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martedì 2 luglio 2019

L'ECONOMIA E' UNA SCIENZA? (parte 13esima)

L'ECONOMIA E' UNA SCIENZA? (parte 13esima)

A chi sostiene che "l’economia non è una scienza", si risponde che l’economia applica in modo rigoroso il metodo scientifico.

Ma in pochi metterebbero mai in dubbio una cosa del genere. Anzi, sono convinto che tra gli economisti ci siano molti matematici sopraffini e alcuni tra i migliori ricercatori empirici in circolazione.

Ma rispondere in questo modo significa non aver colto l’obiezione, anche una "non-scienza" puo' applicare il metodo scientifico. Ddire che l’economia non è una scienza significa affermare che va soggetta al “bias del lampione”.

[… BIAS DEL LAMPIONE: un ubriaco sta cercando qualcosa sotto un lampione. Ti avvicini a lui: cosa stai facendo? Cerco le chiavi che ho perduto. Dove le hai perdute? In quella stradina buia laggiù. E perché le cerchi qui? Ubriaco: qui c’è luce e si vede molto meglio…]

In altri termini: gli economisti hanno costruito lampioni di prim’ordine, con una luce che consente di vedere tutto nitidamente, tuttavia rischiarano un posto dove non ha molto senso cercare cio' che ci interessa.

venerdì 22 marzo 2019

Pseudo-scienza sarai tu!

Pseudo-scienza sarai tu!

