Se devo comprare un maglione, io vado al bar, la Sara in negozio: mi chiama al cellulare solo quando si disputano i play off! Ovvero, quando la scelta è ristretta a due/tre esemplari.
Quindi, capisco bene chi non vuole avere niente a che fare con le scelte.
In passato (prima di conoscere la Sara) ero anche un fautore del matrimonio indiano quello in cui i genitori scelgono peri figli. Facevo anche delle reprimende ad alto volume rivolte a mia mamma (sbigottita, lei quando si sbigottisce ride) per la sua deprecabile passività!
Però distinguerei.
*** scelta come rischio
Tutti noi - chi più chi meno, le donne più degli uomini – siamo avversi al rischio, quindi soffriamo le scelte.
Se però mi guardo dentro, mi accorgo che in certi campi (quelli che più mi appassionano) la scelta è una ragione di vita: l’ attendo con trepidazione assaporandone ogni istante.
Falkenstein conferma: in borsa di solito ci si fa pagare per sopportare dei rischi, ma poi, non si sa come mai, pur di investire su certi titoli particolarmente rischiosi, si paga. La speranza trasforma l’ avversione al rischio in una propensione.
Anche gli psicologi concordano: dietro una felicità c’ è quasi sempre una libera scelta con la quale ci realizziamo.
Distinguerei quindi gli ambiti prediletti da quelli indifferenti. Sia l’ opzione gregge che quella dado sono a disposizione per neutralizzare lo stress da scelta nel secondo ambito.
*** scelta come discriminazione
Quando scegliamo ci differenziamo. Per l’ invidioso è un problema.
In più lo facciamo consapevolmente, quindi attiriamo il giudizio altrui, il che amplifica il fastidio dell’ invidioso.
Se la natura umana risiede nell’ invidia (il che non è da escludere), limitare la libera scelta puo’ essere produttivo.
E’ la conclusione del mio post: perché i nuovi profeti del comunismo non puntano di più sull’ invidia!
Invece, dopo aver posto le premesse, ci si perde in speculazioni sull’ alienazione, la falsa coscienza ed altri esoterismi assortiti.