lunedì 21 luglio 2008

La spocchia degli sconfitti

Dopo la guerra nessuno ha investito nella "Cultura" quanto la Sinistra.

Impedita ad entrare nella stanza dei bottoni - almeno da noi in Italia - e memore del messaggio gramsciano, ha puntato tutto sull' occupazione massiccia degli spazi culturali creando una vorace classe di pensatori compulsivi che prendevano le misure a tutto.

Forse che una certa arroganza residua debba annoverarsi tra i danni collaterali di quel dominio illusorio?

Ironia della sorte, dopo mezzo secolo, il fallimento della Sinistra è soprattutto di ordine culturale.

O almeno, questo è il mio pensiero sulla parabola del movimento progressista e mi fa piacere che una ricostruzione similare venga tratteggiata da Arnold Kling riferendosi ai "liberal" americani. Una compagnia rassicurante.

Kling, con lo schematismo pragmatico d' oltreoceano, elenca alcune proposizione che rivelano al meglio una irreparabile perdita di credibilità ottenuta sul campo:


  • Anti-Communism was a greater menace than Communism.

  • The planet could not possibly support the population increases that would take place by the end of the twentieth century.

  • Conservatives stood in the way of progress for minorities.

  • Government programs were the best way to lift people out of poverty.

  • What underdeveloped countries needed were large capital investments, financed by foreign aid from the rich countries.

  • Inflation was a cost-push phenomenon, requiring government intervention in wage and price setting



Anche le esaltazioni sessantottine, dopo mezzo secolo, appaiono di natura più marziana che avanguardista. Kling sfoggia l' esempio patetico di Chomsky (oggi redivivo). Ricordate cosa andava di moda? Le ciancie della "meglio gioventù", più che da una risata, sono state ricoperte da fatti ineludibili, per esempio questi:



  • a mass exodus from Communist Vietnam (the boat people)

  • a large exodus from Cuba (the Mariel boat lift)

  • the collapse of Soviet Communism, revealing that the system did much broader and deeper damage than most people realized

  • an unmistakably large gap between North Korea and South Korea in terms of material well-being and personal freedom



Di quel grande progetto culturale e della sua fantica elaborazione non resta granchè. Tutti ne riconoscono implicitamente la pochezza e in molti sono ancora oggi impegnati a prendendone le distanze. Dismettere invece la spocchia del monopolio intellettuale è compito assai più difficile, lì non ci sono fatti che tengano.

domenica 20 luglio 2008

La famiglia Friedman

Ciao ric,

tempo fa mi hai detto di non essere timida e inviare nuovi post. Lo faccio ancora, utilizzando impropriamente il tuo blog come mio archivio di Preferiti e approfittando della tua assenza, immagino che tu e miriam sarete partiti per il weekend.

Mi sono persa a leggere il blog di Friedman, economista libertario interessato ai problemi legati all'infanzia e all'educazione. C'è un sacco di materiale sulle scuole, sull'educazione (nel senso di istruzione), su homeschooling, eccetera. Essendo un padre entusiasta, ci sono anche molti racconti della sua vita familiare e di come ha tirato su i figli.

La più grande ha iniziato la sua carriera scolastica in una scuola Montessori, poi a 5 anni ha preferito (lo ha scelto lei, dopo che i genitori l'avevano portata a visitare altri istituti) di passare a una scuola sul modello Sudbury (Individual freedom, freedom of choice and learning through experience), che, con il fratello più piccolo di qualche anno, ha frequentato con soddisfazione fino circa ai 10 anni. Dopodiché, tutti e due i bambini, con i genitori, hanno optato per l'homeschooling.

Ovviamente con due genitori laureati e di quel tipo, gli è andata decisamente bene. La grande si è fatta i test di ammissione a college prestigiosi senza nessun problema (tranne qualuno nelle materie scientifiche tipo fisica o chimica - nonostante DF sia laureato in fisica, segno che non ha imposto in alcun modo le sue competenze). Il piccolo lavora per riuscire a sviluppare un nuovo gioco da tavolo (e venderlo a una azienda) prima del 16mo compleanno.

La cosa bella è che i Friedman hanno 'indirizzato' l'istruzione dei figli seguendo le loro inclinazioni e soprattutto i giochi e le cose che li appassionavano:

Our son likes Dungeons&Dragons and other games with dice rolling, so was interested in learning how to figure out the probability of getting various results. It turned out that the same author and illustrator had produced a book on simple probability theory—How to Take a Chance—so we got it and he read it multiple times. The result was a ten year old who could calculate the probability of rolling 6 or under with three six-sided dice.


