mercoledì 18 giugno 2008

Roger Abravanel non affonda il bisturi: 400 pagine condite da buoni sentimenti

La lettura del libro di Roger Abravanel sulla meritocrazia si sta rivelando piuttosto deludente.

Secondo lui una società è meritocratica quando fa uso massiccio dei test. Punto, passiamo oltre.

Nonostante il titolo non perde molto tempo a spiegarci cosa sia la meritocrazia. Dà per scontato che meritocrazia = test + mercato.

Nemmeno ci si sofferma sulle molte difficoltà che sorgono nel tentativo di isolare l'intelligenza. E dire che il libro conta quasi 400 pagine, lo spazio non manca.

Se qualcosa fa difficoltà, RA lo liquida in quattro e quattr' otto.

Sono contento di tanta sicumera perchè in fondo anch' io sono dalla sua parte, ma avrei sperato che mi fornisse qualche arma letale con cui difendere le postazioni. Invece niente (per ora). Purtroppo RA non è d' aiuto visto che il suo testo è praticamente privo di fatti, dati e note che rinviino a fatti e dati.

Come posso sapere se sia stato premiato veramente chi merita? RA la fa facile: chi merita è colui che ha superato il test.

RA sembra uomo di sinistra in adorazione del mercato (va così di moda). Secondo lui la meritocrazia ha uno scopo: innescare la mobilità sociale.

Ma se ci si ferma lì, anche i dadi innescano mobilità sociale.

Perchè dovremmo affidarci ai test? RA non lo dice, chiede un affidamento cieco affinchè questi intralci da cacadubbi vengano aggirati e si passi alla fase implementativa. Io mi fido abbastanza ma mi sarebbe piaciuto qualche argomento.

RA ha sempre in bocca l' espressione "pari opportunità". I test sono l' arma per fornirle.

Di solito uno non parla molto volentieri dei suoi spauracchi. Forse lo spauracchio di RA riguarda la validità a tutto campo dei test.

Un altro spauracchio di RA è la genetica. Se l' intelligenza dipende dalla genetica, addio pari opportunità.

Non potendo eludere del tutto l' argomento "genetico", RA ne parla in modo piuttosto vago: Michael Young, l' inventore della meritocrazia che concluse i suoi studi dichiarando fallito il progetto a causa delle inevitabili derive genetiche, viene liquidato come "personalità ambigua" invecchiata male.

Ma oltre alle vaghezze c' è di peggio, ci sono gli svarioni veri e propri, come quando si dice: "... The Bell Curve: Intelligence and Class Structure in American Life di Herrnstein e Murray sostiene che alla fine conta solo la genetica...".

Ma questa è la cazzata madornale di chi non vuole vedere in faccia i problemi e storpia cio' che dà fastidio quando proprio non riesce a rimuoverlo del tutto.

H/M non hanno affatto sostenuto cio' che viene fatto loro dire. Il fatto che RA si accodi ad una lunga schiera, aggrava la topica visto che viene commessa dopo mille precisazioni già fornite sul tema.

H/M si limitavano a considerare che se vogliamo conoscere il reddito futuro di un americano, l' informazione più preziosa che dobbiamo richiedere è il suo IQ misurato dai 15 ai 23 anni. Altre informazioni, come per esempio le condizioni socio-economiche della famiglia di provenienza, ci dicono molto meno.

H/M non facevano dipendere l' IQ dalla genetica, lasciavano in sospeso la questione disinteressandosene.

Certo, visto che SEF (condizioni socio economiche familiari) contano poco, evidentemente i fattori a monte dell' IQ, qualora non siano genetici, riguardano la cultura profonda. E azzerare una cultura è molto costoso per una policy.

Anche per questo H/M invitavano ad evitare aiuti alle "culture" che producevano povertà (es. i sussidi alle ragazze madri).

Poichè TBC è forse il libro più dibattuto del ventennio, H/M hanno avuto modo di puntualizzare ripetutamente alle critiche mai veramente serie ricevute. Peccato che ad RA il dibattito sia sfuggita e abbia tutta l' aria di volerlo ricominciare riproponendo le prime fasi.

Ma ipotizziamo la situazione ideale: tutte le culture vengono spazzate via (o compensate con l' affirmative action), i bimbi crescono in una campana di vetro che per tutti è la stessa, poi subiscono la selezione in base ai test. La mobilità sociale sarebbe garantita, ma se questo è il valore ultimo siamo sicuri che l' esito sia eticamente diverso rispetto al semplice impiego dei dadi? Siamo sicuri che tolte di mezzo le culture la genetica non finisca per contare ancora di più? Siamo sicuri di non assistere ad una lotteria dei talenti?

Il fatto che si tratti pur sempre di una "lotteria", rende la cosa eticamente sospetta.

Il fatto che riguardi i talenti la rende utilitaristicamente rilevante, ma allora devono essere considerati anche i costi sociali che comporta l' azzeramento di una cultura, proprio come segnalavano H/M.

RA non sembra interessato a questi nodi (le sue vaghezze e i suoi svarioni lo confermano).

Peccato che io invece lo sia e il promettente libro invece non mi aiuta molto a sbrogliare la matassa.

A volte ho il sospetto che libri del genere abbiano una funzione propagandistica. I lettori in Italia sono prevalentemente di sinistra, è l' unico popolo che richiede "spiegazioni". Spiegazioni per ricominciare, dopo il 68, ad accettare una società in cui ci siano "classifiche", "perdenti" e "diseguaglianza". Ma cosa ha effetto per il popolo progressista dalle lenti spesse? Abravanel offre 400 pagine e tanti buoni sentimenti. Forse puo' bastare.