DOVE PROPONGO QUESTA TESI: LA SCIENZA E' TALE SOLO SE NOIOSA
L’economia è una favola scritta al computer o un’ attendibile mappatura dell’interazione sociale?
La sociobiologia è una fantasia nazista o l’ipotesi migliore su piazza?
L’antropologia è più simile a un tarocco o a un algoritmo?
la psicologia? Il compagno di banco di Recalcati è il mago Otelma o Richard Feynman?
Perché tutte queste discipline non sembrano “cumulare” conoscenza? Perché non si evolvono nel consenso tipico che regna tra fisici e chimici? Forse perché i loro adepti sono come gli stregoni che nascono e muoiono con incorporata la medesima dotazione?
Cercherò di non perdere troppo tempo con le astrazioni per concentrarmi su alcune “scienze” specifiche, ovvero quelle che ho appena elencato sopra.
Qui non vorrei ricorrere a concetti analitici per rispondere ma ad un metodo “naturale”. Guardiamo cosa fanno gli scienziati e di cosa si occupano per capire chi sono. In un certo senso utilizzo la scienza per capire se certa pseudo-scienza puo’ essere considerata scienza. Lo so, è un serpente che si morde la coda, ma forse è il meglio che abbiamo a disposizione. 
Ecco allora 60 spunti di riflessione sul tema.
L'immagine può contenere: 2 persone
  1. E’ legittimo attendersi che la conoscenza sia tanto più deviata quanto più è in grado in questo modo di compiacere chi è in una posizione di potere. La conoscenza che ti occorre per far atterrare un missile, tanto per dire, non dovrebbe essere troppo “distorta”, a nessuno interessa procurare un disastro aereo (terroristi islamici a parte). Ecco, l’enorme successo della scienza pura deriva innanzitutto dal fatto di non toccare interessi sensibili.
  2. Legge generale: tanto maggiore è il contenuto sociale di una disciplina, quanto maggiori saranno i pregiudizi che infestano chi la pratica. Si tratta di pregiudizi in buona fede, sia chiaro. Di autoinganni. La medicina contro gli autoinganni trasforma un sapere in un sapere scientifico. Ma non sempre questa medicina esiste.
  3. Se certi saperi avanzano a passo di lumaca spesso si dà la colpa alla “complessità”. In effetti puo’ anche essere che la complessità intrinseca dei fenomeni sociali impedisca un rapido progresso scientifico, ma la fisica moderna è molto complessa e le sue scoperte vengono alla luce ben più rapidamente e con un consenso esteso.
  4. Un’ alternativa alla complessità: le posizioni ideologichepregiudiziali degli studiosi influenzano e bloccano le nuove conoscenze.
  5. Chi ha la precedenza tra giustizia e verità? Ortodossia: occorre ricavare una teoria della giustizia dalla migliore teoria della verità a nostra disposizione.
  6. Il rischio sempre in agguato: il pregiudizio inconscio verso una posizione etica solleciterà pregiudizi cognitivi nell’atto di ricerca della verità.
  7. Esempio di oggetti d’indagine sempre a rischio: a livello micro: matrimonio, famiglia, lavoro; a livello macro: società, guerra, ecc.
  8. Tesi: la scienza deve il suo successo al fatto di disporre di espedienti che eliminano la pratica dell’autoinganno.
  9. Esempio, prendiamo il famoso teorema di Godel, inizia con una serie di definizioni precise.
  10. Nelle scienze sociali intere sottodiscipline prosperare negli interstizi creati da espressioni mal definite. Puo’ capitare che si discuta per ore sulle razze senza aver definito in modo preciso il concetto. Chi è razzista? Boh. Chi è sessista? Boh. Eppure ci si accapiglia.
  11. Un primo espediente utilizzato contro i rischi di autoinganno: ripetere i processi per vedere se l’esito è sempre il medesimo. A questo riguardo si capisce meglio l’importanza della precisione: descrizioni precise consentono di verificare ripetizioni precise.
  12. Quando raddrizzare le antenne. Le bufale – tipo la psicanalisi – aborrono senza motivo apparente i test sperimentali.
  13. Regola convenzionale: quando le ripetizioni fallite eccedono il  5% dei tentativi effettuati la relazione supposta è considerata invalida (in campo medico si scende all’1%).
  14. Un espediente complementare per evitare auto-inganni è quello di “sperimentare” sulle sperimentazioni, ovvero compilare delle meta-analisi sui lavori eseguiti  per verificare quali generalizzazioni statisticamente valide possono ricavarsi.
  15. Il secondo espediente contro l’autoinganno consiste nella capacità di predire il futuro. Esempio, la luce è davvero curvata dalla gravità (secondo quanto predetto da Einstein); si riscontrò che in un’eclissi di sole la posizione apparente delle stelle sullo sfondo più prossimo era realmente alterata dalla gravità del sole.
