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lunedì 27 maggio 2024

paper e blog

https://www.richardhanania.com/p/when-to-use-fancy-words

Gli articoli di giornale nelle scienze sociali sono più lunghi dei post dei blog sugli stessi argomenti, non tanto perché gli accademici hanno più cose da dire, quanto perché i professori devono giustificare le loro posizioni di esperti accreditati piuttosto che di dilettanti. Molte persone intelligenti possono scrivere blog decenti, ma nessuno ha il tempo di rintracciare tutte le citazioni necessarie per essere pubblicato sull'American Political Science Review, a meno che non lavori a tempo pieno come professore.

mercoledì 22 maggio 2024

Mistero donna

 Alla candidata alla Corte Suprema degli Stati Uniti Ketanji Onyika Brown Jackson è stato chiesto durante l'audizione in Senato di definire il termine "donna". Si è cagata sotto prima di trovare rifugio nel fatto che da non biologa non era in grado di rispondere. Femmina umana adulta è una buona definizione ma viviamo in TEMPI MOLTO STRANI e sarebbe da ingenui rischiare. Non si tratta solo di una deferenza esagerata nei confronti della competenza, si tratta di un modello in espansione di deferenza nei confronti di una competenza fasulla. Infatti, mi sa che la giudicia (o giudiciessa o... aiuto!!!) ha capito fin troppo bene che i reali "esperti" in questo settore non sono affatto i biologi ma i cosiddetti padroni della lingua.


https://www.notonyourteam.co.uk/p/dominion-capital-ii

giovedì 5 novembre 2015

The needless complexity of academic writing di Francois Schnell


The needless complexity of academic writing di Francois Schnell
  • negli usa esiste un onlus: center for plain language
  • esiste anche una legge: plain writing act
  • proposta: che i ricercatori presentino i loro lavori su twitter con l'uso di emoji
  • ig nobel: se scrivi semplice sei più intelligente.
  • gli intellettuali di solito non pensano al pubblico ma parlano a tra loro
  • se vivono in un mondo sussidiato come la scuola questo è ancora più vero
  • gli intellettuali vogliono escludere gli outsider
  • gli intellettuali vogliono mostrare i muscoli
  • gli intellettuali vogliono tenere in allenamento il loro cervello rimanendo immersi nella complessità, anche quando è inutile farlo
  • gli intellettuali vogliono tener nascosta la pochezza delle loro idee
continua



sabato 22 ottobre 2011

Contro-non-informazione

Al Corriere della Sera c’ è solo una persona che lavora in modo più approssimativo di Luigi Offeddu: il titolista degli articoli di Luigi Offeddu.
Recentemente, l’ ineffabile coppia di “creativi” ci ha reso edotti che in Ungheria la schiavitù degli zingari è diventata ormai legge di stato:

I ROM AI LAVORI FORZATI INIZIATIVA CHOC IN UNGHERIA

Probabilmente il giornalista non avrebbe voluto farlo, ma purtroppo, dopo un titolo tanto bello e accattivante, è stato costretto anche a scrivere l’ articolo e in esso qualche notizia in più ha dovuto pur fornirla. Si viene così a sapere che l’ espressione “lavori forzati” ha un significato innovativo; vuol dire, tradotto, che il disoccupato perde il sussidio statale se rifiuta le offerte di lavoro ricevute. E in genere non gli offrono di dirigere una banca. Procedura alquanto comune anche nei paesi più evoluti (non da noi, ma per il semplice fatto che spesso un sussidio del genere nemmeno è previsto).
Un significato simile, più che “innovativo” è… “inventato”, ne convengo.
Ma che dire dell’ odioso taglio razzista di una legge del genere?
Sbollite pure il vostro odio. Sempre nel corpo dell’ articolo, ben occultata in una dipendente relativa di terzo grado, c’ è l’ affermazione che potrebbe tranquillizzarvi: la norma riguarda i disoccupati sussidiati nel loro complesso, e gli zingari c’ entrano solo perché costituiscono una fetta importante della categoria.
Intanto, mentre noi poveri scemi cerchiamo faticosamente di mettere insieme le tessere della “vicenda choc”, quelle volpi di Offeddu e del suo titolista ci hanno indotto ancora una volta a leggere l’ ennesimo articolo-trappola. Accidenti a loro e a me che non imparo mai la lezione.
Stamane, poi, ho avuto quasi paura che l’ ineffabile Offeddu avesse trovato un concorrente intestino nella Mangiarotti, altra cronista del Corrierone. Quest’ ultima ha raccontato con phatos una storia simile alla precedente, accaduta però nei confini patri: a Settimo Torinese. Il Comune offre lavoro ai disoccupati, ma chi rifiuta… zac… perde il sussidio.
In lontananza, si sente anche nella Mangiarotti la voglia del buon giornalista di evocare scene in cui, messi ai ferri, alcuni omoni in pigiama a strisce picconano le rocce trascinandosi dietro palle di ferro da una tonnellata. Fortunatamente, la giornalista si riprende fino al punto di accennare alla fonte d’ ispirazione: il “modello tedesco di welfare”. No, un errore del genere Offeddu non l’ avrebbe mai commesso, dovendo proprio citare il rigore teutonico, come minimo una strizzatina d’ occhio e un piccolo riferimento ad Auschwitz l’ avrebbe buttato lì in qualche modo.
***
In ospedale e nel corso della mia convalescenza ho letto spesso il giornale uscendone spossato, frustrato e impoverito da lunghissime e infruttuose rassegne. In qualche modo è stato comunque istruttivo, perché l’ avvilente esperienza mi ha elargito una consapevolezza per me nuova: se nelle dispersive società di inizio millennio esiste una vera e propria perdita di tempo, questa riguarda la lettura dei giornali. Non avevo mai notato quanto poco siano in grado di darti i giornali, forse ancora meno della televisione. E parlo dei più blasonati (Corriere, Stampa, Repubblica…), mica dei rotocalchi spazzatura. Se solo ne stampassero una copia a settimana di pari mole (ma forse anche, oso dire, una all’ anno) il nostro “aggiornamento” non ne risentirebbe granché, anzi, forse migliorerebbe. Ricordo una ricerca da cui risultava che i broker di borsa più informati e efficienti erano quelli che contingentavano rigorosamente la lettura dei giornali di settore.
Una società civile e laboriosa dovrebbe limitarne la circolazione. Invece li finanzia!
La cosa vi suona strana? Anche a me. Ma vi assicuro che non sono l’ unico a pensarla così.
dscn0392
p.s. con queste considerazioni, si badi bene, non voglio negare la funzione di cagnolini di compagnia che rivestono i giornali; a tutt’ oggi, mentre trangugio cappuccino & brioche, non riuscirei a privarmi del giornale e del modo seducente in cui fa ronzare i titoli nel mio cervello semicosciente (specie quando intacco la crema).