(...) But the largest part of their education, after reading, is probably conversation. We talk at meals. We talk when putting one or the other of them to bed. My daughter and I go for long walks at night and spend them discussing the novel I'm writing or the characters she roleplays on World of Warcraft (videogioco fatasy).

Insomma, allora esistono libertari che non pensano come Sowell che i bambini siano barbari da civilizzare e non invocano la direct instruction. Bene, perché mi sembrava un'incoerenza. E perché su questa base potrei anche decidere di convertirmi all'anarco-capitalismo dei Friedman.

Intendo chiedere a Friedman che ne pensa della questione oggetto/soggetto, e che ne pensa della Direct Instruction. Prima però leggerò ancora quello che scrive. Magari già ne parla nel blog.

ciao e buon fine settimana (letteralmente 'fine', ormai) a entrambi!
d

sabato 19 luglio 2008

Due Friedman in uno

ciao ric,

facendo ricerche su un certo David Friedman, per via di un documentario che ho appena visto ("Capturing the Friedmans"), ho trovato il blog di quest'altro David Friedman, figlio di Milton ed economista anche lui. Mi sono messa a leggere e ho scoperto che in molti suoi post affronta quei problemi cui tempo fa alludevi, circa la difficoltà del libertario quando si trova a dover dire la sua sui bambini.


Così ho pensato di linkarlo qui, nel caso che il blog possa interessarti più in generale.

Seguo ogni tanto i vostri scambi (ciao, davide) - accidenti che capacità di concentrazione e approfondimento che avete. Davide poi, è un mistero dove trovi tutte quelle energie, magari alla fine di una giornata di lavoro, dopo un'ora di macchina e l'impegno della famiglia. (Ora non so quale interruttore tu prema, Davide, ma la causa dell'energia che si sprigiona è certamente metafisica.)

ciao
d

venerdì 18 luglio 2008

Arte riciclata e arte del riciclo

Un registratore per ascoltare le cassette non ce l' ho più e buttarle non mi va... nessun problema, forse siamo vicini alla soluzione...



E tra poco si comincia ad arredare con i cd...

I figli nella guerra fra i sessi

Pensando alla fertilità nei vari Paesi, ovvero al numero medio dei figli per ciascuna famiglia, avevo già notato come parecchi studiosi mettessero in luce la forte rilevanza di un "fattore culturale".

Ora Sacerdote et al. tornano sul tema con un' analisi comparata di Francia, USA, Italia, Svezia, Giappone, Spagna. Secondo questo studio il fattore più strettamente connesso al numero di figli avuti è la disponibilità dell' uomo ad aiutare nelle faccende domestiche. Ancora un fattore culturale, quindi.

"... using ISSP and World Values Survey data we show that countries in which men perform relatively more of the childcare and household production... have the highest fertility within the rich country sample. Fertility and women's labor force participation have become positively correlated across high income countries..."



Naturalmente non risulta che la divisione perentoria dei ruoli in famiglia induca di per sè alla sterilità della coppia, anzi, in passato questa impostazione ha favorito famiglie con proli sterminate. Evidentemente a produrre sterilità è stato il suo incontro/scontro con certi influssi del pensiero femminista.



Ma attenzione, postulando carichi di lavoro casalingo squilibrati, gli autori imboccano una scorciatoia che li porta subito alla conclusione che devono spiegare.

Per loro, molto semplicemente, le donne preferirebbero meno figli rispetto agli uomini ponendosi, con queste preferenze, all' origine della scarsa fertilità in paesi come l' Italia. Mi sa che il percorso da compiere per spiegare i pochi figli sia più tortuoso.

Sarà perchè gli autori rinunciano a dimostrare questo passaggio, sarà perchè secondo me ci sono dati che dimostrano il contrario sul numero ideale di figli per uomini e donne, sarà per questo ed altro ma secondo me Sacerdote la fa troppo facile.

Se la scarsa fertilità risiede davvero nella guerra tra i sessi e nei mariti poco collaborativi, la scintilla che scatena questa querra sta altrove, non nelle preferenze circa il numero dei figli ma nelle preferenze, per esempio, concernenti la pulizia della casa. Ripeto, è un esempio!