  16. Naturalmente la predizione non deve essere razionalizzazione. La bellezza della previsione di Einstein sta nel fatto che non potesse assolutamente sapere nulla circa la sua verifica.
  17. Terzo espediente contro l’autoinganno: la scienza propriamente detta richiede che, quando possibile, la conoscenza sia costruita su quella preesistente.
  18. La conoscenza scientifica è unitaria e ha all’incirca questa struttura: La fisica si basa sulla matematica, la chimica sulla fisica, la biologia sulla chimica e, in linea di principio, le scienze sociali sulla biologia. Ok?
  19. L’incastro sarebbe questo: la matematica conferisce rigore alla fisica, la fisica fornisce alla chimica un modello atomico preciso e la chimica fornisce alla biologia un modello molecolare esatto. E la biologia cosa dovrebbe fornire alle scienze sociali? Molto.
  20. In fisica il contenuto sociale è minimo, per questo è difficile autoingannarsi, per questo la fisica  è il prototipo della scienza esatta: che differenza fa per la vita di tutti i giorni se l’effetto gravitazionale del mesone mu è positivo o negativo?
  21. Cio’ non significa che anche i fisici siano soggetti a tentazioni: potrebbero enfatizzare l’importanza e il valore del loro lavoro fantasticando una “teoria del tutto”.
  22. Altra connessione storica: l’utilità sociale della fisica è principalmente connessa alla guerra. Il fisico è spesso un costruttore di bombe. Quando leggo che nove miliardi di euro vengono spesi per un “supercollider” in cui particelle minuscole verranno accelerate a velocità incredibili per poi scontrarsi, io penso alle bombe. Questo interesse, è chiaro, orienta la ricerca e potrebbe anche sbilanciarla.
  23. Una buona legge empirica: maggiore è il contenuto sociale di una disciplina, più lentamente si svilupperà. E’ chiaro che psicologia, sociologia, antropologia ed economia hanno implicazioni dirette sulla nostra concezione di vita e sulla vita sociale ben più pesanti rispetto alla fisica.
  24. E la biologia? Per oltre un secolo la biologia ha visto il mondo al contrario: la selezione naturale avrebbe favorito  ciò che era buono per il gruppo o per la specie, quando in realtà favoriva ciò che è buono per l’individuo!
  25. Dietro l’errore, come sempre, c’era un’ideologia: la teoria sbagliata poteva essere utilizzata per giustificare il comportamento individuale sostenendo che tale comportamento è di fatto utile per l’intera specie.
  26. Prendiamo il classico caso dell’infanticidio maschile, studiato per la prima volta nelle scimmie langure dell’India (ma presente in oltre 100 specie animali). Dapprima, la pratica è stata interpretata come un meccanismo di controllo della popolazione a beneficio di tutti.
  27. L’interpretazione oggi è molto diversa: dal momento che l’accudimento di un piccolo inibisce l’ovulazione della madre, l’omicidio del bambino rende subito pronta la madre per una nuova gravidanza. Ma in alcune popolazioni, ben il 10% di tutti i giovani viene ucciso da maschi adulti. In casi del genere la specie ne risente e il suo interesse non sembra affatto allineato a quello del singolo maschio omicida. Inoltre, queste morti non sono correlate alla densità di popolazione, per cui spiegarle come una forma di controllo demografico è assurdo. Senza dire che il successo dei maschi aggressivi potrebbe diffondere solo aggressività nella specie.
  28. Altro esempio spesso portato a sostegno dell’anti-individualismo: le relazioni intra-familiari, in particolare quelle tra madre e figlio. Eppure sappiamo che anche la relazione più intima fa emergere conflitti: già nella formazione della placenta, l’organismo della madre spesso non aiuta il tessuto fetale dell’ “invasore”. E che dire delle amorevoli coppie di pennuti inseparabili? Diciamo per esempio che le percentuali di paternità adulterine sono superiori al 20%.
  29. Gli antropologi razionalizzarono la guerra stessa come favorita dall’evoluzione perché anch’essa era un dispositivo di regolazione della popolazione. Altro pregiudizio ideologico.
  30. Anche l’individualismo ha i suoi problemi. Esempio: come spiega l’altruismo? Problemi del genere sono superati, non sembra affatto impossibile che emerga in certe condizioni speciali in cui l’altruista viene premiato dal gruppo.
  31. L’economia è una scienza? Risposta veloce: no. L’economista agisce come uno scienziato e pontifica come uno scienziato, ha sviluppato un apparato matematico impressionante e si è riservato anche un premio Nobel, ma l’economia non è una scienza.
