Trovo che vivere con la fede renda le cose più facili.
Ma soprattutto renda più facile il pensiero. E’ un po’ come se lo facesse rotolare in discesa.
Non sapendo quale sia la strada giusta, sempre meglio percorrere quella in discesa. O no?
Eppure molti “pensatori” atei non hanno una grande considerazione della fede in Dio. La classificano addirittura alla stregua di una disfunzione cognitiva.
Per Freud era una nevrosi e per Marx una perversione. Per Russell era irrazionale e per Hume contraria all’ evidenza.
Nello sforzo civico d’ indorare la pillola si arriva giusto a dire che il credente pensa con il cuore anziché con la testa.
Come previsto, in questi casi il credente più agguerrito non porge l’ altra guancia ma reagisce.
E’ restio ad ammettere umilmente le sue deficienze cognitive, è piuttosto incline a rovesciare l’ accusa: il peccato obnubila le facoltà intellettuali dell’ ateo. Insomma, è l’ altro a ragionare male.
Qui però, secondo me, finisce l’ asimmetria.
Proprio quando lo scontro frontale appare senza sbocchi, una via di uscita si presenta.
Ma solo al credente.
Cosa dobbiamo intendere infatti per “disfunzione cognitiva”, cosa dobbiamo intendere per “funzionamento corretto della ragione”?
La mia auto funziona correttamente se fa quello per cui è stata costruita.
L’ aereo funziona bene se vola e arriva a destinazione.
Il credente, che adora un Dio creatore dell’ universo, ha buon gioco ad avvalersi dell’ analogia servita su un vassoio d’ argento e sostiene che il cervello funziona bene se si adegua al disegno divino.
L’ ateo, invece, su un punto tanto cruciale ammutolisce e stringe i denti.
Potrebbe accennare al fatto che una cosa “funziona bene” se ci aiuta a ottenere cio’ che desideriamo. Oppure se ci aiuta a sopravvivere.
Ma sa anche lui che in entrambi i casi la credenza in Dio non ne uscirebbe affatto sminuita.
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