Nonostante le culture siano cambiate, non lo sono forse abbastanza. La donna, per quanto ormai impugni con decisione il suo diritto a ricevere un aiuto nelle faccende, ancora si sente la responsabile finale per le condizioni in cui si presenta a terzi il luogo dove vive la famiglia. L' uomo, pur prestando la sua opera è meno interessato al "risultato finale" da sottoporre al giudizio di amici e parenti.

In fondo, per qualcuno, la vera uguaglianza si realizzerà non quando l' uomo sentirà certi doveri ma quando non li sentirà più la donna. Ovvero, non quando le "specializzazioni" famigliari sfumeranno, ma quando saranno ulteriormente sfruttate:

"... my dad used to change the oil in our family cars. I certainly don't. I suffer exactly zero shame from the fact that I don't even know how. There are specialists who do this sort of thing. Real women's liberation and gender equality will come when social expectations shift enough to allow families to guiltlessly take full advantage of the returns to specialisation..."

giovedì 17 luglio 2008

Finalmente un Sollima che inquina

Nell' ultimo suo disco Giovanni Sollima sembra, almeno in parte, impegnato a scrollarsi di dosso le ipnosi "glassiane".

Un po' meno di pulizia "ambient" a tutto favore di energie più inquinanti ma anche più produttive.

Gilbert Diop Abdourhamane gli dà una mano a produrre un po' di ruggine. In un pezzo c' è persino Patti Smith, figuriamoci.

Il Sollima "pulito" non lo avrei mai regalato alla miri, tanto per dire. Gli sarebbe piaciuto troppo e avrebbero finito per escludermi viste le mie perplessità. Su questa versione più sporca e abrasiva, invece, ci punterei. Saremmo proprio un terzetto affiatato.

Vienna : Chicago = Cultura : Incentivi

I libertari lodano il libero mercato attribuendogli un doppio merito.

Se i comportamenti sono indotti dagli Incentivi e dalla Cultura, questa istituzione è in grado di agire in modo virtuoso su entrambe le variabili.

Anzi, il discrimine più eloquente per individuare le due principali scuole liberiste consiste proprio nel ricondurle al fulcro che eleggono come decisivo.

Il "viennese" (sponda hayekiana) punta sulla cultura, il "chicagoano" sugli incentivi.

I due approcci naturalmente sono interconnessi: la costante presenza di un incentivo, alla lunga, produce "cultura". Un modo credibile per strutturare gli incentivi non puo' prescindere dalla "cultura" già presente. Lo si vede bene nell' economia dello sviluppo.

Chicago ci avverte della presenza di soluzioni ottimali, restano pur sempre un obiettivo. Vienna ci avvisa che non tutto puo' essere progettato: esiste una cultura che reagisce alle istituzioni, il gradualismo si rende necessario.

Vienna ci garantisce la sopravvivenza delle società di mercato, Chicago garantisce i modi per costruirla al meglio.

Scienza al tempo dei petabytes

L' avvento dei mega-computer e la disponibilità crescente dei dati, sta lentamente spingendo un cambiamento nella nozione di "scienza".

Qualcuno ritiene che sia già giunto il momento di cambiare paradigma.

Il momento delle verifiche finisce per precedere quello delle formulazioni. Nemmeno è più necessario teorizzare nei modi tradizionali. Che senso ha scommettere sul futuro se l' impianto statistico di fondo è affidabile?

Perchè perdere tempo con i modelli quando la nuova parola d' ordine potrebbe essere: "correlation is enough".

Sarebbe un bel colpo che i simoniani porterebbero ai popperiani. Un' altra umiliazione che il sofware infligge al genio. Se non fosse che il software è meglio sia sempre scritto da un genio.

mercoledì 16 luglio 2008

La vicenda degli accordi

Gianfranco Contini diceva di Giacomo Debenedetti che fu il solo ad aver piegato il linguaggio di un vero scrittore al servizio del genere critico.

In effetti, lo si apprezza subito, GD sapeva cercare e trovare le parole di circostanza.

E che parole usò per definire lo "specifico" della letteratura novecentesca?, in particolare della letteratura romanzesca?

Eccolo impegnato su Svevo, un autore che sembra esistere per essere capito da lui:

"... un modo di raccontare che rifuggiva, per pigrizia o incapacità, dall' alacre condensazione dei fatti... e che la sostituiva invece con un indugiato, tortuoso vagabondaggio nei labirinti indimostrabili dell' individuo... che si avviluppano come serpi e che si mordono la coda negli intervalli tra l' uno e l' altro fatto. I quali fatti appaiono saltuari, radi, sbiaditi, destituiti d' interesse, in una specia di disintegrazione o meglio frustrazione della vicenda..."

