mercoledì 4 ottobre 2017

10 Dominio & Sfruttamento

Dominio & Sfruttamento

Il segreto della ricchezza è tra quelli più gelosamente custoditi dalle pieghe della storia: perché quel piccolo lembo di terra emersa che chiamiamo Europa ha generato una ricchezza talmente colossale da consentirle di dominare il mondo e di forgiarlo a sua immagine e somiglianza?
Perché una simile divergenza con il resto dell’umanità?
Tra i tanti dubbi una certezza resta ferma: quella che riguarda il momento in cui tutto ciò è accaduto. La rivoluzione industriale costituisce il chiaro punto di svolta. Da allora la ricchezza esplode e genera ciò che va sotto il nome di “Grande Divergenza”.
In molti si sono cimentati nell’impresa si “spiegare”. Non hanno convinto.
Non convince Niall Ferguson, per esempio, e la sua storia delle “killer app”.
Secondo Ferguson noi eravamo i migliori.
I migliori nella scienza, i migliori nella competizione economica, i migliori nel diritto di proprietà, i migliori nel l’etica del lavoro. Inoltre, eravamo anche una società dai consumi elevati, il che non guasta. Questi fattori (le killer app) hanno fatto di noi, dopo il 1500, i padroni del mondo.
Ma c’è un problema (enorme) con i fatti.
Prima del XIX secolo il nostro primato nei fattori di cui parla Ferguson è alquanto dubbio. In campo medico, tanto per dire, la Cina era messa meglio. E vantava anche una competizione economica brillante; l’ Europa era invece attraversata da innumerevoli confini stracarichi di tariffe, dazi e tutti quei monopoli tipici del mercantilismo.
L’ortodossia sostiene che la frammentazione europea ha generato una virtuosa competizione tra governi. Tuttavia, da un punto di vista economico, la frammentazione dell’Europa è stata un vulnus difficile da sottovalutare. È stata per esempio all’origine di molte guerre, che non sono certo un viagra per l’economia.
O no? È pur vero, infatti, che alcuni autori – Voigtlander e Voth – hanno considerato la guerra come una fonte di sviluppo economico.
Una teoria troppo zeppa di controesempi per stare a galla con disinvoltura, ne faccio solo uno: la Germania impegnata nella guerra dei 30 anni non fu certo un esempio di paese prospero.
Il diritto di proprietà, poi, è sempre stato conosciuto dai cinesi e in Cina ha sempre goduto di buona salute. Come killer app ci dice poco.
Si tende a dare troppa importanza alla cronologia di Douglas North e Berry Weingast, i quali attribuiscono alla Gloriosa Rivoluzione del 1688 i grandi miglioramenti nell’applicazione del diritto di proprietà in Inghilterra. Che il punto di svolta stia lì è abbastanza dubbio. Con il medesimo “rigore” ne possono essere individuati almeno altri cinque o sei.
Ma che significa poi dire che noi eravamo una società dedita ai consumi? La categoria pare vuota di contenuto.
innanzitutto il consumo traina l’economia solo nella testa di qualche politico spendaccione. Puo’ farlo nel breve periodo ma non certo sul lungo. Say ripeteva che “ogni società è tanto lussuosa quanto può permettersi di esserlo”. Il lusso poi non è certo una prerogativa degli europei, molti antropologi hanno insistito con esempi su questo punto.
E che dire dell’etica del lavoro? È facile lavorare duro quando non si è debilitati dalla malaria! Su questo punto la mente corre alla distinzione di Weber: i protestanti lavorano duro mentre i cattolici, per esempio i bavaresi, se la prendono comoda. Per non dire degli indù o dei confuciani! Vi sembra convincente? In molti hanno smontato queste affermazioni poco solide.
Ad ogni modo per Niall Ferguson la presenza delle killer app ha consentito il dominio dell’Europa sul mondo.
E qui sorge un altro problema: dominare l’India non reca di per sé un vantaggio economico all’ Inghilterra.
I danni che si infliggono alle popolazioni sottomesse non si trasformano automaticamente in guadagni per la nazione che sottomette.
Questo lo crede Niall Ferguson, e con lui i teorici della dipendenza che di Ferguson sono l’immagine riflessa.
L’ India di oggi prospera perché è imperialista? No, e allora? Evidentemente, non è l’imperialismo la radice della prosperità.
