Purtroppo devo fare una confessione, non sono mai riuscito a stabilire un vero contatto con i classici (parlo ora di testi precedenti al XIX secolo), ho sempre sentito la presenza di un' intercapedine che m' impediva di aderire completamente alla storia narrata. Un po' come se questi grandi libri fossero avvolti in un preservativo e arrivassero solo attraverso una mediazione.
Faccio un esempio, recentemente ho letto il Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati con una partecipazione emotiva che non saprei mai ricavare da un "classico".
Cio' non significa che i capolavori del passato non rechino altri doni, ma sono per lo più di natura cerebrale. Nell' ultimo anno ho sfogliato La Guerra del Peloponneso imparando quanto aggressive ed espansioniste possano essere le democrazie; ho lette "Les Juifs" di Voltaire per tenere ben a mente come non sia un caso che le radici dell' anti-semitismo moderno affondino nel terreno dissodato dal "padre della tolleranza"; ho letto "Il Mercante di Venezia" ma solo per constatare come la demagogia del perdono possa fare velo sulla giustizia e come la grande arte teatrale possa rendere odioso un personaggio che ha tutte le ragioni dalla sua. Potrei proseguire con il fascinoso ma siderale dogmatismo di padre Dante che stando lassù, faccia a faccia con Dio, non riesco a sentirmelo veramente prossimo.
Intrattenimenti un po' troppo cerebrali per suscitare autentico entusiasmo, quindi.
Anche il ripasso dei Promessi Sposi che feci qualche anno fa mi ha lasciato una mirabile lezione di economia nel capitolo sull' assalto ai forni e una altrettanto grande di psicologia di massa nel capitolo sulla peste. Lezioni di economia, di psicologia e di filosofia morale...ma - salvo alcune fulminanti intuizioni sulla codardia di Don Abbondio - poche autentiche scosse emotive.
Eppure, sia chiaro, l' ottocento è un secolo che non metto nel preservativo di cui sopra, è un secolo che non metto in conto, c' è di tutto, anche roba che "sento" molto vicina: se la questione dei matrimoni contrastati mi sembra un po' distante, le questioni sulla roba (Verga) sono assai più vicine. Non parliamo poi delle tensioni intorno all' eredità! I Vicerè me li sono bevuti come un romanzo contemporaneo. L' ascendenza del genitore opprimente come la narra il Fogazzare mi ha sinceramente colpito. Ma il massimo sono le burocrazie zariste di Checov e Gogol, assomigliano tanto alle nostre; come pure gli eterni pervertiti del prolisso Dostoijevskij. Flaubert e il Tolsoij meno mistico poi...non no, l' ottocento annulla spesso la fredda distanza che mi pervade non appena sento menzionare la parola "classico".
Faccio un esempio, recentemente ho letto il Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati con una partecipazione emotiva che non saprei mai ricavare da un "classico".
Cio' non significa che i capolavori del passato non rechino altri doni, ma sono per lo più di natura cerebrale. Nell' ultimo anno ho sfogliato La Guerra del Peloponneso imparando quanto aggressive ed espansioniste possano essere le democrazie; ho lette "Les Juifs" di Voltaire per tenere ben a mente come non sia un caso che le radici dell' anti-semitismo moderno affondino nel terreno dissodato dal "padre della tolleranza"; ho letto "Il Mercante di Venezia" ma solo per constatare come la demagogia del perdono possa fare velo sulla giustizia e come la grande arte teatrale possa rendere odioso un personaggio che ha tutte le ragioni dalla sua. Potrei proseguire con il fascinoso ma siderale dogmatismo di padre Dante che stando lassù, faccia a faccia con Dio, non riesco a sentirmelo veramente prossimo.
Intrattenimenti un po' troppo cerebrali per suscitare autentico entusiasmo, quindi.
Anche il ripasso dei Promessi Sposi che feci qualche anno fa mi ha lasciato una mirabile lezione di economia nel capitolo sull' assalto ai forni e una altrettanto grande di psicologia di massa nel capitolo sulla peste. Lezioni di economia, di psicologia e di filosofia morale...ma - salvo alcune fulminanti intuizioni sulla codardia di Don Abbondio - poche autentiche scosse emotive.
Eppure, sia chiaro, l' ottocento è un secolo che non metto nel preservativo di cui sopra, è un secolo che non metto in conto, c' è di tutto, anche roba che "sento" molto vicina: se la questione dei matrimoni contrastati mi sembra un po' distante, le questioni sulla roba (Verga) sono assai più vicine. Non parliamo poi delle tensioni intorno all' eredità! I Vicerè me li sono bevuti come un romanzo contemporaneo. L' ascendenza del genitore opprimente come la narra il Fogazzare mi ha sinceramente colpito. Ma il massimo sono le burocrazie zariste di Checov e Gogol, assomigliano tanto alle nostre; come pure gli eterni pervertiti del prolisso Dostoijevskij. Flaubert e il Tolsoij meno mistico poi...non no, l' ottocento annulla spesso la fredda distanza che mi pervade non appena sento menzionare la parola "classico".