"... la narrazione moderna è, in poche parole, quella che lascia stagnare i fatti e si sottrae un po' vilmente allo sforzo di imprimere alle vicende e al loro intrecciarsi una propulsione dinamica. In queste soste incessanti lascia dilagare una pigra, lutulenta descrittiva degli stati d' animo, dei più capillari, informi, vischiosi moti psicologici. Indulge cioè a viziose dilettazioni consumate dall' autore in sparuta solitudine..."


E' possibile tradurre questi concetti e riferirli alla musica? In fondo penso di sì. E quando GD parla di "vicenda", di "condensazione dei fatti", io, nel mio isomorfismo, penso all' ordinata sequenza tonale degli accordi che si susseguono all' interno di una forma standard, diciamo la forma sonata. O qualcosa del genere.

lunedì 14 luglio 2008

Idee o interessi?

Quando la forza bruta conta, l' arte di persuadere il prossimo con sottili ragionamenti non è certo coltivata. Non ce n' è motivo, basta la minaccia.

Ma in democrazia l' arte di convincere diventa importante. Il voto dell' esperto conta quanto quello dell' insipiente. Il voto dell' interessato eguaglia quello del distratto.

Probabilmente è per questo che la democrazia, nella sua illustre figliolanza, annovera anche un brutto anatroccolo: la propaganda ideologica.

Non fatemi identificare l' ideologia con il demonio, le cose non stanno così. Anche e soprattutto attraverso l' ideologia, un uomo costruisce la propria identità. Cosa spinge tante persone a perdere il proprio tempo per telefonare ad una trasmissione radiofonica ed esporre, in 15 secondi, un' opinione politica che si perderà presto nel nulla insieme alle altre? Spesso l' ideologia e la costruzione dell' identità.

Quando l' interesse viene depotenziato, quasi sempre cede il posto all' ideologia e non certo all' imparzialità. E' un fenomeno già incontrato considerando il funzionamento di un forum libero. Ovvero un luogo dove non ci sono interessi in ballo e le identità sono labili. Un posto dove c' è poco o nulla da perdere e si è nelle condizioni migliori per dire la propria liberandosi dai pregiudizi. Ma è proprio questa mancanza di interessi e la necessità di costruire la propria identità a stimolare e dare centralità ad un pensiero ideologico.

L' ideologia/pregiudizio è trainante persino in epoche come la nostra dove sembra sopita. Forse ora lo è ancora di più poichè in forme striscianti agisce insinuandosi senza tanto chiasso piazzaiolo.

Sulle questioni decisive sembra avere sempre l' ultima parola. Noi invece ci aspettiamo che dietro le quinte manovrino Grandi Fratelli a protezione dei loro interessi privati. Riteniamo che siano loro i principali ostacoli verso il progresso comune. Ingenui! Siamo in democrazia e quasi tutto viene controllato dall' ideologia.

Landier/Thesmar/Thoenig/ (Investigating capitalism aversion) trovano che, nei vari Paesi da loro studiati, le riforme decisive sono quasi sempre impedite da motivazioni ideologiche. Convinzioni gridate con orgoglio ai quattro venti, convinzioni per le quali ci battiamo con valore inscenando quelle "lotte" che ci realizzano e ci divertono più di qualsiasi scampagnata fuori porta.

Altro che manovre dietro le quinte ordite dagli Interessi Forti. L' accusa contro gli Interessi Forti spesso debbono essere re-indirizzate contro le Passioni Civili.

Quando l' ideologia non si manifesta in un pensiero strutturato (male) e manifestato con iattanza, assume le forme della diffidenza conservativa: il nuovo è sempre incerto e malefico. Non si sa perchè ma è così. Per "ideologia".

Landier et al. fanno dell' Italia addirittura un caso di scuola.

Come uscirne? Come fare in modo che l' ideologia ceda almeno un po' all' interesse e alle soluzioni pragmatiche?

E' molto difficile, perchè se parliamo di interessi pubblici, per poterli trasformare in privati, occorre spingere le cose giungendo al limite di un baratro, fino a che il "mal comune" cessi di essere un "mezzo gaudio" per il singolo. A quel punto anche nel "singolo" prevarrà l' interesse personale e la voglia di "risolvere i problemi".