mercoledì 30 marzo 2011

Io e Gino Strada

Io e lui, a quanto pare, siamo gli ultimi pacifisti in circolazione.

All' epoca dell' invasione in Iraq temevo le motivazioni dell' impresa perchè, una volta brandite dei "buoni" di sinistra e considerata la loro tendenza naturale alla "crociata", sarebbero servite, rivedute e corrette, per far guerre a tutto spiano in giro per il mondo.

Ci siamo, ora la dottrina Bush ha vinto (anche se non lo si puo' dire), e si comincia con la Libia.

David Rieff sul punto:

... The Western intervention in Libya - justified in moral terms - will be remembered as a war conceived by liberal intellectuals, and cheered on by liberal intellectuals...

Il fatto poi che qualcuno la chiami "guerra umanitaria" mi stimola solo ad aggiungere la tag "linguaggio pervertito" al presente post.

giovedì 24 febbraio 2011

Il sessismo dei poveri di spirito

Quando l' economista approfondisce una questione, molti provano un senso di estraneità e di spavento. C' è chi fa finta di capire, chi rinuncia a capire, chi si fa congestionare dal rancore, chi sbuffa infastidito e chi semplicemente scappa.

Purtroppo l' economista è tenuto a pensare in modo semplice e sulla base dei fatti; la maggior parte di noi si ritrova solo se immerso nell' abituale confusione (i giornali piacciono proprio per quello). La confusione generalizata ci libera la favella che correndo a ruota libera ci fa sentire meglio.

Conta anche che l' economista sia tenuto a pensare in modo razionale, e la maggior parte di noi si orienta solo se circondata dalla rassicurante compagnia delle proprie distorsioni cognitive.

Non è certo un caso se nel mondo, in genere, la gente non riesce a pensare l' economia.

In Italia, poi, le cose vanno ancora peggio che altrove.

Qui, per esempio, Robin Hanson rifette sul significato della parola "sessismo".

Si chiede, tra l' altro, come evitare che ce ne sia troppo poco.

Una questione importante, ma sul punto è difficile avere risposte da chi non comprende nemmeno la domanda.

Purtroppo, chissà perchè, chi ha sempre in bocca quella parole non s' impegna poi tanto per affrontare quesito del genere, forse non sente l' urgenza.

O forse è troppo smaliziato per non sapere quanto la ragione rallenti le "grandi manovre".

Il fascino pragmatico dei "come" non puo' essere intralciato da dei prosaici "perchè".

Per fortuna, qua e là, vaga ramingo qualche economista, novello "povero di spirito".

lunedì 14 febbraio 2011

"Dignità"... quanti crimini in tuo nome.

Drizzo le antenne ogni volta che leggendo un testo m' imbatto nel termine "dignità", i miei sensori in questi casi segnalano chiara la presenza di una certa disonestà intellettuale.

Perchè mai sempre più frequentemente ci si appella alla "dignità" anzichè ai "diritti" o all' "autonomia" della persona? Il rispetto della dignità di Pincopalla non è forse il rispetto dei suoi diritti e della sua autonomia?

Domanda cruciale. Evidentemente la pulce nell' orecchio ce l' aveva anche Giovanna Cosenza se ha ritenuto di scrivere questo allarmato post a latere della manifestazione di ieri facendo notare come nel manifestino propagandistico compariva ripetutamente la fatidica parolina appesantita da tutto il suo fascio di ambiguità.

