LE PAROLE SONO IMPORTANTI? NO.
Il relativismo linguistico è quella teoria per cui le parole plasmano il pensiero (ipotesi Sapir–Whorf): se non possiedi la parola per designare una cosa non riuscirai a pensarla come si deve. L'articolo è incentrato sulla figura di Paul Kay, un antropologo che ha avversato questa tesi. La battaglia finì curiosamente per concentrarsi sui colori. Per Kay il rosso è rosso, e lo percepisce come tale anche chi non ha nessuna parola per menzionarlo.
Oggi il relativismo linguistico naviga in cattive acquee, da quando possiamo vedere sul mega-schermo cosa succede nel cervello delle persone abbiamo constatato che più o meno tutti reagiscono allo stesso modo se esposti agli 11 colori di base. Difficile quindi ritenere che con questa fisiologia in comune il "colore pensato" sia molto differente da persona a persona. Anche gli eschimesi che vedono e parlano solo del bianco, il rosso lo colgono eccome. Magari ne parlano con lunghe perifrasi piuttosto vaghe e dispersive, ma è normale che sia così, la loro cultura si concentra molto di più sul bianco. Già in passato si era comunque giunti alla medesima conclusione osservando i bambini e sapendo che il loro sguardo si sofferma più a lungo sulle novità. Fate sfogliare loro un libro con pagine opportunamente colorate. Ecco, per gli undici colori di base i "tempi di stupore" sono identici in tutto il mondo, anche per quei bimbi cresciuti con un vocabolario che - per ragioni culturali - ne menziona solo un paio.