“… E non andarteli a bere”
Il titolo riproduce il vano disclaimer con cui mia mamma elargiva le sue cento lire di elemosina al “Chili”, lo scemo del villaggio. Naturalmente, dopo cinque minuti d’orologio, il “Chili” faceva il suo ingresso trionfale al circolino.
La distinzione tra poveri meritevoli e poveri non meritevoli infastidisce molti ma è rilevante sia in senso morale che in senso pratico.
Sì, anche in senso pratico: chi aiuta un povero non meritevole finisce spesso per danneggiarlo, e di questo dovrebbe tenerne conto.
Alleviare le sofferenze di un bisognoso generando ulteriori bisogni non è il massimo.
Tuttavia, il “buon Samaritano” sembra disinteressato a questo particolare: sarà cheaiutare appaga soprattutto chi aiuta, e questo a molti basta.
Puntiamo la nostra attenzione sul quel meccanismo ambizioso messo a punto dall’uomo moderno per realizzare l’ideale di fratellanza, quella roba che va sotto il nome di welfare state.
L’impresa è ad alto rischio, difficile negarlo. Una società che aiuta i suoi poveri rischia di creare un esercito di burocrati. Una società che aiuta i suoi poveri meritevoli rischia di creare un esercito di parassiti. Una società che aiuta i suoi poveri non meritevoli rischia di creare un esercito di kamikaze. Intendo concentrarmi sull’ultimo caso.
Il povero non meritevole è colui che compie scelte sbagliate. Ha una percezione distorta del mondo in cui vive, e chi lo aiuta amplifica questa distorsione. È vulnerabile a tentazioni distruttive, che chi lo aiuta rende ancora più seducenti.
Tutti noi commettiamo errori ma il povero non meritevole ne commette una caterva impressionante, la sua vita è una sequela di errori. Gli errori del povero non meritevole sono a volte errori di valutazione, altre volte errori nell’autocontrollo delle emozioni.
Nel primo caso il povero molto semplicemente convive con credenze incompatibili con i fatti.Insiste nel vedere la realtà delle cose secondo la sua convenienza del momento (self serving bias)… e alla fine a piegarsi è lui, non la realtà delle cose.
Altre volte non ha una chiara percezione dei rischia cui va incontro. Di solito, poi, esibisce un’ eccessiva fiducia in se stesso, oltre che unottimismo irrealistico. Tende a dare troppo peso ai piccoli rischi e a trascurare i grandi. Richiama alla mente quell’umanità che, soggiogata dai telegiornali, teme di più l’ attentato terroristico che l’infarto.
Ma in che modo queste falle cognitive facilitano l’impoverimento? In molti modi, facciamo l’esempio della mamma single, la condizione umana più esposta in assoluto alla povertà. Una donna del genere a suo tempo probabilmente ha sottostimato i rischi di rimanere incinta. Inoltre, probabilmente sottostima ancora i costi relativi all’accudimento e all’educazione di un bambino.
Mi spiego meglio con un esempio numerico che riguarda la tentazione del “bere”. Bere superalcolici ci dà un certo piacere ma comporta anche un costo notevole sul lungo periodo. Quantifichiamo il beneficio in €5000 e il costo in €10000. In queste condizioni nessuno beve. Nessuno, nemmeno il povero non meritevole il cui giudizio distorto abbassa i costi da €10000 a €7000. Poniamo adesso di aiutare l’alcolizzato con un premio prevedibile e quantificabile nella somma di €2500. Si tratta di un aiuto che anche se previsto non incide sulle decisioni del povero meritevole poiché il costo di €10000 resta un deterrente alla bottiglia. Tuttavia, non è più un deterrente per il povero non meritevole affetto da inguaribile ottimismo. Ora a lui conviene farsi una bella bevuta. Ecco quindi che il nostro aiuto ha di fatto nuociuto a chi intendevamo aiutare.
La medesima logica si applica nel caso delle “quote riservate” all’università. Uno studente problematico probabilmente sovrastima le sue capacità, se noi lo incoraggiamo in questa distorsioni percettiva concedendogli un facile accesso a scuole prestigiose e esigenti, faremo di lui un condannato all’abbandono scolastico.
Altro esempio. Sappiamo che il divorzio è un passaggio estremamente oneroso, molto spesso chi è coinvolto collassa in una condizione di povertà. Ma a rischiare di più sono i “poveri non meritevoli”, ovvero coloro che della realtà hanno un’immagine distorta volta a minimizzare i rischi. Incoraggiarli mettendo loro la strada in discesa è come dare una spintarella a chi sta sull’orlo del baratro.
