Perché non andiamo a tormentare il gatto?
I bambini che compiono abusi sugli animali diventeranno adulti violenti?
Tormentare gli animali è solo una monelleria infantile o anche l’indicatore di una psicopatologia?
Per qualcuno noi siamo crudeli di natura, i nostri antenati erano probabilmente delle scimmie antropomorfe carnivore che si dilettavano a smembrare le loro prede .
Altri ritengono invece che i nostri bambini siano gentili e che l’insensibilità verso gli animali venga installata da una cultura che promuove attività come la caccia.
Lo stesso Charles Darwin nella sua biografia scrisse che da bambino aveva picchiato un cagnolino semplicemente per assaporare il “gusto del potere”.
L’antropologa Margaret Mead pensava che una delle cose più pericolose che potesse accadere a un bambino fosse quella di uccidere o torturare un animale: ne sarebbe rimasto segnato per sempre.
Nei primi studi sul tema si intervistavano gruppi di criminali aggressivi, gruppi di criminali non aggressivi e gruppi di non criminali, facendo poi i dovuti confronti.
Nel primo gruppo era più probabile trovare soggetti che avessero ripetutamente compiuto abusi sugli animali.
L’idea del nesso tra crudeltà infantile verso gli animali e violenza da adulti si è talmente consolidato che per designarlo è stata coniata l’espressione “The Link” (registrata all’ufficio copyright).
I serial killer Albert De Salvo, lo strangolatore di Boston, Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee, e molti altri sono stati tutti accusati di crudeltà infantile verso gli animali.
Ma un esame condotto su 354 casi di omicidi seriali ha riscontrato che quasi l’ 80% degli autori non aveva esperienze precedenti note di crudeltà verso gli animali. E la connessione è ancora più tenue quando si rivolge l’attenzione ai ragazzi stragisti nelle scuole.
Tuttavia, l’ American Psichiatric Association ancora include la crudeltà verso gli animali fra i criteri diagnostici dei disturbi della condotta.
E recentemente uno studio come quello di Linda Merz-Perez e Catherine Heide insiste sul nesso.
Ma il sociologo Arnold Arluke, nel confrontare la fedina penale di alcuni soggetti che nell’infanzia erano stati condannati per abusi sugli animali con quella di un gruppo di cittadini “immacolati”, lo smentisce
Ai corsi di logica impariamo che se tutti gli A sono B, non vuol dire che tutti i B siano A. Il fatto che la maggior parte dei dipendenti da eroina abbia cominciato fumando marijuana non implica che fumare l’erba farà di te un tossico. La stessa cosa può dirsi del nesso tra violenza verso gli animali e criminalità: il bambino che strappa le ali a una falena non è particolarmente predisposto all’omicidio.
Se si studia la storia pregressa dei criminali e la si mette a confronto con quella dei soggetti rispettosi della legge ci si accorge che la percentuale di molestatori di animali non varia granché. Almeno se stiamo al lavoro certosino realizzato daEmily Patterson-Kane e Heather Piper.
Ci sono cose che effettivamente facilitano la predizione di un futuro violento, per esempio la propensione di certi bambini a picchiarsi fra loro, oppure l’abitudine a mentire sistematicamente, oppure ancora l’inclinazione ad appiccare incendi. Ma la crudeltà verso gli animali non è affatto predittiva. Almeno, così dice Suzanne Goodney Lea, andatevi a cercare i suoi lavori su internet.
Ma perché i bambini molestano gli animali? La risposta più frequente che danno loro stessi è di questo tenore: “non avevamo niente da fare, ci annoiavamo, e allora abbiamo detto: perché non andiamo a torturare il gatto?”.
Arnold Arluke avanza un’ipotesi drastica, è convinto che, per molti bambini, la crudeltà verso gli animali sia una componente normale della crescita, contribuisce a cementare i legami fra i cospiratori “complici nel crimine”.
Altri pensano al bambino come ad un esploratore compulsivo, e fanno rientrare le molestie agli animali in questa attività di “ricerca”.
La cosa migliore, ad ogni modo, è affrontare il problema in sé per sé senza trasformare i bambini dediti a questa attività in potenziali adulti psicopatici.