio nella noia.

I sovietici si erano dimenticati il naturale egoismo degli uomini, se trattando di cultura dimentichiamo il nostro naturale narcisismo siamo destinati alla stessa fine.

Guardando Dogville, è solo un esempio, ho vinto i momenti di stanca anche perchè ero impegnato a spremere l' essenza del film visto che volevo scrivere due righe sul blog.

L' impegno che avevo preso con me stesso mi ha fatto superare quella noia intermittente che non risparmia nessun "capolavoro" e che spesso ci demotiva (chissà perchè i film "artistici" scivolano misteriosamente sempre sul fondo della pila dei dvd ancora da visionare).

Improvvisamente Grace ha cessato di essere la protagonista della storia e io, con la breve riflessione finale che mi ero impegnato a svolgere, ho guadagnato il centro della scena.

Non c' è niente che ci appassiona tanto quanto il "Fattore-Io", se riuscissimo in qualche modo ad ancorarlo al prodotto culturale, anch' esso diverrà attraente.

In altre parole, saremo riusciti a produrre "attenzione, tempo e interesse" per la cultura.

Chi disconosce il "Fattore-Io", lo ripeto, non è un buon "economista dell' anima", spesso finirà per annoiarsi e rinunciare alla cultura.

Ormai, per ogni disco o concerto ascoltato, per ogni film visto, per ogni libro letto, mi sono impegnato a scrivere sempre due righe, una breve riflessione a posteriori. Lo faccio anche per agganciare il "Fattore Io" all' opera d' arte.

La riflessione scritta è uno scudo nei confronti della quantità sterminata di cultura che ci assedia, la sua importanza non è funzionale solo al dialogo che ne puo' scaturire con chi mi è vicino ma anche alla produzione di "attenzione", un bene così scarso nell' era dell' abbondanza.

Ma ci sono anche altri trucchi.

Guardando i film con Sara facciamo spesso scommesse sui finali.

A noi basta poter dire "te l' avevo detto" per appagare il nostro "Fattore Io"; ma si possono puntare anche soldi, volendo.

About Elly è un film che ci ha appassionato molto e ce lo siamo bevuti tutto d' un fiato a notte fonda: c' era in ballo una bella scommessa e, chissà perchè, il film è diventato subito avvincente.

Di "About Elly", oggettivamente, si possono dire almeno due cose: 1) è un film dallo spessore culturale indubitabile, ha fatto messe di premi un po' ovunque ricevendo gli "osanna" della critica più sofisticata; 2) ma è anche un film piuttosto noioso e lento, Diana puo' confermare.

Ebbene, direi allora che la tecnica delle scommesse ci ha consentito di produrre "attenzione, tempo e reale interesse" da dedicare a questo prezioso manufatto culturale.

*****

Perchè io sono un lettore entusiasta che non smetterebbe mai di leggere mentre la Sara si trascina sempre con lo stesso libro in mano per mesi quasi fosse un cilicio?

Perchè il volume "I Miserabili" giace da mesi sul comodino della Sara? Nel corso di tutto questo tempo io avrei potuto leggere l' opera omnia di Shakespeare!

Io, in effetti, avrei sempre voglia di leggere: leggo in bagno, leggo in treno, leggo di notte quando tutti dormono, leggo la domenica e preferirei leggere piuttosto che "andare in vacanza"; i miei libri sono pasticciati, pieni di orecchie, spesso con la rilegatura a pezzi e le copertine perdute in qualche vagone di Trenitalia.

Per la Sara il momento deputato è uno solo: "a letto prima di dormire". Senonchè, quasi sempre, quando giunge il "momento deputato", allunga uno sguardo malinconico verso il volume accuratamente rilegato con sovracopertina, e dopo breve ed appannata riflessione rinuncia, sarà per domani. Ripone il sofisticato segnalibro all' altezza dell' ex-libris tra le pagine immacolate e chiude dolcemente tomo e occhi. E' proprio una lettrice d' altri tempi.

La differenza tra me e lei è l' interesse reale per quel che si ha in mano.

Ma attenzione, c' è qualcosa che complica il quadretto dato finora.

Sara è anche persona molto più curiosa ed intelligente di me, che sono piuttosto tardo; la sua vitalità mi sopravanza in tutti i campi e la sua capacità di interessarsi a tutto e a tutti mi sorprende; inoltre, avendo una laurea in lettere, è anche più ferrata in materia.

Ma allora cosa c' è che non va in lei nel comparto "libri & lettura"?

Probabilmente, nell' era dell' abbondanza, per leggere con entusiasmo i grandi capolavori della letteratura, più che la laurea in lettere, serve la laurea in economia. L' "economista interiore" a cui si affida Sara, non le consente di produrre in modo efficiente "attenzione e interesse", due risorse fondamentali.

Innanzitutto, qundo ho in mano un libro, io "salto" e "abbandono" spesso e volentieri, cosicchè mi trovo a leggere quasi sempre roba per me di estremo interesse.

La Sara, per contro, non si limita a tenere il segno della pagina, tiene anche il sotto-segno del paragrafo: deve ripartire da lì o va tutto a monte. Probabilmente, l' economista interiore a cui si affida crede che al mondo esista un solo libro. Non ha capito che se c' è qualcosa che non scarseggia è proprio la materia prima, ovvero i capolavori letterari.