Anche Jared Diamond cade nel tranello allorché sostiene che la nostra ricchezza derivi dalla nostra posizione geograficache ci ha consentito di disporre di animali e piante facili da addomesticare.
E’ il punto di partenza ad essere difettoso, è la capacità di comprendere cosa sia la “ricchezza” a latitare.
Si confonde la ricchezza del XIX secolo con quella del XVI secolo. La prima è fatta di innovazione, la seconda, spesso, di appropriazione, o al massimo di commerci.
Per questi studiosi potere=ricchezza. Non comprendono la natura speciale della ricchezza vera, quella di cui parliamo, quella derivata dalla rivoluzione industriale.
La ricchezza da appropriazione sparisce una volta usata, quella da innovazione si moltiplica continuamente nel tempo e cambia il mondo.
Da questo punto di vista, la guerra, strumento di dominio per eccellenza, è un fattore che brucia ricchezza anziché generarla.
Pensando alla ricchezza diamo troppo peso al capitale, e questo ci inganna. Guardate alla Spagna ai suoi bottini nel nuovo mondo. Ma guardate anche al Medio Oriente contemporaneo e alla manna del petrolio. Queste presunte benedizioni si sono trasformate sistematicamente in maledizioni! E allora non chiamiamole ricchezze! Non si tratta solo di ricchezze diverse dalla capacità di innovare ma addirittura in antitesi: sono ricchezze che producono un’ élite ostile al cambiamento.
Su questo punto si sono ingannati esimi studiosi, oltre a Ferguson e Diamond, anche David Land, Charles Kindleberger, Samuel Huntington, Ian Morris e Paul Kennedy.
***
La molla della ricchezza Europea è interna. Non bisogna guardare lontano. Non bisogna spaziare sulle colonie, bisogna guardare in casa nostra.
E non si confonda nemmeno la ricchezza dei commerci con la ricchezza da innovazione. Non si confonda il XIX secolo con i secoli passati. I commerci stanno ovunque nel tempo e nello spazio, il culto per l’innovazione testata dai mercati è una singolarità.
Chi aveva ben chiara questa distinzione – per esempio JB Say – fu in grado di capire che il dominio sulla terra e sui mari sarebbe presto apparso destituito da ogni attrattiva.
Anche l’ottuso contabile ormai ci dice che l’imperialismo europeo non ha condotto ad esiti economici positivi, semmai negativi. Il lamento di Disraeli è comprensibile: “queste maledette colonie sono come una macina al collo della nazione”. Gli imperi si sgretolarono senza rimpianti.
Ciò non toglie che con l’impero siano stati in molti ad arricchirsi, anche per questo l’imperialismo si trascinò tanto a lungo. Ma i “molti” di cui sopra non sono la nazione.
Anche gli USA, nella loro breve storia contemporanea, hanno compreso il costo dell’espansionismo: Vietnam e Iraq sono stati per loro delle dure lezioni da cui apprendere.
L’imperialismo puo’ essere riabilitato come azione umanitaria, non certo come impresa economica.
Il motore della ricchezza, ciò che ha consentito l’esplosione produttiva e le nuove, è stata l’etica della libertà, la dignità concessa alla persona qualsiasi, in particolare al borghese trafficone, l’ammirazione accordata alla sua inventiva e alla sua voglia di cambiare per il meglio, il rispetto per il profitto generato dalle idee. Questo sentimento ha fatto nascere la retorica dell’eroe-borghese quale mai la storia aveva conosciuto.
In poco o nulla ha contribuito il dominio, ovvero quella guerra prolungata che, a detta di Ian Morris, “sul lungo periodo ci farà più sicuri e più ricchi”.
Ma c’è un’altra molla che alcuni mettono alla base del nostro successo: la curiosità. Una caratteristica che il resto del mondo non aveva.
Si puo’ anche concordare, purché si aggiungano un paio di “se” e di “ma”.
La curiosità verso l’altro ha guidato molte imprese dubbie, come le Crociate. Spesso ha avuto esiti spiacevoli sfociando nella tortura che il bambino curioso riserva alla lucertola. Ma curiosità non significa necessariamente guerra, questo è vero. La curiosità può realizzarsi in altri modi, per esempio scoprendo la Via della Seta. I bottini di guerra si esauriscono, la Via della Seta si eredita e continua a dare frutti.
bou