UNA BUSSOLA ETICA IN TEMPI GRAMI.
Non capisco come tu possa leccare il tuo gelato senza sensi di colpa quando in Malawi c'è un bimbo che muore di fame.
Se vuoi aumentare la felicità nel mondo i tuoi obblighi verso i diseredati appaiono decisamente enormi. Ti rendi conto o no?
Miliardi di persone campano con meno di due dollari al giorno, milioni di bambini muoiono per malattie banali come la diarrea. E tu lecchi il tuo gelato. Cosa rispondi? Per non fare scena muta potresti attingere ai suggerimenti di questo libro.
Che fare, dunque? Certo, esiste il dovere di aiutare chi sta peggio, ma fino a che punto? Dovrei forse rinunciare al mio gelato? Il buon senso mi dice di no ma un freddo "calcolo della felicità" dice invece di sì.
Secondo l'utilitarista integrale un dottore occidentale dovrebbe spendere gran parte della sua carriera in un villaggio africano e il mago di Wall Street devolvere il 90% dei suoi introiti ai bambini del terzo mondo. Ma siamo davvero disposti a considerare la felicità altrui alla pari della nostra? Oppure questo genere di santità ci appare piuttosto folle? Una mamma dovrebbe davvero lasciare o vendere il suo bambino per dedicarsi a chi muore di fame? Se fosse così vivremmo tutti come "schiavi del bene". Non è questa un'etica troppo esigente per essere corretta? Eppure tra i filosofi gli integralisti del bene non mancano, faccio un nome noto: Peter Singer.
Ma forse utilitarismo e buon senso si possono coniugare in modo che il secondo mitighi le esagerazioni del primo e ci liberi dalle odiose "catene del bene" che ci schiavizzerebbero.
In questa sintesi che propone il libro la maggior parte di noi potrebbe/dovrebbe continuare a lavorare sodo, a essere creativo, a essere fedele alla nostra civiltà, a edificare istituzioni sane, a risparmiare per il futuro, a contribuire a un'atmosfera di fiducia sociale, a essere critico quando necessario e ad amare la propria famiglia. I nostri maggiori obblighi, detto in due parole, sarebbero quelli di contribuire a una "crescita economica sostenibile" e di supportare la diffusione generale della civiltà, piuttosto che impegnarsi nella filantropia radicale.
La crescita economica di lungo periodo dovrà essere allora la nostra bussola, dovremo agire avendo come obbiettivo la sua massimizzazione. In questo senso i programmi di assistenza sociale potrebbero essere visti e valutati come modo per compattare la società e rendere più leali i cittadini. Farebbero sentire meglio le persone contribuendo indirettamente all'ordine pubblico, al consenso e alla stabilità. In altre parole, sarebbero veri investimenti più che trasferimenti di ricchezza.
In quest'ottica, un trasferimento di ricchezza massiccio danneggerebbe la crescita di lungo periodo, molte persone lavorerebbero meno, per esempio. Sarebbe poi necessaria una gigantesca burocrazia con tutto quel che ne consegue. Si creerebbe inevitabilmente una cultura urbana della dipendenza con ripercussioni sulla criminalità e il sommerso. Non è solo teoria, i dati empirici ci dicono che una spesa pubblica alta nelle non-infrastrutture si correla a bassi tassi di crescita. Ma c'è un'altra ragione per evitare le redistribuzioni massicce: ostacolano l'immigrazione. Quando l'immigrato accede al welfare scatena di fatto il risentimento di molti, e parte così la contestazione per limitare gli accessi da fuori. Meglio allora avere più immigrati e meno welfare, e lo dico dal punto di vista utilitaristico, ovvero di chi aspira al bene massimo.
Le società ricche servono, dobbiamo prenderne atto. Servono a tutti, anche alle società povere. Molti, a partire dal Papa, deridono la "teoria dello sgocciolamento" (trickle down theory) ma gran parte dei benefici che ricevono i paesi poveri cadono proprio dalla tavola imbandita di paesi ricchi, chiedetevi un po' come mai sui barconi hanno tutti il telefonino, da dove arriva? Dallo "sgocciolamento"! La polemica contro il lusso è stata persa da tempo dai suoi detrattori, il lusso ha una sua funzione, è un'avanguardia sperimentale per beni che poi saranno di tutti, quello che oggi hanno i super-ricchi tra dieci anni lo avremo noi e senza super-ricchi forse non lo avrà mai nessuno. Saranno contenti gli invidiosi ma non le persone ragionevoli.