La sapienza nel "saltare" uno non l' improvvisa, se la costruisce nel tempo imparando a conoscere se stesso e i vari generi letterari. Si commettono errori e si ricomincia. Ma chi non comincia mai, l' esperienza non se la farà mai e rimarrà per la vita un lettore assonnato.

L' economista Robert Hall diceva che chi non ha mai perso un aereo passa troppo tempo in aereoporto.

Il "Fattore Io" è decisivo per imparare a "saltare" leggendo, e qui torniamo a bomba.

Lasciamo per un attimo perdere i "salti" per noia conclamata, quelli li sanno fare tutti, è altresì vero che nei grandi capolavori è difficile imbattersi in pagine noiose, specie se parliamo di autori vicino a noi che rispecchiano la sensibilità contemporanea.

Si puo' "saltare" anche quando si è preso possesso pienamente del libro. Ovvero, dopo che si è guadagnata una propria interpretazione originale, il che equivale ad aver marcato il territorio.

"Mettere le nostre mani" sul capolavoro appaga il "Fattore-Io".

Dapprima si continua a leggere con il cuore in gola in cerca di conferme e smentite, quasi si fosse in lotta con il libro così come Giuseppe era in lotta con l' Angelo. Questa lotta è esaltante: le conferme appagano il mio narcisismo, le smentite feriscono e disorientano costringendomi a rimettere insieme i pezzi in altro modo. Sia le une che le altre, però, moltiplicano il mio interesse in modo efficacissimo (nel frattempo la saretta, non solo si è addormentata ma si è messa anche a russare).

Con opportuni ritocchi, poi, la mia visione diventa finalmente in grado di "accogliere" il libro; si raggiunge un equilibrio. Il libro ora scorre placido tra due argini che ho costruito e il "Fattore Io" lo osserva compiaciuto. E' tempo di cambiare libro, anche se l' ultima pagina è lontana.

Una sola avvertenza: prima di leggere un grande capolavoro del passato, specie se voluminoso, giova leggerne un sunto.

Bisogna infatti mettersi nella zucca un concetto base: nei grandi capolavori, il valore è dato dallo stile e dalla profondità psicologica. Una volta che abbiamo la "storia" sotto controllo potremo concentrarci sull' essenziale, magari aprendo il libro a caso e leggendo capitoli spaiati presi qua e là.

Chi invece si dispiace di "rovinarsi" in questo modo le sorprese che puo' riservare una storia ben architettata, si rassegni e rinunci all' alta letteratura, non è roba per lui. Investa piuttosto il suo tempo altrove, il mondo è pieni di libri di serie B con trame ricche di colpi di scena. Oppure continui a leggere per tutta la vita "I Miserabili"... per vedere "come va a finire" (ogni riferimento è casuale).

***

La Sara è musicista diplomata, spesso si esibisce in concerti come cantante e, in più, insegna musica ai bambini.

Eppure, in casa nostra, l' appassionato di musica sono io, nessuno lo contesta.

Come mai?

La musica fa parte a pieno titolo della cultura, e, nel mondo dell' abbondanza culturale, senza un buon "economista interiore" in grado di produrre la triade non vai da nessuna parte.

Se devi fare un concerto ci vuole poco per foraggiare il "Fattore-Io": sei già fisicamente al centro della scena.

Anche qundo la musica la devi insegnare tutto è facilitato: il "Fattore Io" è addirittura in cattedra.

La Sara, per esempio, non suona mai il flauto traverso, lo strumento in cui si è diplomata e che giace impolverato nelle custodie; non deve fare concerti con quello, non deve insegnarlo in classe. Che senso avrebbe sfoderarlo visto che non ci sono impegni in vista? Poichè il suo "Fattore Io" non è coinvolto in alcun modo, il suo interesse scema.

Per me le cose sono andate in modo dverso.

Da piccolo ascoltavo non so più quali canzoni e viaggiavo con la mente, mi pensavo protagonista di storie fantastiche che avevano per colonna sonora quella musica. Insomma, il giradischi suonava e io facevo tanti sogni ad occhi aperti.

Ho sempre valutato questo fatto pensando che la musica stimolasse l' attività onirica, il che è senz' altro vero; ma la cosa più interessante, e l' ho scoperto dopo, era in realtà un' altra: la mia capacità di sognare stimolava il mio interesse per la musica.

Quei primi sogni ad occhi aperti mi hanno fatto appassionare e nel corso del tempo ho investito molto in questa passione mettendo a punto altri trucchi per alimentarla.

Affinchè la Sara si scaldi per la musica occorre la prospettiva di avere un pubblico davanti, o una classe di bambini. A me basta molto meno, ho impasrato a vivificare il mio narcisismo in ambienti più spogli: la mia cameretta.

Notiamo per favore una cosa: davanti ad una platea o davanti ad una classe ci passi 1/1000 della tua vita, ma in ambienti poco stimolanti come la tua cameretta ci passi 1/40 della tua vita.

Avete capito adesso perchè in famiglia l' appassionato di musica sono io? Perchè la mia passione viene fuori in qualsiasi momento e tutti i giorni, non abbisogna certo che ci sia un "concerto in vista".

Nel frattempo le tecniche elaborate dal mio economista interiore si sono un po' raffinate, gli ingenui "sogni ad occhi aperti" hanno ceduto il passo ad altro.

Faccio solo degli esempi: non ho mai ascoltato ed approfondito tanto Mozart come da quando ho deciso che si tratta di un compositore sopravvalutato.