E in fondo è proprio questa l' unica via che vedono gli autori per favorire riforme pro-mercato: le disfunzioni, a poco a poco, toglieranno risorse a tutti impoverendo sempre più la società. E, la storia insegna, la povertà è il medico più efficace contro le ideologie anti-mercato. Specie se il nostro vicino se la spassa. Ma le teste sono incredibilmente "de coccio".

In merito puo' essere utile l' articolo di Giorgio Barba Nervetti sul 24 ore di domenica 13.7.2008.

Squali di gomma e polpastrelli accostati

Nelle discussioni della scorsa settimana ci si chiedeva se il "bello" potesse entrare anche nelle produzioni popolari.

A mio avviso sì, ci sono canzoni molto poetiche per esempio.

Anche il parere di Tom Shone sembra essere positivo. Lui si concentra sui film. Parlando del film "Lo Squalo" ha parole illuminanti:

"... quello che ancora oggi ci resta dentro del film non sono tanto i momenti d' azione, quanto le gag perfette, leggere come l' aria, con cui Spielberg impreziosisce la trama: Dreyfuss che schiaccia il suo bicchierino di polistirolo in reazione a Quint che ha schiacciato la sua lattina di birra, o il figlio di Brody che a cena copia il tic di Brodi di accostare le punta delle dita...

Per trovare simili meraviglie di solito si deve guardare roba molto più noiosa - per esempio qualche scena da camera di John Cassavetes sul disfacimento coniugale - ed invece, eccole qui spuntare in un film che ha per protagonista uno squalo di gomma. E' un' autentica rivoluzione trovare polpastrelli accostati e squali di gomma nello stesso film. A noi è sembrata una notizia importante. Perchè non ce l' aveva detto nessuno prima?..."

Nick Hornby abraccia con fervore l' estetica estrapolata da Shone e si propone, d' ora innanzi, di scrivere solo libri in cui copaiano sia "polpastrelli accostati", che "squali di gomma". Ritiene che gli uni senza gli altri siano, oggi, piuttosto privi di senso. In effetti, ancora più inquinante della gomma sarebbe un mondo dove compaiono solo "polpastrelli accostati".

sabato 12 luglio 2008

Bonaccioni pragmatici alla ricerca del "gniffin"

Forse il Carlo Maria Maggi chiosato da Dante Isella, rende con buona approssimazione lo spirito della Grande Madre Lombarda, la sua natura bonacciona e pragmatica.

Rende lo spirito di questa Donna che si porta sempre dietro una religiosità pedestre con l' antidoto di qualche diffidenza celata in un riserbo che non accusa.

Una vicinanza alla Chiesa che ha poco o nulla da spartire con la fede dei Santi o con il phatos dei Mistici; molto invece con il sentimento popolare di una vita ordinata, con il senso morale di una tradizione "della nostra gente". Un sentimento vivo e riconoscibile anche laddove subisce la deturpazione della miseria e dell' ignoranza. Un sentimento che non è mai folklore ma vero bastone del pellegrino che attraversa la nottata.

E' il sentimento delle "genti mecaniche" di Manzoni, che cuociono a fuoco lento le astrazioni del filosofo finchè non sciolgono le loro grasse oscurità per riconciliarne la polpa con l' etica comune del buon senso.

Forse solo un dialetto che non si stima puo' esprimere i valori di questo mondo "medio", anzi "mediocre", con le sue virtù moderate e l' empito sopito al punto giusto: non la felicità ma il gniffin come unico bottino. Il "gniffin", ovvero i piccoli sorrisi di stupore con i quali possiamo disseminre il nostro passaggio.

Un istinto alla prudenza allergico alla riottosità dei fieri, un pensiero che spira dalle stalle delle cascine ma tende poi ad intrecciarsi con lo spirito delle sfere più elevate, entrando in intima alleanza con quello dei Sciuri che, se stanno lì nei loro salotti, un motivo ci sarà. Un' anti-ribellismo sempre a mezza via tra il calcolo, la convenienza e lo scetticismo istintivo dei vessati.

Guarda bene il mondo e non vi troverai motivi d' esaltazione. Guardalo ancora meglio e non vi troverai nemmeno di che deprimerti. E allora su...

Proprio l' altra mattina...

Innanz al mattutin, l' ora che 'l sogn
strensc pù fort e ogni rumò rincress...


... nella casa vicina al convento si sentono rumori strani e poi un gran botto...

