Dalla esortazione apostolica Gaudete et exsultate per molti parte un bell’attacco al monachesimo:
“Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione”
Commento di Aldo Maria Valli: “Ma come sarebbe a dire che “non è sano amare il silenzio”? E come si può pensare che amare il silenzio voglia dire “desiderare il riposo”? E come si può pensare che “ricercare la preghiera” sia qualcosa da contrapporre al servizio? E perché mettere “l’incontro con l’altro” in cima a tutto quando, semmai, ciò che conta è l’incontro con Dio?”
E in Cor orans (istruzione applicativa sulla vita contemplativa femminile):
“Un monastero di monache, come ogni casa religiosa, viene eretto tenuta presente l’utilità della Chiesa e dell’Istituto”.
Valli: Come sarebbe a dire “tenuta presente l’utilità”? Da quando in qua per una comunità di contemplative si pone come fondamentale il criterio dell’utilità? E in che modo, poi, si può determinare l’utilità di un monastero nel quale le suore, magari di stretta clausura, trascorrono la vita in preghiera?