Raccolgo prove a sostegno di questa tesi che chiama in causa il mio "Fattore Io" e le cerco avidamente mentre ascolto musica. Anche per questo, in genere, ascolto la musica con interesse ed attenzione, soprattutto Mozart che è diventata una mia priorità. Anche se non ho in programma alcun concerto ho pur sempre questa opinione da sostenere e difendere. La mi opinione è molto più "maneggevole" di un concerto, ce l' ho sempre con me in ogni luogo cosicchè il mio "Fattore Io" è sempre sollecitato a produrre attenzione per la musica.

Concluderei dicendo che il timore reverenziale è dannoso quando si vuole produrre interesse. Una cultura di mostri sacri diventa subito scolastica e "scuola" è spesso sinonimo di "noia".

Il trucco ha funzionato anche con le correnti del minimalismo americano, proprio non riuscivo a digerire quella patina. Alla fine si puo' ben dire che conosca meglio la musica di cui diffido rispetto a quella in cui, in teoria, mi identifico.

Anche un po' di filosofia non guasta: costruiamo una nostra personale estetica portatile della musica. Ogni esecuzione diventa una sfida poichè siamo chiamati a spiegare quella musica sulla base di una visione personale.

Inutile dire che io coltivo una filosofia della musica, la Sara assolutamente no, si limita a provare per il concerto.

Un altro trucco consiste nell' adottare questo dogma: in ogni musica c' è del buono e del cattivo.

Cosa c' è di cattivo in Bach? Non esci da questa stanza finchè non me lo dici in modo convinto. Per scoprirlo devi ascoltare, e probabilmente lo ascolterai come non lo avevi mai ascoltato primae.

Ma, per rispondere alla domanda, ascolterai con attenzione anche musiche che senti lontane: il raga, il raggea, il gamelan balinese, l' afro-pop, la musica rinascimentale, la jungle...

La catalogazione delle collezioni puo' essere un modo per mettere a nostra disposizioni quantità rilevanti di "attenzione" e "interesse" per la cultura.

La catalogazione della propria collezione musicale è importante. La Sara ha sempre messo via in ordine alfabetico (ha una gran fretta di fare ordine).

Ricordo che in passato scelsi di ordinare la collezione per "genealogie".

Non è semplice, innanzitutto si richiede di individuare una serie di autori che costituiscano il "canone fondamentale" e che con il loro stile abbiano chiaramente influenzato una genia di musicisti a venire.

Facciamo il caso dei pianisti Jazz. Fats Waller, Art tatum, Thelonious Monk, Bill Evans, Bud Powell, Cecil Taylor, Misha Mengelberg potrebbero costituire "il canone" genealogico.

Ma se ascolto un disco di Muhal Richard Abrams, poi dove lo metto? Forse tra i Tayloriani? Ma non facciamo ridere i polli! Dopo indagini diligenti si scoprirà che Muhal merita a pieno titolo di entrare nel canone.

Stabilire il canone, stabilire se Muhal merita un posto nel canone, stabilire se Tizio sia o meno un "evansiano", richiede un ascolto attento, e spesso anche un riascolto. la sistemazione della Nostra collezione produce dunque "attenzione" solleticando il nostro "Fattore Io".

Altro che ordine alfabetico.

L' ascolto al buio è un altro trucco che funziona: il suono deve arrivare senza preavviso, sono io che mi auto-annunciare la musica risalendo all' autore!

Venticinque anni fa non c' erano funzioni random: ricordo il mio povero fratellino schiavizzato e costretto a pescare a caso tra i vinili un ellepì da mettere poi sul giradischi stando ben attenti a collocare il braccio in modo casuale (l' avevo persino bacchettato perchè tendeva a scegliere sempre la parte centrale). Nel frattempo io giacevo bendato concentrandomi per la prova.

Bisogna ingegnarsi, o si finisce puntualmente a concerti in cui la fine ha tutta l' aria di un sollievo. Con L' Oro del Reno ce la si puo' fare ma il Crepuscolo degli Dei è una mazzata che farebbe sprofondare l' attenzione di chiunque.

***

Tylor Cowen è prodigo di consigli geniali su come andare la Museo senza farsi venire le "gambe da Museo" dopo due sale.

Cowen ci mette sul chi vive: l' economista dell' anima qui trova pane per i suoi denti, i Musei vivono di sovvenzioni, cosicchè pensano a tutto tranne che a facilitare la vita dei vivsitatori.

In più la grande arte non è appropriabile, un duro colpo per il nostro "Io" che si puo' consolare giusto con qualche riproduzione ingombrante e, di solito, pessima. Oppure con ponderosi cataloghi, comunque costosi.

Io, devo ammetterlo, non sono ancora riuscito a domare una bestia furiosa come quella del Museo. L' idea di andare in un museo non mi elettrizza quasi mai.

Preferisco andarci da solo perchè so che cercherò di affaticarmi poco guardando pochi quadri e la cosa appare ai più stravagante.

Cerco di non leggere mai nessun tipo di targhetta, titoli compresi.

A volte, se ci sono venti sale, mi obbligo a visitarne tre scelte a caso.

Evito accuratamente di informarmi in loco, mi limito a "vedere". Informarsi a casa invece sarebbe buona cosa.

In passato, per ogni sala vista, sceglievo il quadro migliore. Ora scelgo il peggiore, è più stimolante.

Faccio interminabili soste sui divanetti, mi sparo tutti gli audiovisivi. Anche due volte.

Se la mostra presenta un capolavoro, a volte mi limito a quello.