... sti Monegh hin dà sù tucc in d' on colp
comm i pollè quand ghe va dent la volp... I lader, i ladron...


... il pericolo innesca una serie di scene un po' comiche, con lo zio che salta dal letto sentendo l' allarme "dand in l' orinari con ruina", gente che per difesa "ciappa ona canna de sfà giò i ragner" oppure "on s' ciopp che fu de Medeghin", chi invece ridotto a letto dalla gotta "mett cunt de moeve gnanch on pass, e ga ha minga pagura par poltroneria..."

Il finale di questa baraonda è indicativo e illustra l' istinto sdrammatizzante:

"... sta mattina se troeva che' l fracass
e lo stremizij l' è stà de fantasia.
Hin inscì i coss de qua sott:
Guardei al cair gh' i trovarì nagott"

L' egoismo santo ("... stè ben con quel de sora e fè 'l fatt vost...") è raccomandato. L' "ambizion da creppacoeur" è fuggita:

"... l' è ul sproposet pù gross c' abbia vedù
cattà roved e piansg che t' han spongiù..."


i confini dell' ignoranza preservatrice sono presidiati con cura...

... mì me par de stà mei quant manch ne sò
e pensi par calmar tucc sti rumor
che sora de sti niver gh' è 'l Signor...

I drammi di dimensione universale sono tralasciati quando non irrisi, finchè non toccano i "tuoi buoi", l' obbedienza disciplinata è un caposaldo imprendibile. I guai finanziari...

lassè al sciur, che sti cinc sold hin soeu
vù tirez drizz ol solch, no guardè in drè
e se vorrì guardà guardè i vost boeu


Pensare in grande non si addice a chi vive nel mondo serendipico:

Ol Togn che i verz heva piantà
fava orazion perchè el piovess un bott.
Piovett, e ol fen taijà in scambi de seccà cappè del cott;
L' uga fioriva, e par i roscià, andand in cavrieu, l' andè in nagott.
E Togn guardand ol ciel tornè a pregà
par da mò innanz che no 'l ghe dass a trà...

Una vita agra è disidratata? Forse, se non ci fossero i frugoletti. Basterebbe osservare il nonno come gioca con il suo Cecchino perchè l' allerta cessi e si entri nella dimensione del gniffin...

l' ha ppoeu sott, un nasin da sofià via cui basin
dù pomme de ganassinin...


Il bambino insegna al nonno l' arte dell' ottenere...

No sgarì nè piansc... si vor la tetta la dumanda in pas
al ciamma con creanza... e speccia con pazienza...


Forse questo mondo non ci conquisterà con le sue gioie, eppure il bambino in braccio al nonno ci fa capire come il nostro viaggio quaggiù, se accompagnato con la giusta ingenuità e curiosità (la scoperta di una barba pungente), puo' essere abbellito da mille sorrisetti (gniffin).

Ghe mett el volt appress con la barbascia
Cecchin se sent a sponsg e fa gniffin
Mì cred c' al rida e tutt col mè Cecchin
de Cà, Scoeura e Senat voerì pù strascià

Un gniffin del genere va subito battezzato:

... Ghe dic a volt: Cecchin, al tò Signor
che ta fai inscì bell, ghe sarè mai rebell?
E Cecchin me respond: Onghin, Ongò.
E mi me par ch' el dis: No.
Ghe torn a dì: ghe porteret amor?
Cugnossaret un dì quant el te ne porta a tì.
E Cecchin respond: Ongò, Onghì
e mi cred c' al diga: Sì...

Il gniffin come acconto del Paradiso, non è molto. Non è molto solo se lo si vede da lontano. Ma se ci si avvicina si capisce subito come in cambio di un gniffin, scuola, casa, senato, lavoro, possono aspettare dando la precedenza ai beni più preziosi. E allora, ecco finalmente dietro certi fili spinati, il latte purissimo che comincia a scorrere, a fluire sempre più cremoso e nutriente, fino all' alluvione.

venerdì 11 luglio 2008

Interventismi

La terza città più violenta degli USA dichiara guerra... alla vita bassa. Ho dei soprassalti libertari.



Time Abuse

Per autodiagnosi da fare sotto l'ombrellone, leggere qui.

diana

p.s. per la lista dei gruppi di auto-aiuto: www.TAA.org (Time Abusers Anonymous)

Tennis d' acciaio

La partita con le palline più dure la gioca Arkadi Shilklper. Le spara con il suo corno d' acciaio. Da vedere non è granchè, ma d' ascoltare...