  32. Oltre ad aver problemi con il “secondo espediente”, manca del tutto del terzo. Fallisce nel fondarsi sulla conoscenza preesistente (nel suo caso la biologia).
  33. L’economia parte col piede giusto: “l’individuo massimizza”. Sì, ma cosa? E qui entra in circolo: l’utilità. E cos’è l’utilità? Cio’ che l’individuo massimizza. La specificazione empirica di tutte le funzioni di preferenza mediante una misurazione sul campo è senza speranza.
  34. Eppure la biologia ha una risposta ben precisa che l’economia si ostina a trascurare: l’individuo massimizza il numero della sua progenie sopravvissuta più gli effetti (positivi e negativi) sul successo riproduttivo dei parenti… Trascurare la conoscenza preesistente fa perdere all’economia una serie di collegamenti cruciali.
  35. Uno sforzo recente da parte dell’economia per collegarsi con le discipline sottostanti è l’ economia comportamentale che collega psicologia evoluzionista ed economia. Bene? Non sempre, anche questi economisti speso compiono errori marchiani.
  36. Esempio di errore: assumere che il nostro comportamento si sia evoluto in contesti simili a quelli dei  laboratori dove gli scienziati fanno i loro giochetti. Mi spiego meglio, tutti conoscono il gioco dell’ultimatum, un gioco nel quale spesso le persone rifiutano una divisione ingiusta di denaro con altri anonimi (ad esempio, l’80% del proponente e il 20% del destinatario) rimettendoci la loro quota. Interpretazione sbagliata: l’uomo non è egoista. Interpretazione corretta: l’uomo si è evoluto in contesti di giochi ripetuti in cui il rifiuto dosato è una strategie egoisticamente vincente.
  37. L’economista medio lo riconosci subito: l’ infatuazione per lamatematica lo attanaglia a discapito dell’attenzione per la realtà. Come potrebbe rimediare? Prestando più attenzione alle scienze, in particolare alla biologia e quindi alla psicologia evoluzionista. La cosa è chiara da 30 anni ma la lentezza della disciplina ad aggiornarsi in senso scientifico è esasperante.
  38. E che dire della capacità predittiva dell’economista? Quando c’è non è molto affidabile visto che quando il politico di turno da lui consigliato fallisce non fa che ripetere: “il nostro consiglio è stato buono, andava applicato più radicalmente”. Tipico dello scienziato senza laboratorio.
  39. Passiamo all’antropologia culturale: la disciplina fece una tragica svolta a sinistra verso la metà degli anni ’70.
  40. Cos’era successo? Nei primi anni ’70, una potente teoria socialeemerse dalla biologia e una varietà di argomenti furono affrontati seriamente per la prima volta: la teoria della parentela, comprese le relazioni genitore / prole, l’investimento genitoriale relativo e l’evoluzione delle differenze sessuali, il rapporto tra i sessi, l’altruismo reciproco, il senso di giustizia e così via.
  41. Il dilemma degli antropologi di allora. Prima opzione: accettare le nuove scoperte, padroneggiarle e rimodellare  la propria disciplina lungo le nuove direttive. Seconda opzione: rifiutare tutto e tirare a campare.
  42. Considera il dilemma da un punto di vista esistenziale: hai investito vent’anni della tua vita nel dominio dell’antropologia sociale e hai anche maturato certe convinzioni genuine, ora che fai, rinunci a tutto? No, la scelta da fare era chiara a tutti e fu fatta da tutti. D’altronde, anche nelle facoltà di fisica è ben noto che il progresso avanza – quando avanza – solo grazie ai funerali!
  43. Gli antropologi sociali hanno raccolto la sfida ribattezzando il loro campo “antropologia culturale” per escludere in modo più esplicito la rilevanza della biologia. Ora non eravamo più organismi sociali ma culturali.
  44. Non solo, la loro scelta fatta fu presentata come morale: dare peso alla biologia avrebbe comportato una forma di determinismo biologico (la genetica avrebbe influenzato la vita quotidiana), i cui effetti ultimi sarebbero stati il fascismo, il razzismo, il sessismo, lo specismo e altri odiosi “ismi”.
  45. Tuttavia, questa è anche una scelta che pone fuori la disciplina dall’ambito scientifico: una volta rimossa la biologia dalla vita sociale umana, che cos’hai? Parole. Neanche un linguaggio, solo parole in libertà. Esito: 35 anni buttati all’aria.
  46. Di conseguenza, la maggior parte dei dipartimenti di antropologiaoggi è composta da due sezioni completamente separate, in cui, come ha affermato taluno, il primo pensano che gli altri siano nazisti e gli altri pensano dei primi che siano idioti.