Tyler consiglia di pensare alla possibilità di portarsi a casa un quadro, magari rubandolo. Questo mette in campo sia il nostro gusto estetico che i vincoli di arredamento. Sono d' accordo con lui: è dura trarre piacere dalla visita ad un Museo senza la capacità di sognare ad occhi aperti.

La visita al Museo non mi ha mai arrichito ma puo' essere un buon pretesto per "pensare all' arte", e a volte qualcosa di buono ne esce. Sono pensieri che potrei fare al gabinetto ma, ripeto, questo genere di attività richiede quasi sempre un pretesto, e la visita al museo puo' offrirlo.

Purtroppo o per fortuna, per pensare un po' di più bisogna guardare un po' di meno e per guardare un po' meno in un Museo c' è bisogno di grande autocontrollo.

***

L' alcolista non vorrebbe bere, eppure beve. Il drogato non vorrebbe farsi, eppure si fa.

Chi compra un libro, finchè è in libreria, nutre un sincero interesse. A casa spesso le cose cambiano e il feeling con il mattone che ci siamo trascinati tra le mura domestiche spesso muta.

Eppure l' economia ci dice che alcolisti e drogati sono persone razionali.

Basta considerarle come esseri abitati da due individui: la prima non vuole bere, la seconda sì. Mercanteggiano in base al proprio potere negoziale e all' intensità delle voglie fino a che non raggiungono un accordo. Di solito ci si fa un goccetto.

A prescindere dall' intensità del desiderio, spesso uno dei due dispone di trucchetti più efficienti per negoziare. Ovvero, dispone di una mente economica più brillante.

Se noi tra quelle due vogliamo avvantaggiare chi "vuole smettere", forniamogli una consulenza economica, visto che sull' entità dei desideri non abbiamo potere.

Allo stesso modo l' economista dell' anima fornisce alla persona che vuole acculturarsi il modo migliore per farlo sconfiggendo con una serie di trucchetti il Mr. Hyde che è in lui e che si presenterà puntualmente per posizionare l' incelofanato dvd della Corazzata Potionkin nel ripiano più alto fuori da ogni "tentazione culturale".

L' economia ha da dirci qualcosa ovunque ci siano mercati. E ci sono mercati ovunque, soprattutto dentro di noi.

lunedì 23 agosto 2010

Chiuso!

Sono con il naso tra le sbarre del cancello chiuso di Villa Banfi, il parco, bello ma cadente, è chiuso, non si puo' entrare, niente passeggiata cara Marghe!

Non mi meraviglio, il vezzo di consentire l' accesso gratuito nei parchi pubblici fa sì che molti spazi verdi non vengano mai riattati e i pochi rimasti versino in cattive condizioni.

Maledetta mania del gratuito! Le risorse bruciate da questo cattivo costume sono immense in tutti i campi. Viene quasi da chiedersi dove lo spreco sia massimo per indicarlo al pubblico ludibrio.

Si tratta comunque di sprechi invisibili, meglio non contare molto sulla loro denuncia.

In cima alla lista sta comunque il free parking. Eh sì, sembra impossibile ma girando per le città esistono ancora dei parcheggi gratuiti!

Fanno un gran baccano con il riscaldamento globale, la congestione viaria, e poi...

Ancora qualche fonte (link - link).

Ma non spero molto nella resipiscenza dei governanti, come novelli Caligola amano far cadere i fregugli dalla loro tavola e godono al vedere la ridda dei cani baneficiati che accorrono per contendersi e spolpare il maledetto "gratuito".

PAY & SIT: the private bench (HD) from Fabian Brunsing on Vimeo.

mercoledì 23 giugno 2010

Prima traccia

Alla prova di maturità avrei fatto il tema sugli UFO. Wow, che sballo.

Il paradosso di Fermi mi affascina: visto il numero di pianeti disponibili ad accogliere la vita, la probabilità di civiltà più avanzate della nostra è alta (equazione di Drake), anche lanciare segnali nell' universo è relativamente facile. Dove sono dunque "loro"?

Se non si mostrano, dice qualche Cassandra, è segno che le civiltà più avanzate della nostra collassano. Cio' risolve il paradosso e in più prevede anche il nostro destino.

Ma Cowen "risolve" in altro modo: una civiltà più avanzata della nostra tende all' introversione piuttosto che all' estroversione.

Anche per questo diventa via via meno interessata a proiettare segnali all' esterno.

Ma guardiamoci adosso: non siamo già tutti con la testa nel pc anzichè al cielo.

La "tendenza" è plausibile e il processo è definibile con sfumature differenti.

Connotazione negativa: le civiltà più avanzate diventano sempre più autistiche.

Connotazione positiva: le civiltà più avanzate si dedicano alla vita interiore.

Per me entrambe le definizioni sono positive: dell' autistico prendiamo il buono.

Ecco risolto il paradosso di Fermi senza dover introdurre apocalissi sanguinolente.

Qualcuno ha voglia di svolgere gli altri temi?

sabato 12 giugno 2010

Realtà virtuali

Il teologo Mancuso ci raccomanda di vivere una vita “autentica”. A quanto pare l’ autenticità è una qualità che non trova critici.

Ma Mancuso è un teologo, e per lo più un teologo europeo, leggere il suo libro non ci fa capire molto bene perché mai l’ autenticità è per noi tanto preziosa. Meglio rivolgersi a qualche filosofo anglosassone, meglio ancora se americano.

