Felice Cimatti – Naturalmente comunisti – Bruno Mondadori
Il libro è difficile, ve lo dico subito. La densità filosofica dei primi capitoli potrebbe anche scoraggiare il bagnante estivo.
Quel che non si fatica a capire è con chi ce l’ ha:
… gli economisti, oltre ad essere in malafede… sono completamente infettati dal capitale, che letteralmente parla attraverso i loro corpi…
Devo ammettere che fa una certa impressione discorrere con chi ti ritiene “persona infetta” e in malafede.
Chissà se esiste una tecnica particolare per intervistare i pupazzi che hanno il “capitale” come ventriloquo. Anche le “infezioni” richiederanno distanze minime. Sicuramente c’ è una contromisura per tutto, anche se la malafede cronica potrebbe dare qualche grattacapo.
L’ aggressività di Cimatti ha comunque l’ effetto di trasformare in urgenza la lettura del suo libro, qualcuno potrebbe pensare ad un’ oliata tecnica di marketing.
Fortunatamente è altrettanto chiaro sulle tesi propugnate:
… la vita vissuto sotto il sistema economico che chiamiamo capitalismo è innaturale… la vita naturale… è quella che il filosofo Karl Marx chiamava comunismo…
Per il conduttore di fahrenheit, tanto per cominciare, il capitalismo non è solo alienante – questo lo dice anche il Papa, che non si sente un comunista naturale – ma è necessariamente alienante.
L’ uomo, ipnotizzato e reso passivo dallo spettacolo della “merce”, entra totalmente al suo servizio. Non servono moniti per far cessare l’ inganno, qualcuno deve semplicemente spegnere la lanterna magica e farla finita. Solo così intaccheremo la fede più retriva che esista: quella nel denaro.
In secondo luogo, nella società capitalista far soldi diventa che lo si voglia o no un pensiero fisso, cosicché il sistema sviluppa presto una sua impermeabilità a qualsiasi etica.
[… anche all’ etica borghese?…]
Sono affermazioni forti, ma per fortuna testabili: misuriamo se le cose stanno davvero così! Benjamin Friedman, che c’ ha provato, è giunto a conclusioni opposte: la ricchezza innalza lo standard etico e la consapevolezza del soggetto.
Ma Cimatti, almeno inizialmente, le dà per scontate. E’ più interessato a ricostruire le ragioni di un simile sfacelo.
E le ragioni sarebbero biologiche.
Anche per questo, parlando con Vlad, mi ero illuso che considerazioni fatte altrove tornassero buone in questa sede.
Senonché, siamo o non siamo in Europa? E allora rassegniamoci, le cose sono molto più complicate:
… la natura umana è qualcosa di troppo importante per lasciarla solo agli scienziati…
Coerentemente con questa affermazione, passando alla sostanza, la biologia si defila e cede il passo alla filosofia; è lei che dovrà fare sintesi e vedersela con i maledetti economisti!
Anzi, l’ approccio sociobiologico standard diventa presto un nemico da rintuzzare. Wilson e Pinker sono considerati, ma per essere di continuo riveduti e corretti in chiave filosofica.
Cosicché, la natura umana non puo’ essere circoscritta da alcuni istinti tipici, al contrario:
… la natura umana sta nella capacità dell’ uomo di pensare il possibile…
Qui la curiosità aumenta, perché se c’ è un sistema che privilegia la speranza – anche sulla felicità – questo è il sistema capitalistico.
Al punto che in passato è finito ripetutamente sotto accusa per i processi di distruzione creativa che innesca, per i stressanti cambiamenti continui che fomenta. Ma in questa requisitoria, sembrerebbe sia chiamato sul banco degli imputati per la palude stagnante e senza prospettive in cui ci costringe a vivere.
Tuttavia, a ben pensarci, forse il comunismo gode in effetti di un privilegio: quello di essere praticamente impossibile da realizzare, e quindi sempre pensabile come possibile in ogni situazione concreta.
Non avete l’ impressione di un leggero capogiro?
Tra le tante che mi lasciano dubbioso, cerco ora rapidamente di venire ad un paio di questioni nevralgiche. La prima è ben colta da chi si pone a questo incrocio.
Sono gli uomini che danno vita a relazioni o è la relazione che dà vita agli uomini?
Sono le parti che fanno il contratto o è il contratto che fa le parti?
Cimatti, sotto l’ egida di Durkheim, rifiuta l’ individualismo metodologico e prende la seconda via.
Io, con Weber, la psicologia evoluzionista, quasi tutte le scienze sociali contemporane e il buon senso, sarei più propenso a prendere la prima. Tuttavia, di fronte a palesi inconvenienti, non mi farei problemi a saltare il fosso.
Ma dove sono i palesi inconvenienti? Li vedo semmai sulla sponda opposta, là dove mi si chiede di approdare.
