sabato 14 giugno 2008

La colpa è del problema

Giacomo Debenedetti spreme il succo del romanzo novecentesco. Secondo lui il dolore dei personaggi finsce per trascenderli.

Il caso che presentano via via, per quanto disperato, cessa di essere un caso "singolo", autodistrugge il suo lato aneddotico.

E la colpa si trasferisce lentamente ma inesorabilmente sul destino.

La colpa è del problema, direbbero i sociologi. La freccia che ci trafigge è scagliata senza motivi apparenti da qualche dio dell' olimpo.

Più che Provvidenza, Natura matrigna. Ma sempre da quelle parti stiamo.

Il Tozzi è uno dei teatri dove Debenedetti ama presentare le sue evoluzioni.

I personaggi di Tozzi sono paradigmatici perchè completamente ripiegati in se stessi, sempre alle prese con una febbrile introspezione, con arzigogolati esami di coscienza. In essi c' è la prefigurazione di molti eroi patologici che verranno.

Cio' non significa che il loro marchio stia in questo lavorio sull' interiorità. E' l' inconcludenza disperata di questa autoterapia a marchiarli.

I monologhi interiori novecenteschi non sarebbero l' esaltazione dell' interiorità quanto piuttosto la messa in scena di un groviglio le cui spire soffocheranno il malcapitato protagonista. Le sue analisi non guariscono, i mali si esulcerano. Il pensiero è una medicina sbagliata che estende le infezioni.

Mi piace il fatto che un' estetica chieda così tanto in termini di contenuti.

Ma leggere Debenedetti cercando di isolarne il messaggio centrale è una faticaccia per almeno 2 motivi :
  1. il suo libro è disorganico; visto che ne possiede in abbondanza, si lascia prendere dall' ispirazione senza governarla. E come dagli torto;

  2. il lettore alla ricerca delle tesi centrali è continuamente depistato dalle seduzioni. Anche quando sai di leggere una pagina periferica non riesci a smettere per passare oltre come richiede il tuo obiettivo. Il tempo passa e tu sei solo un lettore felice ma ben lungi dall' afferrare questo critico sfuggente e dotato. Non mi sembra un inconveniente gravissimo e il mio non è un lamento.