L’ articolo più originale della nostra Costituzione è il 9:
“… La Repubblica… tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione…”.
Non esiste nulla di simile al mondo, e non è un caso.
L’ idea che la protezione dei beni culturali sia da sottrarre alla buona volontà delle persone è una primizia che l’ Italia ha esportato ovunque.
Ma cosa significa pensare al Colosseo come ad un “bene comune” per tutti noi?
La risposta canonica che si dà a questa domanda divulga un pensiero insidioso autorevolmente esposto da Salvatore Settis: il cuore della nostra identità sta nel nostro patrimonio storico-artistico.
Difendendo la bellezza, difendiamo noi stessi. Anche per questo tali beni devono restare pubblici (=statali).
Per gli appassionati di filosofia potrei tradurre così: è la “struttura” che ci determina!
Poiché Settis è fermamente convinto che sia il contesto a formare il pensiero delle persone e quindi la loro sostanza, l’ azione decisa dello Stato diventa indispensabile in queste faccende. Solo lo Stato ha un qualche controllo sul “contesto”.
Sembra paradossale, ma in qualche modo la nostra identità starebbe innanzitutto fuori da noi.
Nei suoi lavori trabocca dunque il culto dell’ ufficialità. Solo chi riveste incarichi ufficiali è degno di ricevere ascolto in materia. Poi, magari, mentre l’ “organizzazione” ingessata dalla sua autoreferenzialità è impegnata in coffee break, aperitivi di inaugurazione e brochure in filigrana, a salvare la pieve di campagna ci pensa un gruppo di maestre elementari, un laureato precario, il parroco o degli emeriti sconosciuti.
Il rischio è quello di sacrificare le persone sull’ altare della loro supposta identità. Conservare per conservare conserva tutto tranne il senso dell’ oggetto.
Adesso spero sarà chiaro il perché parlavo di “pensiero insidioso”.
Carlo Betocchi, riflettendo sulla bellezza, diceva: “ci occorre un uomo”. Ma, a quanto pare, non per tutti e non sempre un uomo è più interessante di una roccia o di un tramonto.
Don Giussani riteneva che la bellezza fosse portatrice di senso ma affinché svolga la sua funzione è necessario produrre un’ attenzione particolare.
Attenzione, sguardo… parliamo di qualcosa che parte dall’ uomo e investe la cosa.
Settis inverte le precedenze.
La questione non è da poco: prima le persone o prima i beni? Sono le persone a valorizzare i beni o viceversa.
Lo strutturalista privilegia una direzione ben precisa di questo nesso cruciale e lo strutturalismo di Settis salta fuori in ogni occasione.
Per esempio, celebrando l’ unità d’ Italia, sostiene con coerenza che essa deriva innanzitutto dall’ incommensurabile patrimonio artistico ricevuto dalle generazioni precedenti.
Ma allora la supposta “unità” si fonderebbe solo sul passato, esisterebbe a prescindere da noi.
Questo modo di guardare ai “beni culturali” uccide il singolo consegnandolo ad un flusso nel quale abbandonarsi rassegnato. E non escludo che per molti sia delizioso “abbandonarsi rassegnati”.
Intanto, forti del paradigma vincente, l’ etichetta di “bene culturale” spopola e dove viene apposta cala una sterile campana di vetro.
Lo stesso “Settis Re Mida” gira per il bel paese e qualunque cosa tocchi si trasforma in oro. Ma la lucentezza dura poco visto che dell’ oro acquisisce anche quella tipica immobilità pronta a ricoprirsi di muschio.
Con orrore Settis si volge indietro lamentando il proliferare di una burocrazia che congestiona gli amati tesori, ma, al tempo stesso, si rifiuta di scorgere alcun collegamento con le premesse che lui stesso ha posto con tanta eloquenza.
Intanto, per ragioni in gran parte avulse dalla storiella che ho raccontato, il paradigma dominante accusa un cedimento venendo qua e là sacrificato sull’ altare del profitto, del denaro, dell’ interesse privato.
Le sensibili antenne di Settis percepiscono il pericolo e fanno scattare l’ allarme.
Si potrebbe dire così: oggi una duplice minaccia attenta alla nostra preziosa identità: il negro straccione che sbarca a Lampedusa e il barbaro che entra nel business dei “beni culturali”.
L’ analogia è chiara: per un leghista i confini stabiliscono chi siamo, e vanno preservati a prescindere. Per Settis il patrimonio artistico forgia la nostra identità, e va preservato a prescindere.
In entrambi i casi i soggetti passano in secondo piano: bisogna difendere l’ oggetto che ci fa essere cio’ che siamo, e, se non vogliamo sparire, questa battaglia è prioritaria.
La coerenza ci spingerebbe ad opporci o a sostenere contemporaneamente entrambe le sensibilità. Ci riusciamo?
Sul punto vedo in giro tanta schizofrenia.
Luca Nannipieri – Salvatore Settis e la bellezza ingabbiata. – Edizioni ETS