In merito mi sono permesso solo di precisare che "dignity is a useless concept", e a dircelo senza mezzi termini sono i bioeticisti visto che da tempo hanno smascherato questo insidioso cavallo di Troia con tutto l' arsenale di trappole che si trascina dietro; loro più di altri sanno come offuscare tramite questo virus lessicale la chiarezza di una discussione delicata come quella che anima i loro disaccordi.

L' utilizzo del termine "dignità" è, detto in parole povere, un espediente per aggirare gli inconvenienti derivanti di un concetto come quello di "diritto" (o come quello di "autonomia"): mentre il diritto costringe a battersi per la tutela di TUTTI, parlare di "dignità" consente di combattere battaglie in nome di una PARTE contro l' altra senza apparire di primo acchito faziosi.

Ed è proprio cio' che serviva al neo femminismo nostrano in versione 2011: un movimento puritano e anti-berlusconiano come quello deve combattere CONTRO l' immoralità e il berlusconismo, ma deve farlo in silenzio se non vuole essere squalificato, deve agire facendo passare la sua battaglia come la battaglia di e per TUTTI.

Qui bisogna ricorrere alla retorica e bisogna farlo in modo avveduto. Ma per fortuna in questo campo le risorse non scarseggiano.

Non si puo' assolutamente invocare il "diritto" poichè esiste pur sempre un diritto ad essere IMMORALI e BERLUSCONIANI. Ecco allora che per le esigenze di propaganda capita a meraviglia la parolina "dignità". Ovvero: tu sei una donna come me e, poichè la tua esistenza intacca la mia dignità, io sono pur tenuta a difenderla; bada bene, non combatto contro di te sebbene ti apponga la famigerata lettera scrlatta, combatto per la mia dignità. Non mi limito a vivere secondo il mio modello lasciando che tu viva secondo il tuo: ti boicotto strepitando, ne va della mia dignità.

Ecco, avete visto come in nome della "dignità" il noioso quanto imbarazzante concetto di "diritto" possa essere aggirato? Avete notato quanto sia facile sentirsi autorizzati ad infastidire il prossimo colpevole di esercitare un proprio diritto? Semplice, no?.

***

p.s. Peccato che del "trucco" si siano innamorate, in altri contesti, anche le alte gerarchie cattoliche. Non sarà un caso che vedo citato il termine incriminato puntualmente in passaggi che fanno scuotere la testa.

p.s. Femministe contro? Basterebbero le divisioni documentate sul Corriere per testimoniare che c' è anche chi ragiona. Ma c' è pure chi sa bene quanta perplessità divoratrice di energie produca ogni forma di pensiero e preferisce quindi liquidare come "giornalismo miserabile" chi dà la parola per un nano secondo all' altra campana, quella dai rintocchi sgraditi.

p.s. Lo studioso più impegnato nell' analisi scientifica del neo-puritanesimo progressista è John Haidt, lo ispira la visione di Avatar, cosicchè il suo campo d' indagine si concentra sul "neo-sacro", ovvero cibo e ambiente; ma presto dovrà occuparsi anche del "sacro conteso", ovvero quella sacralità che la sinistra vorrebbe ora sottrarre alla destra, parlo del "sesso" naturalmente.

add:

davide:



diana:



ric:

martedì 11 gennaio 2011

Pleonasmi sospetti

Ripropongo un paradigmatico passaggio attribuibile ad un paradigmatico intellettuale di sinistra che riflette in modo paradigmatico sulla globalizzazione (il fantasma di Marchionne aleggia). In questa sede, si sarà capito, mi interessa solo cio' che l' uscita ha di paradigmatico.

"... dobbiamo forse rassegnarci alla supremazia della logica economica... o vi sono altre strade da percorrere, magari quella dei diritti?...".

Domanda impertinente: perchè in questi casi quella voglia irrefrenabile di aggettivare la logica definendola "logica economica"?

In sè non c' è nulla di sbagliato ma io sospetto che il pleonasma non sia innocente.

Sembra quasi si voglia far balenare l' illusione che esistano "logiche" alternative, magari, che ne so, si finge l' allusione ad una fantomatica "logica dei diritti". E' anche comprensibile questo istinto: allearsi con la "logica" fa sentire più forti e infonde coraggio nelle battaglie. una volta andava di moda il "Dio è con noi", oggi ci suona meglio il motto "la Logica è con noi".

La "logica economica" in realtà non è altro che la logica avalutativa quando consideriamo l' azione umana. Punto.

Questi pleonasmi ricorrono di frequente. Recentemente, per fare un caso limite, in uno scambio di opinioni, il mio interlocutore di punto in bianco mi chiedeva: "ma tu per razionalità cosa intendi? Forse la razionalità economica?

C' è solo un' alternativa alla logica: l' etica, ed è proprio la via che vuole imboccare alla chetichella l' intellettuale paradigmatico.

Chi si oppone pubblicamente alla "supremazia della logica" puo' infatti farlo solo imbarcandosi in una crociata moralistica.

E dico non a caso "crociata moralistica", non morale.