Soccorre allora Robert Nozick, forse il più noto difensore dell’ autenticità.

Nozick si è inventato la macchina dell’ esperienza, uno strumento immaginario in grado di farvi provare l’ esperienza che volete voi: vivere vite da eroi, avere mille donne, visitare il Grand Canyon... una volta che la macchina sarà accesa, tutto vi sembrerà reale, non vedrete più la squallida stanzetta dove invece siete seduti.

Nozick ora ci chiede, volete “vivere” o volete che vi attacchi alla macchina? E noi tutti in coro, VIVERE!

Ecco dimostrato l’ alto valore che diamo all’ AUTENTICITA’.

Cowen dice che la conclusione è viziata dall’ alternativa secca: la vita o la macchina. In realtà lui, Cowen, si attacca regolarmente ad una macchina del genere, la chiama MENTE e i suoi viaggi sono le fantasie e gli autoinganni con cui si intrattiene. Insomma, la sua vita interiore.

Ma questo non è tutto, si puo’ persino dimostrare che questo genere di " autoinganni" sono utili a noi e agli altri. L’ umanità ha fatto grandi conquiste grazie ad essi.

Neanche l' autenticità puo' essere santificata, bisogna piuttosto scegliere una miscela giusta tra autenticità e fantasia, tra realtà esterna e vita interiore. E’ una scelta economica ed è studiata dagli economisti della mente.

--------------

Se tento di difendere la “rete” presso i miei amici di tendenze religiose, sento scetticismo: sono afflitti dal mito dell’ autenticità (come il teologo Mancuso) e disprezzano la "realtà virtuale".

La “realtà virtuale” è uno spauracchio, cosicché ho cominciato a parlare di “realtà mentale”. In fondo è facile travasare il primo concetto (odiato) nel secondo (forse più rispettato). Ma anche “realtà mentale” ha un sapore di medicamento e di patologia.

Ora proverò a proporre “realtà spirituale”. Il "travaso" è ancora possibile e conto molto su questa innovazione lessicale.

giovedì 10 giugno 2010

Le canizie di Don Giovanni

Poche opere come il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte riescono ad esprimere una vasta gamma di emozioni: dalla tragedia all' umorismo, dall' amore al sublime e tante altre.

Rappresenta cio' che c' è di più potente nel canone occidentale.

Oggi difficilmente vedremo mai tanta ricchezza in una singola opera d' arte e il motivo è evidente: l' estrema facilità di accesso ad una moltitudine di opere ci consente di prelevare il meglio da ciascuna di esse.

Il lavoro di "concentrazione" non spetta all' artista, siamo ormai in salvo da questo genere di sprechi: è come se il pizzaiolo decidesse per noi la pizza che ci tocca... che incubo!

L' ascolto del Don Giovanni richiede ore, un tempo interminabile e difficilmente immune da sprechi. La cosa proccupa chi vuole godere della bellezza in modo efficiente. Molti ormai preferiscono, per esempio, assemblare e concentrarsi sui vertici del Don Giovanni, magari accostandoli e confrontandoli con altri vertici operistici altrove reperiti.

Il taglia e cuci è d' obbligo quando si ha a che fare con l' Opera lirica, una realizzazione del passato che presa com' è mostra tutti i suoi limiti.

Quando ascolto musica sinfonica o da camera del passato, mi capita sempre più spesso di limitarmi ai tempi lenti. La maestosità, la sublime calma, il misticismo di quei frammenti resta insuperato.

Ma se si passa ad altri stati d' animo - furioso, rabbioso, agitato, affaticato, grottesco, patetico, frustrato... - ecco che sono altri generi ed altre musiche in grado di esprimerli più compiutamente e ad esse mi rivolgo per un assemblaggio più efficace ed un' esperienza esteticamente più elevata.

Le mie pretese non sono un capriccio. Anche se richiedono impegno e disponibilità alla fatica, realizzarle non è più così dispendioso vista l' abbondanza infinita di arte ed il facile accesso che oggi ci viene offerto.

Sarebbe ingenuo stare fermi senza adeguare i modi d' incontrare la bellezza quando fuori dalla nostra porticina tutto si è rivoluzionato. Non si tratta quindi di "fare la rivoluzione", si tratta di adeguarsi per cogliere nuove opportunità sorte in seguito ad una rivoluzione che si è prodotta indipendentemente da noi. Una rivoluzione tecnologica prima ancora che artistica.

In fondo anche in questo caso parlo della cultura come playlist: raccogliamo ovunque i mattoncini per costruire la casa della nostra cultura. Una casa su misura che sarà inevitabilmente diversa da tutte le altre.

Ciascuno vede la superiorità di una sartoria su misura rispetto a quella standard dei supermercati.

mercoledì 9 giugno 2010

La cultura come playlist

Per parlare di "cultura" (musica, libri, arte), partiamo da tre considerazioni:

1) Oggi la cultura è molto più accessibile, a pochi "clic" mondi meravigliosi si aprono e tutta la bellezza prodotta nella storia dell' umanità ci si riversa addosso.

2) Un tempo i concerti musicali duravano anche cinque o sei ore per compensare i lunghi viaggi degli ascoltatori. Oggi autoassembliamo la nostra "dose" di cultura quotidiana pescando all' istante nel florilegio immenso dell' offerta. Imbandiamo su misura il nostro "pasto" quotidiano ordinando minuscoli ma ghiotti "bocconcini" di cultura dalle provenienze più disparate.