Avvisi preventivi per diventare ricchi (o poveri) studiando

Cosa studiare per avere un buon salario?

Qualche idea:


  1. Computer Engineering

  2. Economics

  3. Electrical Engineering

  4. Computer Science

  5. Mechanical Engineering

  6. Finance

  7. Mathematics

  8. Civil Engineering

  9. Political Science

  10. Marketing

  11. Accounting

  12. ...


Ecco, adesso, in preda alle vostre passioni insopprimibili, correte a iscrivervi a psicologia, sociologia o lettere antiche. Poi, quando avrete problemi alla quarta settimana del mese, non andate in piazza a strillare e a dire che non vi avevo avvisato.

Capitalismo dimezzato

Sembra che alla Clinica Santa Rita di Milano non tutte le operazioni chirurgiche effettuate fossero indispensabili. Venivano però giustificate dal tentativo di intascare rimborsi facili.

Un Ospedale pubblico non incorrerà mai in simili comportamenti, per lui non esistono incentivi alla produttività. E' una lacuna fonte di tanti guai, ma in questo caso è una garanzia.

Possiamo ben dire che il "modello lombardo" sia ora sotto accusa e, poichè siamo in Italia, ad essere sotto accusa è il sistema capitalistico in genere.

Certo, un' accusa credibile non puo' fondarsi interamente su un caso o su pochi casi, occorrerebbero numeri più rappresentativi per il momento sconosciuti. La cosa che tranquillizza è il fittissmo andirivieni creato dal turismo medico che interessa la Lombardia. Chissà che ora non cessi di botto, bisogna pur essere coerenti.

Nelle mentalità conservatrici la presenza di un inconveniente viene subito sfruttata per reclamare il ripristino del vecchio. Sarebbe molto meglio sfruttarla per una messa a punto dell' esistente.

Togliere incentivi alla produzione di servizi medici non è un migioramento poichè saremmo da capo a dodici con i guai di prima che conosciamo bene.

L' incentivo produttivo è importante ma sono importanti anche i controlli. Nel caso della Santa Rita la "produzione" è colpevole di aver barato, ma anche i controlli sono colpevoli di inefficienza.

Certo che una buona riuscita delle soluzioni d' impronta capitalistica richiede anche una mentalità adeguata e partecipe, anche la cultura reclama la sua importanza. E da noi l' amore per le libertà economiche è piuttosto fievole.

Nel mondo, il sistema capitalistico ha sbaragliato i suoi concorrenti per l' efficienza che era in grado di mettere sul piatto.

Per i critici torna comodo dare molta enfasi all' efficienza produttiva, meno all' efficienza sui controlli. Si crea così un' immagine dimezzata del capitalismo che è molto comodo criticare.

Eppure c' è anche un' efficienza dei controlli, anche i controlli sono un' attività a tutti gli effetti: in un mercato senza fallimenti si crea un conflitto d' interessi e ciascuno controlla il proprio vicino. L' efficienza è garantita da una buona struttura degli incentivi.

Come una "produzione" sottratta alla mano pubblica guadagna in efficienza, così pure vale per l' attività di "controllo".

Il turpe caso del Santa Rita conferma: la produzione (privata) era efficiente (troppo), i controlli (pubblici) no. Una doppia inefficienza non ci fa fare rassicuranti passi in avanti.

Il conflitto d' interessi che consente un reciproco controllo non si realizzava per il semplice fatto che una delle parti era il pubblico e il pubblico, per definizione, ha interessi deboli da mettere "in conflitto".

Se a pagare la clinica fosse stata un' assicurazione privata forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse il Brega Massone non l' avrebbe turlupinata tanto facilmente (anche se abbiamo appena visto come molti proletari abbiano buggerato le grandi banche americane in tema di mutui).

Insomma, bisognerebbe incentivare anche i controlli oltre che la produzione.

Come? privatizzandoli e offrendo delle taglie. Magari le associazioni dei consumatori potrebbero rivestire un ruolo che vada finalmente al di là della vuota chiacchera o della denuncia esplosiva che non esplode mai.

Da noi le "taglie" non vanno troppo di moda per il fatto paradossale ma non banale che sono fin "troppo efficienti".

Chi si impaurisce di questa efficienza dovrebbe poi trattenere le urla scandalizzate di fronte ai casi del Santa Rita.

