venerdì 20 giugno 2008

Il realismo dell' inesperto

Ho sempre cercato di capire il mio disinteresse per la politica estera.

Ogni tanto mi piace giocare a quello fa l' "umile": la politica estera tratta un soggetto talmente lontano dalle mie esperienze consuete che sento forte il dovere di osservare un silenzio compunto.

Un' uscita come la precedente ti dà un certo tono quando sei in compagnia ma se presa sul serio non convince nessuno. In fondo pontifico su mille questioni che trascendono di gran lunga le mie esperienze quotidiane.

Probabilmente la questione è più semplice. Su questi temi è difficile imbattersi in idee seducenti.

Certo, alcune forme di isolazionismo radicale o di pacifismo ad oltranza sono guide sicure in grado di indirizzare senza ambiguità l' azione di chi le abbraccia. Ma sono anche idee del cavolo votate al fallimento. Hanno senso solo come lussi di chi è condannato alla minoranza che nulla deciderà mai.

Altri tentativi di ingabbiare il problema sono estremamente precari. Praticamente tutti utilizzano un apparato concettuale vago.

E alla fine, dopo aver enunciato fior di principi, chi vuole fare la guerre, con quattro distinguo introdotti ad hoc, la fa quando e come vuole.

Questo vale per la teoria della guerra giusta tanto cara ai cristiani.

Mani slegate pure a destra.

Per non parlare della sinistra: porte aperte a qualsiasi invasione (basta mettere qualche puntino sulle i).

Lo spettacolo è deprimente. Mi abbandono al realismo, che per un inesperto significa lasciar fare agli altri e pensare ad altro.