  47. Due parole sulla psicologia. Negli anni ’60, gli psicologi spesso negavano esplicitamente l’importanza della biologia. Ad Harvard non frequentavano neanche un corso su queste materie.
  48. Questo consentì di insistere su teorie senza basi. Esempio, la teoria dell’apprendimento formulava affermazioni di vasta portata e non plausibili sulla capacità del rinforzo di plasmare in modo adattivo ogni comportamento.
  49. Fortunatamente, a psicologia si è sempre concentrata sull’individuo, il che costituisce un punto di contatto con la biologia. Recentemente si è sviluppata una scuola di psicologia evoluzionistica e fa sperare in un approccio scientifico.
  50. Il metodo della psicologia sociale era quello dell’intervista, o della somministrazione di questionari in cui la gente si raccontava. E’ chiaro che in questi casi le forze dell’inganno e dell’auto-inganno – o, come vengono a volte chiamate, dell’ auto-presentazione e dell’auto-percezione – sono gigantesche e sviano tutto il lavoro minandolo alle fondamenta, ovvero consegnandolo all’ideologia degli pseudo-scienziati di turno.
  51. Due parole sulla psicanalisi. Freud intendeva costruire una scienza dell’auto-inganno. Il fondamento empirico per gli sviluppi nel campo era una cosa chiamata “tradizione clinica”, in sostanza ciò che gli psichiatri si raccontavano dopo aver bevuto un drink dopo una giornata di lavoro.
  52. Concetti centrali come “invidia del pene” o “complesso di Edipo” avevano come base le esperienze e le asserzioni condivise tra gli psicoanalisti su ciò che accadeva durante la psicoterapia.
  53. Per carità, la psicoanalisi ha prodotto anche concetti da salvare, esempio: rimozione, proiezione, autodifesa dell’ego… Ma anche molta fuffa, esempio: es, ego, super-ego…
  54. La teoria freudiana dello sviluppo psichico era incentrata sull’attrazione sessuale che i genitori esercitano sui figli nella famiglia nucleare, quando sappiamo ormai che quasi tutte le specie di animali sono selezionate per evitare la consanguineità, che ha reali costi genetici, e che tutte le specie hanno meccanismi evolutivi come l’esposizione precoce tra genitori e fratelli che provoca disinteresse sessuale e minimizza i rischi di incesto.
  55. Se proprio deve esserci attrazione sessuale in famiglia il nesso dovrebbe essere capovolto rispetto a quello freudiano: i padri potrebbero avere un guadagno evoluzionistico avendo un figlio dalla figlia sufficiente a compensare il costo genetico, ma è improbabile che la figlia possa trarre un beneficio sufficiente nella relazione col padre per compensare il suo costo genetico!
  56. Anche l’Edipo ha scarsissimo fondamento biologico: la selezione sarebbe debole nell’accoppiamento del figlio con la madre e ci sono ottime ragioni per mostrare deferenza al genitore (specialmente per i geni materni di un maschio).
  57. L’impostazione di Freud ha un difetto, oltre ad essere scientificamente infondata, finisce per accusare le vittime. Il bambino che magari ha problemi seri li vede ricondotti alla sua attrazione sessuale verso i genitori. Il caso dell’ “uomo-lupo” parla chiaro, uno psicotico con seri problemi a cui Freud somministrò la sua classica diagnosi senza tenere in minimo conto il fatto che da bambino venisse regolarmente bastonato e legato tutte le notti al suo letto dal papà.
  58. Freud stesso era un tipo bizzarro: cocainomane, credeva che il numero ventinove avesse un ruolo decisivo sulle nostre vite, oltre a ritenere che il pensiero potesse viaggiare istantaneamente su grandi distanze senza l’uso di dispositivi elettrici.
  59. L’atteggiamento di Freud nei confronti della verifica sperimentale: “la ricchezza di osservazioni personali attendibili su cui poggiano le mie asserzioni, le rende in qualche modo indipendenti dalla verifica sperimentale”. Le affermazioni di uno scienziato vero (Feynman) sullo stesso tema: “non importa quanto sia bella la tua ipotesi, o quanto sia intelligente la tua formulazione o quanti siano i tuoi meriti passati; se l’esperimento non è d’accordo con te, tu hai torto. Questo è tutto”.
  60. Bottom line. La tentazione tipica che pervade lo pseudo-scienziato: non geni ma individui, non individui ma gruppi, non gruppi ma specie, non specie ma ecosistemi, non ecosistemi ma l’intero universo…
Consiglio di lettura per approfondire: Robert Trivers: Self-Deception and the Structure of the Social Sciences