La morale riguarda infatti gli individui ma, come da paradigma, l' intellettuale paradigmatico è interessato solo all' azione statale: informare quella azione a precetti morali significa avere come obiettivo l' imposizione generalizzata della propria visione morale. Tutto cio', se permettate, io lo chiamo "moralismo".

Qualcuno obietterà: "ma l' intellettuale paradigmatico parla di "diritti", parla di "globalizzazione dei diritti" non di etica". Il suo è un discorso meramente giuridico.

E qui veniamo alla seconda trappola linguistica.

In realtà il nostro eroe puo' occultare la crociata moralista che conduce sfruttando la pervicace azione revisionista che nel corso dell' ultimo secolo ha trasmutato radicalmente il concetto di "diritto". Chi puo' esplicitare la cosa meglio di un intellettuale non paradigmatico come Kenneth Minogue?:

"... se consideriamo la concezione primigenia di "diritto", mi riferisco a quella lockiana, ci accorgiamo che essa non era affatto elaborata con l' intento di attribuire benefici ad un determinato gruppo di persone. I diritti non erano altro che "regole del gioco" intese a governare il "gioco sociale". Cio' esprimeva una concezione ludica del mondo. La formulazione dei diritti era quindi astratta e prescindeva dalla tutela di interessi immediati. Nei secoli seguenti una rivoluzione linguistica fu approntata per stravolgere la semplicità del genuino approccio liberale: la mentalità egalitaria dei democratici intese il diritto come "beneficio" piuttosto che come "regola del gioco". Il diritto diveniva così un "beneficio" atto a rispondere a "bisogni" contingenti tramite la concessione di "privilegi" particolari. Ogni gioco ha infatti vincenti e perdenti, la sorte successiva di costoro dipendeva prima dall' etica personale degli individui coinvolti, non tanto dalle regole del gioco che si limitavano alla parte "giocosa" dell' esistenza. Ma se il diritto è ora inteso come strumentale al trasferimento di potere dai vincenti ai perdenti, allora eccolo invadere il campo etico... il diritto cessa di rivolgersi all' intera società per diventare qualcosa che riguarda seriamente solo i "deboli" visto che i "forti" possono affrontare i loro "bisogni" tramite il potere di cui godono: alla concezione ludica della vita si sostituisce una concezione moralistica e al giurista si sostituisce una sorta di intellettuale-prete... finchè l' egalitarismo raggiunto non sarà perfetto, ci saranno sempre "deboli" e "forti" e ci saranno sempre "diritti" da inventare per colmare questa distanza... la proliferazione dei diritti richiede un' autorità governativa con poteri sempre più estesi e sempre più alle prese con questioni morali... l' intellettuale-prete investe lo stato di soggettività morale esautorando in questo campo le persone...la "vita morale" degli individui si deteriora... i "diritti" inventati a raffica sono molto costosi e vanno finanziati dagli individui che vengono messi di fronte a "doveri" che non incutono più alcun "senso del dovere" (chi prova un autentico senso del dovere quando è chiamato a far fronte a certe aliquote impositive?)... tutto cio' finisce per degradare la moralità dei singoli... la crescente moralizzazione dei governi, per contro, fa nascere un nuovo e minaccioso stato etico alacremente impegnato nell' infinita crociata contro "diseguaglianza" e "discriminazione"..."

Se la concezione del "diritto" subisce la perversione sopra descritta, allora finisce per camuffare sostanzialmente un precetto etico. Come si vede i conti ora tornano: la paradigmatica istanza che sto considerando nasconde una crociata moralista, altro che "ragionamento giuridico"!

Veniamo ora all' ultimo passaggio della mia riflessione: perchè mai l' essere a capo di una crociata moralista dovrebbe essere imbarazzante, al punto di utilizzare questo armamentario di trucchi linguistici per far credere di essere impegnati in realtà in discorsi logici e/o giuridici?

Ma perchè l' intellettuale paradigmatico ha appena smesso ieri di stigmatizzare proprio la pratica di condurre crociate moraliste, ha appena finito di chiarire che lui è invece un laico aconfessionale. Magari nel fare questa solenne professione aveva nel mirino la Chiesa Cattolica (che non si vergogna certo della missione moralizzatrice a cui si sente chiamata) e le sue continue "interferenze" in ambito bioetico.

Per occultare il repentino voltafaccia senza far esplodere platealmente le contraddizioni tra l' articolo di ieri e l' articolo di oggi, l' ambiguità di espressioni come "logica economica" e "diritto" è quanto mai preziosa e va sfruttata senza remore.

p.s. ah, l' intellettuale è il sempre paradigmatissimo Stefano Rodotà e l' articolo pubblicato da Repubblica è stato posto alla mia attenzione dalla sempre stimolante Loredana Lipperini.

lunedì 22 novembre 2010

Povera "povertà"

Prima del "perchè" il "come".

Povertà reale. E' la povertà, quella "vera". Quella che ci parla di chi non ha accesso a beni che consideriamo essenziali essenziali (cibo, vestiti, riparo, riscaldamento...). Bene, la parte seria del discorso è già finita, ora possiamo scatenare la fantasia.

