mercoledì 18 ottobre 2017

La libertà delle bisnonne

La libertà delle bisnonne

PREMESSA
1. Giovanni si trova di fronte ad un’ alternativa: bianco o nero? La legge gli consente di scegliere e lui, siccome preferisce il nero, sceglie il nero.
2. Giuseppe si trova di fronte ad un’alternativa: bianco o nero? La legge gli impone di scegliere nero, ovvero proprio ciò che avrebbe scelto senza imposizioni di sorta.
3. Gino si trova davanti ad un’alternativa, bianco o nero? La legge gli impone di scegliere il nero anche se lui avrebbe preferito scegliere bianco.
Nota: la prima legge è liberale, la seconda naturale e la terzacoercitiva.
Si noti che Giovanni e Giuseppe sono due individui parimenti liberi grazie a leggi liberali o naturali. L’unica libertà violata dalla legge è quella di Gino.
Applicando alla realtà questi concetti faccio una considerazione: fatte 100 le leggi in vigore nell’epoca contemporanea, 50 sono del primo tipo e 50 del terzo. Fatte 100 le leggi in vigore nel XIX secolo, 50 sono del secondo tipo, 25 del primo e 25 del terzo.
Dal che si evince che nel XIX secolo la libertà era più tutelata di oggi.
In altri termini, il nostro mondo è più “liberale” ma garantisce meno la libertà.
Sembra un paradosso ma è così se si va oltre le parole.
Attraverso lo stesso meccanismo è possibile congetturare che una donna del XIX secolo fosse più libera di una donna contemporanea.
CORPO
Focalizziamoci allora sulla provocatoria questione: la donna dell’800 era più libera di quella contemporanea?
Rispondere è importante, parliamo di un gruppo che costituisce metà della popolazione! Qualora la risposta fosse affermativa potremmo dichiarare che non esiste un collegamento tra libertà e quel che chiamiamo “progresso”.
Certo, un secolo fa la vita era più dura, ma lo era per tutti! Deve essere chiaro che il nostro tema non riguarda le comodità e il benessere materiale, sul quale non c’è confronto.
Passiamo ora al setaccio le varie obiezioni di chi si oppone alla tesi per cui la donna del XIX secolo fosse più libera delle sgallettate di Sex im the City.
Qualcuno potrebbe far notare come nel XIX secolo le donne non votassero.
Vero. Ma questo è irrilevante se poi di fatto erano più libere. Ai nostri fini il voto è un mero strumento per guadagnarsi la libertà. Concentriamoci allora sulla sostanza!
Tuttavia, esiste un’ obiezione ben più cogente: la donna sposata non poteva possedere proprietà, né firmare contratti.
Questo era un grave vulnus alla libertà, bisogna ammetterlo. Tuttavia, il matrimonio rimaneva volontario.
Se non si desiderava  andare “sotto tutela” si poteva evitarlo: la “donna sola” manteneva intatte tutte le sue prerogative.
Ma direi di più, il fatto che praticamente tutte si sposasserosegnala che i diritti di cui qui ci preoccupiamo tanto non fossero ritenuti poi così preziosi dalle interessate.
Inoltre, esistevano dettagliati contratti prematrimonialiattraverso i quali porre dei limiti alla tutela. Erano uno strumento largamente utilizzato dai familiari delle spose facoltose.
Alcuni potrebbero pensare che una legislazione del genere costituisca comunque una “spintarella” paternalista verso una certa  organizzazione  della propria vita. Forse sì, ma nemmeno oggi siamo al riparo dal paternalismo. Oserei dire che se la mettiamo su questo piano il presente perde in partenza rispetto al passato. Abbiamo appena conferito il Premio Nobel al “re delle spintarelle” paternaliste.
Forse non cogliamo un punto cruciale: quando una legge ci impone di fare quel che vogliamo fare cessa di essere coercitiva e di conculcare  libertà. È proprio quello che accade con le donne del XIX secolo: molte leggi che le riguardano ci appaiono “coercitive” ma erano di fatto “naturali”.
La famiglia tradizionale oggi ci appare incomprensibile ma ha invece molto senso se vista nel quadro… della tradizione. Specializzarsi in ruoli diversi era vantaggioso per tutti ed era di fatto ciò che tutti volevano.
Aggiungo che all’interno del matrimonio la lettera della legge contava è conta ancora ben poco. Opponiti al volere della moglie e te ne accorgerai! i I modi per rivalersi contro un marito prepotente erano infiniti.
E gli stupri intramoenia? Pochi, e oggi comunque non sono molti di meno. Il fatto rilevante è ancora quello: la legge  incide poco tra le mura domestiche.
La coabitazione era illegale, vero, ma era anche un reato di fatto lasciato impunito anche quando ben noto. Non c’è niente di più libertario che un proibizionismo non attuato.
Si potrebbe pensare che la legge contasse laddove si veniva a realizzare una tensione tra i coniugi. Non è così: nel momento in cui si litiga invocando la legge il matrimonio è già finito, è ben difficile convincere una moglie appellandosi ad un comma! La legge, piuttosto,  pesa laddove si è già separati o divorziati.
E che dire della pressione sociale sulle donne?
La pressione sociale “non violenta” ha un nome preciso, si chiama “cultura“.
Nella cultura di cui parliamo erano immerse anche le donne, che a quanto pare la condividevano appieno. Molto spesso erano proprio loro a realizzare la “pressione” di cui sopra! Inoltre, il mercato, laddove esiste, allenta fino a neutralizzare le pressioni sociali.
A questo punto l’ipotesi che la donna del XIX secolo fosse più libera si rafforza, soprattutto considerato il peso centuplicato oggi assunto da fisco e regole.
Come escludere che questa perdita di libertà sia alla radice della misteriosa infelicità femminile?
CHIUSA
Forse la domanda che ci siamo posti all’inizio potrebbe essere riformulata così: la cultura può mai “violentare” qualcuno?
È evidente che la cultura “violenta” solo chi non la condivide. È altrettanto evidente che nel XIX secolo legge e “cultura condivisa” andavano a braccetto in modo molto più armonioso che oggi.
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