Ricordo, tanti anni fa, un bel dibattito su questo punto; allora Cimatti avrebbe avuto come formidabile alleato il guru della nuova destra Alain De Benoist. Un caso? Non penso, di sicuro un inconveniente!
[Parentesi: anche l’ antropologia cristiana ondeggia pericolosamente su questo crinale quando comincia a discettare in modo ambiguo sulla distinzione tra individuo e persona. Poi, fortunatamente, ciascuno riconosce che nel giorno del Giudizio staremo a quattr’ occhi di fronte al buon Dio, e così la concezione individualista s’ impone per forza di cose…]
La relazione, il contratto… tutta roba che per essere realizzata ha bisogno di una lingua, ovvero di un bene che noi riceviamo dall’ ambiente. Su questo aspetto il capitalismo, secondo Cimatti, sarebbe cieco:
… la lingua come prodotto di un singolo individuo è un assurdo… ma altrettanto lo è la proprietà privata delle altre risorse (pubbliche)…
Detta così sembrerebbe che Tremonti voglia privatizzare gli aggettivi. Il che effettivamente sarebbe assurdo.
C’ è una bella differenza tra la parola “bicicletta” e la mia bicicletta.
La mia bicicletta è una e, se permetti, la uso io. Visto che se la uso io non la usi tu (e viceversa), urge una regola.
La parola possono usarla tutti, persino in un regime capitalista. Possiamo usarla anche tutti insieme contemporaneamente. Qui non serve una regola che governi le precedenze.
Se alla ruota della fortuna qualche “speculatore” compra una vocale, nessuno si preoccupa della possibile incetta. Ciascuno di noi ha con sé tutte le vocali che gli servono. Non serve un referendum per stabilire che le parole siano gratuite. Il capitalismo è un metodo per affrontare la scarsità, parlando della lingua siamo fuori dal dominio che si pone.
Un altro passaggio stimolante:
… io esisto semplicemente perché, prima di me e senza alcun mio merito, una precedente comunità mi ha fornito i mezzi materiali e linguistici per diventare umano…
Prima osservazione: di sicuro il Cioran che sta leggendo Diana trasformerebbe quel “senza alcun mio merito” in un “senza alcuna mia colpa”!
Ma a parte le considerazioni parossistiche, bisogna riconoscere che l’ ambiente in cui abbiamo vissuto condiziona la nostra personalità.
L’ ambiente ci condiziona per il fatto stesso di esistere, l’ isolamento, in questo senso, è pensabile solo a livello metafisico.
Ma questo comporta forse degli obblighi da parte di qualcuno?
Affinché nasca l’ obbligo, la questione del merito è centrale. A chi va attribuito il merito che io non ho?
Merito e colpa richiedono l’ esistenza di un’ intenzione. Ma il processo evolutivo è cieco, non esiste intenzione, solo fortuna, quindi per i frutti che produce non esistono meriti da premiare né colpe da punire.
Certo, il figlio è riconoscente verso i genitori. Il credente ringrazia Dio. Ma lì è presente un’ intenzione, una provvidenza; invece, dal puro e semplice condizionamento, come potrebbe mai nascere un obbligo giustificabile con la premiazione di un merito?
Comunque sento che presto parleremo di atomismo sociale, speriamo che lo si faccia con le dovute avvertenze.
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Per ora mi fermo qui. Sebbene gli argomenti non sfavillano quanto le tesi (che grazie alla loro radicalità s’ impongono meglio all’ attenzione), la lettura è stata una buona occasione per ripassare Wilson, Pinker, Chomsky; per rispolverare Hobbes e Durkheim, per riesumare il cadavere di Marx, e anche per scoprire un autore a me sconosciuto: Gehlen.
Sono a metà del quarto capitolo e il libro, perorando un generico comunitarismo, avrebbe potuto intitolarsi anche “Naturalmente fascisti”, ma il quinto e ultimo capitolo (“Comunismo”) forse ha qualcosa da dire in merito.
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A conclusione lasciatemi fare una piccola postilla e poi non vi annoio più.
Altrove ci chiedevamo “perché gli intellettuali stanno a sinistra?”; forse perché cause improbabili richiedono argomenti contorti che, se visti sotto una certa luce, sono a loro modo sofisticati.
Chiudendo il libro sento che questa ipotesi viene in qualche modo corroborata.
Eppure nel caso di specie esistono argomenti semplici che scuotono in modo più efficace le mie certezze di apologeta del capitalismo pronto alla conversione.
Eccone uno: l’ uomo (più che egoista, razionale, aperto al possibile…) è fondamentalmente invidioso. Già oggi molti fenomeni riscontrabili nell’ economia di mercato sono spiegati al meglio valorizzando il ruolo dell’ invidia. Perché il neo-comunismo punta così poco sul sentimento verde?