lunedì 27 agosto 2018

FISICI vs ECONOMISTI

FISICI vs ECONOMISTI
Immaginatevi uno dire: l'arroganza dei fisici è insopportabile, pretendono che forza di gravità e conservazione dell'energia siano leggi universali indiscutibili, dopodiché non sanno nemmeno prevedere se alzerò il mio braccio tra un minuto. Ah ah ah. Forse dovrebbero essere più umili, forse dovrebbero rendersi conto che esiste molto altro rispetto a quello di cui si occupano loro, forse dovrebbero leggere qualche romanzo in più per aprire la loro mente e comprendere che il mondo è molto più complesso di come ce lo presentano con i loro schemini, forse, addirittura, dovrebbero pensarci due volte prima di chiamare "scienza" la loro disciplina.
Trovate stupida questa accusa? Ma è l'accusa che spesso viene rivolta agli economisti.
Peccato perché nel frattempo l' "abuso di conoscenza" di cui pure buona parte della disciplina si è macchiata prospera quando le denunce più serie devono poi accompagnarsi a simili stupidate.
NEWYORKER.COM
One discipline reduces behavior to elegantly simple rules; the other wallows in our full, complex particularity. What can they learn from each other?
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venerdì 8 luglio 2016

Quanta scienza c'è nell'economia?