Povertà assoluta di consumo nominale. Ci casca dentro chi puo' dedicare ai consumi una somma inferiore ad un limite fissato convenzionalmente, anche se magari quel "povero" vive in una società dove con una somma del genere è possibile soddisfare tutte le esigenze fondamentali e non solo. Mi rendo conto che degli esempi potrebbero essere utili e allora faccio entrare in scena due atori ben noti: Tizio e Caio. Dunque, poniamo che Tizio possa stanziare per l' acquisto di un orologio 5.000 euro, mentre il povero Caio solo 25. Gli orologi che acquisteranno saranno profondamente diversi, eppure in talune società entrambi soddisferanno brillantemente l' esigenza primaria di conoscere l' ora esatta in qualsiasi momento. Perchè? Ma perchè nell' abbondanza di talune società sono disponibili orologi ben funzionanti anche a 25 euro.

Povertà assoluta di reddito. Valgono i ragionamenti precedenti, salvo sostituire il concetto di "consumo" con quello di "reddito", il che, come è evidente, ci allontana ancora un passettino dal corretto concetto di "povertà".

Povertà relativa nei redditi. In questo caso è povero chi detiene redditi inferiori ad 1:3 del reddito mediano della popolazione osservata. Nota Bene: un ricco puo farsi chiamare "povero" mentre un povero puo' essere considerato "ricco". Basta che abitino in condomini opportunamente scelti. Ovvero: parole, parole, parole... La "relativizzazione" impazza nelle "statistiche democratiche", e come potrebbe essere altrimenti?

A rischio di povertà. Se volete guadagnare la scena è importante a questo punto fare attenzione e seguire una ricetta gustosa: prendete la quota di popolazione "relativamente povera", aggiungete X al fine di ottenere un' aliquota che possa impressionare la platea della conferenza stampa da convocare al più presto. Se qualcuno avrà l' ardire di chiedere lumi su quell' X arbitrario, non preoccupatevi, direte che se anche non si riferisce a poveri si riferisce pur sempre a famiglie "a rischio povertà". Il metodo funziona e porta dritti dritti sulle prime pagine dei giornali (chiedere alla Caritas).

Povertà percepita. Lo sapevate che per qualcuno basta considerarsi poveri per diventarlo automaticamente nelle loro statistiche? Come se non bastasse, i "furboni" in genere s' informano in questo modo: "si ritiene soddisfatto del suo reddito". Al "no" scatta automatico l' incasellamento tra i morti di fame.


***

La fantasia non ha limiti ma io sì. E' tempo allora di question time: come mai un concetto come quello di "povertà" è sottoposto ad uno stupro linguistico che infierisce tanto?

Ipitesi 1: chi di mestiere "allevia" la povertà, ha bisogno che ce ne sia sempre in abbondanza ed è stimolato a "lavorare" sulle parole per dare questa impressione.

Ipotesi 2: l' invidia non gode di buona stampa, meglio allora per gli invidiosi presentarsi come "poveri" se vogliono raccattare qualche privilegio.

Ipotesi 3: tutti i barbuti di casa nostra, non gli ayatollah ma i nostalgici del bell' egalitarismo d' antan, con un piccolo inganno lessicale possono continuare indisturbati le loro romantiche lotte di livellamento (verso il basso).

venerdì 15 ottobre 2010

I due popoli della rete: barbari e mafiosetti

Lui dona a Lei un anello di brillanti dal valore considerevole. E' un anello di fidanzamento e vuole andare sul sicuro, presto si sposeranno. Auguri.

In questi casi, tutti converranno, il fatto che si tratti di pietre di valore viene ben prima del giudizio circa la loro "bellezza".

Se per qualsiasi ragione il valore dei brillanti sul mercato collassasse, Lui non avrebbe più motivo per acquistare un anello del genere. Ciascuno lo capisce, perchè ciascuno capisce che con quell' anello si intende "segnalare" un impegno prima ancora che un gusto estetico.

La vita è così, gran parte di cio' che facciamo non lo facciamo perchè intendiamo farlo ma piuttosto perchè vogliamo, facendo quella cosa, "lanciare segnali".

A volte persino chi soffre di mal di mare è disposto a comprarsi uno yacht pur di "segnalare" il proprio status economico.

Spendiamo somme da capogiro in farmaci inutili perchè segnalare la cura che abbiamo per noi stessi e per chi ci sta vicino ci rende più affidabili. Non farlo, per quanto razionale, ci sembrerebbe primitivo.

Bene, con questa breve introduzione spero si sia capito il concetto di "segnale".

Lo stesso fenomeno infatti si riscontra quando discutiamo, tra i dialoganti ci sono almeno due categorie di persone: chi simpatizza con Giovanni e chi con Mauro.

Giovanni
quando apre bocca è per dire qualcosa della cui verità è convinto.

La propensione di Mauro è diversa: le sue affermazioni in genere sono buttate lì per lanciare dei segnali.

Potremmo forse dire che Giovanni è di un candore barbaro mentre Mauro è uno smaliziato mafiosetto interessato al messaggio trasversale.

Giovanni quando parla si appassiona alla verità, Mauro alle conseguenze.

