giovedì 31 gennaio 2008

Consumo e identità.

Intervento nel forum - 20/09/2006 19:19

Se preciso a me stesso la nozione di "consumo" molte cose che ho in testa si dispongono in modo imprevisto.

In fondo noi viviamo per consumare.

Sì, qualcuno vive anche per salvarsi l' anima. Tutto è visto in funzione di qualcos' altro.

Ma chi ama la vita vive anche e soprattutto per consumare.

Così perlomeno se considero "consumo" tutte le attività distinte da quella produttiva.

Qualcuno ha detto che chi non vive per il consumo è un alienato. Per lui esiste solo la produzione, anche come fine. Mangia per lavorare anzichè viceversa. Inverte i fini con i mezzi.

Mi fermo a meditare l' infinito di Leopardi e ne traggo grande giovamento.

Ecco una tipica attività attraverso la quale molti consumano (il proprio tempo).

Quando consumo esprimo anche il mio voto (come dice Michela).

Non essendoci regalato è un voto più responsabile. E' naturale che nel mio voto ci sia la mia personalità.

C' è un' eccezione: colui che ama il proprio lavoro.

In questo caso siamo di fronte ad un "godimento produttivo". Che fortunato questo signore.
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Produci, consuma, crepa.

Non è poi così male rispetto all' alternativa, ovvero: produci e crepa.

Non capisco l' opposizione tra "bisogni" e "consumi". Come se fossero in competizione. Il consumo è l' attività mediante la quale si soddisfa un bisogno.
Per quanto riguarda la "scelta consapevole" penso che la cosa migliore sia quella di premiare chi propone il miglior rapporto qualità/prezzo (...hai detto poco...) indipendentemente dalla nazionalità del produttore (non sono un nazionalista).
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La teoria dei bisogni indotti non mi ha mai convinto.

La domanda "di cosa ho bisogno?" ha senso.

Se altri, nel loro interesse senza frodi o inganni, ci aiutano a rispondere significa forse che un bisogno viene creato dal nulla?

No, un bisogno viene scoperto. Meglio l' ignoranza?

Vista così mi sembra più ragionevole.

Inoltre non si dilapida quel bene prezioso che per me è l' architrave della società: la responsabilità personale.
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L' obiezione ambientale che mi fai è sensata, te ne devo dare atto.

Dicono che sulla questione ambientale il consumatore venga posto di fronte a due strade.

Combattere le cause dell' inquinamento consumando beni ecologici (es. auto a idrogeno).

Combattere gli effetti dell' inquinamento consumando beni resilienti (es. condizionatore).

Per vari motivi sia etici che utilitaristici trovo che la seconda strada sia più ragionevole.
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Trovi precaria la distinzione tra beni di consumo e beni di investimento.

Se leggo un sonetto di Shakespeare coltivo il mio spirito e la cosa puo' venirmi buona anche quando sono in ufficio.

Ma non è certo questa la funzione principale di quella lettura.

Innanzitutto io miro ad un godimento estetico e ad una realizzazione interiore immediata.

Il sonetto è dunque un bene di consumo e non di investimento.

Questa distinzione (consumo/investimento) io la manterrei, la trovo ancora ragionevole.

I tentativi di sopprimerla sono ingegnosi ma quasi mai ben riusciti.
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Sei sospettoso del marketing accurato che accompagna certi prodotti.

La tua osservazione è corretta. Alcuni prodotti, più di altri richiedono di essere accompagnati da un pacchetto informativo cospicuo.

Mi rendo conto che l' espressione "pacchetto informativo" è inadeguata riferendosi a certe campagne pubblicitarie martellanti. In molti casi, più che vendere un prodotto per la sua funzionalità, si tenta rendere appetitosa l' iscrizione ad un club esclusivo a cui si accede solo mediante l' acquisto. Si vende un pezzo di identità. E' forse un male? L' identità è un bene delicato, ci sono modi ben peggiori attraverso i quali la gente è disposta a procurarsene una.
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Mi parli di beni inutili, gente con tre telefonini e così via.

Viene prodotta troppa merce? siamo soggetti ad una iper produzione?

E' una domanda troppo complessa a cui rispondere.

Non posso certo basarmi sul fatto che altri utilizzano merce che io non utilizzerei mai!

Starei più tranquillo se si riuscisse a fare in modo che i costi dell' eventuale iperproduzione vengano sopportati da chi l' ha realizzata.

Siccome in una società libera la merce in eccesso coincide con quella che nessuno vuole, tale merce resterà invenduta.

In questo senso siamo garantiti.
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Michela dice "i bisogni indotti esistono, lo sanno bene i grandi strateghi del marketing...".

Ma la funzione degli strateghi del marketing, come abbiamo visto, è perfettamente coerente con la teoria dei bisogni NON indotti (vedi sopra).

Michela, se entri in rete mentre sei sul posto di lavoro per un tuo piacere personale allora stai "consumando".

La cosa torna utile in modo rilevante all' azienda per cui lavori? Anche qui un bel problema.

Ma c' è una buona e ragionevole soluzione, basta vedere se l' azienda ti paga per passare così il tuo tempo.

Naturalmente al tuo datore di lavoro “torna utile” (in modo infinitesimale ma decisivo) anche se tu mangi una micchetta di pane.

Come potresti recarti al lavoro se non mangiassi? Ma per questo non ti paga. Sa benissimo che sulla questione il tuo interesse di consumatrice prevale su quello del produttore

Vorrei commentare anche l’ ultima tua uscita: "le idee sono le uniche cose che a condividerle si moltiplicano". Magari fosse così. Purtroppo brevetti e diritti d' autore esistono proprio per testimoniare il contrario.

Nel dialogo io ti dono le mie idee.

Probabilmente non hanno molto valore poichè le regalo a destra e a manca.

Ma se avessi un' idea particolarmente brillante la coprirei con il diritto d' autore (o con il brevetto) al fine di farmela pagare limitandone la circolazione.

Se non potessi fare tutto cio' probabilmente eviterei fin dal principio ogni sforzo e ogni investimento per produrre idee innovative.

Non è un caso che le società in cui esiste l' istituto del brevetto siano anche più innovative (con più idee originali prodotte).
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Michela, mi piace darti la precedenza nel risponderti visto che sei portatrice di alcune idee che io considero dei pregiudizi.

In effetti qualcosa non torna con Michela.

Secondo te sono indotti tutti i bisogni che non siano primari.

Ma questo non è cio' che si intende comunemente.

Indotto è il bisogno che in realtà non esiste.

Mentre i bisogni non primari esistono eccome (ammesso e non concesso che abbia senso l' espressione "bisogno primario"!!).

Per avere bisogni indotti è necessario postulare che il consumatore non sia in grado di intendere e di volere.

Così correttamente definito per me è facile dimostrare che si tratta di una falsa nozione da abbandonare quanto prima per un corretto sviluppo del ragionamento.

L' alternativa è che una autorità tirannica stabilisca quali siano i tuoi "reali" bisogni.

Questa alternativa mi è antipatica di brutto.

No, no, meglio prendere la nozione di "bisogno indotto" e buttarla nello sciacquone (insieme ai tiranni che porta con sè).

Ma dei bisogni e dei consumi malsani esistono? Certo, si spera che agli errori si ponga rimedio. Per facilitare questi aggiustamenti è utile vigilare sulle frodi piuttosto che insistere con la psicologia, disciplina un po' troppo farraginosa per coniugarsi al meglio con l' attività legislativa.