Il fatto è che gli economisti sono scienziati di prim'ordine. E' la materia che studiano che si presta poco al metodo scientifico.

sabato 18 giugno 2016

Miseria dell'economia

Credi a chi cerca la verità, non credere a chi la trova.
Così diceva Gide, e se pensava agli economisti probabilmente aveva ragione. La materia di cui si occupano è talmente nebulosa che la pratica sul serio solo chi è in perenne ricerca.
Già il presidente Truman si lamentava degli economisti per il loro modo di esprimersi: “… è vero questo ma è vero anche quello…”. Non mi fiderei mai di un economista che si esprima altrimenti.
L’economia è una scienza? Gli economisti dicono di sì, i non-economisti dicono di no.
scienza
Una scienza dovrebbe produrre tesi verificabili o quantomeno confutabili. L’ economia non sembra all’altezza di questo compito.
La matematica sembra una scienza perché produce tesi confutabili con l’analisi.
La fisica sembra una scienza perché produce tesi confutabili con l’osservazione.
L’economia non sembra in grado di fare altrettanto. Difficile vedere un economista cambiare idea. Più facile assistere alla conversione di un mangia-preti.
Ma anche definire la scienza come ho appena fatto è una forzatura. Se tutto fosse così facile non esisterebbero scienziati “testoni”, che invece sono la norma. Evidentemente cio’ che chiamiamo “confutazione” in realtà non esiste.
Il filosofo Quine ha mostrato che esistono infinite teorie per spiegare un fatto. Si tratta di un’osservazione che ha molte implicazioni pratiche per l’epistemologia.
Ammettiamo che i fatti confutino la mia teoria preferita, mi basta scegliere tra le infinite teorie disponibili di cui sopra una molto simile alla mia e potrò dire che la mia teoria – con un piccolo ritocco – è ancora valida. Sarebbe crudele negare “un piccolo ritocco” a chi tenta di spiegarci il mondo, non siamo infallibili.
La teoria tolemaica “leggermente ritoccata” dagli epicicli spiega in modo eccellente i fatti. Non c’è bisogno di Copernico, e neanche di Galileo. Ma allora perché abbiamo cambiato paradigma passando da quello tolemaico a quello copernicano?
Avete notato che ho usato la parola “paradigma” anziché “teoria”? E qui entra in ballo lo storico della scienza Kuhn, il miglior candidato a rispondere alla domanda di cui sopra.
Secondo Kuhn noi pensiamo le teorie all’interno di un paradigma. Queste teorie non vengono mai “confutate”, molto semplicemente di tanto in tanto accusano delle anomalie che gli adepti neutralizziamo con gli aggiustamenti e le integrazioni di cui sopra, il che consente comunque di restare confortevolmente all’interno del paradigma originario.
Quando le anomalie accumulate sono molte, quando gli aggiustamenti ad hoc si susseguono, quando esiste un valido paradigma alternativo, quando esiste una generazione di scienziati giovani che simpatizza per l’alternativa, ma soprattutto quando gli scienziati vecchi se ne vanno in pensione, ecco che allora si attua un cambio di paradigma, ovvero una “rivoluzione scientifica”.
Se una generazione di scienziati ha studiato tutta la vita un certo paradigma insegnandolo e dominandolo, difficilmente vi rinuncerà per impararne un altro solo perché il primo presenta delle anomalie. Il cambio generazionale è una variabile importante.
Einstein era un grande scienziato ma difficilmente avrebbe mai accettato un’interpretazione della meccanica quantistica così com’è oggi, la sua mentalità lo manteneva all’interno di un paradigma classico. Poi lui è andato in pensione e il giovane Bohr ha preso il sopravvento.
In biologia il paradigma evoluzionista oggi domina, ma le anomalie non mancano: nei paesi più avanzati, quelli dove la sopravvivenza è un problema risolto, si fanno pochi figli. Pochi figli? Come mai visto che secondo la teoria evoluzionista noi dovremmo massimizzare la prole in grado di sopravvivere? Basta adattare la teoria originaria con l’ipotesi della maladaptation: il mondo cambia più velocemente del nostro cervello così si crea un’ asincronia con effetti singolari.
Quine e Kuhn ci hanno spiegato l’esistenza dei testoni: verifica e confutazione sono momenti mitologici. Ma se persino nelle “scienze dure” esistono dei testoni, figuriamoci nell’economia! In economia è facilissimo adattare il proprio paradigma alle anomalie incontrate.
Se ad un economista viene detto che uomini e donne ricevono salari differenti scaverà finché non troverà qualcosa con cui rappezzare il suo paradigma preferito (quello dell’ Homo Economicus). Quando la troverà, non scaverà oltre. Perché farlo? Lui è interessato al paradigma che conosce più che alla realtà.
Un sociologo invece non scaverà affatto perché il suo paradigma preferito (quello della “volontà di potenza di un gruppo”) è già confermato.
Se ad un economista dite che il salario minimo appena introdotto nello stato X non ha aumentato la disoccupazione, scaverà per trovare qualcosa che giustifichi la cosa e mantenga intatto il suo paradigma. Quando la troverà non scaverà oltre.
Il moralista invece non scaverà affatto: la cosa rappresenta una riconferma del fatto che fare il bene difficilmente genera gravi inconvenienti.
Se ad un economista dite che chi ha un’assicurazione sanitaria non è mediamente più malaticcio di chi non ce l’ha, scaverà pur di reperire qualcosa che salvi il suo paradigma: com’è possibile che i malaticci non approfittino più dei sani?
Lo psicologo sarà invece gratificato e non scaverà oltre: lui sa che chi è tanto scrupoloso da osservare regole salubri, è anche più scrupoloso nel tutelarsi con un’assicurazione.
Ma la cosa rilevante è che in materie come quelle economiche si puo’ scavare all’infinito poiché “tutto conta”, e quindi, prima o poi, troveremo qualcosa che conta e che fa il caso nostro.
Se viviamo in un mondo in cui il battito d’ali di una farfalla genera uragani, allora per spiegare gli uragani bisogna tener conto di quel battito. Ma a maggior ragione del battito d’ali di un piccione. Bisogna tener conto di “tutto”. In questo “tutto” posso scegliere quel che desidero per puntellare il mio paradigma.
L’economista è uno scienziato senza laboratorio perché il “tutto” di cui sopra non ci sta in un laboratorio. Il laboratorio è qualcosa che esiste apposta per isolare pochi elementi e studiarli in un ambiente asettico.