Per Giovanni la cura del linguaggio è un' ossessione, la verità richiede nitore e sottigliaezza, la vaga ambiguità delle sfumature mina la chiarezza.

Per Mauro la cura del linguaggio è secondaria, cio' che conta è l' effetto: usare certe parole piuttosto che altre in fondo è indifferente, anche la precisione nei termini è trascurabile, l' importante è catturare la preda e a volte un po' di confusione puo' far gioco.

Giovanni odia le distorsioni tipiche del politically correct, Mauro vi ricorre di continuo per arginare taluni effetti collaterali che potrebbero risultare offensivi.

Giovanni riceve un linguaggio dalla tradizione e vi si adegua, un linguaggio condiviso è il miglior modo per mettersi in comunicazione con l' Altro.

Mauro invece vede il linguaggio come una gabbia, lo forza da tutti i lati, lo piega a fin di bene, lo perverte per conseguire i suoi obiettivi. Restare concentrati sul proprio obiettivo è fondamentale, l' Altro e la comunicazione vengono rilegati sullo sfondo.

[... quando Alessio Burtone ha saputo che l' infermiera rumena Maricica Hahaianu‎ era deceduta, ha commentato: "sono stato sfortunato". Giovanni si è dichiarato d' accordo con lui, Mauro a momenti gli salta al collo...].

Inutile aggiungere che quando Giovanni e Mauro s' incontrano danno spesso vita ad un dialogo tra sordi, a meno che non si riconoscano ("ah, ma tu sei Giovanni detto il barbaro", "già, e tu sei Mauro il mafiosetto"...).

Nella vita tutti noi riceviamo pressioni e finiamo inevitabilmente per agire come Mauro, a volte non farlo sarebbe a dir poco riprovevole.

Ma la rete ci dà una grande possibilità: recuperare per un attimo il Giovanni che è in noi. In fondo la rete è una realtà virtuale, non viviamo lì la nostra vita e l' esigenza di "segnalare" si affievolisce.

E' un peccato che molti, avendo troppo frequentato il Mauro che è in loro, ormai non se ne sappiano più liberare e neanche quando si tuffano e nuotano nel mare anonimo e virtuale di internet cessano dall' esigenza di "segnalare" a destra e a manca come se fossero nella piazza del loro paesello.

P.S. per appellare i due popoli ho utilizzato due epiteti (barbari & mafiosetti) che, sebbene ne abbia specificato analiticamente il significato, potrebbero apparire offensivi. Ebbene, se è passato il concetto che volevo far passare, si sarà capito che solo da Mauro ci si puo' aspettare il broncio: a lui gli eventuali segnali, per quanto vaghi, interessano più che il senso proprio delle parole. Ma non dovrebbe offendersi visto che io simpatizzo, almeno qui in rete, per Giovanni , ed ambisco parlare come lui.

giovedì 7 ottobre 2010

Giochi di parole sulla pelle dei poveri

Con i numeri spesso si esagera. I governi si autoelogiano
parlando del recupero di evasione fiscale, la Polizia elenca con orgoglio la
refurtiva sequestrata... ma a volte i motivi delle esagerazioni sono meno palesi.
E' difficile sentire la Chiesa dire che i poveri stanno diminuendo; o sentire la
Fao dire che le persone scarsamente alimentate stanno calando; o l' Oms
minimizzare i rischi di una pandemia; o l' IPCC rassicurarci sul riscaldamento
climatico... Perchè la Caritas, nella conferenza stampa dell' 11.2.2010,
preferisce denunciare l' esistenza di 8 milioni di poveri piuttosto che dire le
cose come stanno, ovvero che i poveri in Italia non superano i 3 milioni? Una
risposta molto semplice è che le grandi istituzioni benefiche vivono di sussidi;
se vuoi massimizzare i sussidi devi convincere governi e privati dell' urgenza
del problema, amplificare le cifre è innanzitutto una strategia di fund raising.
Una seconda risposta è che spesso chi si sente paladino di una giusta causa
pensa che ingigantirne le dimensioni aiuti a sensibilizzare l' opinione pubblica
suscitando indignazione e rivolta morale... ma questo modo di procedere è molto
rischioso: innanzitutto altera le priorità in campo (le cause nobilissime
abbondano), poi perchè, proprio per "cambiare il mondo", sarebbe meglio darne
una rappresentazione fedele... da ultimo: non è che questa "bolla" del male
anzichè instillare una "rivolta morale" finisce per procurare
rassegnazione?
Luca Ricolfi - Illusioni italiche

Mi raccomando, non pensiate che distorsioni numeriche in tema di povertà si presentino nella candida veste della "bugia".

Il demonio è più sofisticato e in questi casi diventa decisiva la perversione del linguaggio.

mercoledì 1 settembre 2010

mercoledì 23 giugno 2010

Il federalismo pervertito

Un tempo, in epoche pre-internettiane, un pendolare "colto" si sarebbe intrattenuto durante il viaggio con la "migliore" e più autorevole stampa sfornata nel bel paese: "Corriere della Sera" e "Repubblica".