3) Molti di noi considerano la cultura contemporanea scadente.

Come fare in modo che le tre affermazioni di cui sopra si armonizzino tra loro in una teoria?





Il teorema Alchian-Allen ci dice che gli australiani consumano vino italiano di qualità mediamente migliore rispetto a quello consumato dagli italiani stessi: per forza, esiste un costo di trasporto che è identico per ogni qualità di vino e che quindi incide meno sui più pregiati.

In epoche passate le occasioni di cultura erano rare, non esistevano "costi di scelta". Oggi invece esistono e sono i medesimi a prescindere dalla scelta finale. In base al teorema Alchian-Allen è lecito pensare che la cultura "consumata" oggi sia mediamente di più alta qualità e che la nostra vita interiore sia dunque più ricca.

Questa familiarità con la cultura fa sì che essa perda gran parte della sua "aurea" e molti scambiano questa de-sacralizzazione con uno scadimento. In merito Tyler Cowen usa una metafora eloquente basata sull' amore matrimoniale.

La cultura del passato è come l' amore a distanza: non intraprendiamo lunghi viaggi per un bacetto. Ogni incontro deve avere la sua messa in scena adeguata per non deludere le aspettative: grandi discorsi, notti infuocate, pranzi a lume di candela. Insomma, un amore del genere spinge al "pompaggio".

La cultura di oggi assomiglia invece al matrimonio: dal di fuori spicca il tran tran, non sempre il sesso è appassionato, a volte vi beccherete del cibo in scatola, i piatti sporchi riempiono il lavandino e il prato vi guarda ogni sera perchè vuole essere falciato, eppure, anche se da fuori non tutto apparirà splendido, anche se è faticoso assemblare i mattoncini (playlist) con cui costruire questo genere di amore, vi assicuro che in molti casi la coppia ha una vita interiore più che soddisfacente.

Il matrimonio probabilmente è meglio delle relazioni a distanza, così esposte all' ipocrisia della retorica; anche le scienze sociali confermano che le persone sposate sono anche più appagate.

Per la stessa ragione la vita culturale contemporanea probabilmente è migliore di quella passata.

**********

Incidentalmente entriamo ogni giorno in contatto con la cultura più disparata, cosa mai successa nella storia. Mike Patton ha ascoltato per caso su internet l' assurdo rock italiano degli anni sessanta e se ne è innamorato al punto di omaggiarlo in Mondo Cane. Poichè, secondo lo spirito dei tempi, non vale la pena di ascoltare l' intero disco, prendiamone solo un bocconcino prelibato: l' improbabile e imperdibile Urlo Negro.

lo sai che cosa hai fatto? a me!!
lo sai che cosa hai fatto? a me!!
non farti più vedere!! da me!!
non meriti più niente!! da me!!

Ti odierò finchè il Signore non mi porterà con sè...
non voglio più un padrone per raccogliere caffè


martedì 8 giugno 2010

Il segreto della musica atonale

La malattia mentale è descritta e diagnosticata sulla base delle "debolezze" comportamentali di chi ne è affetto, e questo vale anche per l' autismo.

Le "lacune comportamentali" dell' autistico derivano da un "saldo" negativo tra alcune disabilità ed altre abilità.

Già, non bisogna dimenticare che questi malati mostrano anche parecchie abilità sorprendenti e sopra la media.

Sono persone "informivore", con spiccata abilità nell' incontrare e schematizzare l' informazione caotica. Purtroppo sono prive di "filtri" in grado di orientare e limitare il loro incessante lavorio: noi non abbiamo bisogno della loro enorme capacità tassonomica visto che siamo in grado di scremare gran parte del superfluo, magari sfruttando attraverso la nostra "soacialità" il lavoro altrui.

Come un Sisifo l' autistico spinge il masso sulla cima del monte, ogni volta il masso rotola giù e deve ricominciare. E' un tormento penoso. Noi, per fortuna, siamo in grado di vedere come stanno le cose e ci riparmiamo l' inane fatica. Bene. Purchè sia chiaro che non avremo mai i muscoli di Sisifo.

Mia mamma è vissuta in un altro pianeta. E' un pianeta lontano nel tempo più che nello spazio. Lontano decine d' anni. In quel pianeta si "risparmiava" su tutto, sul cibo, sui vestiti e anche sull' informazione. Con una "Domenica del Corriere" tiravi avanti un mese. Si investiva invece molto nella conservazione e nella custodia. I sacrifici erano tanti ma si sapeva bene la direzione da percorrere: produrre e risparmiare.

Nel nostro pianeta le cose si sono rovesciate, almeno per cio' che riguarda la risorsa chiave dell' informazione. Ogni giorno una valanga di "informazioni" (musica, libri, cultura, tele, facebook, twitter, concerti, wikipedia...) ci travolge e ci disorienta. Il mondo di fronte a noi è caotico, non dobbiamo conservare cio' che abbiamo in tasca (facile!), dobbiamo eliminare (difficilissimo). Ma cosa?

Ecco, di fronte al mare della complessità siamo nella condizione in cui l' autistico si trova ogni giorno, non sappiamo bene da dove iniziare. In più non possediamo nemmeno le sue doti avendo da sempre abitato un vecchio pianeta dove ordinare il caos non era così necessario, in gran parte qualcuno lo aveva già fatto per noi.

Non è dunque una coincidenza se nella società contemporanea tra i casi di successo spiccano parecchie personalità con tratti chiaramente quando non dichiaratamente autistici.

