venerdì 28 marzo 2008

Corto circuiti: contro l' "aziendalizzazione" della scuola in nome della...responsabilità!? (4)

Israel chiude con fragore la saracinesca rinviando ai suoi libri, ripetendo sia gli insulti che l' unico concetto ma, a mio avviso, senza minimamente considerare le repliche.


È una discussione inutile, sterile. Lei continua a dare per ovvio che le sue caratterizzazioni dell'azienda sono necessarie e sufficienti a definire la scuola come tale. È come se si dovesse discutere se un teorema sia vero assumendo come premessa che è vero. Basta poi l'affermazione: "che l’ economista rivendichi un suo dominio intellettuale sulle altre discipline è un fatto tecnico". Un economista serio si vergognerebbe di dire che lui ha un dominio intellettuale sulle altre discipline perché gli verrebbero attaccati (giustamente) i barattoli dietro.


Ed ecco la mia replica insolitamente calma (ne vado molto orgoglioso).


Professore, lei in molti casi, molto semplicemente, si arrabbia avendo travisato il senso di parole che invitavo per precauzione inutile a non travisare.

Per esempio quando parlavo di “dominanza intellettuale”.

Probabilmente è colpa mia visto che ne parlavo solo di passaggio senza le dovute precisazioni. Ma lascio cadere questa questione perché poco pertinente al cuore del discorso.

La cosa singolare è che lei insiste dicendo che assumo come “ovviamente benefica l’ aziendalizzazione”.

Resto stupito visto che mi sono preso la briga di ELENCARE ALMENOo 6 (SEI) condizioni in presenza delle quali l’ aziendalizzazione risulterebbe faticosa quando non impossibile. Sono condizioni chiare, sono condizioni per la verifica delle quali sarebbe facilissimo stendere un protocollo di sperimentazione e avere l’ esito.

Popper sarebbe abbastanza soddisfatto, invece lei insiste (ma mi avrà letto?) nel dire che per me “è tutto ovvio” e si deve solo procedere.

Riproduco qui il paragrafo passato inosservato e riguardante i vincoli.

[…Tanto per fare qualche esempio. Se i soggetti in ballo in questo gioco fossero "sistematicamente irrazionali" (e molti psicologi lo sostengono, vedi Kahnamen), l´ incentivazione e la responsabilizzazione avrebbero effetti perversi, sarebbe assurdo insistere su una logica aziendale. Se i soggetti non presentassero un movente almeno vagamente egoista, l’ aziendalizzazione non servirebbe a niente (ai santi non servono incentivi). Se i benefici forniti dalla scuola non fossero in qualche modo "misurabili" non avrebbe alcun senso "aziendalizzare". Se il soggetto pubblico è afflitto da storture istituzionale ed esprime delle volontà che nulla hanno a che fare con la produzione di beni pubblici, allora sarebbe addirittura pericoloso "aziendalizzare" (poiché l´ agenzia è particolarmente efficiente nel servire l´ utenza, sarebbe ancora più minacciosa qualora i desideri dell´ utenza fossero distorti). Se la struttura delle relazioni nella realtà che si vuole "aziendalizzare" è di tipo "one shot", allora meglio rinunciarvi o agire con la massima prudenza. Se invece l´ interazione tra i soggetti implicati è continua ed evolutiva, allora il terreno è più fertile...]


Tra un invito alla modestia, uno alla vergogna, una rinfrescata di economia aziendale a cura di un eccellente critico di letteratura mitteleuropea, un’ ammonizione a non bollare la Arendt come “superata” (avevo solo detto che non poteva tener conto dell’ opera di studiosi – e ho citato di passaggio due Nobel – venuti dopo di lei) , lei ha pure tirato fuori qualche argomento che mi incuriosisce:

“…ci sono solo giudizi qualitativi intersoggettivi che possono esprimersi in limitate forme quantitative…”

Non capisco bene quali siano le caratteristiche di questi giudizi (non sono cardinali? Non sono ordinabili? Non sono confrontabili?...), sicuramente lo apprenderò dalla lettura del suo ultimo libro, perché se quelle “limitate forme quantitative” sono limitate al punto da essere irrilevanti, allora potrebbero effettivamente mettere in discussione una delle sei caratteristiche. Come vede non è tutto “ovvio”.

Certo che senza la possibilità di “ordinare” (condizione necessaria e sufficiente) siamo in panne… niente aziendalizzazione: stipendi uguali per tutti, carriere automatiche, centralizzazione compulsiva, limiti alla sperimentazione, finanziamenti a pioggia, meriti non compensati e una responsabilizzazione rilevante solo per i Santi, ovvero per coloro che la sentono in assenza di qualsiasi incentivo.

Naturalmente poi ci sono i fatti, e sui successi dell’ aziendalizzazione (o responsabilizzazione) della scuola mi è difficile riferire poiché non riesco a mettere i link.

Prendiamo, che ne so, i licei di New York. La crema è rappresentata in larga parte dal privato (si paga, proprio come si paga l’ azienda!), almeno 13 Licei privati sono considerati d’ eccellenza. Il loro costo è elevatissimo (dai 25 ai 30 mila dollari). Si discute molto se una simile realtà sia equa ma si discute mooolto meno sulla qualità dell’ istruzione impartita là dentro ai futuri nobel e presidenti della repubblica! Se poi andiamo ai Licei pubblici, nel disastro generale, ne svettano due o tre. Uno è lo Stuyvesant (http://en.wikipedia.org/wiki/Stuyvesant_High_School). Gratis, paga l’ utente pubblico. Eppure anche lì i criteri di incentivazione, valutazione e differenziazione trovano ampia applicazione. A partire dall’ ammissione (100 allievi ogni anno su 20.000 richieste). Si puo’ parlare anche di Finlandia (generalmente considerato il paese con i migliori risultati in ambito scolastico). La fetta di privato non è ampia ma la decentralizzazione (elemento centrale per una concorrenza) e l’ autonomia (elemento centrale per l’ innovazione) sono fortissimi visto che l’ intero sistema scolastico è per lo più su base comunale…

Nota bene che non parlo dell' Università, lì non ci sarebbe proprio storia.