Con letture del genere sarebbe venuto a conoscenza di tante cose, per esempio dei costi del federalismo. Sul punto si sarebbero mossi per lui addirittura le colonne dei due giornali.

Massimo Giannini (Repubblica):

"... per assicurare il passaggio al federalismo nelle materie strategiche... occorrerebbero quasi 133 miliardi di euro... anche a voler dimezzare... il federalismo fiscale costerebbe allo Stato non meno di 60 miliardi..."

Massimo Franco (Corriere):

"... i leghisti esultano... sebbene calcoli ufficiosi parlino di un costo di 130 miliardi di euro..."

Al pendolare colto capita raramente di riscontrare un accordo tanto ferreo tra due testate che si prendono sempre a testate. Evidentemente le cifre sono ineludibili.

Il pendolare colto avrebbe poi concluso: cavolo, ma questo federalismo è caro come il fuoco. Meglio andarci piano.

Il figlio del pendolare colto è un pendolare un po' meno colto e non gli piace spendere per l' informazione, tuttavia ogni mattina non rinuncia a leggere il "suo" giornale così come si autocompone sul cellulare sulla base delle fonti decretate interessanti dal proprietario.

Questa mattina, sui costi del federalismo, c' è Massimo Bordignon:

"...Massimo Giannini... ha preso fischi per fiaschi, confondendo la spesa attuale delle Regioni... con la nuova spesa che si dovrebbe devolvere alle Regioni, dimenticando che se i 133 miliardi costituiscono la spesa attuale, vuole dire che tributi propri regionali e trasferimenti già la finanziano, e non c'è dunque nessuna necessità di nuovi finanziamenti in vista..."

Ma come, la "stampa più autorevole" ci dice quanto spendono oggi le Regioni e chiama quella cifra "costo del federalismo"?

Lo so, lo so, probabilmente siamo di fronte solo ad una perversione del linguaggio a fini propagandistici, ma siamo anche di fronte anche a "testate autorevoli e in posizioni ideologicamente contrapposte".

Già, questa è la triste verità di un' epoca oscura in cui anche i pendolari colti erano lasciati galleggiare nella loro ignoranza. Per fortuna i figli faranno luce, e non per merito loro quanto dei mezzi di cui dispongono.

P.S. stamattina nel giornale autocompostosi sul telefonino del figlio del pendolare colto compariva anche Alberto Luisani che si divertiva con la storiella di cui sopra.




martedì 15 giugno 2010

Riscrivere il New York Times

Bisognerebbe farlo fare nelle scuole ("Repubblica" s' incarica di non far mancare la materia prima).

A seguire, il testo politicamente corretto (e andato in stampa).

New York may soon become the first state to offer employment protection for nannies.

The state Senate passed a bill of rights for domestic workers this week, a measure that would require employers to offer New York’s approximately 200,000 household workers paid holidays, overtime pay and sick days.

Supporters say the step will provide needed relief to thousands of women — and some men — who are helping to raise the children of wealthier New Yorkers without any legal workplace rights beyond the federal minimum wage.


A seguire il testo logicamente corretto.

New York state may soon become the first state to restrict employment opportunities for nannies.

The state Senate passed a bill this week that would prohibit New York’s approximately 200,000 household workers from accepting any position that does not include paid holidays, overtime pay and sick days.

Opponents say the step will bring unnecessary hardship to thousands of women—and some men—who have found employment because of labor markets that operate freely, except for constraints imposed by the federal minimum wage.

venerdì 4 giugno 2010

Statale = Pubblico

Guardatevi dai pervertitori del linguaggio e vigilate sulla proprietà dei termini.

Da tempo l' instancabile azione dei "pervertitori" si adopera per identificare la parolina "Stato" con la parolina "Pubblico".

Un "bene pubblico" è un bene che favorisce l' intera comunità. Un "bene statale" è invece un bene realizzato ricorrendo a tassazione.

Un bene di stato puo' essere in teoria un "bene privato" ad uso e consumo della burocrazia o dei politici, puo' persino essere un "male pubblico" anzichè un "bene pubblico". Un rischio che non si corre usando parole drogate che identificano fin da subito il bene statale con il bene pubblico.

Nella Favola delle Api, il dottor Bernard de Mandeville ci spiegava che spesso a vizi privati corrispondono pubbliche virtù; traduciamolo pure dicendo che spesso i beni privati possono anche essere beni pubblici. Ecco, lo abbiamo tradotto. Ma questa traduzione non è possibile nel linguaggio che vorrebbero spacciarci i "pervertitori" della lingua.

Se un datore di lavoro fosse disposto ad assumere un clandestino purchè in nero, entrambe le parti trarrebbero dal contratto un "bene privato". Ma se il clandestino in mancanza di quel lavoro avesse deciso di delinquere mettendo a repentaglio la comunità, allora il bene prodotto dal contratto in nero sarebbe anche un "bene pubblico".

In questo racconto, come si è visto, ci sono tanti "se" e tanti "ma", è dunque onesto considerare "privati" i beni prodotti in quel modo e non parlarne più. Ma cio' che noi facciamo per prudenza i pervertitori lo fanno per necessità, la perversa gabbia del linguaggio che si sono inventati non dà scelta.