Nel suo ultimo libro Tylor Cowen raccoglie questo genere di storie. La sindrome di Asperger fa soffrire molti ma fortunatamente il mondo contemporaneo è andato incontro a questi disabili al punto che alcuni di loro godono oggi di uno status notevole e inaspettato.

Se la luce si fosse oscurata i ciechi avrebbero avuto opportunità inattese. Invece è arrivata la rete, e sono gli autistici a sperare.

Tra le molte storie, Tyler (economista della cultura) ce ne racconta una che ci parla della "musica contemporanea". L' argomento mi interessa.

Quando all' inizio del secolo scorso Schoenberg e Webern presentarono le loro prime composizioni atonali ci fu un certo interesse ma anche un rifiuto istintivo per quelle partiture. Si disse che dovevano maturare i tempi, in fondo anche Mozart e Chopin furono dapprima ostracizzati. Ora, un secolo e mezzo dopo, i tempi dovrebbero essere stramaturi, eppure la sgradevolezza di quei suoni permane. A cosa si deve questo persistente rifiuto generalizzato?

Probabilmente è di ordine neurologico: la nostra fisiologia incontra male quel genere di realtà sonora.

La "nostra" fisiologia? Già, la "nostra", perchè gli "altri" invece godono e si rilassano con la musica atonale.

Gli "altri" in questo caso sono le persone con tendenze caratteriali autistiche. La loro particolare capacità di ordinare i suoni caotici fa considerare loro più stimolante il caos di una musica seriale senza alcun punto di riferimento nella storia e nella tradizione rispetto al "noioso" ancoraggio dell' ordine tonale.

Ecco l' esempio di una disabilità miracolosamente trasformatasi in abilità.

Ne volete un altro? Andy Wahrol ha trasformato in oggetto artistico la scatola del lucido "Brillo". Anche Duchamp ha divelto un orinatoio per esporlo al museo. Prima di lui veniva usato, dopo di lui veniva ammirato. Ma come è avvenuto questo passaggio?

Nel suo famoso saggio Arthur Danto spiega il procedimento: si tratta di creare un contesto culturale e sociale appropriato, in fondo è anche il contorno che realizza l' arte, in questo caso è solo il contorno.

Ma Danto non spiega quanto deve essere ampio il contesto necessario alla trasfigurazione: deve includere un intero Paese? Basta un gruppo di persone? Basta... una persona sola?

Una persona con tratti autistici, grazie alle sua abilità/disabilità d' isolamento e concentrazione, è la persona ideale per creare esclusivamente su di sè un "contesto" appropriato che le consenta di fare esperienze estetiche con qualsiasi "ready made" incontrato per strada. Non ci meraviglia quindi che l' autistico Hugo Lamoureux racconti di aver ammirato per giorni il bulldozer che distruggeva l' edificio di fronte a casa sua con l' emozione estetica riservata di solito ai capolavori di Van Gogh.

Queste storielle non sono aneddoti singolari, parecchie ricerche confermano una sensibilità maggiore degli autistici all' arte, specie a quella contemporanea. Non solo, in quei mondi sempre più spesso diventano costoro diretti protagonisti e riscuotono successo.

Morale: se veramente vogliamo parlare dell' autismo come di una piaga, allora dovremo continuare a ridefinirlo in modo da escludere via via tutti gli autistici di successo che ci capiterà di incontrare nella rete e nell' arte. Cowen ci dice che il lavoro diagnostico diverrebbe sempre più improbo.


Molti consigliarono al Nobel Kenzaburo Oe di sopprimere suo figlio, in effetti Hikari naque mezzo cieco, scoordinato e autistico. Oggi, sebbene non potrebbe mai vivere da solo, Hikari Oe individua la composizione mozartiana (sono oltre 600) che sta ascoltando dalle prime tre note, è un compositore di fama e una star assoluta in giappone. La sua musica è facile ma molti la odiano, per esempio il critico Jamie >James: "... odio questa musica... la trovo assolutamente sospetta... mi sembra priva di ogni contenuto emotivo... è come scritta da uno schizofrenico che cerca di imitare la situazione emozionale di una persona normale... non c' è nulla di autentico... non c' è alcuna sorpresa..."

giovedì 18 marzo 2010

Storia della Musica in Soldoni

La Musica è quella Occidentale e i Soldoni sono quelli sonanti, non abbiamo tempo per le metafore.

Iniziamo saltando l' inizio, chi vuole se lo puo' ascoltare.



Dopo la falsa partenza, partiamo sul serio.

La Musica nasce con il Capitalismo. Anche il luogo è il medesimo: Francia del Nord, Paesi Bassi.

C' è bisogno di carta e di stampa per buttar giù le note, solo una società ricca e innovativa se la puo' permettere.

Purtroppo la Musica, diversamente dalla Pittura, non fu da subito un bene privatizzabile. Cio' fece del musicista uno straccione. Monteverdi, dopo 20 anni di onorato servizio a Mantova, se ne andò che aveva ancora le pezze al culo. Intanto i suoi amici con il pennello in mano se la tiravano.

La grande risorsa del musicista erano i piedi. Dove le distanze tra una corte e l' altra si accorciavano, il musico prosperava.

Nei Paesi frammentati le distanze erano brevi, in Germania massimamente brevi, in più nel frattempo era arrivato il capitalismo. Bach cambiò non so più quanti padroni, c' era sempre qualcosa che non andava e poteva farlo.

