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venerdì 21 ottobre 2011

La Vergine delle pernici ci benedice con gli occhi

Andrej Sokurov – Arca russa

Come visitare un museo in epoche come la nostra in cui tutto scarseggia (tempo, calma, concentrazione…) tranne la materia prima?: nessuno puo’ accusarci di aver trascurato la questione, ma ora urge appendice.

L’ Hermitage, autentico cratere che erutta bellezza e ribolle genio, puo’ essere visitato, per esempio, imbarcandosi sul caparbio piano sequenza del regista russo Andrej Sokurov. Sarà una crociera indimenticabile.

Primo consiglio: convertirsi prima di obliterare l biglietto.

Com’ è mai possibile camminare con profitto in un museo europeo senza farsi cattolici almeno per il tempo della visita?

Secondo consiglio: assumere un tono elitario.

Dovete fare dello sfarzo un bisogno primario e del lusso un elemento di sostentamento. Inorridite all’ eguaglianza e tenete sempre il naso arricciato e all’ insù ostentando trascuratezza per la formicolante e maleodorante plebe che si agita epilettica ai vostri piedi. A ogni europeo la cosa dovrebbe risultare facile, non si tratta in fondo di democratici che di notte rimpiangono la monarchia? Non si tratta di umanità che sogna un mondo rallentato da riposanti rituali tonificatori dell’ animo, un mondo dove ci si sapeva prendere il tempo per salutare, pranzare, chiedere scusa (nel video sotto le scuse dello scià di Persia allo Zar), lodare, morire…

Senonché, percorrendo i saloni del museo di Pietroburgo, il passato ci frana addosso da ogni lato rischiando di polverizzare le chimere, anche se ci siamo immunizzati iniettando fede e sangue blu nelle vene. Soccorre a questo punto l’ amico Sokurov. Sotto la preziosa egida del Maestro, l’ inevitabile elemento dispersivo di queste rassegne eteroclite (fonte di tanto malessere per un visitatore che - ancora contaminato dallo scrupolo pedante di secoli lunghi e lenti – pensa più a cio’ che perde che a cio’ che degusta) si trasforma in levità che rigenera lo spirito.

Con lui abbiamo l’ impressione di non perderci più niente, nemmeno i famosi gatti dell’ Hermitage. Siamo api laboriose che svolazzano da un fiore all’ altro cariche di nettare.

Non male il cambio di registro per un autore segnalatosi in precedenza come esperto nell’ imbalsamazione.

Evidentemente la sua tavolozza è estesa e consente di attingere colori molto differenti tra loro.

L’ indolenza slava, poi, è un toccasana per surfare sulla bellezza (quando è troppa), per schivare la pesantezza dei capolavori che incombono da ogni parte. Dovete pensare che un odore d’ olio e di cornici - fonte di nobili emicranie - ammorba chilometrici corridoi privi di piazzole e valvole di sfogo: mai una banalità, una pausa pubblicitaria, un mikebongiorno… sempre in vetta, sempre in vetta con il respiratore artificiale.

Fortunatamente, il nostro duce è maestro nel “compensare”: alla bellezza stagnante del museo si contrappone il petulante brio dei dialoghi ondivaghi che si intersecano su più piani, una vera polifonia del pettegolezzo punteggiata da splendide allucinazioni sonore quanto mai pertinenti: pianoforti, orchestre, cembali… sempre con la madre Russia sullo sfondo.

E’ un trionfo del flusso e del deflusso (vedi scena finale: l’ uscita dal ballo), un apoteosi dell’ amalgama, siamo tutti coinvolti in un avvolgente abbraccio rubensiano, e a una grassa pennellata rubensiana assomiglia anche il piano sequenza su cui stiamo in arcione dall’ inizio alla fine (battuti tutti i record!).

Come se da dietro le quinte una Vergine delle pernici mettesse in comunione tutto cio’ che addocchia.

madonna

Spente le luci della ribalta, rientriamo poi mesti nei nostri alloggi seriali, Un dubbio ci assale: siamo stati esposti alla bellezza o alla rappresentazione della bellezza? Lasciamo al filosofo perdigiorno, protagonista del film, il compito di dipanare la matassa; ora meglio appisolarsi alla svelta, il telefonino vibrerà alle 6.38 e - in questo mondo di scarsità da cui la Vergine troppo spesso distoglie lo sguardo - ho i minuti contati per raggiungere il diretto delle 7.22 al terzo binario. Ci sarà il solito sciopero del Venerdì?

venerdì 15 luglio 2011

In un mondo senza elettricità

Alexander Sokurov – Oriental Elegy

Una foglia qualsiasi cade all’ improvviso in un autunno qualsiasi.

Ma non abbastanza da sorprendere Sokurov, che la filma.

Era lì, appostato da anni ad attendere l’ evento.

Forse questo aneddoto/haiku inventato sui due piedi rende in qualche modo la poetica del siberiano.

Nel mondo del grande schermo sono in molti a diffidare della lentezza. Non Sokurov, che anela all’ immobilità.

La sua immagine cinematografica sospira di nostalgia ricordando i bei tempi in cui era solo una fotografia. Ora puo’ permettersi solo certe sfumature seppia ma per il resto le tocca di malavoglia fluire nel tempo.