Una scuola che funziona ed educa Giovanni produce un bene privato: l' istruzione di Giovanni. Ma taluni ritengono che produca anche un bene pubblico: la gente istruita rende la società più prospera e sicura. Questo è vero sia che si tratti di una scuola statale, sia che si tratti di una scuola privata.

E qui i pervertitori li sgami subito: per loro "scuola pubblica" e "scuola statale" si identificano. Se questa identificazione vale, una scuola privata non potrà mai essere pubblica, ma questa conclusione, proprio per quanto detto più sopra, è assurda.

Oltretutto molto spesso la scuola statale è una "scuola privata" messa su ad uso e consumo dei sindacati e degli insegnanti. Ma anche qui notiamo che nell' Utopia linguistica dei "pervertitori" la cosa non puo' essere vera già in via di principio, visto che in quel caso una scuola statale è pubblica per definizione. Infatti, Statale = Pubblico.

Per i pervertitori vale l' equivalenza a priori Rai = Servizio pubblico. Ma è assurdo postularlo a priori visto che la cosa si puo' verificare solo a posteriori, cosa che un linguaggio corretto renderebbe immediatamente comprensibile.

Spesso il TG5 non si discosta molto dal... TG3 (risatina), eppure avete mai sentito parlare di servizio pubblico con riferimento al TG5? No, i pervertitori hanno colpito.

Se RAI = Servizio pubblico, dunque, si verificherà forse a posteriori, e spesso nemmeno questa verifica è possibile, su questa impossibilità campano i rent seeker del... "servizio pubblico".

Bisogna infatti ricorrere a dei controfattuali, mica facile: come sarebbe stato il panorama televisivo senza la Rai? I più ritengono che sarebbe stato più pluralista e meno inchiodato al duopolio. La Rai, quindi, probabilmente è solo il bene privato dei Santoro, dei partiti e di pochi altri ma nel linguaggio dei pervertitori una simile conclusione non è nemmeno concepibile. Logico, per loro "Televisione di Stato" = "Televisione Pubblica". C' è poco da studiare e verificare, bastano le cattedratiche imposizioni dall' alto.

Domandina. Fahrenheit dà manforte ai Pervertitori del linguaggio? io personalmente li vedo costantemente sdraiati sulle sue poltrone... da anni e irremovibili!

E' proprio vero: la disonestà comincia a segnalare la sua presenza maltrattando il linguaggio.

altre perversioni

giovedì 3 giugno 2010

"Mettere le mani nelle tasche degli italiani"

L' espressione non è delle più galanti ma non si puo' negare che parlando di Tasse renda una fedele descrizione cronachistica di quanto avviene in scena.

Ci sono delle tasche? Sì. Ci sono delle risorse in esse contenute? Sì. Ci sono delle mani che si allungano e - una brandendo armi da fuoco in modo da vanificare ogni dissenso, l' altra agitando dita spigolatrici - traslano una parte del contenuto? Sì. E allora?

Eppure a qualquno l' espressione dispiace (ancora oggi si è alzato il laio di parecchi morning-free a Prima Pagina): sono i pervertitori del linguaggio, sempre intenti a decostruire i problemi anzichè a risolverli.

In genere - si capisce - sono anche tra coloro che si spartiscono il bottino una volta prelevato (l' elenco dei beneficiari delle munifiche elemosine rilasciate da quelle stesse "mani" è sterminato).

I "pervertitori" non si limitano all' umile difesa di un' operazione del genere, magari cercando di convincerci che in fondo l' elemosina che ricevono, chissà per quali vie, possa essere utile al benessere di tutte le "tasche", costoro vorrebbero invece negare l' evidenza raccontando che un' operazione del genere non esista o che non si svolga come si svolge sotto i nostri occhi (che a questo punto si deve ritenere siano collegati a cervelli difettosi)!

Per (non) fare i conti con l' ineludibile realtà dei fatti, la congrega comicia a fare cio' che sa fare meglio e a cui sempre più spesso affida le sue sorti, ovvero coltivare una chirurgica perversione del linguaggio nella speranza che la bambagia del politicamente corretto plasmi ex nhilo una nuova realtà che abbia il loro consenso. Chi sa fare fa, chi non sa fare "perverte".

E' proprio vero: la disonestà comincia a segnalare la sua presenza maltrattando le parole che usiamo. Difenderle è un' operazione di civiltà.

martedì 1 giugno 2010

Parole molestate

Il Presidente Obama vorrebbe ridefinire la povertà:

"una persona è povera nel momento in cui si trova ad una certa distanza dal vertice della "piramide", e questo indipendentemente dalla sua ricchezza".

Strano che la povertà di qualcuno sia "indipendente dalla sua richezza". Ma poi per il concetto espresso nel virgolettato esiste già una parola: diseguaglianza. Capisco poi che aiutare gli invidiosi non garantisce gli onori che spettano a chi aiuta i poveri.

E' proprio vero: la disonestà comincia a segnalare la sua presenza maltrattando il linguaggio.

C' è poi chi non si limita a segnalare le perversioni linguistiche ma, e ne vale sempre la pena, spinge nel merito la sua critica: link