A Lubecca i bottegai già organizzavano i primi concerti pubblici, gli organi e la musica venivano trascinati fuori dalle Chiese. Il musico benedice l' iniziativa e passa all' incasso salutando benevolo questa nuova fonte d' introito.

Principi, concerti e commissioni private: comincia la bella vita.

Le nazioni che non producono talenti se li comprano: l' Inghilterra si compra Haydn e Handel. Ad Haydn viene chesto come mai non avesse composto quintetti, rispose il milionario: "nessuno me l' ha chiesto".

Il cattolicesimo porta gaiezza nei costumi e il capitalismo ricchezza negli averi. Dove la concentrazione di cattolicesimo e capitalismo è massima fiorisce anche la musica. Nasce l' opera italiana.

In Francia la musica è cosa per burocrati di stato. I burocrati sono prevedibili, si organizzano sempre alla stessa maniera, una bella piramide e via. Sul vertice della piramide ci piazzarono Lully, si suonava solo roba sua o dei suoi favoriti. Conseguenze: Venezia metteva in scena una dozzina di opere all' anno, la Francia una, del solito di Lully.

Ma cattolicesimo e capitalismo c' erano anche a Vienna, ecco spiegato Mozart, un compositore benestante che ebbe qualche problema economico solo quando scoppiò la guerra con i turchi e si ammalò tutta la famiglia di botto (che sfiga). Morì comunque vagliando offerte che gli venivano un po' dappertutto (Londra, Russia, Amsterdam, Ungheria).

Bach al suo Principe: "alla Vostra esaltante, magnanima e sublime Altezza dal vostro umile schiavo...". Beethoven al suo "... senta se le va bene è così, ci sono 100 principi e un solo Beethoven".

Affianco di commissioni e concerti, arriva il copyright. Si era capito?

L' Ottocento è per l' artista un secolo all' insegna della libertà creativa. Beethoven, con gli ultimi quartetti, tenta di liberarsi anche degli ascoltatori inaugurando la separazione tra musica alta e musica bassa. Sarà Brahms a perfezionarla scrivendo roba talmente astrusa che - scandalo! - non poteva essere eseguita in casa. Schoenberg e Stranvisky, seguendo il solco, evacuano diverse sale da concerto e Cage siglerà il tutto dicendo: "se qualcuno accetta la mia musica, è segno che devo spingermi oltre".

Ma ci sono anche i revival bachiani di Mendelssohn, mai nessuna epoca aveva suonato la musica del passato.

Rivoluzione: il novecento porta radio e dischi. Rivoluzione: la musica si trasforma. Prima era fatta di suoni, ora diventa una performance. Non sarà più quella di prima.



Mi piace quella canzone di Iggy Pop, ma deve essere lui ad inscenarla/cantarla. Non ha senso che io la riproduca strimpellando la mia chitarra, non ha senso avere la partitura, non ha senso ascoltare una cover band. Voglio lui! Non si celebrano messe senza sacerdoti.

Solo radio e dischi mi danno "lui".

Il 90% della musica classica diffusa oggi da Radio e Dischi è stata scritta nel passato. Ma non ingannatevi, spesso è musica contemporanea. Gould che suona Gibbons non è barocco, è musica contemporanea.

La "scelta artistica" per eccellenza non è più la scelta compositiva. Diventa centrale invece la "scelta interpretativa", "la scelta strumentale" (Gardiner, Harnoncourt)... Il capitalismo è performance, l' avete capito o no?

Rivoluzione: la musica non è più suono, è performance. Coltrane o Parker, pescano dal bussolotto cosa suonare stasera, e a noi va benone, cio' che non conta puo' ben essere casuale, non siamo interessati a quello, siamo interessati a Coltrane e Parker che si "esibiscono" evocando lo spirito della loro grande arte.

Intanto tutto è accessibile schioccando le dita, e al negozio di Cocquio Trevisago ritrovo oscuri compositori come Pousser, Aho, Scelsi....

Rivoluzione: nel novecento uno strumento s' impone su tutti: lo studio di registrazione.

Come potrà mai giudicare chi ascolta senza avere un' idea di come suona questo strumento? I Beatles compongono in fretta e furia le canzoni di Sgt. Pepper's, poi spendono 40.000 sterline per registrarlo fondendo 700 ore di nastro. Il 20% dell' arte sta nella prima operazione, l' 80% nella seconda. Nel doppio bianco si passa al rapporto 10/90.

Milton Babbit scrive il manifesto: "Composer as specialist". Intanto Ligeti scrive canoni per 56 voci con "virtuosismi compositivi" inauditi e inudibili. Microtoni e cluster sono il pane quotidiano. Con l' elettronica si andrà oltre. Con il rumore ancora oltre.

Conosciamo bene la legge che domina la società capitalista: divisione del lavoro. Il compositore ha una perizia con cui domina partiture che fanno sembrare rudimentali i grandi capolavori del passato.

L' esito è elitario? Poco male: se la diffusione è a costo zero e il mercato vasto, c' è una nicchia per tutti.

Allam Bloom si lamenta: la musica di oggi è nichilista.

La musica del capitalismo parla di libertà, anticonformismo e scetticismo verso l' autorità. Nazisti e Sovietici spingevano a manetta Bach, Mozart e Beethoven, ma si guardavano bene dal rock e dal jazz, la colonna sonora del capitale. Come il Savonarola, che osteggiava la grande pittura del suo tempo, in fondo avevano fiuto.