Attenzione, un buon "conflitto d' interessi" offre controlli efficienti, ma non sono tutte rose e fiori: il prezzo della sanità sale. Se i rischi per le cliniche si alzano si alzeranno anche i prezzi, è naturale. In parte verranno pagati anche dall' utenza.

Precisazione: si alzeranno i prezzi ma non i costi. Molto semplicemente conosceremo il prezzo reale del servizio di cui godiamo. Se consideriamo come i prezzi finti siano sempre fonte di guai dovremmo essere contenti.

giovedì 10 luglio 2008

Un condor "pasa" sul blog

Lo spingono i tamburi tartaglioni di Bennink, lo soffia il contralto di Moore, lo fiondano le corde di Reijseger... ecco che apre le ali.


Utilitarismi: come mixare il cocktail

Poca arte, ma quanto ingegno...

Il gol di Torres e la proposizione 9

"... Xavi, Xavi... palla in verticale... Torres... Torres... gooooool, gooool, goooool...."

Mentre io mi esaltavo, la miri restava impassibile. E ci credo, lei non aveva mai giocato a calcio.

Torres, nella finale, segnava il gol che decideva l' Europeo in favore della Spagna.

Nè io, nè la Miri eravamo coinvolti passionalmente, eppure io mi lasciavo entusiasmare dal gol, la miri no, per lei era un gol come un altro.

Anzi, prima ancora dei replay già mi chiedeva di "girare" su Filomena Marturano con la Loren e Mastroianni... ma come? Le donne non capiscono proprio niente, nè di Jazz, nè di calcio... vai al cine, vacci tu, io sto qui che aspetto Bartali.

Per la miri era un gol come un altro. Ma non aveva colpe a travisare così. L' avrebbe detto chiunque non avesse giocato a calcio.

Bisogna aver giocato per capire che era un grande gol per almeno quattro motivi poco percepibili:

  1. la velocità e il riflesso con cui Torres bruciava il difensore tedesco;
  2. la finta con cui Torres spiazzava il difensore tedesco;
  3. la scorrettezza al limite, tanto quanto basta per non farsi fischiare fallo, con cui Torres ostacolava il difensore tedesco;
  4. il gesto tecnico ("colpo sotto") compiuto in condizioni dinamiche estreme, con cui Torres scavalcava il portiere tedesco.

Quello era un grande gol, Torres è un grande centravanti (infatti solo il cartellino costa 60 milioni). Forse bisogna aver giocato per saperlo.

Ma bisogna aver giocato per apprezzare il calcio? In molti casi sì, il calcio non è uno spettacolo estetico, è uno spettacolo utilitaristico, bisogna vincere.

Lo scopo del calcio non è la produzione del bello, è la produzione della vittoria.

Un gol come quello di Torres non era bellissimo, altrimenti anche la miri ne sarebbe stata colpita, era però difficilissimo, frutto di equilibri miracolosi.

Per la vittoria conta più saper superare le difficoltà che non l' estetica. Ecco perchè chi ha giocato ha dei vantaggi nel giudizio, perchè le difficoltà possono essere latenti.

La prop9 ci dice che nell' arte le cose campiano radicalmente. Per giudicare la bellezza di un' opera non conta saper fare qualcosa di equivalente.

Un pianista puo' esibirsi superando mille passaggi ostici, e magari solo un suo collega in sala se ne accorge, uno che "ha giocato".

Ma la cosa è irrilevante da un punto di vista estetico. Puo' esserlo in un' ottica professionale, artigianale, ma non dal punto di vista del giudizio estetico.

Per il giudizio estetico l' artista è un cavallo nell' ippodromo: serve e non giudica se stesso.

L' estetica non giudica cio' che sta dietro le quinte, non giudica i metodi e le difficoltà incontrate per produrre l' opera. Giudica l' opera, il risultato finale e si disinteressa del resto.

L' Opera non è un' impresa utilitaristica come il calcio, la produttività dell' artista conta poco, il suo virtuosismo è solo strumentale in senso basso e il giudizio estetico puo' disinteressarsene per concentrarsi sull' esito.

Il calcio, essendo utilitaristico, apprezza, valorizza e dà centralità allo Strumento. Il lato artigianale dell' arte fa altrettanto, ma il lato estetico puo' tranquillamente scordarne l' esistenza per concentrarsi sul suo oggetto.

Spero che qualche esagerazione sia compensata da una maggiore chiarezza.

Hat tip a Davide che... se hai un' ideuzza stando da solo, discutendone con una controparte, ne germogliano altre dieci.