Aiutare chi è dissennatamente ottimista e minimizzatore sistematico dei rischi finisce peraumentare la confusione che costui ha in testa e, in concreto, rende la sua vita ancora peggiore.
Ma i poveri, oltre a commettere errori nella valutazione dei fatti, sono anche pigri e poco lungimiranti, un po’ lo abbiamo già visto negli esempi. Probabilmente, queste caratteristiche non sono vere alla lettera ma derivano da uno scarso autocontrollo.
Perché parlare di scarso autocontrollo quando potremo parlare di preferenze originali?
In primo luogo perché persona di cui parliamo si pente delle scelte che ha preso. Certo, questo comportamento potrebbe essere una strategia per ottenere aiuti a costo zero ma potrebbe anche essere l’atteggiamento sincero di chi riconosce solo a posteriori di aver scelto male.
Un altro segnale da cui percepiamo lo scarso autocontrollo è la difficoltà con cui certi soggetti prendono le loro decisioni. Chi molto semplicemente preferisce drogarsi nonostante gli alti costi prende la sua decisione senza essere dilaniato dal dubbio. Chi va in confusione di fronte ad una scelta cruciale mostra una sofferta resistenza prima di imboccare la via sbagliata delle gratificazioni immediate. Si resiste, si resiste… ma poi si cade in tentazione.
Gli ambiti dove il povero sceglie male sono innumerevoli e riguardano il cibo, l’alcol, il fumo, le droghe, ma anche i risparmi. Quando è implicato illungo periodo lui perde la bussola.
Se una persona sceglie male per scarso autocontrollo l’ultima cosa da fare è ampliare il suoventaglio di scelte. Ma questo è proprio cio’ che fa di solito chi lo aiuta.
Perché i poveri non meritevoli sono molto più soggetti degli altri questi errori? Probabilmente perché sono meno intelligenti degli altri, il quoziente intellettivo dei poveri è al di sotto di quello normale. La scarsa intelligenza amplifica gli errori di giudizio e allenta l’autocontrollo. C’è anche un collegamento empirico tra scarsa intelligenza e ricerca di gratificazioni immediate (crimine, gioco, prostituzione…). Il discorso delle preferenze estreme può avere un ruolo ma non può chiudere la discussione.
Qualcuno parla invece di cultura della povertà: “visto che non ho altre consolazione mi faccio un goccio”. Questa spiegazione ha un problema: perché i poveri che escono dalla loro condizione, magari perché il loro reddito raddoppia”, poi vi ripiombano?
Che fare? È chiaro che se l’aiuto danneggia la prima cosa da fare è ridurlo.
Ad ogni modo, nell’ aiutare una persona, oltre al rischio di parassitismo, ora dobbiamo considerare il rischio kamikaze. C’è un costo addizionale.
Se uno studente sovrastima le sue capacità non ha senso rinforzare questa sua illusione facilitando il suo accesso ad università prestigiose ed esigenti.
Problemi di questo tipo non implicano necessariamente un minor intervento governativo ma un diverso intervento governativo.
Tuttavia, la nostra impostazione ci mette a rischio paternalismo: una persona sbaglia e occorre “correggerla”.
D’altronde, se la scelta mette in crisi chi manca di autocontrollo, anche le scelte che scaturiscono dal libero mercato rappresentano un problema e avrebbe un senso limitarle con politiche proibizioniste.
A questo punto meglio ricordarsi che anche i costi del paternalismo possono essere elevati. Primo, richiedono politiche attive e quindi unaburocrazia destinata prima o poi a vivere di vita propria. Secondo, i danni che puoi provocare a te stesso sono un’inezia rispetto ai danni che provoca un paternalista fuori di testa.
In questi casi la via più prudente è quella di mezzo: non incoraggiamo le scelte sbagliate del “povero non meritevole” senza giungere ad esautorarlo con forme di paternalismo che sono sia poco dignitose che pericolose. E se proprio vogliamo aiutare concentriamoci privilegiamo i poveri meritevoli.
Come individuarli? Mah, nel nostro caso penso chela povertà degli immigrati sia più “meritevole” di quella nostrana, deriva da un ambiente oggettivamente difficoltoso più che da una sequela di errori nelle scelte fatte.