Ci sono teorie economiche crivellate dalle anomalie ma che restano in piedi senza particolari eroismi. Il CAPM (Capital Asset Pricing Model), ovvero la teoria che ci spiega il valore dei titoli, è ampiamente confutata dai dati delle borse. Eppure, se iscrivete vostro figlio nella più prestigiosa business school del mondo, gli insegneranno proprio quella, perché l’ortodossia è sempre quella, non esiste di meglio, o se esiste non viene considerato.
L’economista enuncia le sue leggi facendole seguire dalla clausola: coeteris paribus, ovvero “tenendo fermo il resto”. Ma “il resto” non sta mai fermo nella realtà.
Se un fatto fastidioso sembra non accordarsi con la sua teoria a lui basta andare a vedere cosa è cambiato nel “resto” e parare la confutazione. Quando il “resto” è cosi grande prima o poi qualcosa la trovi. Checchè se ne dica non c’è nulla di più facile che “lottare contro i fatti”. Quine ci aveva messo in guardia per la scienza, figuriamoci per l’economia.
L’economia spiega fenomeni che hanno centinaia di concause, difficile metterle in ordine e soppesarle con la cura dello scienziato. Si finirà per privilegiarne alcune, e c’è da scommettere che non saranno scelte a caso.
Inoltre, l’oggetto dell’economista “evolve”. L’evoluzione è un cambiamento non prevedibile, che dipende da piccolissimi fattori. Talmente piccoli che si fa prima a considerarli casuali.
Se il mio comportamento dipende dal tuo e il tuo dal mio si realizza un gioco di specchi che rende l’esito finale dei nostri comportamenti imprevedibile. Ma soprattutto, se l’inclinazione degli specchi fosse stata differente, basta un millimetro, saremmo finiti da tutt’altra parte.
Per questo che in economia vale la rigorosa legge: “a volte va in un modo, a volte in un altro”.
L’economista ama la matematica, gli consente di mostrare i muscoli impressionando il prossimo. La matematica obbliga alla coerenza ma ci spinge a preferire le variabili che sono più trattabili da quello strumento. Per esempio, è più semplice postulare un individuo egoista che un individuo invidioso (l’invidia crea quel fastidioso gioco di specchi di cui sopra), ma è ben difficile pensare che l’invidia non abbia una parte importante nei nostri comportamenti. In questo senso la matematica distorce l’analisi rendendola inverosimile.
L’economia, poi, analizza un ambito in cui l’innovazione è centrale. Ma se per fare gli scienziati newtoniani dobbiamo ridurre l’oggetto di studio ad un meccanismo qualsiasi, è difficile rendere conto dell’innovazione: l’innovazione non irrompe in un meccanismo. L’orologio è un affare complicato ma non particolarmente fantasioso.
Esempio: George Akerlof fornì una memorabile analisi del mercato delle auto usate. Si concludeva all’incirca così: in quei mercati la qualità dei prodotti è sotto la media. Il cliente che sospetta la magagna è soggetto a “braccino”, ma a queste condizioni non ha senso vendere prodotti senza magagne, cosicché si vendono solo prodotti con magagne rafforzando il corto circuito. La scienza rigorosa ha parlato. L’orologiaio ha chiarito il funzionamento dell’orologio.
Tutto a posto? Il mercato delle auto usate possiamo metterlo da parte? Macchè! Un giorno un tale escogitò un’ app per valutare e visionare in tempo reale la reputazione dei rivenditori di auto usate, e la legge di Akerlof finì nel bidone.
L’innovazione è tale perché non è prevedibile a priori: i pianeti non innovano ma l’uomo sì. Individuare le leggi che governano il moto dei pianeti è dura, ma per lo meno è lecito supporre che sono lì nascoste da qualche parte e non cambiano. I fisici possono star tranquilli, gli economisti no: il loro ingegnoso sforzo puo’ finire nel bidone da un momento all’altro.
L’economista è frustrato, si sente da meno rispetto allo scienziato mentre vorrebbe essere al suo pari. Nessuno lo prende mai veramente sul serio, anche se ha brillantemente risolto equazioni perigliose per dire quello che dice.
Tuttavia, non ha davvero ragione di nutrire questo complesso di inferiorità.
Poniamo di misurare l’accuratezza del pensiero con una scala che va da 1 a 5. Ai ragionamenti più lacunosi diamo un voto basso, alle ipotesi scientifiche un voto alto. Quanto merita l’economista? Penso che meriti un 6. In pochi sono accurati e ingegnosi quanto lui, deve inventarsi persino un laboratorio improvvisato per testare alla bell’ e meglio le sue ipotesi . Il fatto di essere impreciso nelle determinazioni non diminuisce l’accuratezza e l’ingegno della sua visione. Allo scienziato vero, al contrario, proprio perché dotato di laboratorio standard, non è richiesta altrettanta perizia e completezza, ha molti supporti che lo guidano. Chi arrampica fuori dalle ferrate deve avere una tecnica sopraffina, deve scovare gli appigli più reconditi, deve conoscere a menadito la montagna, anche se alla fine scalerà montagnole piuttosto risibili.
Tra gli analisti finanziari ho incontrato gente davvero brillante, in grado di afferrare senza problemi un concetto teologico e di criticarlo in modo sensato.
Ok, ma che ce ne facciamo di acrobazie ingegnose, peritose, accurate ma sostanzialmente imprecise? Poco, quando l’acrobata ha pretese fuori misura. Ma se si ridimensiona puo’ valere la pena ascoltarlo.
L’economista puo’ darci dei consigli generici: puo’ spiegarci perché un’economia di mercato funziona meglio di un’economia statale. Puo’ indicarci dove il mercato fatica (fallimenti di mercato). Puo’ indicarci dove il governo fatica (fallimenti di governo). Ma soprattutto dovrebbe indicarci dove faticano i modelli degli economisti (fallimento dell’economista). D’altronde all’economista poco umile si puo’ chiedere come mai non si è arricchito visto che la sa tanto lunga. Vi manderà a quel paese ma non è così grave rinunciare alla sua compagnia.
Conscio dei suoi limiti, l’economista adotterà una metodologia eteroclita in cui, per picchettare le sue tesi, farà ricorso:
1) all’esperienza personale,
2) al senso comune,
3) alle statistiche,
4) alla storia,
5) e anche all’etica o all’ideologia.
Il tutto in modo scoperto, e limitando al minimo la retorica.
Ecco, a queste condizioni, sottoposto a questo lavacro di umiltà, l’economista non solo è ascoltabile ma è probabilmente l’uomo del nostro tempo più interessante da ascoltare.