L’ immobilità pura infatti non esiste e Sukorov, armato di una pietas infinita e di un occhio scrutatore particolarmente indiscreto, si dedica anima e corpo alle impurità che screziano di continuo un silenzio che non sta mai zitto.

Puo’ essere il maestoso incedere delle nebbie come la strascicata deambulazione dell’ ottuagenario, qualsiasi fenomeno in grado di dilatare i ritmi guadagna presto l’ attenzione meritandosi una delle sue proverbiali cornici.

Entriamo in un mondo senza elettricità tagliato da luci caravaggesche che sembrano rasoiate (il miope in platea continua a mettere e togliere gli occhiali); anzi, direi meglio che sembra di calarsi in una tela di Rothko: non si cerca una storia da raccontare, piuttosto uno spazio da abitare.

rot

L’ unità di tempo è rispettata come un dogma di fede, anche quando si documenta la cottura del riso.

Chi sono i protagonisti?

Innanzitutto un ruolo fondamentale spetta allo scricchiolio del parquet, ma se la deve vedere con una ruga particolarmente espressiva collocata sulla fronte della vegliarda (la geografia mobile della cute invecchiata è valorizzata a dovere). Anche la nodosità delle artritiche nocche merita una menzione speciale. L’ idraulica della deglutizione è sottoposta a peritosa indagine grazie ad enormi microfoni pelosi collocati strategicamente. Il tipico taglio oculare della mandorla giapponese non ha più misteri dopo i lunghi piani-sequenza di cui è fatto oggetto.

Manca solo lo sporco nelle orecchie.

Ma tutto puo’ diventare protagonista da un momento all’ altro e non abbiamo la minima idea di dove ci condurrà l’ ennesima infinita dissolvenza del Maestro.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=zwBOHIN79b0]

martedì 6 luglio 2010

Regalmente ridicoli

Il Sole - Alexander Sokurov.

Non è passato molto tempo da quando il mondo occidentale si chiedeva se i giapponesi non fossero davvero la razza superiore che affermavano di essere quando, nella guerra del Pacifico, misero in gionocchio gli USA, la Francia, la Gran Bretagna e i Paesi Bassi. Anche se alla fine vennero sconfitti, la ferocia combattiva dei loro guerrieri era sbalordiva.

Senza pronunciare alcun comando, li comandava un omino chiuso in un palazzo e quasi mai uscito da lì, si trattava dell' incarnazione di Dio in terra: l' Imperatore.

Grazie a dei nati-vecchi come Kaspar Hauser o il Ragazzo Selvaggio, riusciamo a proiettarci alle scaturigini della grammatica, laddove il linguaggio sgorga per la prima volta da non si sa cosa.

Anche questo imperatore è un bambino anziano mai veramente uscito dall' incubatrice del Palazzo Reale. Ad impedrgli di nascere, a tenerlo barricato lì dentro, è il ferreo cerimoniale: ha visto quasi solo zucche inchinate che hanno visto quasi solo il pavimento di Corte.

Ma come passa il suo tempo il dio?

Lo passa acculturandosi, una cultura fiorita nel vuoto pneumatico dell' inesperienza.

Di fronte a questo Dio fattosi carne ci sentiamo come di fronte al campionissimo di Genius, il gioco a quiz per bambini: ammirazione e sfiducia si alternano in noi. Un Gesù bambino coltissimo e mai veramente nato.

Se Dio è tutto, il resto è nulla. Il genocidio di Hiroshima puo' convivere con l' accurata indagine sulle abitudini della Dorilla Convex, abitatrice di corsi d' acqua salmastri nell' alto Giappone.

L' Uomo Dio si reca all' ambasciata dei vincitori per trattare la pace, il breve tragitto in auto percorrendo la Tokio bombardata lo riconosco: è quello del Budda che lascia per la prima volta il suo palazzo per scoprire il male guardando dal finestrino.

Ma il dio nipponico scopre anche i sigari offerti da Mac Arthur e li fuma con la voluttà del ragazzino di terza media che si occulta nei gabinetti.

Gesù scendeva in strada e guardava in faccia i figli di suo padre, anche per questo vestiva alla moda con abiti ricercati che destavano l' ammirazione dei suoi contemporanei; il cristo re dei giapponesi, invece, veste all' occidentale ma con vent' anni di ritardo sulla moda.

Il suo aspetto è ridicolo e regale, risolini ed inchini si alternano al suo passaggio.

Privato della scorta, ridicolmente e regalmente, con l' espressione di Giovanna D' Arco e l' incedere di Charlot, tenta di prendere la porta giusta, quella che lo sottragga alla barbarie di una discussione pratica e lo riconduca al cospetto della Luce di suo Padre, il Sole.

[Peccato, ho cercato a lungo di estrapolare e mettere qua questa scena emblematica di tutto il film, ma il mio dvd deve essere difettoso]

Il film è pesante e non ripaga tutta la fatica. A questo punto preferisco il Sokutov vero, quello ancora più pesante ma che regala rari squarci di spiritualità cinematografica.

Richiesta di chiarimento: ma perchè l' imperatore atteggia continuamente la bocca a quel modo? Boh.