MERITEVOLI CONTRO LA MERITOCRAZIA
La meritocrazia è sotto attacco. Da parte di chi? Innanzitutto dei meritevoli, nota l'articolo. Perché?
Calma, prima l'elenchino dei libri di riferimento per far capire che non parliamo del nulla. Ecco gli ultimi arrivati in libreria:
Chris Hayes: "Twilight of the Elites"
Lani Guinier: "The Tyranny of the Meritocracy".
Robert Frank: "Success and Luck"
Michael Sandel: "The Tyranny of Merit".
Daniel Markovits: "The Meritocracy Trap".
Lani Guinier: "The Tyranny of the Meritocracy".
Robert Frank: "Success and Luck"
Michael Sandel: "The Tyranny of Merit".
Daniel Markovits: "The Meritocracy Trap".
Bastano? Siete convinti che il fenomeno esista? Che non sia inventato?
Adesso, nel tentativo di capire, facciamo un passo indietro. La meritocrazia nasce col secondo fine mai molto nascosto di sgranchire l'anchilosato ascensore sociale, benché a distanza di sessant'anni dalla sua ideazione formale (Michael Young - 1958) l'abbia di fatto bloccato. Dopo un primo aggiustamento che ha fatto ben sperare, le cose si sono assestate, si è scoperto cioè che i più facoltosi erano anche i più meritevoli e ciò li rendeva ancora più ricchi e segregati dagli altri. Quasi come se la l'attitudine a primeggiare fosse ereditaria (ma va'?). Oggi queste superstar lavorano 60 ore la settimana, pagano gran parte del gettito fiscale che incamera lo stato, sono ribattezzate 1% e se ieri il rischio era che sfruttassero troppo i lavoratori oggi è che sfruttino troppo se stessi.
Che fare per chiudere lo scandaloso gap?
Non c'è soluzione visto che anche i più ardenti critici della meritocrazia quando hanno l'infarto si tradiscono andando in cerca di un cardiologo capace. A volta addirittura del migliore!
L'unico palliativo è chiedere scusa. Scusa per i propri meriti e il conseguente mega-patrimonio accumulato. Chiedere scusa enfatizzando magari che la competenza non significa saggezza o probità (ci mancherebbe). Sarà dovuta a questa strategia disperata la recente pioggia di libri contro la meritocrazia scritti dai pupilli di Harvard, Yale, Princeton, Stanford e Cambridge.
Fusaro la chiamerebbe "coscienza infelice", citando lo Hegel. O lo Gramsci? Boh, o uno o l'altro, non si scappa.
P.S. L'alternativa è prendere esempio dalla politica, dove il merito è secondario e ci si diverte come pazzi. Lì gli outsider abbondano e l'imprevedibilità è sempre dietro l'angolo. Può persino capitare che un comico qualsiasi stordito dalla sua stessa logorrea fondi un partito grazie a una srl e vada dritto al governo senza ancora avere capito bene cosa vuole fare (oltre a mandare aff... questo e quello). Siamo allora così sicuri che un po' di colorata follia farebbe così male al grigio mondo del business e dell'accademia? Mmmm... sì, direi di sì. Pensandoci meglio direi che farebbe molto male in qualsiasi contesto.